Šostakovič 1975-2025 – IV

Dmitrij Šostakovič (1906 - 9 agosto 1975): Sonata per viola e pianoforte op. 147 (1975). Rémi Pelletier, viola; Philip Chiu, pianoforte.

  1. Aria: Moderato
  2. Scherzo: Allegretto [9:23]
  3. In ricordo del grande Beethoven: Adagio [16:32]


L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Sonata per viola e pianoforte op. 147

Si tratta dell’ultima, commovente dichiarazione artistica di Šostakovič: completata poche settimane prima della morte e dedicata al violista Fëdor Družinin, questa composizione è un profondo viaggio introspettivo che riassume una vita di lotte, ricordi e, infine, di trascendenza.

Il primo movimento – che il compositore descrisse come una “novella” – si apre in modo enigmatico e quasi spettrale: la viola introduce il discorso con un arpeggio pizzicato, solitario e interrogativo, che vaga nell’aria come un pensiero sospeso. Questa scelta timbrica, che evoca l’inizio del Concerto per violino di Alban Berg, stabilisce immediatamente un’atmosfera di introspezione e fragilità. L’entrata del pianoforte non offre conforto, ma piuttosto una linea austera e quasi scheletrica, che si muove in un contrappunto scarno con la viola. La sezione centrale del movimento vede un aumento dell’agitazione e il dialogo si fa più denso e serrato, quasi a rappresentare il riaffiorare di ricordi più turbolenti. Tuttavia, la tensione non esplode mai completamente, ma si ripiega su sé stessa, ritornando alla desolazione iniziale. Il movimento si conclude come era iniziato, con il ritorno del tema pizzicato della viola, lasciando l’ascoltatore con un senso di quiete rassegnata, ma non di piena risoluzione.
Il secondo movimento cambia radicalmente atmosfera, catapultandoci in una danza grottesca e sardonica, tipica dello stile del compositore: basato su materiale proveniente dalla sua opera incompiuta I giocatori, questo Allegretto è uno scherzo macabro, pieno di energia frenetica e tagliente ironia. La viola è protagonista di una serie di tecniche percussive e aspre, come il colpo d’arco secco e i passaggi veloci e scattanti, che conferiscono al suono un carattere quasi scheletrico. Il pianoforte risponde con un accompagnamento ostinato e martellante, creando un ritmo incalzante che non lascia respiro. L’interazione tra i due strumenti è un gioco di inseguimenti e scontri, una parodia di una danza popolare che sembra costantemente sul punto di deragliare: non è una musica gioiosa, ma una risata amara, un commento sarcastico sulle follie della vita, eseguito con una lucidità quasi spietata.
Il finale, un Adagio, è il cuore emotivo e testamentario dell’opera: Šostakovič lo definì “luminoso e chiaro”, un omaggio a Beethoven che si trasforma in una profonda meditazione sulla vita, la morte e la memoria musicale. Il movimento si apre in un’atmosfera rarefatta, quasi ultraterrena, con il pianoforte che stabilisce un tappeto sonoro di accordi distanziati e risonanti, mentre la viola intona una melodia lunga, cantabile e infinitamente triste. Poi, emerge inconfondibile il celebre arpeggio della Sonata al chiaro di luna di Beethoven, non come una citazione diretta, ma come un ricordo lontano, un fantasma sonoro che aleggia sulla composizione: questo riferimento non è solo un omaggio, ma un ponte tra due epoche e due anime tormentate.
Da questo punto, il movimento si evolve in un incredibile flusso di coscienza musicale: Šostakovič intreccia frammenti tematici dei due movimenti precedenti con una serie di auto-citazioni dalle sue quindici sinfonie, creando un collage di memorie della sua intera vita creativa. L’ascoltatore non ha bisogno di riconoscere ogni singolo riferimento per percepire la portata di questo gesto, in quanto si parla di un compositore al termine della sua vita che guarda indietro, ripercorrendo il proprio cammino artistico con una lucidità struggente. Il movimento si spegne lentamente, con la viola che sale verso il registro acuto, fino a svanire in un pianissimo etereo. Le ultime note, sospese nel silenzio, non rappresentano una fine tragica, ma una sorta di ascensione, un passaggio verso un’altra dimensione: è la conclusione perfetta di un’opera che non è solo l’ultimo lavoro del compositore, ma il suo epitaffio musicale, un addio sereno e profondo al mondo e alla musica stessa.