Dmitrij Šostakovič (1906 - 9 agosto 1975): Trio per violino, violoncello e pianoforte n. 1 in do minore op. 8 (1923). Zsolt-Tihamér Visontay, violino; Mats Lidström, violoncello; Vladimir Aškenazij, pianoforte.
L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni
Trio con pianoforte n. 1 in do minore op. 8
Scritta nel 1923 – quando l’autore, sedicenne, era un allievo del Conservatorio di Leningrado – e originariamente intitolata Poème, la composizione si rivela matura e premonitrice; dedicata al primo amore di Šostakovič, Tat’jana Glivenko, fu eseguita privatamente nel 1924, ma rimase inedita per quasi sessant’anni, venendo pubblicata solo negli anni ’80.
Il brano si apre in un’atmosfera di profonda malinconia e introspezione: è il violoncello a inaugurare il discorso musicale, da solo, con un tema ampio, lirico e lamentoso in do minore. Questa melodia, caratterizzata da ampi intervalli e da un andamento rapsodico, diventerà la cellula generatrice dell’intera opera. La dinamica è estremamente sommessa (pianissimo), creando un senso di intimità e vulnerabilità. Poco dopo, il violino entra imitando il tema del violoncello a un’ottava superiore, creando un canone che intensifica il carattere dialogico e dolente della musica. L’intreccio contrappuntistico tra i due archi è delicato e trasparente.
Il pianoforte fa infine il suo ingresso, non come protagonista, ma con accordi arpeggiati e rarefatti nel registro acuto, quasi a creare uno sfondo sonoro spettrale e vasto. Il suo ruolo è inizialmente atmosferico: da questo momento, i tre strumenti iniziano a sviluppare il materiale tematico, con un crescendo che porta a un climax, dove il pianoforte assume un ruolo più assertivo. La sezione si conclude con un ritorno alla calma iniziale, conducendo senza soluzione di continuità alla sezione successiva.
Qui il cambiamento è repentino e radicale: il pianoforte introduce un tema secco, ritmico e grottesco, caratterizzato da un andamento motorio e da accenti sardonici. Questo tema – secondo una lettera dello stesso Šostakovič alla Glivenko – fu recuperato da una sua precedente Sonata per pianoforte in si minore, andata parzialmente perduta. È un primo, chiaro esempio di quello stile “scherzoso” e tagliente che diventerà un marchio di fabbrica del compositore. Gli archi entrano in pizzicato, sottolineando il carattere percussivo e quasi demoniaco della sezione. Il dialogo tra gli strumenti diventa serrato e conflittuale, con brevi frammenti melodici scambiati rapidamente. La musica acquista una tensione crescente, raggiungendo un culmine di energia frenetica: qui, la scrittura diventa densa e virtuosistica per tutti e tre gli strumenti, con il violino che si lancia in passaggi acuti e stridenti. La sezione si dissolve con la stessa rapidità con cui era iniziata.
Nella terza sezione, la musica precipita in un abisso di disperazione, assumendo il carattere di una marcia funebre: il pianoforte scandisce accordi gravi, pesanti e solenni e, su questo tappeto sonoro, il violino e il violoncello intonano all’unisono un nuovo tema, un canto tragico e declamatorio. L’uso dell’unisono conferisce alla melodia una forza straordinaria, come se fosse la voce di un coro dolente. Questa sezione rappresenta il cuore emotivo del trio, culminando in un’espressione di dolore devastante prima di placarsi gradualmente.
Riemerge il tema lirico dell’inizio, ma completamente trasformato: non è più una melodia sommessa, ma un’affermazione potente e angosciata, suonata dal pianoforte in ottave fortissimo: questa non è una semplice ricapitolazione, ma una rivisitazione del passato alla luce delle esperienze tragiche e grottesche delle sezioni centrali. La nostalgia iniziale si è trasformata in un grido di dolore.
La conclusione del brano è tanto inaspettata quanto geniale: la musica scatta in un Allegro finale, una danza sfrenata e delirante che riprende l’energia motoria dello scherzo, portandola a un livello estremo. Questo vortice sonoro culmina in una serie di accordi potenti, dopo i quali la musica subisce un crollo improvviso.
Il tempo rallenta drasticamente e ritornano frammenti del tema iniziale, ora come un ricordo lontano e spettrale: è interessante notare che le ultime 22 battute della parte pianistica andarono perdute e furono ricostruite decenni dopo dall’allievo di Šostakovič, Boris Tiščenko, per consentirne la pubblicazione. Il pezzo si conclude in un pianissimo etereo, con il violino che tiene un armonico acuto e cristallino, mentre il pianoforte e il violoncello si spengono su un accordo finale in do minore, sigillato da un ultimo, secco pizzicato. Il finale non offre risoluzione, ma una sorta di rassegnazione esausta, chiudendo il cerchio emotivo del brano.

Buongiorno, caro Claudio, un saluto e buon proseguimento di giornata!
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Ciao, caro Pierfrancesco. Buona giornata e a presto!
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Sostakovic è tra i miei preferiti… Ah quel violino…!
Buon pomeriggio Claudio… Siamo ad alte temperature 😅
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Molto alte, sì. E per domani ne prevedono di ancora più alte.
Buon pomeriggio a te 🙂
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Amazing for a teenager! 👏👏👏
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