Luciano Berio (24 ottobre 1925 - 2003): Circles per voce femminile, arpa e due percussionisti (1960) su testi di e. e. cummings (n. 25, 76 e 221 dei Collected Poems). Anne-May Krüger, mezzosoprano; Estelle Costanzo, arpa; Dino Georgeton e Víctor Barceló, percussioni.
N. 25
stinging
gold swarms
upon the spires
silver
chants the litanies the
great bells are ringing with rose
the lewd fat bells
and a tall
wind
is dragging
the
sea
with
dream
-S
N. 76
riverly is a flower
gone softly by tomb
rosily gods whiten
befall saith rain
anguish
and dream-send is
hushed
in
moan-loll where
night gathers
morte carved smiles
cloud-gloss is at moon-cease
soon
verbal mist-flowers close
ghosts on prowl gorge
sly slim gods stare
N. 221
n(o)w
the
how
dis(appeared cleverly)world
iS Slapped:with;liGhtninG
!
at
which(shal)lpounceupcrackw(ill)jumps
of
THuNdeRB
loSSo!M iN
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&
(we(are like)dead
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U
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)all are aLI(cry alL See)o(ver All)Th(e grEEn
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« Circles, scritto nel 1960 su domanda di Paul Fromm, fu eseguito per la prima volta nell’agosto di quello stesso anno al Berkshire Music Festival da Cathy Berberian e membri della Boston Symphony Orchestra. Circles elabora musicalmente tre poesie di e. e. cummings che, nell’ordine, presentano gradi diversi di complessità: il n. 25 stinging gold swarms… il n. 76 riverly is a flower… e il n. 221 n(o)w the how dis(appeared cleverly)world…, dai Collected Poems. In Circles i tre poemi appaiono nel seguente ordine: 25-76-221, (221)-76-25. La poesia n. 221 ritorna, a ritroso, su se stessa, mentre le poesie n. 25 e n. 76 appaiono due volte in diversi momenti dello sviluppo musicale.
« Non era certamente nelle mie intenzioni comporre una serie di pezzi vocali con accompagnamento di arpa e percussioni. Mi interessava invece elaborare circolarmente le tre poesie in un’unica forma ove i diversi livelli di significato, l’azione vocale e l’azione strumentale fossero strettamente condizionati e strutturati anche sul piano concreto delle qualità fonetiche. Gli aspetti teatrali dell’esecuzione sono inerenti alla struttura della composizione stessa che è, innanzi tutto, una struttura di azioni: da ascoltare come teatro e da vedere come musica » (Luciano Berio, 1961).
L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni
Luciano Berio: l’architetto sonoro dell’Avanguardia italiana
Radici musicali e interruzione bellica
Nato a Oneglia (Imperia), Berio crebbe in un ambiente profondamente musicale, figlio e nipote di compositori e strumentisti. Ricevette la prima educazione pianistica sotto la guida del padre, Ernesto, sviluppando una solida conoscenza dei classici e tentando le prime composizioni. La sua gioventù fu drammaticamente segnata dall’8 settembre 1943: arruolato nella Repubblica di Salò, egli subì una grave ferita alla mano destra durante un’esercitazione, un evento che lo costrinse a rinunciare al sogno di una carriera da pianista concertista, spingendolo definitivamente verso la composizione. Dopo la fuga dall’ospedale e un periodo di clandestinità, si iscrisse al Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano nel 1945.
La formazione milanese e il ruolo dei mentori
A Milano, Berio si immerse in un ambiente culturale e musicale in pieno fermento post-bellico, scoprendo le avanguardie (Schönberg, Webern, Bartók) e le culture di confine (jazz, popolare). I suoi studi al Conservatorio furono decisivi, in particolare grazie all’eredità contrappuntistica di Giulio Cesare Paribeni e, soprattutto, alla guida di Giorgio Federico Ghedini, che gli trasmise una profonda coscienza storica e una maestria tecnica basata su Stravinskij, Bach e Monteverdi. Nonostante la prima produzione studentesca fosse di impronta artigianale (Concertino, Magnificat), il compositore sviluppò in questi anni cruciali la propria sensibilità per la voce umana e la relazione tra testo e musica, un interesse rafforzato dal matrimonio (1950) con la giovane e brillante studentessa armena Cathy Berberian. L’incontro con la sua futura musa, dotata di un “pluralismo vocale” unico, coincise con l’inizio della sua prima fervida stagione creativa.
La rivoluzione elettronica e l’invenzione dello studio di fonologia
La svolta radicale avvenne nel 1952 durante un soggiorno negli Stati Uniti, dove Berio scoprì la tape-music. Rientrato in Italia, strinse un sodalizio fondamentale con il compositore Bruno Maderna, insieme al quale, nel 1956, fondò lo Studio di fonologia musicale della Rai di Milano. Questo centro divenne un crogiolo di sperimentazione, lontano dalle rigide divisioni europee tra musica concreta ed elettronica. Il periodo milanese fu fecondato anche dall’incontro con Umberto Eco, che contribuì a definire la poetica dell’“opera aperta”, concetto che influenzò profondamente il compositore. Esempi di questa ricerca sulla relazione tra suono, voce ed elettronica sono Thema (Omaggio a Joyce) e il celebre Visage (1961), che utilizza l’elaborazione elettronica di una gamma estrema di gesti vocali non verbali di Berberian.
Il decennio americano e la virtuosità totale
All’inizio degli anni ’60, il compositore iniziò una lunga serie di incarichi didattici negli Stati Uniti (Tanglewood, Mills College, Juilliard School), dove insegnò per sei anni e fondò il Juilliard Ensemble. Nonostante la separazione dalla Berberian, il sodalizio artistico proseguì con opere fondamentali come i Folk songs e, soprattutto, la Sequenza III per voce sola. In questo periodo, Berio sviluppò il ciclo delle Sequenze, composizioni solistiche pensate per esplorare i limiti tecnici, gestuali ed espressivi di strumenti specifici (come la Sequenza I per flauto e la V per trombone, omaggio al clown Grock). Parallelamente, applicò il concetto di re-working e stratificazione, trasformando le Sequenze in opere per ensemble, i Chemins.
Il culmine di questa fase è Sinfonia (1968), un’opera monumentale per otto voci amplificate e orchestra. Celebre per il terzo movimento – un complesso collage sonoro e culturale costruito interamente sullo Scherzo della Seconda Sinfonia di Mahler – l’opera combina riferimenti testuali da Beckett e Lévi-Strauss, rappresentando la coscienza storica e l’eclettismo linguistico di Berio.
Il ritorno in Italia e il laboratorio europeo
Nel 1974 Berio rientrò in Italia, stabilendosi in Toscana, ma i suoi impegni internazionali si intensificarono. Fu chiamato da Pierre Boulez a fondare e dirigere il dipartimento elettroacustico dell’IRCAM a Parigi (1974-80), dove promosse la ricerca su sistemi di trasformazione del suono in tempo reale (come il 4X). Nel frattempo, la sua produzione si orientò verso visioni enciclopediche e antropologiche: Coro (1974-76) è un mosaico di testi e musiche provenienti da culture diverse, con una struttura orchestrale e corale rigorosamente disposta nello spazio. Il rinnovato interesse per il teatro musicale lo portò a collaborare nuovamente con Italo Calvino. Le opere di questo periodo, tra cui La vera storia (1982) e Un re in ascolto (1984), si concentrano sul rifiuto della trama lineare in favore di una narrazione frammentata, riflettendo sulla metafora dell’ascolto e sull’auto-riflessività del teatro stesso.
Istituzioni, memoria e l’eredità finale
Nel 1987 Berio fondò a Firenze Tempo Reale, un centro di ricerca musicale che gli permise di sviluppare ulteriormente la spazializzazione del suono attraverso il sistema multicanale TRAILS (esemplificato in Ofaním). Negli ultimi anni, l’attività creativa si affiancò a crescenti responsabilità pubbliche: tenne le prestigiose Charles Eliot Norton Lectures a Harvard (1993-94) e fu eletto presidente dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia (2000), seguendo attivamente la nascita dell’Auditorium Parco della musica di Roma.
La sua opera matura si caratterizzò per un continuo “dialogo con il passato”, evidente nel “restauro” di frammenti di Schubert in Rendering (1990) e nella controversa nuova conclusione per il terzo atto della Turandot di Puccini (2002). Il compositore concluse il suo lavoro con l’ultima della serie, Sequenza XIV per violoncello, e con Stanze (2002-03), opera per baritono, coro e orchestra terminata poche settimane prima della morte. L’opera, con i suoi richiami alla Shoah e la riflessione profonda sull’idea di Dio, si configura come il suo pacato e commovente congedo.
Circles
Composizione fondamentale nel catalogo di Luciano Berio, Circles rielabora le scoperte sulle potenzialità della voce e del suono fatte dal compositore nel suo precedente lavoro elettronico, Thema (Omaggio a Joyce). Scritta per la sua musa e allora moglie, il mezzosoprano Cathy Berberian, l’opera esplora il legame inscindibile tra significato testuale, gesto vocale, e timbro strumentale, realizzando il concetto di «struttura di azioni: da ascoltare come teatro e da vedere come musica».
La composizione è costruita su un’architettura rigorosamente simmetrica in forma ad arco, A-B-C-B′-A′, che riflette il titolo stesso dell’opera. Berio utilizza tre poesie di e. e. cummings tratte dai Collected Poems (pubblicate con i numeri 25, 76 e 221 rispettivamente).
Grande importanza è data alla disposizione spaziale dei musicisti, un elemento prescritto dalla partitura che sottolinea il carattere teatrale dell’opera. Il mezzosoprano è posizionato al centro, affiancata dall’arpista e dai due percussionisti. La strumentazione è ricca e variegata, con una notevole enfasi su arpa e un esteso set di percussioni, tra cui gong, tam-tam, timpani, marimba, conga, wind chimes e oggetti in legno, tutti disposti in modo circolare attorno alla cantante. Il movimento della cantante sul palco è parte integrante della performance: i momenti di quiete sonora corrispondono a momenti di immobilità fisica, mentre le sezioni più concitate sono accompagnate da gesti ampi, quasi direttoriali, che spesso coinvolgono l’esecuzione di piccoli strumenti a percussione.
La prima sezione si apre con la voce del mezzosoprano in primo piano, che modula la poesia n. 25 con un canto melismatico e quasi operistico. L’arpa interviene con arpeggi eterei e il tono è lirico, sebbene pervaso da un senso di sospensione e attesa. Il ruolo della voce è di esplorare il timbro e le qualità fonetiche del testo di e. e. cummings. Le vocali lunghe sono sostenute, mentre le consonanti e le sibilanti vengono articolate in modo esagerato, talvolta raschiato.
L’entrata della percussione, con vibrazioni metalliche e colpi secchi, interrompe la linea lirica, introducendo una tensione crescente che riflette il significato implicito del testo. La cantante inizia a eseguire lei stessa piccole percussioni, unendo l’azione vocale a quella strumentale e diventando, di fatto, parte dell’ensemble. Il finale della prima sezione A si chiude in un gesto di enfatica sospensione, con il mezzosoprano che si muove al centro e le bacchette alzate in un gesto di direzione drammatica, culminando in un fragore di percussioni che dissolve l’atmosfera lirica.
La sezione B, basata sulla poesia n. 76, introduce un’atmosfera più frammentata e puntillistica: Berio utilizza una vocalità più espressionistica e rapida, in cui le parole vengono spezzate o allungate, e i suoni prendono il sopravvento sul significato letterale. Il mezzosoprano continua a utilizzare i microfoni posizionati sul palco per amplificare i suoi suoni non convenzionali: risate, suoni gutturali e sussurri si mescolano a un canto più tradizionale. La musica diventa densa, con texture timbriche complesse create da una varietà di percussioni esotiche e l’arpa a pedali illuminata. L’equilibrio tra i tre elementi (voce, arpa, percussione) è dinamico e instabile, riflettendo la natura “frammentata” del testo poetico. La sezione si chiude con l’esaurirsi graduale dei suoni.
La sezione centrale dell’arco formale e corrisponde alla poesia n. 221, la più destrutturata e visivamente circolare di e. e. cummings. In questa parte, l’azione scenica è enfatizzata. La performance vocale si concentra sul disfacimento della parola, con la cantante che manipola fisicamente i microfoni per creare effetti di spazializzazione del suono. Il testo, ricco di parentesi e sillabe spezzate, è reso attraverso un’esecuzione che è per metà parlato e per metà cantato, esplorando l’onomatopea e la pura qualità fonetica della lingua. La musica tocca i suoi apici di intensità sonora e teatrale, con esplosioni ritmiche della percussione e l’arpa che contribuisce a un denso sottofondo armonico. La cantante utilizza gesti teatrali ampi e si muove con le mani aperte, quasi a plasmare il suono. Berio infine introduce la ripetizione a ritroso di una parte del testo, un chiaro segnale dell’inizio della simmetria retrograda.
Le sezioni successive B′ e A′ ripropongono i testi delle sezioni precedenti, ma con nuove e diverse elaborazioni musicali.
L’attenzione torna sul testo B, ma in una veste più ritmica e giocosa. L’arpa e la percussione si fanno più virtuosistiche, con un’azione di battiti veloci e precisi che confermano la funzione ritmica e quasi meccanica degli strumenti. La cantante riprende i suoi gesti direttoriali e manipolativi, enfatizzando l’interazione tra i musicisti sul palco. Il mezzosoprano usa gli chimes con un gesto sonoro che chiude la sezione, lasciando il palco.
La parte finale riprende il primo testo in una forma ancora più ridotta e rarefatta. La musica si dissolve in suoni sottili e sospesi, con l’arpa che esegue figure di estrema delicatezza, mentre la cantante canta o sussurra il testo finale con un ritorno alla qualità lirica e meditativa, ma ora con un senso di fragilità estrema.
L’opera si conclude con una lunga dissolvenza sonora, in cui gli strumenti si quietano lentamente, realizzando l’idea del ciclo che si chiude. La performance si trasforma in un evento visivo di “musica vista” e di “teatro dell’ascolto”, dove la cantante, prima al centro dell’azione, alla fine si riunisce in un gesto di congedo con l’ensemble, sancendo il successo della sua esplorazione acustica della vocalità d’avanguardia.

Senza dubbio originale, ricorda vagamente lo schema di certi pezzi di teatro antico giapponese. Un buongiorno mattiniero 🙂
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Buon giorno a te 🙂
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