Percy Grainger (8 luglio 1882 - 1961): The Immovable Do per armonio (1941). Artis Whodehouse.
Il medesimo brano in un adattamento per banda di Joseph Kreines. Philharmonic Winds, dir. Robert Casteels.
L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni
Il suono della libertà: genio e sregolatezza di Percy Grainger
Grainger fu un compositore e pianista australiano la cui carriera fu segnata da un talento prodigioso, un’incessante spinta all’innovazione e una personalità profondamente eccentrica e controversa. Dalla sua infanzia in Australia, segnata dall’influenza di una madre possessiva, fino al successo internazionale e agli esperimenti radicali della maturità, la sua è la storia di un artista che ha cercato per tutta la vita di liberare la musica dalle sue convenzioni.
Un’infanzia australiana tra talento e inquietudine
Percy Grainger nacque a Melbourne in una famiglia complessa: il padre John era un architetto inglese di talento, celebre per aver progettato il Princes Bridge di Melbourne, ma anche un alcolista e un donnaiolo che contagiò la moglie Rose con la sifilide. Questa situazione portò alla separazione, lasciando Percy sotto la completa e dominante influenza della madre. Ella era un’autodidatta che curò personalmente l’educazione del figlio, evitandogli la scuola formale (che frequentò per soli tre mesi a 12 anni, venendo bullizzato e ridicolizzato) e impartendogli una solida formazione. Fin da bambino, Percy mostrò un talento precoce sia per l’arte – tanto che i suoi tutori pensarono che il suo futuro potesse essere nella pittura – sia per la musica. La sua prima composizione nota, A Birthday Gift to Mother, risale al 1893. Sviluppò inoltre un profondo interesse per la cultura nordica, definendo la Saga di Grettir il Forte «la singola influenza artistica più forte della mia vita». Le sue prime esibizioni pubbliche a Melbourne furono un trionfo, tanto che la critica lo definì «il fenomeno dai capelli di lino che suona come un maestro». Questo successo, unito al consiglio del direttore del Conservatorio di Melbourne, convinse Rose a finanziare, tramite concerti di beneficenza, il trasferimento in Europa.
La formazione a Francoforte e la nascita di uno stile
Nel 1895 madre e figlio si trasferirono a Francoforte. Rose si dedicò all’insegnamento della lingua inglese, mentre Percy si iscrisse al prestigioso Conservatorio del Dr Hoch. Sotto la guida del pianista James Kwast divenne rapidamente un virtuoso, ma ebbe un rapporto difficile con il suo professore di composizione, Iwan Knorr. Preferì perciò studiare privatamente con Karl Klimsch, un compositore dilettante appassionato di musica folk, che Grainger onorò come «il mio unico insegnante di composizione». Fondamentale fu l’incontro con un gruppo di studenti britannici (Roger Quilter, Cyril Scott, Balfour Gardiner), con cui formò il «Gruppo di Francoforte», volto a emancipare la musica anglosassone dall’influenza tedesca. Scoprì la poesia di Rudyard Kipling, musicandola con una tale sintonia che Cyril Scott commentò: «Nessun poeta e compositore sono stati così adeguatamente uniti dai tempi di Heine e Schumann». Durante questi anni emersero anche aspetti più oscuri della sua personalità: sviluppò un’ossessione per il sesso e iniziò a praticare il sadomasochismo, tendenze che il biografo collega alla rigida disciplina impartitagli dalla madre. La permanenza di Grainger a Francoforte si concluse quando la madre ebbe un crollo nervoso, costringendo Percy a diventare l’unico sostentamento della famiglia e a trasferirsi a Londra per avviare la carriera di concertista.
Gli anni di Londra: affermazione come pianista e compositore
Trasferitosi nella capitale inglese nel 1901, Grainger divenne rapidamente un pianista acclamato. Fu introdotto nei salotti dell’alta società dalla sua mecenate Lillith Lowrey, con la quale ebbe una relazione sessuale che lui definì un «lavoro d’amore-servizio». Il suo debutto con l’orchestra avvenne nel 1902, quando suonò il Primo Concerto per pianoforte di Čajkovskij. Ebbe un rapporto controverso con Ferruccio Busoni, che gli offrì lezioni gratuite ma si aspettava «uno schiavo disposto e un discepolo adorante», ruolo che Grainger rifiutò. Due incontri furono decisivi: il primo fu quello con Frederick Delius, con il quale strinse un’amicizia profonda, al punto da cedergli il suo arrangiamento del canto popolare Brigg Fair, che Delius trasformò nella sua celebre rapsodia orchestrale, dedicandola a Grainger; il secondo, con Edvard Grieg, fu folgorante: il compositore norvegese, sentendolo suonare le sue Danze contadine norvegesi, esclamò: «Arriva questo australiano che le suona come dovrebbero essere suonate! È un genio». La loro breve ma intensa collaborazione a Troldhaugen, la casa di Grieg in Norvegia, fu interrotta dalla morte del maestro, ma Grainger divenne il più grande promotore della musica dell’amico scomparso. Parallelamente, si dedicò alla raccolta di canti popolari, diventando uno dei primi a usare il fonografo Edison per registrare oltre 200 cilindri. Da questo materiale nacquero lavori come Mock Morris e Shepherd’s Hey. Il successo di Grainger come compositore culminò nei concerti del 1912, dove una sua opera per «Fathers and Daughters» fu eseguita da una stravagante orchestra di trenta chitarre e mandolini.
La svolta americana: apice, fama e tragedia
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Grainger si trasferì in America, una decisione che gli alienò molte amicizie in Gran Bretagna, dove il critico Robin Legge lo accusò di codardia. Sebbene la ragione ufficiale fosse la salute della madre, in seguito Grainger ammise di aver voluto affermarsi come il primo grande compositore australiano, un obiettivo che la morte in guerra avrebbe reso irraggiungibile. Negli Stati Uniti si arruolò come sassofonista nella banda dell’esercito e, durante questo periodo, il suo arrangiamento per pianoforte di Country Gardens gli procurò un grandissimo successo, anche se poi Grainger finì per detestarlo.
La sua carriera raggiunse l’apice: rifiutò la direzione della Saint Louis Symphony Orchestra e si esibì persino nei cinema davanti a un pubblico vastissimo. Questo trionfo fu però segnato dalla tragedia: il 30 aprile 1922, la madre, afflitta da deliri e tormentata da un’accusa diretta di incesto da parte di un’amica, si suicidò gettandosi dal 18° piano dell’Aeolian Building a New York. La sua lettera d’addio, che s’iniziava con «Sono fuori di testa e non riesco a pensare correttamente», lasciò in Percy una ferita insanabile.
Tra le due guerre: eccentricità, matrimonio e nuove idee
Dopo la morte della madre, Grainger continuò a viaggiare, mostrando un’eccentricità crescente: correva sul palco in tenuta da ginnastica e saltava sopra il pianoforte. Sviluppò il blue-eyed English, un idioma “purificato” da influenze latine (es. blend-band per orchestra), e manifestò in privato rozze convinzioni sulla superiorità razziale nordica. Nel 1928 sposò l’artista svedese Ella Ström con una cerimonia pubblica all’Hollywood Bowl, durante la quale fu eseguita la sua composizione To a Nordic Princess. In questo periodo si dedicò all’insegnamento, tenendo alla New York University un ciclo di lezioni dal titolo Uno studio generale della natura molteplice della musica, durante il quale invitò Duke Ellington e la sua band per dimostrare le affinità armoniche con Delius.
L’innovatore radicale: musica libera e il Museo Grainger
L’ossessione degli ultimi decenni di Grainger fu la “musica libera” (Free Music). Convinto che le regole tradizionali fossero un «assurdo passo dell’oca», sognava una musica senza battute, con glissandi e curve tonali continue. «Mi sembra assurdo vivere nell’era del volo e non essere in grado di eseguire planate e curve tonali», scrisse. Ritenendo che quella musica non potesse essere eseguita da esseri umani, dedicò anni a costruire macchine sperimentali con il fisico Burnett Cross, utilizzando anche il theremin. Parallelamente, iniziò a finanziare il Grainger Museum a Melbourne: un archivio totale e spietatamente onesto della sua vita, concepito per contenere tutto, dalle partiture alle lettere, fino agli oggetti più privati come fruste e fotografie legate alla sua vita sessuale. Il museo, però, non aprì al pubblico durante la sua vita.
Il lungo declino e gli ultimi sforzi
Nel dopoguerra, Grainger sentiva un profondo senso di fallimento, scrivendo di sentirsi «schiacciato dalla sconfitta in ogni ramo della musica che ho tentato». La sua salute peggiorò a causa di un cancro addominale. Nonostante ciò, continuò a esibirsi, apparendo ai Proms di Londra nel 1948, dove suonò la sua musica e poi stette in piedi tra il pubblico per ascoltare Brigg Fair del suo amico Delius. La sua ultima visita in Australia nel 1955 fu amara: rifiutò l’istituzione di un festival a lui intitolato perché si sentiva respinto dalla patria, e depositò in una banca un pacco sulla sua vita sessuale da non aprirsi prima di 10 anni dalla sua morte. Nel suo testamento lasciò disposto che il suo scheletro fosse esposto nel museo, desiderio che non fu esaudito. Diede il suo ultimo concerto al Dartmouth College nell’aprile 1960, definendo la performance pomeridiana un “fiasco”.
L’eredità musicale: un pioniere inclassificabile
La musica di Grainger è unica e immediatamente riconoscibile: rifiutando le forme classiche, si specializzò in miniature orchestrali e corali. Fu un pioniere nell’orchestrazione (la sua opera The Warriors richiedeva un’orchestra enorme con diciannove pianoforti), nei ritmi irregolari e nell’uso di strumenti non convenzionali. Sviluppò una “partitura elastica” per ensemble di qualsiasi dimensione e, in opere come Random Round, introdusse elementi di casualità decenni prima delle avanguardie. Il direttore John Eliot Gardiner lo ha definito «un vero originale», la cui musica possiede una “trama” unica, che Grainger stesso classificava come «liscia», «granulosa» o «spinosa». Sebbene sia ricordato per melodie orecchiabili come Country Gardens, la sua vera eredità risiede nel suo spirito radicale, che lo rende uno degli innovatori più originali e inclassificabili del XX secolo.
The Immovable Do: analisi
Già il titolo rivela il cuore concettuale e strutturale dell’opera: fin dall’inizio, l’intera composizione è costruita attorno a una singola nota, un do, che rimane costantemente presente, fungendo da perno immutabile. L’interprete non tiene premuto il tasto con un dito, ma vi posiziona sopra un piccolo peso, trasformando l’idea astratta in una realtà fisica e visiva: il do è letteralmente reso “immobile” da un oggetto esterno, liberando le mani dell’esecutore per tessere complesse trame armoniche e melodiche attorno a esso. Questa nota funge da pedale ostinato (un suono tenuto a lungo) che attraversa l’intera composizione: non è semplicemente una nota di basso, ma si trova nel registro medio della tastiera, diventando il centro gravitazionale sonoro. Ogni armonia, ogni melodia, ogni dissonanza deve confrontarsi, fondersi o scontrarsi con la sua presenza ineluttabile.
L’opera ha inizio con il solo do immobile: è un momento di pura stasi, che stabilisce l’atmosfera e introduce l’elemento fondante. Vengono poi introdotti lentamente degli accordi diatonici e consonanti e la musica assume il carattere di un antico corale o di un inno. Le armonie si muovono con calma e solennità attorno alla nota perno, che a volte si integra perfettamente (come tonica) e altre volte crea una leggera tensione (come parte di altri accordi). L’atmosfera è meditativa e serena.
Successivamente la trama si anima con l’introduzione di ritmi più veloci e danzanti, quasi a ricordare una melodia popolare, un elemento caro al compositore. Le armonie si fanno più complesse e cromatiche e il do immutabile ora crea dissonanze pungenti e moderne contro gli accordi che si muovono rapidamente. Questo contrasto è il motore principale della tensione musicale.
La musica raggiunge il suo apice emotivo con un crescendo imponente e la tessitura diventa più densa e ricca, quasi orchestrale. Le armonie sono lussureggianti, di stampo tardo-romantico, ma sempre filtrate attraverso la lente della presenza costante del do, che impedisce alla musica di risolversi in modo convenzionale. Dopo il culmine, la musica inizia a frammentarsi e appaiono scale veloci e arpeggi che salgono e scendono, quasi come se l’energia accumulata si stesse dissipando in rivoli sonori. Le armonie si diradano e diventano più enigmatiche.
Il brano si conclude con un ritorno ciclico all’origine: gli elementi melodici e armonici vengono progressivamente eliminati, la dinamica si affievolisce in un lungo diminuendo. L’ultima sezione ritorna alla semplicità del corale iniziale, ma in modo ancora più scarno. Alla fine, rimane solo il suono solitario e persistente dell’immobile do, che si spegne lentamente fino al silenzio, lasciando l’ascoltatore con un senso di eternità e sospensione.
The Immovable Do si rivela un perfetto esempio dello stile unico di Grainger, fondendo elementi apparentemente contraddittori:
– tonalità e atonalità: il brano è saldamente ancorato a un centro tonale (il do), ma le armonie che vi si muovono contro spesso sfidano la tonalità tradizionale, creando effetti politonali (sovrapposizione di tonalità diverse) e cluster dissonanti;
– arcaismo e modernismo: l’uso di un pedale ostinato e di armonie modali simili a un corale evoca la musica antica dell’epoca rinascimentale e medievale. Allo stesso tempo, le asprezze cromatiche e le complesse tessiture ritmiche proiettano il brano nel pieno modernismo del XX secolo:
– meditazione filosofica: al di là dell’esperimento tecnico, il brano assume una valenza quasi filosofica: il do immutabile può essere interpretato come un simbolo della costanza, dell’eternità o di una verità fondamentale, mentre le complesse e mutevoli armonie rappresentano il caos, la bellezza e la transitorietà della vita che si svolge attorno a quel centro immutabile.
Nel complesso, The Immovable Do si qualifica non come un mero e semplice esercizio, ma come una composizione di profonda originalità e forza espressiva. È una meditazione sonora sulla stasi e sul movimento, sulla consonanza e la dissonanza, trovando nell’armonio il suo veicolo ideale per esprimere una gamma dinamica e timbrica straordinariamente ricca e sfumata.

Belli entrambi, una melodia molto piacevole. Buondì Claudio 😊
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Buon giorno, Daniela 🙂
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The 1st was fun, 2nd nicely rounded. The photo of Grainger reminds me of one of those who played the Dr. Who series! Can’t remember his name; it’ll come to me, sometime!
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Tom Baker, 4th Doctor Who, 1974-1981.
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