Preludi non misurati

Louis Couperin (c1626 - 1661): Prélude non mesuré in re minore. Daniel Ivo de Oliveira, clavicembalo.


Louis Marchand (1669 - 1732): Prélude non mesuré (1702). Daniel Ivo de Oliveira, clavicembalo.


Carlotta Ferrari (5 agosto 1975): 3 Preludi non misurati (2014). Matthew McConnell, clavicembalo.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

L’anima improvvisa del clavicembalo: guida completa al preludio non misurato

Il preludio non misurato è una delle espressioni più pure, libere ed enigmatiche della storia della musica. Sbocciato nel cuore del Barocco francese del XVII secolo, non è un semplice genere, ma una vera e propria filosofia esecutiva. Rappresenta un portale sonoro che ci trasporta direttamente nella prassi improvvisativa dell’epoca, svelando l’intima collaborazione tra compositore e interprete e celebrando l’atto creativo come un evento unico e irripetibile.

Che cos’è il preludio non misurato? Una definizione approfondita
Nella sua essenza, un preludio non misurato è una composizione, tipicamente per strumenti a corde pizzicate come il liuto o il clavicembalo, scritta deliberatamente senza indicazioni metriche convenzionali. Questo significa l’assenza di stanghette di battuta, indicazioni di metro (come 3/4 o 4/4) e, soprattutto, di un sistema di valori ritmici (minime, semiminime, crome, ecc.) che definisca gerarchicamente la durata delle note.
La partitura si presenta come una sequenza di note bianche che non indicano una durata fissa, ma fungono da pilastri armonici. Queste note tracciano una mappa sonora, un percorso attraverso un paesaggio di accordi, dissonanze e risoluzioni. È fondamentale capire che “non misurato” non significa “senza forma” o “atonale” ma, al contrario, questi preludi possiedono una logica armonica ferrea e una struttura retorica ben definita. Il loro scopo non è dettare quando suonare una nota, ma suggerire come navigare il flusso armonico, trasformando l’esecuzione in un vero e proprio discorso musicale.

Le origini: lo style brisé
Le radici del genere affondano nella prassi improvvisativa dei liutisti francesi del primo Seicento, come Ennemond e Denis Gaultier. Il preludio improvvisato aveva scopi precisi:
– funzione pratica: saggiare l’acustica della sala, verificare la tenuta della delicata accordatura del liuto e “scaldare” le dita;
– funzione drammaturgica: stabilire la tonalità e l’”affetto” (il carattere emotivo) della suite che sarebbe seguita, catturando l’attenzione e preparando l’ascoltatore.
La vera chiave del passaggio di questo stile al clavicembalo risiede nel cosiddetto style brisé (stile spezzato). Poiché sia il liuto che il clavicembalo sono strumenti a suono evanescente, i musicisti svilupparono una tecnica per dare l’illusione della polifonia e del sostegno armonico: invece di suonare gli accordi simultaneamente, li “spezzavano” in arpeggi fluidi e figure melodiche sinuose. Questo non solo risolveva un problema tecnico, ma creava anche una tessitura sonora ricca e suggestiva.
Jacques Champion de Chambonnières – considerato il padre della scuola clavicembalistica francese – fu la figura ponte. Sebbene i suoi preludi fossero ancora parzialmente misurati, egli adottò pienamente lo style brisé liutistico, aprendo la strada al suo allievo più geniale, Louis Couperin, che codificò la forma del preludio non misurato per tastiera.

L’arte dell’interpretazione: guida pratica alla decifrazione
L’interprete di un preludio non misurato non è un esecutore passivo, ma un co-creatore. La notazione è un canovaccio che richiede un intervento attivo basato sulla conoscenza e sul bon goût.
Il primo passo è un’analisi armonica approfondita: l’esecutore deve identificare le progressioni, le cadenze e, soprattutto, i punti di tensione (dissonanze, settime, none) e di rilascio (risoluzioni). Questo determinerà l’arco emotivo del pezzo: dove accelerare verso un culmine, dove soffermarsi su una dissonanza struggente, dove lasciare che la risoluzione si plachi dolcemente.
Le semibrevi sono le fondamenta armoniche, ma le legature che le collegano sono l’istruzione più importante: indicano di tenere premuti i tasti per tutta la durata dell’arco. Questo crea una nuvola di risonanza, permettendo alle armonie di fondersi e sovrapporsi, sfruttando al massimo la sonorità dello strumento. Le note scritte all’interno di una stessa legatura costituiscono un unico gesto, una singola “respirazione” armonica.
All’interno della tessitura arpeggiata si celano delle linee melodiche implicite. Il compito dell’interprete è individuarle e farle emergere con sottili variazioni di tempo e agogica, come se una voce stesse cantando sopra il tappeto armonico. L’arpeggio non è un semplice effetto decorativo, ma il motore ritmico ed espressivo del brano: l’interprete deve decidere la velocità, la direzione e il carattere di ogni arpeggio. Può essere lento e maestoso, rapido e brillante, regolare o irregolare, per creare effetti di attesa, slancio o contemplazione.
La scrittura francese del Seicento dava per scontato l’uso di abbellimenti (trilli, mordenti, appoggiature), anche quando non erano esplicitamente segnati. L’interprete deve inserirli nei punti appropriati – tipicamente su note lunghe, sulle dissonanze o nelle cadenze – per aggiungere enfasi, grazia e brillantezza al discorso musicale.
Tanto importanti quanto le note sono le pause: le pauses arbitraires sono momenti di sospensione che l’esecutore inserisce per creare dramma, separare le sezioni o semplicemente lasciare che il suono si estingua nell’aria, invitando alla riflessione.

I maestri indiscussi del genere
Louis Couperin (c. 1626-1661): il maestro assoluto. I suoi preludi, conservati principalmente nel prezioso Manoscritto Bauyn, sono monumenti di libertà inventiva e audacia armonica. Spesso alternano la sezione non misurata a sezioni misurate (fugati o gighe), creando un contrasto formidabile tra contemplazione e danza.
Jean-Henri d’Anglebert (1629-1691): le sue composizioni sono le più dense, complesse e riccamente ornate. Le sue Pièces de clavecin (1689) contengono preludi di una profondità vertiginosa e includono una celebre tavola di abbellimenti che divenne un punto di riferimento per generazioni.
Louis Marchand (1669-1732): famoso tanto per il suo virtuosismo abbagliante quanto per il suo carattere difficile (la sua leggendaria mancata sfida con J.S. Bach a Dresda ne è un esempio), Marchand ha lasciato preludi che riflettono la sua personalità. Sono opere potenti, drammatiche e dal forte sapore improvvisativo, che spingono la retorica del clavicembalo verso vertici di grande intensità teatrale.
Nicolas Lebègue (1631-1702): fu un grande divulgatore dello stile. I suoi preludi sono spesso più schematici e didattici, contribuendo a diffondere la pratica del preludio non misurato anche tra gli organisti e i musicisti meno virtuosi.
Élisabeth Jacquet de La Guerre (1665–1729): straordinaria compositrice e clavicembalista, dimostrò una totale padronanza del genere. I suoi preludi sono carichi di slancio drammatico, fantasia e un uso della dissonanza che rivela una personalità musicale forte e originale.

Il tramonto, l’eterna eredità e la rinascita contemporanea
Con l’avvento del XVIII secolo e dell’Illuminismo, il gusto si spostò verso la clarté e la razionalità. L’opera teorica di Jean-Philippe Rameau (Traité de l’harmonie, 1722) codificò l’armonia in un sistema scientifico, rendendo l’approccio intuitivo e rapsodico del preludio non misurato obsoleto. Compositori come François Couperin le Grand ne rappresentano la transizione: nel suo trattato L’Art de toucher le clavecin (1716), scrisse preludi interamente misurati, ma con l’istruzione di suonarli «con discrezione, senza attaccarsi troppo alla precisione del tempo», cercando di preservarne lo spirito libero pur controllandone la forma.
L’eredità spirituale del preludio non misurato è però immensa e riaffiora carsicamente nella storia della musica:
– nelle Fantasie rapsodiche di C.P.E. Bach;
– nel principio del rubato di Chopin, dove la mano sinistra mantiene un tempo stabile mentre la destra fluttua liberamente;
– nella musica di Debussy, che con i suoi Préludes ricrea la stessa sensazione di tempo sospeso, di colore armonico e di risonanza evocativa che erano il cuore pulsante del preludio non misurato.

Una rinascita nel XXI secolo
Sorprendentemente, la storia del preludio non misurato non si è conclusa con il Barocco o con la sua eco nel Modernismo. In anni recenti, stiamo assistendo a una vera e propria rinascita del genere. Compositori contemporanei, affascinati dalla sua libertà espressiva e dalla sua notazione unica, hanno iniziato a scrivere nuovi preludi per clavicembalo. Tra questi spiccano la figura della compositrice italiana Carlotta Ferrari e quella del compositore statunitense Carson Cooman. Questi nomi sono esempi di testimonianze della vitalità senza tempo del preludio non misurato, visto non più solo un reperto storico da studiare, ma anche come una forma d’arte viva, capace di ispirare la creatività contemporanea.
In conclusione, questo genere è molto più di una curiosità storica, rivelandosi una testimonianza di un’epoca in cui la musica era concepita come un’architettura liquida, una mappa emotiva da esplorare. Richiede all’interprete di essere contemporaneamente storico, analista, retore e poeta, ed è la celebrazione di un’arte del momento, un dialogo vivo e pulsante tra la mente del compositore, le mani dell’esecutore e l’anima risonante dello strumento. Riscoprirlo oggi, anche attraverso le opere di compositori contemporanei che ne hanno raccolto il testimone, significa entrare in contatto con l’essenza stessa della creatività musicale: un atto di libertà controllata la cui eco, potente e suggestiva, non ha mai smesso di risuonare.

Carlotta Ferrari: Preludio non misurato n. 1

Una salda fortezza – II

Michael Praetorius (1571 - 1621): Ein feste Burg ist unser Gott, fantasia-corale. Ullrich Böhme, organo.


Dietrich Buxtehude (1637 - 1707): Ein feste Burg ist unser Gott, preludio-corale BuxWV 184. Eric Lebrun, organo.


Johann Pachelbel (1653 - 1706): Fughetta sopra Ein feste Burg ist unser Gott. Jens Engel, organo.


Johann Nicolaus Hanff (1665 - 1712): Ein feste Burg ist unser Gott. Gerard van Reenen, organo.


Georg Friedrich Kauffmann (1679 - 1735): Fuga sopra Ein feste Burg ist unser Gott. Realizzazione a cura di Partitura Organum.


Johann Sebastian Bach (1685 - 1750): Ein feste Burg ist unser Gott, preludio-corale BWV 720 (1708 o prima). Ton Koopman, organo.


Max Reger (1873 - 1916): Phantasie über den Choral Ein feste Burg ist unser Gott op. 27 (1898). Agnieszka Tarnawska, organo.


Sigfrid Karg-Elert (1877 - 1933): Ein feste Burg ist unser Gott, fantasia-corale op. 65 n. 47. Arjen Leistra, organo.


Marco Lo Muscio (1971): Meditazione su «Ein feste Burg» (2017). Carson Cooman, organo.


Carlotta Ferrari (1975): Ein feste Burg ist unser Gott (2016). Carson Cooman, organo.