Louis Vierne (1870 - 2 giugno 1937): Carillon de Westminster in re maggiore per organo (n. VI della Suite op. 54, 1927). Olivier Latry all’organo della Cattedrale di Notre-Dame in Parigi.
L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni
Louis Vierne: il gigante cieco dell’organo, tra tenebre e luce
Vierne viene ricordato come figura centrale della scuola organistica francese del XX secolo: compositore, organista titolare del grande organo della Cattedrale di Notre-Dame di Parigi per 37 anni, professore e interprete di fama internazionale, egli ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della musica. Fece conoscere la sua opera e quella dei suoi maestri attraverso numerosi concerti in Europa e una celebre tournée negli Stati Uniti. Come insegnante, invece, formò un’intera generazione di musicisti, contribuendo a diffondere il suo stile e le sue qualità musicali. Il suo nome è indissolubilmente legato all’organo Cavaillé-Coll di Notre-Dame, fonte d’ispirazione per molte sue composizioni e strumento che fu tra i primi a far conoscere al pubblico tramite registrazioni discografiche nel 1928.
Gioventù e prime scoperte (1870-81)
Nato a Poitiers nella famiglia del giornalista bonapartista Henri Vierne e di sua moglie Marie-Joséphine Gervaz, Vierne fu colpito alla nascita da una cataratta congenita che lo rese quasi cieco. I genitori, che già avevano perso una bambina, gli dedicarono un’attenzione particolare, incoraggiando una sensibilità estrema: fin da piccolo mostrò un udito eccezionale. Un episodio significativo fu l’ascolto di una vicina che suonava il pianoforte: dopo un’iniziale paura, il giovane Louis ne fu attratto, imparando a orecchio la Berceuse di Schubert. Nel 1873, la famiglia si trasferì a Parigi, dove il padre divenne redattore capo del “Paris-Journal”, frequentando figure come Barbey d’Aurevilly.
Su un pianoforte a lamelle di vetro, Louis ricreava le melodie che ascoltava. Su consiglio dello zio paterno, Charles Colin, musicista, venne testata la sua predisposizione musicale, che si rivelò evidente. Lo zio consigliò di non affrettare il suo apprendistato. Nel 1876 la famiglia si trasferì a Lille, dove Louis iniziò gli studi elementari con l’ausilio di materiali appositamente creati per la sua vista limitata. Nel 1877 un’operazione chirurgica (iridectomia) migliorò leggermente la sua vista, ma si decise comunque di fargli imparare il braille. Iniziò lezioni di pianoforte con Mlle Gosset e poi con Richard Horman. Già a 7-8 anni si esibiva in audizioni pubbliche. Lo zio Colin, ascoltandolo a Lille nel 1879, predisse una carriera musicale. Fu proprio in questo periodo che Vierne scoprì l’organo. Nel 1880, la famiglia tornò a Parigi a seguito delle dimissioni del padre. L’incontro con la musica di César Franck, ascoltato a Sainte-Clotilde su suggerimento dello zio, fu uno shock musicale profondo e duraturo. La morte dello zio Colin nel 1881 e la necessità di un’istruzione specializzata portarono i genitori a iscriverlo all’Institut national des jeunes aveugles.
Anni di formazione (1881-94)
Presso l’istituto, Vierne ricevette un’educazione rigorosa che fu determinante per il suo futuro musicale. Studiò pianoforte, violino (con Pierre Adam), solfeggio, armonia e composizione. La morte del padre nel 1886 per cancro allo stomaco segnò profondamente il giovane Louis, il quale divenne il capofamiglia e rafforzò la sua determinazione a diventare musicista. Nello stesso anno, durante un concorso scolastico presieduto da César Franck, ottenne il 1° premio di violino e il 2° di pianoforte. Franck, colpito dal suo talento, lo invitò a studiare organo per entrare poi nella sua classe al Conservatorio. Vierne iniziò quindi lo studio dell’organo con Louis Lebel e Adolphe Marty, acquisendo rapidamente la tecnica del pedale. Franck gli diede lezioni private di contrappunto. Lasciò l’istituto nel 1890 ed entrò nella classe d’organo di Franck al Conservatorio nell’ottobre 1890. La morte improvvisa di Franck un mese dopo fu un duro colpo. Charles-Marie Widor succedette a Franck, portando un approccio diverso, più tecnico e rigoroso. Widor riconobbe il talento di Vierne, offrendogli lezioni private gratuite di organo e composizione e nominandolo suo supplente all’organo di Saint-Sulpice nel 1892. Nonostante due bocciature al concorso per il 1° premio d’organo (attribuite a rivalità contro Widor), il compositore perseverò e lo ottenne all’unanimità nel 1894.
Inizio carriera (1894-1906)
Nominato da Widor supplente ufficiale alla classe d’organo del Conservatorio, Vierne iniziò a comporre (Quartetto per archi Op. 12) e a dare concerti. Nel 1896, Alexandre Guilmant succedette a Widor alla classe d’organo, e Vierne mantenne il suo ruolo di assistente. Conobbe Arlette Taskin, figlia del baritono Émile-Alexandre Taskin, e la sposò nel 1899. L’anno seguente, invece, il compositore vinse il concorso per il posto di organista titolare del grande organo di Notre-Dame, posizione che consolidò la sua fama. La sua Messe solennelle (op. 16) fu eseguita a Saint-Sulpice nel 1901. Compose la sua Seconda Sinfonia per organo (op. 20) – apprezzata da Debussy – e iniziò la leggenda lirica Praxinoë (op. 22). A partire dal 1904, iniziarono difficoltà coniugali, ma la sua attività artistica non ne risentì.
Anni difficili: prove personali e isolamento bellico (1906-19)
Questo periodo fu segnato da gravi problemi: nel 1906 si fratturò gravemente una gamba, mentre l’anno successivo, dopo la nascita della figlia Colette, contrasse la febbre tifoide. Nonostante ciò, completò la Sonata per violino e pianoforte. Il matrimonio fallì, portando al divorzio nel 1909. Due anni più tardi, invece, subì la perdita della madre e di Guilmant. La speranza di succedere a Guilmant al Conservatorio fu delusa (fu nominato Eugène Gigout) e, amareggiato, si dimise da assistente e accettò la cattedra d’organo alla Schola Cantorum offertogli da Vincent d’Indy. Compose la Terza Sinfonia per organo (op. 28). Nel 1913, il figlio André morì di tubercolosi. L’inizio della guerra portò ansia per i fratelli al fronte e per i figli. Iniziò a soffrire di glaucoma e la compagna Jeanne Montjovet lo lasciò. Si rifugiò in Svizzera per cure e concerti, componendo Spleens et Détresses (op. 38). Nel 1917 apprese tardivamente la morte del figlio Jacques al fronte, un dolore immenso che ispirò il Quintetto per pianoforte e archi (op. 42). Successivamente, apprese della morte del fratello René, a cui dedicò il poema per piano Solitude (op. 44). Un’operazione alla cataratta nel 1918 ebbe complicazioni, costringendolo a sei mesi di oscurità. Tornò a Parigi solo nell’aprile 1920.
Apogeo e fine carriera: riconoscimenti e ultimi capolavori (1920-37)
Tornato a Parigi in condizioni difficili, fu aiutato da Madame Richepin e sua figlia Madeleine a rilanciare la sua carriera. Madeleine divenne sua assistente devota, organizzando concerti, la pubblicazione delle sue opere e trovandogli allievi. La sua carriera riprese slancio con concerti in Europa. Un grave dissidio con Marcel Dupré, suo ex protetto, amareggiò questi anni. Nonostante ciò, continuò a comporre (Poème pour piano et orchestre op. 50, Pièces de fantaisie). Il culmine della sua carriera concertistica fu la trionfale tournée in Nord America nel 1927, dove fu acclamato come "the great blind French organist". Questa tournée fu interrotta da un secondo allarme cardiaco. La sua salute divenne più fragile, costringendolo a ridurre l’attività concertistica. Compose la Sesta Sinfonia per organo (op. 59) e i Quatre Poèmes grecs (op. 60). Nel 1931 ricevette la Legion d’Onore e, nonostante il declino fisico e un crescente pessimismo, continuò a insegnare e comporre, e iniziò a scrivere le sue memorie. La morte del suo maestro Widor nel marzo 1937 lo colpì.
Una morte "tragica e meravigliosa" (2 giugno 1937)
Durante il suo 1750° concerto, organizzato dagli Amis de l’Orgue a Notre-Dame, mentre eseguiva il suo Triptyque (op. 58) e si apprestava a iniziare un’improvvisazione, Louis Vierne fu colpito da un attacco cardiaco e si accasciò sulla pedaliera dell’organo, morendo sulla tribuna. La sua scomparsa, definita "tragica e meravigliosa", suscitò profonda commozione. Il funerale si tenne a Notre-Dame, con l’organo, coperto di nero, muto. Morì nello stesso anno di Widor, Roussel, Ravel e Libert, segnando un periodo di lutto per la musica.
Compositore: oltre l’organo, un linguaggio personale
Con circa 66 opere, Vierne fu un compositore prolifico e versatile, spaziando dall’organo alla musica da camera, vocale, pianistica e orchestrale. Le sue prime opere risalgono agli anni di studio, ma fu solo la Prima Sinfonia per organo (op. 14) del 1899 che lo impose all’attenzione. Le difficoltà personali si riflettono in opere come la Sinfonia in la minore per orchestra (op. 24) e il Quintetto per pianoforte e archi (op. 42). Il suo stile evolse, mostrando negli ultimi lavori (come il Triptyque op. 58 e la Messe basse pour les défunts op. 62) un linguaggio più modale e purificato. Il suo linguaggio musicale è caratterizzato da una sintesi delle influenze dei suoi maestri (lirismo franckiano, grandiosità widoriana), un cromatismo wagneriano che porta a instabilità tonale, la raffinatezza armonica faureana e una sensibilità alle innovazioni di Debussy e Ravel. Temi ricorrenti sono la morte, le campane, la sera e la notte. La sua musica si distingue per una colorazione armonica riconoscibile, una solida costruzione formale, ritmi spesso sincopati e un uso sapiente degli ostinati. Fu, in definitiva, un grande colorista, capace di creare atmosfere uniche e profondamente emotive.
Il Carillon de Westminster: analisi
Il Carillon de Westminster è il sesto e ultimo brano della Troisième Suite delle Pièces de Fantaisie op. 54, composta nel 1927 e dedicata al celebre organaro inglese Henry Willis III. Quest’opera è forse la più conosciuta di Vierne al di fuori del repertorio specificamente organistico, grazie al suo tema immediatamente riconoscibile e alla sua scrittura brillante e virtuosistica. L’interpretazione in questione è particolarmente significativa, poiché eseguita sullo strumento che Vierne stesso conobbe e per il quale compose gran parte della sua musica organistica più imponente. L’organo Cavaillé-Coll di Notre-Dame, con la sua ricchezza timbrica e la sua potenza, è il veicolo ideale per esprimere la grandiosità e la complessità di questo brano. Il brano è in re maggiore e in forma di rondò (ABA′CA′′ e coda), dove il tema principale A è costituito dalle celebri melodie dei quarti d’ora e dell’ora del Big Ben di Westminster.
Il brano s’inizia con l’iconico motivo dei Westminster Quarters (sol♯–fa♯–mi–si nella sua forma originale, qui trasposto e contestualizzato armonicamente) eseguito sui manuali con una registrazione relativamente dolce e chiara. La mano sinistra fornisce un accompagnamento arpeggiato e discreto. Il pedale entra con note tenute (bordone) che forniscono la base armonica. Il motivo viene ripetuto, con un leggero aumento di sonorità e una maggiore elaborazione nell’accompagnamento della mano sinistra. Entra il "rintocco dell’ora", un motivo discendente basato sull’arpeggio di re maggiore (re-la-fa♯-re), affidato al pedale con una registrazione più profonda e autorevole, che stabilisce in modo inequivocabile la tonalità di re maggiore. I manuali continuano a elaborare frammenti del tema dei quarti. L’uso del pedale qui non è solo di sostegno ma diventa tematico.
La musica cambia carattere: la sezione B introduce nuovo materiale melodico e ritmico, pur mantenendo allusioni al tema principale. La scrittura diventa più virtuosistica, con scale e arpeggi veloci sui manuali. La registrazione si fa più brillante, con l’aggiunta di registri più acuti e di misture leggere. C’è un aumento graduale della dinamica e della densità sonora. Il pedale assume un ruolo più melodico e indipendente, con passaggi veloci che dialogano con i manuali. La complessità armonica e contrappuntistica aumenta, creando un senso di sviluppo e di transizione verso la successiva ripresa del tema. Il tema di Westminster ritorna, questa volta con una registrazione più piena e maestosa. Il rintocco dell’ora al pedale è ancora più sonoro e presente e l’accompagnamento sui manuali è più ricco e denso.
La sezione C è la sezione di sviluppo più estesa e complessa del brano, il vero “cuore” virtuosistico del carillon. S’inizia con un cambio di atmosfera, con la musica che si fa più sommessa e lirica. Frammenti del tema di Westminster sono ancora udibili, ma trasformati e integrati in un nuovo discorso melodico. La musica diventa progressivamente più agitata e virtuosistica, con rapidissimi passaggi di scale, arpeggi e figurazioni complesse sui manuali, spesso in dialogo imitativo tra le mani. Segue l’arrivo progressivo di sonorità più brillanti e leggere che si alterano a combinazioni più potenti, con il pedale che fornisce un solido sostegno armonico e ritmico, a volte con ostinati che accrescono la tensione. Si percepisce un lungo e magistrale crescendo che culmina in una preparazione al ritorno trionfale del tema. La densità sonora è massima, con l’uso di accoppiamenti e registri progressivamente più potenti, preparando l’entrata del grand jeu.
Il tema principale ritorna in tutta la sua gloria, con una registrazione imponente che sfrutta le sonorità del grand jeu. Il tema è spesso affidato al pedale con grande potenza (il rintocco dell’ora diventa un proclama tonante), mentre i manuali eseguono accordi pieni e figurazioni brillanti. Questa è l’apoteosi del brano, un vero tripudio sonoro. La magnificenza e la potenza dell’organo sono sfruttate al massimo. L’energia inizia a diminuire gradualmente: la registrazione si alleggerisce e frammenti del tema di Westminster appaiono in modo più frammentario e riflessivo, quasi come un’eco che si allontana. Il brano si avvia alla conclusione con una serie di accordi tenuti che si dissolvono lentamente, creando un’atmosfera di serena grandezza. Il pedale sostiene l’armonia con note profonde. L’ultimo accordo di re maggiore è potente e solenne, lasciando una sensazione di maestosità e compimento. La lunga risonanza della cattedrale amplifica l’effetto finale.
Il motivo principale è il cuore pulsante del brano: Vierne non si limita a citarlo, ma lo elabora, lo frammenta, lo traspone e lo integra in contesti armonici e testurali sempre nuovi, dimostrando grande inventiva. Sebbene saldamente ancorato al re maggiore, il brano esplora diverse tonalità vicine e lontane durante gli episodi di sviluppo, utilizzando un linguaggio armonico ricco, tipico della scuola organistica francese post-franckiana, con abbondanza di accordi di settima e nona, cromatismi e modulazioni audaci che accrescono la tensione e l’interesse. La genialità di Vierne risiede anche nella sua capacità di orchestrare per l’organo: il brano è un vero e proprio saggio di registrazione, spaziando dai jeux de fonds (flauti, principali) più delicati e intimi, ai jeux de détail (mutazioni, cornetti) per effetti più brillanti e solistici, fino al plein jeu (misture) e al grand jeu (ance e fondi potenti) per i momenti di massima potenza. Il pezzo è caratterizzato da un arco dinamico ed espressivo molto ampio e partendo dalla quieta esposizione iniziale, attraverso episodi lirici e passaggi di crescente agitazione, fino al culmine trionfante e alla successiva dissolvenza, Vierne costruisce un percorso emotivo avvincente. Come di Pièce de fantaisie, il brano ha un carattere descrittivo e virtuosistico: non è musica liturgica in senso stretto, ma un brano da concerto pensato per mettere in luce le capacità dell’interprete e le risorse sonore dell’organo sinfonico. La scelta del tema delle campane di Westminster è un omaggio al destinatario inglese e conferisce al pezzo un’aura di familiarità e monumentalità. È diventato un classico del repertorio organistico, amato dal pubblico per la sua melodia accattivante e la sua scrittura esuberante.
Nel complesso, il Carillon de Westminster è un capolavoro di scrittura organistica che combina un tema popolare con una grande abilità compositiva e un profondo senso delle potenzialità timbrico-dinamiche dell’organo. La struttura a rondò, con i suoi ritorni tematici e i suoi episodi contrastanti, è gestita con grande maestria, creando un pezzo che è allo stesso tempo accessibile e profondamente soddisfacente dal punto di vista musicale.
