Danserye – II

Dodici danze tratte da Het derde musyck boexken… alderhande danserye (1551) di Tielman Susato nell’interpretazione dell’ Early Music Consort of London diretto da David Munrow (1942 - 1976).

  1. La Mourisque
  2. Les Quatre bransles [1:14]
  3. Ronde & Salterelle [2:54]
  4. Ronde Mon amy [4:29]
  5. Allemaingne and Recoupe [7:00]
  6. Pavane Mille regretz [9:40]
  7. Bergerette Sans Roch & Reprise [12:40]
  8. Danse du Roy [15:14]
  9. Ronde [16:37]
  10. Passe et medio & Reprise Le Pingue [17:39]
  11. Ronde [20:18]
  12. Pavane La Bataille. [22:16]

Sans roch

Natale con Perotino – III

Perotino (c1160 - c1230): Sederunt principes, organum quadruplum sul graduale della messa di Santo Stefano (composto forse nel 1199). The Early Music Consort of London, dir. David Munrow.
Fonti del testo sono il Salmo 118, vv. 23a e 86b, e il 108, v. 26:

118: 23a Sederunt principes, et adversum me loquebantur:
86b et iniqui persecuti sunt me.
108: 26a Adjuva me, Domine Deus meus:
26b salvum me fac propter misericordiam tuam.


Mi chiesi se l’Abate non avesse scelto di far cantare quel graduale proprio quella notte, quando ancora erano presenti alla funzione gli inviati dei principi, per ricordare come da secoli il nostro ordine fosse pronto a resistere alla persecuzione dei potenti, grazie al suo privilegia­to rapporto col Signore, Dio degli eserciti. E invero l’inizio del canto diede una grande impressione di potenza.

Sulla prima sillaba se iniziò un coro lento e solenne di decine e deci­ne di voci, il cui suono basso riempì le navate e aleggiò sopra le nostre teste, e tuttavia sembrava sorgere dal cuore della terra. Né s’interruppe, perché mentre altre voci incominciavano a tessere, su quella linea profonda e continua, una serie di vocalizzi e melismi, esso — tellurico — continuava a dominare e non cessò per il tempo intero che occorre a un recitante dalla voce cadenzata e lenta per ripetere dodici volte l’Ave Maria. E quasi sciolte da ogni timore, per la fiducia che quell’ostinata sillaba, allegoria della durata eterna, dava agli oranti, le altre voci (e massime quelle dei novizi) su quella base petrosa e solida innalzavano cuspidi, colonne, pinnacoli di neumi liquescenti e subpuntati. E mentre il mio cuore stordiva di dolcezza al vibrare di un climacus o di un porrectus, di un torculus o di un salicus, quelle voci parevano dirmi che l’anima (degli oranti e mia che li ascoltavo), non potendo reggere alla esuberanza del sentimento, attraverso di essi si lacerava per esprimere la gioia, il dolore, la lode, l’amore, con slancio di sonorità soavi. Intanto, l’ostinato accanirsi delle voci ctonie non demordeva, come se la presen­za minacciosa dei nemici, dei potenti che perseguitavano il popolo del Signore, permanesse irrisolta. Sino a che quel nettunico tumultuare di una sola nota parve vinto, o almeno convinto e avvinto dal giubilo allelujatico di chi vi si opponeva, e si sciolse su di un maestoso e perfettis­simo accordo e su un neuma resupino.

Pronunciato con fatica quasi ottusa il “sederunt”, s’innalzò nell’aria il “principes”, in una grande e serafica calma. Non mi domandai più chi fossero i potenti che parlavano contro di me (di noi), era scomparsa, dissolta l’ombra di quel fantasma sedente e incombente.

[…]

Ora il coro stava intonando festosamente lo “adjuva me”, di cui la a chiara lietamente si espandeva per la chiesa, e la stessa u non appari­va cupa come quella di “sederunt”, ma piena di santa energia. I mona­ci e i novizi cantavano, come vuole la regola del canto, col corpo dirit­to, la gola libera, la testa che guarda in alto, il libro quasi all’altezza delle spalle in modo che vi si possa leggere senza che, abbassando il capo, l’aria esca con minore energia dal petto. Ma l’ora era ancora notturna e, malgrado squillassero le trombe della giubilazione, la caligine del sonno insidiava molti dei cantori i quali, persi magari nell’emissione di una lunga nota, fiduciosi nell’onda stessa del cantico, a volte reclinavano il capo, tentati dalla sonnolenza. Allora i veglianti, anche in quel fran­gente, ne esploravano i volti col lume, a uno a uno, per ricondurli appunto alla veglia, del corpo e dell’anima.

(Umberto Eco, Il nome della rosa:
Sesta giornata, Mattutino;
Bompiani, Milano 1980)

Natale con Perotino – II

Perotino (c1160 - c1230): Viderunt omnes, organum quadruplum sul graduale della 3ª messa di Natale (composto forse nel 1198). The Early Music Consort of London, dir. David Munrow.
Fonte del testo è il Salmo 97, vv. 3b, 4a e 2:

3b Viderunt omnes fines terræ salutare Dei nostri.
4a Jubilate Deo, omnis terra.
2a Notum fecit Dominus salutare suum;
2b ante conspectum gentium revelavit justitiam suam.

Balli a quattro voci

Giorgio Mainerio (c1535 - 4 maggio 1582): cinque danze dal Primo Libro de balli a quatro voci accommodati per cantar et sonar d’ogni sorte de instromenti (1578). Early Music Consort of London, dir. David Munrow.

  1. Pass’e mezzo della paganina
  2. Ballo francese [1:38]
  3. La lavandara [2:32]
  4. L’arboscello, ballo furlano [3:49]
  5. La zanetta [5:15]

Mainerio: Schiarazula marazula, ballo a 4 voci (op. cit.). Ensemble Trictilla e Lucia Sciannimanico.
Si tratta di un ballo friulano le cui origini si perdono nel Medioevo. Era cantato sopra un testo di cui, a parte le due parole che ne costituiscono il titolo, si è persa ogni traccia, ma in documento del 1624 si attesta che il ballo e il canto erano eseguiti per evocare la pioggia.