7 pensieri riguardo “Ravel 150 – III

  1. Anche per questa interpretazione, nulla da eccepire!

    Questo pregevole quartetto fu scritto da Ravel all’età di soli 28 anni, completandolo nell’aprile 1903. La sua struttura ricorda molto quella del Quartetto in Sol minore di Debussy, composto circa dieci anni prima, sebbene le idee musicali raveliane contrastino fortemente con quelle debussiane. Fu proprio Debussy ad apprezzare molto la composizione, anche più del suo dedicatario, Fauré.

    Durante i suoi anni al Conservatorio di Parigi, Ravel fu messo in cattiva luce dalle sue idee innovative agli occhi del direttore dell’istituto, Théodore Dubois, un uomo davvero conservatore, ma anche di altri membri del corpo docente. Nonostante tutto, il suo maestro Fauré lo incoraggiò sempre e, forte di quest’appoggio, tentò per ben quattro volte, fallendo, di aggiudicarsi il prestigioso Prix de Rome.

    Nonostante le sconfitte, la sua già elevata fama non venne meno e, nel 1904, le prime esecuzioni di Shéhérazade e del quartetto ebbero grande successo.

    Dopo la prima, avvenuta il 5 marzo in occasione di un concerto della Société Nationale de Musique da parte del Quartetto Heymann, Debussy scrisse a Ravel una lettera di incoraggiamento, nella quale gli espresse tutta la sua più sincera stima.

    Nonostante le similarità con il quartetto di Debussy, quest’opera si distingue per la notevole reticenza emotiva, per la grande innovazione inserita in una forma così tradizionale e per l’eccezionale maestria tecnica. Ravel, infatti, si allontanò dal simbolismo debussiano, ritornando a uno standard più classico e snobbando il primo impressionismo francese, da lui considerato vago e amorfo.

    Alla prima, Fauré non rimase molto impressionato dalla composizione e la sua inaspettata reazione portò a feroci divisioni nella critica. Da un lato, Pierre Lalo, già forte oppositore della musica raveliana, liquidò la composizione come un’opera poco originale, mentre Jean Marnold, critico del “Mercure de France”, la elogiò, elevando il suo autore a “uno dei maestri di domani”.

    La prima esecuzione a Londra avvenne nel 1908 ed ebbe un grande successo, tanto che un critico del The Musical Times affermò che il pezzo era “notevole per vaghezza di rilevanza, incoerenza e strane eccentricità armoniche”. Anche la prima tedesca, avvenuta a Berlino due anni più tardi, ebbe generale successo.

    Già nel 1914, la composizione si era affermata a livello internazionale, diventando uno standard nel repertorio di musica da camera del XX secolo. Tra l’altro, un critico londinese dell’epoca ne rimase talmente affascinato da scrivere numerose recensioni tra le varie esecuzioni succedutesi nei mesi seguenti.

    Il primo movimento è in forma sonata, con un primo tema dapprima ascendente e poi discendente affidato inizialmente all’intero quartetto nelle prime misure e, in seguito, al primo violino. Il secondo tema, più meditativo, è eseguito dal primo violino e dalla viola, a due ottave di distanza.

    Lo sviluppo, assai lirico, aumenta di intensità verso la fine, prima della ripresa. In questa, la seconda parte del movimento viene eseguita leggermente modificata, con il violoncello innalzato di una terza minore, spostando la tonalità da Re minore a Fa maggiore. L’esecuzione rallenta e il movimento si conclude con una coda assai lenta.

    Il secondo movimento è uno scherzo e inizia con un passaggio in pizzicato di tutti gli strumenti. Il primo tema, in modo eolio, rivela secondo alcuni l’influenza del gamelan giavanese, mentre secondo altri è un eco delle origini spagnole del compositore.

    Il secondo tema, lento e assorto, è affidato al violoncello e si distingue per la presenza di sezioni poliritmiche, di figure in tempo ternario e in tempo binario sovrapposte e per alcuni spostamenti tonali (La minore – Mi minore – Sol# minore). La conclusione è affidata a una ripresa ridotta della sezione iniziale.

    Il terzo movimento, nonostante il suo titolo, presenta diversi cambi di metro. Il primo tema è affidato dapprima alla viola e poi al primo violino e la tonalità, inizialmente in Sol# maggiore, affonta diversi passaggi in La minore e in Re minore per poi ritornare a Sol# maggiore. Sono altresì presenti forti collegamenti tematici al primo movimento e, violando le norme dell’armonia classica, vengono usate diverse quinte parallele.

    L’ultimo movimento, nella tonalità di Fa maggiore, ha quasi la forma di un rondò. Inizia in modo assai tempestoso e, nel seguito, presenta diversi cambi di metro (5/8, 5/4 e 3/4). Brevi passaggi in tremolo e frasi sostenute sono accostate a graziosi arpeggi, mentre alcune parti sono più rilassate, incluso un riferimento al primo tema del primo movimento. La conclusione, vigorosa, riporta al carattere iniziale.

    Dell’opera, Ginette Martenot, su approvazione del compositore, ne trascrisse il primo movimento per Ondes Martenot mentre, nel 2003, il direttore d’orchestra e violista russo Rudolf Barshai ne realizzò una versione orchestrale.

    Piace a 1 persona

commenti