Nascita dell’impromptu

Jan Václav Voříšek (1791 - 19 novembre 1825): 6 Impromptus per pianoforte op. 7 (c1816-22). Tamae Kawai.

  1. Allegro
  2. Allegro moderato [5:18]
  3. Allegretto [11:30]
  4. Allegretto [17:40]
  5. Allegretto [24:36]
  6. Allegretto [33:55]


L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Jan Voříšek: Il “Beethoven boemo” e l’eredità incompiuta del Romanticismo

Origini e formazione del genio boemo
Jan Václav Hugo Voříšek è stato un compositore, pianista, organista e direttore d’orchestra ceco, noto anche con il soprannome onorifico di “Beethoven boemo”. Nacque a Vamberk, in Boemia, figlio del direttore della scuola locale, nonché maestro del coro e organista. Il padre stesso fu il suo primo insegnante di musica, incoraggiandolo nello studio del pianoforte e assicurandogli una borsa di studio che gli permise di proseguire gli studi presso l’Università Carlo Ferdinando di Praga. Sebbene ammirasse la produzione mozartiana, egli si sentì maggiormente attratto e ispirato dalle correnti del Romanticismo incarnate da Ludwig van Beethoven.

L’ascesa professionale a Vienna
Nel 1813, Voříšek si trasferì a Vienna, formalmente per studiare giurisprudenza, ma con l’obiettivo primario di incontrare il suo idolo. Il desiderio si realizzò nel 1814, quando il giovane compositore ebbe un incontro con il maestro. Nella capitale asburgica, strinse amicizie e collaborazioni con figure centrali del panorama musicale dell’epoca, tra cui Louis Spohr, Ignaz Moscheles, Johann Nepomuk Hummel e in particolare Franz Schubert, con il quale sviluppò una profonda amicizia.
Voříšek completò gli studi di diritto nel 1822, ottenendo successivamente un incarico come praticante presso il consiglio militare di corte. Parallelamente, la sua carriera musicale fiorì rapidamente: nel 1818, divenne direttore della prestigiosa Società degli amici della musica, mentre nel 1822 ottenne la posizione di secondo organista presso la corte imperiale. L’anno seguente fu infine promosso a primo organista. Tra l’altro, divenne un apprezzato insegnante di pianoforte, annoverando tra i suoi allievi personalità di spicco dell’alta società, incluso Napoleone II, figlio di Napoleone Bonaparte e Maria Luisa.

La morte prematura e la sepoltura storica
Nonostante la promettente carriera e il successo ottenuto come compositore di musica orchestrale, vocale e pianistica, Voříšek si ammalò di tubercolosi. Un soggiorno curativo a Graz (Štýrský Hradec) nel 1824 non sortì purtroppo gli effetti sperati e il compositore morì a Vienna l’anno successivo, all’età di soli 34 anni. Fu sepolto nel cimitero di Währing, luogo che accolse anche le spoglie di Beethoven e di Schubert.

Il repertorio e l’innovazione dell’Impromptu
Voříšek è ricordato per la sua produzione, sebbene limitata dalla sua breve vita, di alta qualità e precocemente romantica. Compose un’unica sinfonia, in re maggiore (1821), caratterizzata da una ricca inventiva melodica e considerata un capolavoro del primo Romanticismo, venendo talvolta paragonata alle prime due sinfonie di Beethoven. Durante il suo incarico di organista di corte, compose invece la Messa solenne in si bemolle maggiore op. 24, un’opera celebrativa di pregevole fattura.

L’innovazione dell’Impromptu
Uno dei maggiori contributi di Voříšek alla storia della musica risiede nella sua opera per pianoforte: il primo uso documentato del termine musicale impromptu (un pezzo caratteristico a forma libera che suggerisce l’improvvisazione) risale al 1817 ed è collegato a una sua composizione. Fu la rivista Allgemeine musikalische Zeitung a utilizzare per la prima volta questo termine per designare un suo brano per pianoforte. Fu grazie al compositore che il genere in questione poté vedere la luce ed essere sviluppato e reso famoso da compositori come Schubert e Chopin.

Eredità postuma
Nonostante la sua breve vita, lo stile di Voříšek, con la sua tipica cantabilità pastorale boema, lasciò un segno profondo, influenzando direttamente i futuri giganti della musica nazionale ceca, in particolare Bedřich Smetana e Antonín Dvořák.

I Sei Impromptus op. 7
Contributo fondamentale al repertorio pianistico, queste brevi composizioni, scritte tra il 1816 e il 1822, non solo stabiliscono il genere dell’impromptu come pezzo caratteristico autonomo, ma rivelano anche un’originalità e una liricità che influenzeranno direttamente Schubert. L’intera raccolta è caratterizzata da una spiccata natura lirica, una ricchezza melodica di stampo boemo e una freschezza compositiva tipica dell’emergente sensibilità romantica.
Il primo brano, Allegro, in do maggiore, si presenta con una forma che ricorda il rondò o il tema con variazioni, ma con un carattere più libero e improvvisativo. Si apre con un tema principale energico e brillante, caratterizzato da accordi pieni e un ritmo vivace, tipico di una scrittura virtuosistica post-beethoveniana. L’uso di ampi arpeggi e figure scalari veloci stabilisce immediatamente un tono gioioso e tecnicamente impegnativo. Segue una prima sezione più lirica, in cui la melodia si addolcisce, pur mantenendo un accompagnamento ritmico serrato: questa parte, con i suoi salti di ottava e passaggi rapidi, mette in mostra l’agilità del pianista. Il ritorno del tema principale è subito seguito da un episodio contrastante, la cui tessitura più densa e le armonie più ricche richiamano esplicitamente il clima del primo Romanticismo viennese. Voříšek bilancia abilmente la chiarezza classica della forma con l’espressività romantica dell’armonia. La transizione verso la chiusura è rapida, riaffermando il carattere brillante e conclusivo del movimento.
Il secondo Impromptu, Allegro moderato, in sol maggiore, è lirico e sereno, e dimostra pienamente la predilezione di Voříšek per le melodie cantabili e le armonie raffinate. L’atmosfera è pastorale e sognante, evocata da una melodia dolce che si muove su ampi arpeggi e figure che creano un accompagnamento fluente. La scrittura è trasparente, quasi cameristica, e le dinamiche sono contenute. Si nota un uso frequente di fioriture e abbellimenti che aggiungono grazia alla linea melodica, mentre la progressione armonica è ricca, modulando verso tonalità correlate con facilità, mantenendo sempre la chiarezza strutturale. Una sezione centrale più energica introduce un contrasto drammatico attraverso un ritmo puntato e un registro più grave, sebbene la tensione non sia mai violenta. Questo momento di introspezione oscura offre un respiro prima del ritorno, purificato e intensificato, del tema iniziale. Il brano si conclude con una riaffermazione tranquilla del tema nella tonalità principale, svanendo progressivamente.
Il terzo Impromptu, Allegretto, in re maggiore, è di natura più drammatica e malinconica, sfruttando la malinconia intrinseca della tonalità. Voříšek esplora una tessitura più complessa, con figurazioni ritmiche ostinate che creano un senso di urgenza sottostante. La melodia, sebbene espressiva, è frammentata e più ritmica rispetto al pezzo precedente. Il ritorno del tema principale è trattato con maggiore intensità, mentre la coda finale è scura e rapida, concludendo il pezzo con energia e un senso di irrisolto.
Segue un Allegretto, in la maggiore, che ripristina l’atmosfera di brillantezza e leggerezza. Questo pezzo è marcatamente virtuosistico ed è caratterizzato da arpeggi rapidissimi che si estendono su tutta la tastiera, creando un effetto scintillante. L’abilità tecnica richiesta è notevole, con passaggi veloci e legati assai impegnativi. La struttura è basata sulla ripetizione e variazione di questo materiale brillante, mentre una sezione secondaria introduce un ritmo più incalzante e accordi leggermente più marcati, mantenendo il registro alto e luminoso. Il tema principale riappare, ma con fioriture virtuosistiche aggiunte, quasi a voler celebrare la libertà espressiva del pianista, mantenendo un’atmosfera decisamente positiva e serena. Il finale è un culminare di arpeggi che chiudono il pezzo con decisione.
Il quinto Impromptu, Allegretto, in mi maggiore, è forse il più profondamente lirico e schubertiano del gruppo. Il pezzo si distingue per la sua semplicità melodica e il calore armonico, focalizzandosi sull’espressione pura del sentimento. Il tema iniziale è un ampio canto affidato alla mano destra, sostenuto da un accompagnamento in arpeggi fluidi e legati che evocano tranquillità. La dinamica è spesso in piano, suggerendo un carattere intimo e contemplativo. Voříšek usa modulazioni armoniche sottili ma efficaci, che arricchiscono il flusso emotivo senza rompere l’equilibrio. Il contrasto centrale introduce un elemento di maggiore fervore, ma la velocità rimane moderata, mantenendo la musica concentrata sulla qualità espressiva piuttosto che sulla velocità. Il ritorno del tema è accompagnato da variazioni nella tessitura che ne intensificano la ricchezza emotiva. La conclusione è una dissolvenza progressiva, tipica del romanticismo nascente, lasciando un’impressione di quiete malinconica.
L’Impromptu finale, Allegretto, in si maggiore, è complesso e drammatico, fungendo da conclusione potente e meditativa per l’intera opera. Nonostante l’indicazione di tempo moderata, questo pezzo ha un peso emotivo significativo e inizia con un tema cupo e quasi marziale in do minore che mescola accordi potenti a passaggi veloci. La forma è elaborata, alternando sezioni drammatiche e lamentose con momenti di maggiore introspezione, mentre la mano sinistra gioca un ruolo cruciale nel definire il moto perpetuo e la tensione emotiva, spesso con ampi salti.
La modulazione alla sezione di contrasto porta un breve ma luminoso sollievo, con un tema che appare quasi come una preghiera. Tuttavia, il do minore torna presto con figure concitate. Un elemento distintivo del brano è il finale esteso e maestoso che costruisce la tensione armonica e dinamica in modo graduale. Invece di una conclusione puramente brillante, Voříšek offre un epilogo che combina la potenza del Classicismo (nell’uso delle scale complete e degli accordi) con la profondità emotiva del Romanticismo. L’Impromptu si conclude con un’ultima e decisa cadenza nella tonalità di impianto, lasciando un senso di drammaticità risolta.

I Sei Impromptus op. 7 di Voříšek rappresentano una tappa cruciale nella transizione stilistica tra Classicismo e Romanticismo. Il compositore mostra una padronanza della forma, ereditata da Mozart e Beethoven, ma la infonde con una vena melodico-armonica profondamente personale e lirica, che lo pone tra i precursori del linguaggio che Franz Schubert avrebbe poi esplorato ampiamente.
L’opera bilancia momenti di virtuosismo brillante con sezioni di profonda e malinconica interiorità, culminando nella gravità drammatica dell’ultimo pezzo. La sua influenza sul panorama musicale viennese dell’epoca, benché breve a causa della morte prematura, fu indiscutibile, consolidandone la fama di “Beethoven boemo”.