Il luppolo

Fryderyk Chopin (1810 - 17 ottobre 1849): Preludio in la minore op. 28 n. 2 (1831). Evgenij Kisin, pianoforte.

Questo Preludio è stato a lungo considerato la più problematica composizione di Chopin: per le arditezze armoniche dell’accompagnamento, per la staticità della melodia (quattro volte ripetuta con varianti quasi inavvertibili), per la sconsolata mestizia dell’insieme. «Nel Preludio in la minore Chopin supera la sua epoca di intere decine d’anni», osserva Józef Chomiński; e Casella vi scorge appunto un’impressionante analogia con il preludio alla seconda parte del Sacre du printemps di Stravinskij.
Si è riconosciuta nella desolata melodia del secondo Preludio la citazione di un canto rituale di nozze polacco, intitolato Chmiel (Il luppolo), sul quale Chopin improvvisò più volte in pubblico.

NB: salvo diversa indicazione, i testi inseriti negli articoli dedicati a Chopin nel presente blog sono tratti dal volume Chopin: Signori il catalogo è questo di C. C. e Giorgio Dolza, Einaudi, Torino 2001.

14 pensieri riguardo “Il luppolo

    1. The life of Polish peasants, you know, has never been particularly cheerful. Do you remember «Bydło», the 4th of Musorgsky’s Pictures at an Exhibition? It is the heavy and dark depiction of “a Polish cart on enormous wheels, drawn by oxen.”.
      Buona giornata, dear Ashley 🙂 🙋🏻‍♂️

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      1. Umm! I have known & worked with a few Polish people, but never, ever thought of them as dark & heavy or’ sombre’. Yes, I do know ‘Pictures at an Exhibition’, a brilliant piece but from memory, wasn’t he russian? (sorry, only lower case available for dictatorships).

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        1. Today it is certainly so, but in Chopin’s time the situation was very different; Poland was part of the russian empire, where serfdom was abolished in 1861.
          Yes, Mussorgsky was russian and, judging by his masterpiece Boris Godunov, he hated dictators 🙂

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  1. Buongiorno, caro Claudio, grazie di aver condiviso questo strano e macabro preludio di Chopin, davvero molto interessante 🙂

    Il pezzo fu composto da Chopin mentre era a Stoccarda nel settembre 1831, dopo che il musicista venne a sapere del fallimento dell’insurrezione polacca, stroncata dalle truppe russe. L’anno di composizione del brano è stato avvalorato dalla principessa polacca Marcelina Czartoryska, amica e confidente del compositore, la quale condivideva le sue stesse ansie e preoccupazioni per il futuro del suo paese.

    Questo Preludio è intriso del profondo stato di crisi emotiva provato da Chopin durante la Rivolta di Novembre, quando le speranze sue e dei suoi connazionali vennero a mancare, creando in lui disperazione e scoraggiamento.

    Per il suo carattere drammatico, dolente e desolato, nonché per le insolite innovazioni armoniche, troppo avanzate per la sua epoca, il brano non ha mai ricevuto la dovuta attenzione e, anzi, è stato fin dal principio osteggiato e denigrato da ascoltatori e critici.

    Tra gli altri, il musicologo Jan Kleczyński, connazionale di Chopin, arrivò ad affermare che “il preludio n° 2 non dovrebbe essere suonato”, mentre lo scrittore francese André Gide lo definì addirittura “terrificante”, dichiarando che non era “un pezzo da concerto” e che, tantomeno, “piacesse a nessun pubblico”.

    Il pessimismo del pezzo è stato anche espresso dal critico musicale Hunker, secondo il quale nel preludio “c’è un avversione alla vita”. Un’altra recensione negativa proviene dalla bocca del direttore d’orchestra, pianista e compositore tedesco Hans von Bulow il quale, in una didascalia intitolata Presentimento della morte, lo descrive come una specie di campana funebre, nonché come “l’inesorabile voce della morte”. Infine, il compositore Heinz Roemheld lo ha immaginato come l’interno di una casa piena di un'”atmosfera di morte”, nel film Il gatto nero (1934).

    Tutt’oggi, per la cattiva fama che il pezzo si è creato nei secoli, rimane il preludio meno eseguito di tutto il ciclo chopiniano.

    Nonostante le critiche, già Franz Liszt aveva capito come questo pezzo fosse intriso di una strana particolarità, sostenendo che “vi fosse qualcosa di aspro nella sua musica, espresso con l’arditezza delle armonie”, commento apparso anche sulla prestigiosa “Revue et Gazette Musicale de Paris”.

    Recentemente, però, la critica musicale ha rivalutato la composizione, arrivando a trasformare la più problematica opera del compositore polacco “in una vera e propria gemma, uno degli apici dell’intuizione musicale, la quale anticipa la concezione impressionistica della sonorità”.

    Come afferma il musicologo Józef Michał Chomiński nel suo testo Preludia Chopina (1950), questo pezzo integra una visione quasi profetica della musica futura, andando più avanti di diverse decine di anni, arrivando a superare la tonalità ed emancipando la dissonanza. Per questa sua portata così avanguardistica e per la miopia degli studiosi ottocenteschi, questo pezzo non avrebbe mai potuto trovare la giusta comprensione.

    Il brano, per il suo strano carattere e per la sua notevole innovazione tecnica, si discosta notevolmente non solo dagli altri preludi, ma anche dal resto della produzione chopiniana.

    L’aspetto melodico, una costante della musica di Chopin, non sembra quasi esistere, poiché si caratterizza per la sua frammentarietà e per l’assenza di sviluppo, strutturandosi in un’unica frase ripetuta variando il ritmo, non scomparendo nemmeno nella breve coda finale, nella quale si presenta accorciata e appena accennata.

    Le varie ripetizioni, scandite da marcate pause, contribuiscono a creare un clima di forte ansia, accentuato anche dal carattere asimmetrico delle stesse.

    Tutto ciò, unito a una potenzialità espressiva di grande intensità e dramma, provocò un grande disagio negli ascoltatori dell’epoca, i quali rimasero notevolmente più sconcertati della parte relativa all’accompagnamento.

    Quest’ultimo si caratterizza per un continuo susseguirsi di ottave diminuite, dall’effetto quasi stridente, una formula mai utilizzata fino ad allora nella letteratura musicale. Considerando anche l’ambiguità armonica (dovuta a una tonalità principale che si manifesta poco dopo la metà del pezzo) e l’utilizzo di sonorità languenti, sfaldate e dure, il quadro verso un nuovo utilizzo del suono è ora completo.

    Le innovazioni chopiniane non si riducono ai singoli pezzi, ma anche a intere raccolte, come nel caso dei 24 Preludi, op. 28, i quali furono concepiti come un’opera unitaria contenente varie miniature, utilizzabili come introduzione per altri pezzi musicali o essere percepite come composizioni indipendenti.

    Con questa sua idea, Chopin sfidò le convinzioni coeve che sminuivano il valore delle miniature musicali, in quanto la musica romantica si avvaleva di programmi allegati e di velati riferimenti a composizioni note per trasmettere i propri messaggi.

    Fin da sempre, il compositore polacco espresse il suo disprezzo per questi mezzi tanto che, nel corso di tutta la sua vita, rimase sempre fermo nella sua posizione di non scrivere mai un pezzo di musica a programma, non concependo l’idea di unire messaggi extramusicali a composizioni strumentali, soprattutto se queste opere fossero le sue.

    Tuttavia, Chopin non fu totalmente immune dalle citazioni: il critico musicale Anatole Leikin, nel suo articolo Chopin’s A-Minor Prelude and Its Symbolic Language, evidenzia come il canto piano Dies Irae risuoni in tutto il brano. Più in generale, i critici Robin Gregory e Malcolm Boyd sostengo un uso più generale di questo pezzo come citazione in varie composizioni profane scritte tra il XIX e il XX secolo, avvalorando le tesi di Leikin.

    Una prima citazione abbozzata dell’inizio del celebre canto è udibile nella parte iniziale della linea di basso, la quale suona una variante delle prime quattro note del Dies Irae. Con uno studio superficiale, ci si accorge che nessuna delle due voci di accompagnamento contenga qualche riferimento ma, a uno sguardo più approfondito, risulta evidente che la nota superiore di ogni intervallo dispari e la nota inferiore di ogni intervallo pari formano la linea melodia Si – La diesis – Si – Sol.

    Questo motivo è ripetuto a diversi livelli di altezza nel corso del preludio all’interno della linea di basso, ma anche la melodia affidata alla mano destra presenta alcuni riferimenti a questo canto medievale, poiché le prime due frasi seguono una discesa a gradini che ricorda molto da vicino il canto originale.

    Nell’introduzione della linea affidata alla mano destra, Chopin ha spostato la nota più grave della terza discendente (irae) di un semitono verso il basso. Successivamente, la voce più acuta introduce la continuazione del canto (dies illa), nell’ambito della quale la nota più grave della seconda terza viene abbassata di un semitono.

    Entrambi questi espedienti tecnici seguono una ragione armonica – conformandosi alla triade di Mi minore – e impiegano una tecnica di scrittura tonale-risposta, nella quale alcune note della voce imitante vengono spostate di un grado verso il basso.

    La conclusione del pezzo, infine, viene affidata a una melodia simile alla seconda e terza frase del Dies Irae.

    Secondo la concezione romantica, l’irriconciabilità tra melodia e armonia rappresenta il modo con cui il compositore polacco inscena un più ampio e macrocosmico conflitto di opinione tra le convenzioni classiche e la rivoluzione romantica, premendo a favore di quest’ultima.

    La struttura melodica del pezzo omaggia le esigenze classiche, attraverso il concetto di ripetizione tematica e di variazione, mentre la struttura armonica è completamente estranea al classicismo, anzi quasi anticlassica, poiché la normale relazione melodia-armonia è invertita, in quanto la dissonanza non è più coerente grazie alla subordinazione dell’armonia sottostante, mentre l’armonia ha perso la sua coerenza per la sua sottomissione alla dissonanza.

    Altre citazioni fanno riferimento alle immagini di morte e disintegrazione evocate dal preludio, contenute nel testo del Dies Irae (“Il mondo si dissolverà in cenere”) e presenti anche nell’opera del poeta preferito di Chopin, Adam Mickiewicz (“La morte ha spaccato la casa d’argilla”).

    I riferimenti non terminano qui, poiché nel pezzo è possibile ritrovare una citazione diretta alla Marche funebre (1826) di Chopin, in particolare guardando alle prime tre frasi melodiche del preludio, le quali si concludono con una ripetizione ritmica puntata della stessa tonalità della Marcia.

    Nonostante i toni fortemente dissonanti e disarmonici, il pezzo è un ascolto ancora interessante, proprio perché riempie l’ascoltatore di timore per l’unica vera certezza della vita, cosa che Chopin capì benissimo fin dal principio. Lo stesso pensiero fu condiviso più tardi dal compositore russo Aleksandr Nikolaevič Skrjabin il quale, dopo aver suonato il suo Preludio, basato su quello di Chopin, disse all’amico Leonid Sabaneev un laconico “Questa è la morte…”.

    Buona giornata e a presto!

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  2. Finalmente proponi un pezzo che conosco già, e bene, del mio amatissimo C.! È già stato scritto tutto da te e da chi mi ha preceduto: la cupezza di
    fondo e l’arditezza dissonante di certi passaggi sono i tratti distintivi di questo pezzo. Che a me piace.

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  3. Non l’ho trovato né terrificante né intriso di morte. Per me ha anche la sua dolcezza pur essendo di grande tristezza e desolazione. Come se il compositore tenesse di non aver più “parole” per esprimere lo strazio per il fallimento della rivolta di liberazione del suo popolo.
    Meraviglioso e ti ringrazio tanto per questa perla donata.

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