Fandango de España

Fandango de España attribuito a José de Nebra (1702 - 11 luglio 1768). Carlos García-Bernalt, organo.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

L’eredità di José de Nebra: un pilastro del Barocco spagnolo

José Melchor Baltasar Gaspar Nebra Blasco (1702-1768) è stato una figura centrale della musica spagnola del periodo Barocco. Compositore e organista di eccezionale talento, la sua carriera e la sua produzione artistica hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia musicale del suo paese, non solo per il valore delle sue opere ma anche per il suo ruolo cruciale nella conservazione del patrimonio musicale della corona spagnola.

Un talento nato in famiglia
La vocazione musicale di Nebra affonda le radici in un contesto familiare profondamente legato all’arte dei suoni. Suo padre, José Antonio Nebra Mezquita, fu un musicista affermato, organista della Cattedrale di Cuenca e maestro del coro: da lui José ricevette i primi e fondamentali insegnamenti. La musica era una vera e propria tradizione di famiglia: anche i suoi fratelli, Francisco Javier e Joaquín Ignacio, intrapresero la carriera di organisti, consolidando la reputazione familiare nel panorama musicale spagnolo. L’influenza del giovane si estese ulteriormente, poiché divenne anche maestro di composizione per suo nipote, il futuro compositore e organista Manuel Blasco de Nebra, perpetuando così il lascito artistico familiare.

L’ascesa alla corte di Madrid
La carriera di Nebra decollò rapidamente dopo il suo trasferimento a Madrid. Intorno al 1719 ottenne il prestigioso posto di organista presso il Monastero delle Descalzas reales. Parallelamente, a partire dal 1723, iniziò una fruttuosa attività come compositore di musica scenica, vendendo le sue opere ai teatri della capitale e guadagnandosi una notevole fama. Il suo talento lo portò, l’anno successivo, alla nomina di secondo organista della Cappella reale. Sebbene un cambio di sovrani lo relegò temporaneamente a una posizione di sovranumerario, la sua ascesa fu inarrestabile: nel 1751 divenne vicemaestro della Cappella reale e, nel 1761, fu nominato maestro di clavicembalo per l’infante Gabriele di Borbone, un incarico di grande prestigio che testimoniava la stima di cui godeva a corte.

Il custode della memoria musicale del regno
Un evento catastrofico segnò una svolta fondamentale nella sua carriera e ne definì il ruolo storico: l’incendio del Real Alcázar di Madrid nel 1734. Le fiamme distrussero completamente l’inestimabile archivio musicale della Cappella reale, un patrimonio accumulato in secoli. Insieme ad altri maestri come José de Torres e Antonio de Literes, Nebra si assunse il compito monumentale di ricostruire questa biblioteca. In qualità di responsabile dell’archivio, non solo contribuì con le proprie composizioni per ripopolarlo, ma si adoperò attivamente per acquisire opere dei più grandi musicisti dell’epoca, tra cui gli italiani Francesco Corselli (all’epoca maestro della Cappella reale), Alessandro Scarlatti, Leonardo Leo e Domenico Sarro. Grazie al suo instancabile lavoro, garantì la rinascita e l’arricchimento della biblioteca musicale di corte, salvando di fatto la memoria musicale del regno.

Un’eredità vasta e preziosa
La produzione di José de Nebra è tanto vasta quanto diversificata: a oggi si conservano oltre 170 opere liturgiche, tra cui messe, salmi, litanie e un commovente Stabat mater. Compose inoltre decine di cantate, villancicos e circa 30 brani per strumenti a tastiera (organo e clavicembalo); la ricerca musicologica continua a portare alla luce nuove partiture. Tra i suoi lavori migliori spiccano il solenne Requiem composto per la morte della regina Barbara di Braganza e la sua importante produzione teatrale, che conta circa 20 zarzuelas, tra cui le celebri Iphigenia en Tracia e Viento es la dicha de amor.

Il Fandango de España
Questo brano attribuito a Nebra è un magnifico esempio di musica per tastiera del XVIII secolo e si rivela non una semplice danza, ma un’opera complessa e profondamente espressiva, costruita sulla forma della variazione su un basso ostinato.

La composizione s’inizia con un’esposizione del tema dal carattere nobile, quasi malinconico e solenne. La melodia della mano destra è elegante, ricca di abbellimenti raffinati che ne sottolineano l’espressività. Le prime variazioni introducono un graduale aumento della densità ritmica, con la melodia che si frammenta in note più veloci, creando un’impressione di crescente agitazione, pur mantenendo un controllo formale perfetto. Il basso ostinato rimane una presenza costante e rassicurante, un’ancora sulla quale si sviluppa il virtuosismo. Successivamente, quest’ultimo cede il passo a un’intensità più lirica e introspettiva: l’esecuzione si fa più delicata, la dinamica sembra ammorbidirsi e la melodia si distende in frasi più lunghe e cantabili. Le cascate di note non sono più puro sfoggio tecnico, ma diventano sospiri carichi di pathos. È un momento di riflessione, una pausa contemplativa che esplora il lato più intimo e vulnerabile del tema, prima della tempesta successiva.
La fase culminante del Fandango vede l’energia esplodere in un virtuosismo brillante e infuocato: la mano destra si lancia in scale velocissime, arpeggi spezzati e note ribattute che spingono la tensione al suo apice. L’elemento più affascinante e tipicamente spagnolo emerge qui: in diversi punti, vengono utilizzati accordi pieni e percussivi che evocano il rasgueado, la caratteristica pennata della chitarra flamenca. Questa tecnica prevede l’utilizzo di mignolo, anulare, medio e indice per eseguire una serie di “strappate” (tipicamente tre o quattro) sulle corde in rapida successione, mentre il palmo viene abbassato per ottenere un effetto di smorzatura e il pollice esegue note basse o un ulteriore strappo. Dopo il climax, il brano inizia a placarsi: l’energia si dissipa gradualmente, la tessitura si dirada e il Fandango ritorna al suo carattere iniziale, più misurato e solenne. È come se, dopo la sfuriata passionale, si tornasse a una compostezza consapevole. L’opera si conclude con un ritardando e una cadenza finale potente.
La struttura basata sulle variazioni non risulta mai monotona, ma diventa un motore per un viaggio emotivo ricco e sfaccettato. L’attribuzione a José de Nebra è stilisticamente plausibile, poiché il brano mostra una padronanza della forma e un’espressività che si allineano con la sua produzione nota. Tuttavia, è anche stilisticamente affine a opere di altri grandi compositori attivi in Spagna, come Domenico Scarlatti o padre Antonio Soler che, spesso, fusero il rigore contrappuntistico con i colori e i ritmi della musica popolare spagnola. Indipendentemente dalla certezza dell’autore, questo Fandango rimane una testimonianza eccezionale della ricchezza e della vitalità della musica per tastiera spagnola del XVIII secolo, un perfetto equilibrio tra forma, emozione e colore locale.

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