Circles (Luciano Berio 100)

Luciano Berio (24 ottobre 1925 - 2003): Circles per voce femminile, arpa e due per­cus­sio­ni­sti (1960) su testi di e. e. cummings (n. 25, 76 e 221 dei Collected Poems). Anne-May Krüger, mezzosoprano; Estelle Costanzo, arpa; Dino Georgeton e Víctor Barceló, percussioni.

N. 25

stinging
gold swarms
upon the spires
silver

           chants the litanies the
great bells are ringing with rose
the lewd fat bells
                            and a tall

wind
is dragging
the
sea

with

dream

-S


N. 76

riverly is a flower
gone softly by tomb
rosily gods whiten
befall saith rain

anguish
and dream-send is
hushed
in

moan-loll where
night      gathers
morte carved smiles

cloud-gloss is at moon-cease
soon
verbal mist-flowers close
ghosts on prowl gorge

sly slim gods stare


N. 221

n(o)w

the
how
dis(appeared cleverly)world

iS Slapped:with;liGhtninG
!

at
which(shal)lpounceupcrackw(ill)jumps
of
THuNdeRB
loSSo!M iN
-visiblya mongban(gedfrag-
ment ssky?wha tm)eani ngl(essNessUn
rolli)ngl yS troll s(who leO v erd)oma insCol

Lide.!high
n , o ;w:
theraIncomIng

o all the roofs roar
drownInsound(
&
(we(are like)dead
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ther or im)
pos
sib(ly as
leep)
But l!ook-
s

U

n:starT birDs(IEAp)Openi ng
t hing ; s(
-sing
)all are aLI(cry alL See)o(ver All)Th(e grEEn

?eartH)N,ew


« Circles, scritto nel 1960 su domanda di Paul Fromm, fu eseguito per la prima volta nell’agosto di quello stesso anno al Berkshire Music Festival da Cathy Berberian e membri della Boston Symphony Orchestra. Circles elabora musicalmente tre poesie di e. e. cummings che, nell’ordine, presentano gradi diversi di complessità: il n. 25 stinging gold swarms… il n. 76 riverly is a flower… e il n. 221 n(o)w the how dis(appeared cleverly)world…, dai Collected Poems. In Circles i tre poemi appaiono nel seguente ordine: 25-76-221, (221)-76-25. La poesia n. 221 ritorna, a ritroso, su se stessa, mentre le poesie n. 25 e n. 76 appaiono due volte in diversi momenti dello sviluppo musicale.
« Non era certamente nelle mie intenzioni comporre una serie di pezzi vocali con accompagnamento di arpa e percussioni. Mi interessava invece elaborare circolarmente le tre poesie in un’unica forma ove i diversi livelli di significato, l’azione vocale e l’azione strumentale fossero strettamente condizionati e strutturati anche sul piano concreto delle qualità fonetiche. Gli aspetti teatrali dell’esecuzione sono inerenti alla struttura della composizione stessa che è, innanzi tutto, una struttura di azioni: da ascoltare come teatro e da vedere come musica » (Luciano Berio, 1961).



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Luciano Berio: l’architetto sonoro dell’Avanguardia italiana

Radici musicali e interruzione bellica
Nato a Oneglia (Imperia), Berio crebbe in un ambiente profondamente musicale, figlio e nipote di compositori e strumentisti. Ricevette la prima educazione pianistica sotto la guida del padre, Ernesto, sviluppando una solida conoscenza dei classici e tentando le prime composizioni. La sua gioventù fu drammaticamente segnata dall’8 settembre 1943: arruolato nella Repubblica di Salò, egli subì una grave ferita alla mano destra durante un’esercitazione, un evento che lo costrinse a rinunciare al sogno di una carriera da pianista concertista, spingendolo definitivamente verso la composizione. Dopo la fuga dall’ospedale e un periodo di clandestinità, si iscrisse al Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano nel 1945.

La formazione milanese e il ruolo dei mentori
A Milano, Berio si immerse in un ambiente culturale e musicale in pieno fermento post-bellico, scoprendo le avanguardie (Schönberg, Webern, Bartók) e le culture di confine (jazz, popolare). I suoi studi al Conservatorio furono decisivi, in particolare grazie all’eredità contrappuntistica di Giulio Cesare Paribeni e, soprattutto, alla guida di Giorgio Federico Ghedini, che gli trasmise una profonda coscienza storica e una maestria tecnica basata su Stravinskij, Bach e Monteverdi. Nonostante la prima produzione studentesca fosse di impronta artigianale (Concertino, Magnificat), il compositore sviluppò in questi anni cruciali la propria sensibilità per la voce umana e la relazione tra testo e musica, un interesse rafforzato dal matrimonio (1950) con la giovane e brillante studentessa armena Cathy Berberian. L’incontro con la sua futura musa, dotata di un “pluralismo vocale” unico, coincise con l’inizio della sua prima fervida stagione creativa.

La rivoluzione elettronica e l’invenzione dello studio di fonologia
La svolta radicale avvenne nel 1952 durante un soggiorno negli Stati Uniti, dove Berio scoprì la tape-music. Rientrato in Italia, strinse un sodalizio fondamentale con il compositore Bruno Maderna, insieme al quale, nel 1956, fondò lo Studio di fonologia musicale della Rai di Milano. Questo centro divenne un crogiolo di sperimentazione, lontano dalle rigide divisioni europee tra musica concreta ed elettronica. Il periodo milanese fu fecondato anche dall’incontro con Umberto Eco, che contribuì a definire la poetica dell’“opera aperta”, concetto che influenzò profondamente il compositore. Esempi di questa ricerca sulla relazione tra suono, voce ed elettronica sono Thema (Omaggio a Joyce) e il celebre Visage (1961), che utilizza l’elaborazione elettronica di una gamma estrema di gesti vocali non verbali di Berberian.

Il decennio americano e la virtuosità totale
All’inizio degli anni ’60, il compositore iniziò una lunga serie di incarichi didattici negli Stati Uniti (Tanglewood, Mills College, Juilliard School), dove insegnò per sei anni e fondò il Juilliard Ensemble. Nonostante la separazione dalla Berberian, il sodalizio artistico proseguì con opere fondamentali come i Folk songs e, soprattutto, la Sequenza III per voce sola. In questo periodo, Berio sviluppò il ciclo delle Sequenze, composizioni solistiche pensate per esplorare i limiti tecnici, gestuali ed espressivi di strumenti specifici (come la Sequenza I per flauto e la V per trombone, omaggio al clown Grock). Parallelamente, applicò il concetto di re-working e stratificazione, trasformando le Sequenze in opere per ensemble, i Chemins.
Il culmine di questa fase è Sinfonia (1968), un’opera monumentale per otto voci amplificate e orchestra. Celebre per il terzo movimento – un complesso collage sonoro e culturale costruito interamente sullo Scherzo della Seconda Sinfonia di Mahler – l’opera combina riferimenti testuali da Beckett e Lévi-Strauss, rappresentando la coscienza storica e l’eclettismo linguistico di Berio.

Il ritorno in Italia e il laboratorio europeo
Nel 1974 Berio rientrò in Italia, stabilendosi in Toscana, ma i suoi impegni internazionali si intensificarono. Fu chiamato da Pierre Boulez a fondare e dirigere il dipartimento elettroacustico dell’IRCAM a Parigi (1974-80), dove promosse la ricerca su sistemi di trasformazione del suono in tempo reale (come il 4X). Nel frattempo, la sua produzione si orientò verso visioni enciclopediche e antropologiche: Coro (1974-76) è un mosaico di testi e musiche provenienti da culture diverse, con una struttura orchestrale e corale rigorosamente disposta nello spazio. Il rinnovato interesse per il teatro musicale lo portò a collaborare nuovamente con Italo Calvino. Le opere di questo periodo, tra cui La vera storia (1982) e Un re in ascolto (1984), si concentrano sul rifiuto della trama lineare in favore di una narrazione frammentata, riflettendo sulla metafora dell’ascolto e sull’auto-riflessività del teatro stesso.

Istituzioni, memoria e l’eredità finale
Nel 1987 Berio fondò a Firenze Tempo Reale, un centro di ricerca musicale che gli permise di sviluppare ulteriormente la spazializzazione del suono attraverso il sistema multicanale TRAILS (esemplificato in Ofaním). Negli ultimi anni, l’attività creativa si affiancò a crescenti responsabilità pubbliche: tenne le prestigiose Charles Eliot Norton Lectures a Harvard (1993-94) e fu eletto presidente dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia (2000), seguendo attivamente la nascita dell’Auditorium Parco della musica di Roma.
La sua opera matura si caratterizzò per un continuo “dialogo con il passato”, evidente nel “restauro” di frammenti di Schubert in Rendering (1990) e nella controversa nuova conclusione per il terzo atto della Turandot di Puccini (2002). Il compositore concluse il suo lavoro con l’ultima della serie, Sequenza XIV per violoncello, e con Stanze (2002-03), opera per baritono, coro e orchestra terminata poche settimane prima della morte. L’opera, con i suoi richiami alla Shoah e la riflessione profonda sull’idea di Dio, si configura come il suo pacato e commovente congedo.

Circles
Composizione fondamentale nel catalogo di Luciano Berio, Circles rielabora le scoperte sulle potenzialità della voce e del suono fatte dal compositore nel suo precedente lavoro elettronico, Thema (Omaggio a Joyce). Scritta per la sua musa e allora moglie, il mezzosoprano Cathy Berberian, l’opera esplora il legame inscindibile tra significato testuale, gesto vocale, e timbro strumentale, realizzando il concetto di «struttura di azioni: da ascoltare come teatro e da vedere come musica».
La composizione è costruita su un’architettura rigorosamente simmetrica in forma ad arco, A-B-C-B′-A′, che riflette il titolo stesso dell’opera. Berio utilizza tre poesie di e. e. cummings tratte dai Collected Poems (pubblicate con i numeri 25, 76 e 221 rispettivamente).
Grande importanza è data alla disposizione spaziale dei musicisti, un elemento prescritto dalla partitura che sottolinea il carattere teatrale dell’opera. Il mezzosoprano è posizionato al centro, affiancata dall’arpista e dai due percussionisti. La strumentazione è ricca e variegata, con una notevole enfasi su arpa e un esteso set di percussioni, tra cui gong, tam-tam, timpani, marimba, conga, wind chimes e oggetti in legno, tutti disposti in modo circolare attorno alla cantante. Il movimento della cantante sul palco è parte integrante della performance: i momenti di quiete sonora corrispondono a momenti di immobilità fisica, mentre le sezioni più concitate sono accompagnate da gesti ampi, quasi direttoriali, che spesso coinvolgono l’esecuzione di piccoli strumenti a percussione.
La prima sezione si apre con la voce del mezzosoprano in primo piano, che modula la poesia n. 25 con un canto melismatico e quasi operistico. L’arpa interviene con arpeggi eterei e il tono è lirico, sebbene pervaso da un senso di sospensione e attesa. Il ruolo della voce è di esplorare il timbro e le qualità fonetiche del testo di e. e. cummings. Le vocali lunghe sono sostenute, mentre le consonanti e le sibilanti vengono articolate in modo esagerato, talvolta raschiato.
L’entrata della percussione, con vibrazioni metalliche e colpi secchi, interrompe la linea lirica, introducendo una tensione crescente che riflette il significato implicito del testo. La cantante inizia a eseguire lei stessa piccole percussioni, unendo l’azione vocale a quella strumentale e diventando, di fatto, parte dell’ensemble. Il finale della prima sezione A si chiude in un gesto di enfatica sospensione, con il mezzosoprano che si muove al centro e le bacchette alzate in un gesto di direzione drammatica, culminando in un fragore di percussioni che dissolve l’atmosfera lirica.
La sezione B, basata sulla poesia n. 76, introduce un’atmosfera più frammentata e puntillistica: Berio utilizza una vocalità più espressionistica e rapida, in cui le parole vengono spezzate o allungate, e i suoni prendono il sopravvento sul significato letterale. Il mezzosoprano continua a utilizzare i microfoni posizionati sul palco per amplificare i suoi suoni non convenzionali: risate, suoni gutturali e sussurri si mescolano a un canto più tradizionale. La musica diventa densa, con texture timbriche complesse create da una varietà di percussioni esotiche e l’arpa a pedali illuminata. L’equilibrio tra i tre elementi (voce, arpa, percussione) è dinamico e instabile, riflettendo la natura “frammentata” del testo poetico. La sezione si chiude con l’esaurirsi graduale dei suoni.
La sezione centrale dell’arco formale e corrisponde alla poesia n. 221, la più destrutturata e visivamente circolare di e. e. cummings. In questa parte, l’azione scenica è enfatizzata. La performance vocale si concentra sul disfacimento della parola, con la cantante che manipola fisicamente i microfoni per creare effetti di spazializzazione del suono. Il testo, ricco di parentesi e sillabe spezzate, è reso attraverso un’esecuzione che è per metà parlato e per metà cantato, esplorando l’onomatopea e la pura qualità fonetica della lingua. La musica tocca i suoi apici di intensità sonora e teatrale, con esplosioni ritmiche della percussione e l’arpa che contribuisce a un denso sottofondo armonico. La cantante utilizza gesti teatrali ampi e si muove con le mani aperte, quasi a plasmare il suono. Berio infine introduce la ripetizione a ritroso di una parte del testo, un chiaro segnale dell’inizio della simmetria retrograda.
Le sezioni successive B′ e A′ ripropongono i testi delle sezioni precedenti, ma con nuove e diverse elaborazioni musicali.
L’attenzione torna sul testo B, ma in una veste più ritmica e giocosa. L’arpa e la percussione si fanno più virtuosistiche, con un’azione di battiti veloci e precisi che confermano la funzione ritmica e quasi meccanica degli strumenti. La cantante riprende i suoi gesti direttoriali e manipolativi, enfatizzando l’interazione tra i musicisti sul palco. Il mezzosoprano usa gli chimes con un gesto sonoro che chiude la sezione, lasciando il palco.
La parte finale riprende il primo testo in una forma ancora più ridotta e rarefatta. La musica si dissolve in suoni sottili e sospesi, con l’arpa che esegue figure di estrema delicatezza, mentre la cantante canta o sussurra il testo finale con un ritorno alla qualità lirica e meditativa, ma ora con un senso di fragilità estrema.
L’opera si conclude con una lunga dissolvenza sonora, in cui gli strumenti si quietano lentamente, realizzando l’idea del ciclo che si chiude. La performance si trasforma in un evento visivo di “musica vista” e di “teatro dell’ascolto”, dove la cantante, prima al centro dell’azione, alla fine si riunisce in un gesto di congedo con l’ensemble, sancendo il successo della sua esplorazione acustica della vocalità d’avanguardia.

Stripsody

Cathy Berberian (4 giugno 1925 - 1983): Stripsody (1966). Esegue l’autrice, dal vivo.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

MagnifiCathy: l’eredità poliedrica di Cathy Berberian, voce dell’avanguardia

Cathy Berberian viene ricordata come una figura rivoluzionaria nel panorama musicale del XX secolo. Mezzosoprano e compositrice americana di origini armene, naturalizzata italiana, ha lasciato un’impronta indelebile grazie alla sua straordinaria versatilità vocale, alla sua dedizione alla musica contemporanea d’avanguardia e al suo approccio innovativo all’interpretazione e alla composizione.

Formazione e debutto: una vocazione globale
Nata ad Attleboro nel Massachusetts da genitori armeni, Berberian manifestò fin da giovane un vivo interesse per la musica e la danza tradizionale armena, dirigendo e cantando in un gruppo folk armeno a New York già durante gli studi superiori. Dopo un periodo alla New York University, proseguì la sua formazione musicale e teatrale alla Columbia University, per poi trasferirsi in Europa. Studiò a Parigi con Marya Freund nel 1948 e, dal 1949, a Milano presso il Conservatorio con Giorgina del Vigo, ottenendo nel 1950 una borsa di studio Fulbright. Sebbene avesse già partecipato a produzioni studentesche e trasmissioni radiofoniche, il suo debutto formale avvenne nel 1957 al festival di musica contemporanea “Incontri Musicali” di Napoli. L’anno successivo, la sua interpretazione in prima mondiale di Aria with Fontana Mix di John Cage la consacrò come una delle principali esponenti della musica vocale contemporanea. Il suo debutto americano seguì nel 1960 al Tanglewood Music Festival con la prima di Circles di Luciano Berio.

Il sodalizio con Luciano Berio: musa e collaboratrice
Durante gli studi al Conservatorio di Milano Berberian conobbe Luciano Berio, che sposò nel 1950 e da cui ebbe una figlia, Cristina, nel 1953. Il loro matrimonio durò fino al 1964, ma la collaborazione artistica e l’influenza reciproca proseguirono ben oltre. Berberian divenne la musa ispiratrice di Berio che, per la sua voce, scrisse capolavori come Thema (Omaggio a Joyce) (1958), Circles (1960), Visage (1961), Folk Songs (1964–73), Sequenza III (1965) e Recital I (for Cathy) (1972).

Un’interprete senza confini: dall’antico al pop rivisitato
Cathy Berberian non si limitò al repertorio d’avanguardia. La sua curiosità e la sua tecnica le permisero di interpretare un vastissimo repertorio di musiche, da Claudio Monteverdi a Heitor Villa-Lobos, Kurt Weill e Philipp zu Eulenburg. Come curatrice di recital, presentò generi vocali diversi in contesti classici, includendo arrangiamenti di canzoni dei Beatles (curati da Louis Andriessen) e canti popolari di varie culture. Un esempio emblematico della sua originalità fu l’album del 1967 Beatles Arias, dove brani del quartetto di Liverpool venivano riletti in chiave barocca, con arrangiamenti di Guy Boyer per quartetto d’archi o quintetto di fiati e clavicembalo o organo.

La voce compositrice: Stripsody e Morsicat(h)y
Oltre all’attività interpretativa, Cathy Berberian si dedicò alla composizione. Le sue opere più note sono Stripsody (1966) – un pezzo che sfrutta la sua straordinaria tecnica vocale per riprodurre suoni onomatopeici tipici dei fumetti – e Morsicat(h)y (1969), una composizione per tastiera (eseguibile con la sola mano destra) basata sull’alfabeto Morse. Queste opere testimoniano la sua continua esplorazione delle potenzialità sonore della voce e degli strumenti.

Oltre la musica: insegnamento, traduzione e riconoscimenti
La statura artistica di Berberian ispirò numerosi compositori – tra cui Sylvano Bussotti, John Cage, Hans Werner Henze, William Walton, Igor’ Stravinskij e Anthony Burgess – a scrivere opere appositamente per la sua voce. Pur risiedendo principalmente a Milano, negli anni ’70 insegnò alla Vancouver University e alla Rheinische Musikschule di Colonia. Fu anche una talentuosa traduttrice, collaborando con Umberto Eco (che la soprannominò Magnificathy, poi da lei adottato come titolo di un suo album) alla versione italiana di opere di Jules Feiffer, Woody Allen e altri. La sua fama si estese anche alla cultura popolare, venendo citata nella canzone Your Gold Teeth degli Steely Dan.

Gli ultimi anni e la scomparsa: una sfida continua
Nei suoi ultimi anni Cathy Berberian affrontò crescenti problemi di salute, tra cui una quasi totale perdita della vista che la costrinse a memorizzare l’intero repertorio. Questa condizione fu per lei, avida lettrice, fonte di grande frustrazione, solitudine e depressione. Nonostante l’aumento di peso e problemi cardiaci, continuò a mantenere un intenso programma concertistico. Aveva in programma di eseguire L’Internazionale alla maniera di Marilyn Monroe per una trasmissione Rai in occasione del centenario della morte di Karl Marx. Il 5 marzo 1983 discusse di questa performance con Luciano Berio, ma morì il giorno successivo, il 6 marzo 1983, per un attacco cardiaco. Luciano Berio le dedicò Requies: in memoriam Cathy Berberian, presentato in prima esecuzione nel 1984.

“La Nuova Vocalità”: una rivoluzione teorica e pratica
Nel 1966 Berberian pubblicò un articolo intitolato La nuova vocalità nell’opera contemporanea in cui delineò un approccio rivoluzionario al canto nella musica contemporanea. Sviluppate in collaborazione con Berio, queste idee divennero centrali nella sua filosofia performativa. In contrasto con la prassi operistica tradizionale, focalizzata sulla produzione di “bei suoni”, la “Nuova Vocalità” propone una voce con una gamma illimitata di stili, che abbraccia la storia della musica e gli aspetti intrinseci del suono stesso. Non si tratta solo di “tecniche vocali estese” (effetti vocali inediti), ma di un approccio in cui il cantante diventa co-compositore della performance dal vivo, utilizzando la voce in tutti i suoi aspetti, con la stessa flessibilità delle espressioni di un volto. Questa filosofia è stata fondamentale per lo sviluppo della performance art vocale e ha influenzato artisti come Meredith Monk, Diamanda Galás e Laurie Anderson, consolidando l’eredità di Cathy Berberian come pioniera e innovatrice.

Stripsody: analisi
Stripsody è una composizione iconica che esemplifica magistralmente il concetto di “Nuova Vocalità” da lei stessa teorizzato. Basata interamente sull’uso della voce umana per ricreare l’universo sonoro dei fumetti (in inglese comic strips, da cui il titolo), l’opera è un tour de force di virtuosismo vocale, espressività teatrale e innovazione compositiva. L’esecuzione mostra Berberian in piedi davanti a un leggio, dove è posta la partitura che non è tradizionale, ma grafica: una serie di onomatopee, simboli e disegni stilizzati che suggeriscono suoni, dinamiche, inflessioni e durate. Berberian non si limita a “leggere” la partitura, ma la interpreta con tutto il corpo. Le sue espressioni facciali sono incredibilmente mobili, passando dalla sorpresa al disgusto, dalla malizia alla concentrazione. I gesti delle mani e del corpo sono parte integrante della performance, sottolineando, mimando o anticipando i suoni prodotti. Per esempio:

  • un urlo acuto e modulato ("Aaaaah"), seguito da un suono gutturale e poi da uno starnuto ("A-CHOO!") accompagnato da un gesto della mano al naso e un’e­spres­sione di disgusto ("Yech!");

  • per "Chomp chomp chomp", mima l’azione di mordere;

  • per "Click", unisce le mani con un suono secco e un gesto netto;

  • per il suono dell’aereo ("Prrrr"), le sue mani mimano il volo;

  • per "Tick Tock" e "Dong", le braccia mimano il pendolo di un orologio;

  • per "Yeeeaaah!" (Superman), assume una posa eroica.

La partitura grafica stessa, mostrata a tratti, è un’opera d’arte visiva, con le parole-suono che si contorcono, si ingrandiscono, si rimpiccioliscono, suggerendo la qualità del suono da produrre. I cambi di colore nella visualizzazione della partitura nel video (verde, arancione, rosa, rosso) sembrano segmentare la composizione in diverse “scene” sonore. Berberian sfrutta un’incredibile gamma di tecniche vocali estese per dare vita ai suoni dei fumetti. L’opera è un catalogo di ciò che la voce umana può fare, andando ben oltre il canto tradizionale:

  • suoni percussivi e d’impatto:

    • "Blomp Blomp": suoni sordi e gravi;

    • "Boinggg": un suono elastico e vibrante, con glissando;

    • "Clang Clangety Clack Clack Clack Click": suoni metallici, secchi e ritmici;

    • "Pow!": un colpo secco e forte;

    • "Stomp": suoni pesanti, che mimano passi;

    • "Bang bang bang": esplosioni vocali secche.

  • suoni animali:

    • "Meow meow meow": miagolii con diverse inflessioni;

    • "Sniff sniff," "Hisss," "Ruff ruff": suoni canini e felini, incluso un sibilo;

    • "Oink oink", "Buk buk", "Caw", "Mooooo": un vero e proprio bestiario sonoro.

  • suoni meccanici e ambientali:

    • "Brrrrrr": un trillo labiale o linguale, che può evocare un motore o un telefono, con un andamento melodico ascendente e discendente;

    • "Prrrr": simile al precedente, ma chiaramente inteso come un aereo, con un glissando ascendente e poi discendente;

    • "Tick Tock… Dong Dong Dong": l’orologio e le campane, resi con precisione ritmica e timbrica;

    • "Whreeeeee": un suono acuto e stridente, come una sirena o uno pneumatico;

    • "Swoom" e "Swash": suoni che evocano movimento rapido e impatto acquatico:

  • vocalizzazioni umane (parlate e cantate):

    • frammenti di discorso: "You stupid kite, get down out of that tree!", "I’m Frieda and I’ve got naturally curly hair…" e "Good grief!". Questi sono resi con intonazioni caricaturali, tipiche dei personaggi dei fumetti;

    • citazione operistica: "Sempre libera…" (da La Traviata di Verdi), cantata con enfasi teatrale e interrotta bruscamente.

    • esclamazioni e interiezioni: "Oh, s-smack!", "It’s a bird! No! It’s a plane! No! It’s Superman! Yeeeaaah!";

    • suoni di sforzo, lotta, sonno: "Grunt," "snort," "glub," "krum," "rumble" e i vari tipi di "Zzzzz" (russare) verso la fine.

Nonostante l’apparente frammentarietà, Stripsody possiede un flusso narrativo implicito, guidato dalla sequenza delle “vignette” sonore. La composizione si sviluppa attraverso una serie di brevi episodi, ognuno con un proprio carattere sonoro e gestuale.

  • apertura: introduce la tavolozza sonora con suoni isolati e d’impatto;

  • scene di vita quotidiana/conflitto: il dialogo con l’aquilone, i suoni di gatti e cani, l’interiezione di "Frieda";

  • azione e movimento: combattimenti ("Pow!"), il volo dell’aereo, il ticchettio dell’orologio;

  • momenti lirici e comici: la citazione operistica interrotta, il bacio sonoro;

  • caos e bestiario: una rissa sonora seguita dai versi degli animali della fattoria;

  • crescendo d’azione: suoni di spari, "Stomp", la sirena, il climax con l’arrivo di Superman;

  • conclusione: la scena del sonno, con vari tipi di russare, che si conclude con un brusco risveglio ("Bang!").

La struttura è rapsodica, un collage di eventi sonori che mimano la lettura veloce e frammentata di una striscia di fumetti. Berberian crea tensione e rilascio attraverso l’alternanza di suoni acuti e gravi, forti e piano, veloci e lenti. Stripsody è molto più di un semplice divertissement. È una profonda esplorazione delle potenzialità della voce umana come strumento musicale capace di produrre una gamma sonora che va oltre il belcanto. L’opera:

  • legittima l’onomatopea: eleva i suoni del fumetto a materiale musicale degno di una sala da concerto;

  • sintetizza le arti: unisce musica, teatro (gestualità, espressione) e arti visive (la partitura grafica e l’immaginario del fumetto);

  • sperimenta con la "Nuova Vocalità": dimostra come la voce possa essere utilizzata in modi non convenzionali,
    diventando essa stessa fonte di suoni percussivi, ambientali e meccanici;

  • incorpora l’umorismo: l’opera è intrinsecamente umoristica e giocosa, riflettendo lo spirito del suo materiale di partenza.

Nel complesso, Stripsody è una testimonianza straordinaria del genio interpretativo e compositivo di Berberian. La sua maestria tecnica, la sua espressività e la sua audacia nell’esplorare nuovi territori sonori rendono quest’opera un caposaldo della musica vocale del XX secolo, un pezzo che continua a stupire e divertire per la sua originalità e il suo virtuosismo.

Berio: Folk Songs

Luciano Berio (1925 - 27 maggio 2003): Folk Songs per mezzosoprano e 7 strumentisti (1964). Cathy Berberian, mezzosoprano; The Juilliard Ensemble, dir. Luciano Berio.

  1. Black is the colour of my true love’s hair
  2. I wonder as I wander out under the sky [2:51]
  3. Loosin yelav en sareetz [4:43]
  4. Rossignolet du bois [7:02]
  5. La femminisca [8:40]
  6. La donna ideale [10:22]
  7. Ballo [11:36]
  8. Motettu de tristura [13:09]
  9. Malurous qu’o uno fenno [14:40]
  10. Lo fiolaire [15:37]
  11. Azerbaijan Love Song [18:17]