Sogni d’inverno

Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840 - 1893): Sinfonia n. 1 in sol minore op. 13, Sogni d’inverno (1866). hr-Sinfonieorchester, dir. Paavo Järvi.

  1. Sogni di un viaggio d’inverno: Allegro tranquillo [0:23]
  2. Terra desolata, terra di brume: Adagio cantabile ma non troppo [12:09]
  3. Scherzo: Allegro scherzando giocoso [23:07]
  4. Finale: Andante lugubre – Allegro maestoso [31:00]

Felice solstizio 🎉 ❄️ 🎄

13 pensieri riguardo “Sogni d’inverno

  1. Buongiorno, buon solstizio e buon sabato, caro Claudio, grazie mille di aver portato questa meravigliosa sinfonia, un’esecuzione a dir poco stupefacente!😊

    Questo lavoro fu la prima opera orchestrale del compositore a raggiungere un successo duraturo e testimonia l’influenza di famosi compositori come Schumann e Mendelssohn sul compositore russo. In questa sinfonia, si intravedono anche i primi tratti musicali distintivi del futuro Čajkovskij, ossia l’incomparabile ricchezza melodica, il lirsmo raffinato e poetico e la mirabile orchestrazione.

    Dopo il diploma al Conservatorio di Pietroburgo nel 1866, a soli 25 anni, Čajkovskij si trasferì presso il neonato Conservatorio di Mosca per ricoprire la cattedra di armonia, invitato dal suo direttore Nikolaj Rubinstein.

    Già nel mese di marzo, il compositore iniziò a scrivere questa sinfonia, la quale sarebbe diventata la sua principale preoccupazione per il resto dell’anno. Non si sa nulla delle prime fasi della composizione, se non che agli inizi del mese di maggio procedeva “lentamente”.

    Suo fratello Modest affermò che nessun altra opera causò a Čajkovskij più fatica e sofferenza di questa e la tensione nervosa che si andava accumulando minò ben presto la salute del compositore, il quale iniziò a dormire male e a soffrire di attacchi nervosi sempre più forti.

    Lo stato d’animo del Čajkovskij di questo periodo è ottimamente espresso da una lettera indirizzata al fratello Anatolij, datata 7 maggio, nella quale scrive:

    “I miei nervi sono di nuovo completamente fuori controllo. Le ragioni sono le seguenti:

    1) difficoltà a comporre la sinfonia;

    2) Rubinstein e Tarnovski, accorgendosi della mia permalosità, passano il tempo a farmi arrabbiare;

    3) il pensiero sempre presente che presto morirò senza aver avuto il tempo di completare la mia sinfonia.

    Aspetto l’estate e la Kamenka come una terra promessa. Da ieri ho smesso di bere vodka, vino e tè forte. Odio l’umanità e vorrei ritirarmi in un deserto. Ho già prenotato il biglietto del pullman per il 22 maggio…”.

    Contrariamente ai suoi programmi, però, non riuscì a trascorrere l’estate con la sorella e il cognato in Kamenka ma, nonostante ciò, riuscì a trascorrere lo stesso i mesi di giugno e luglio con i suoi cari, in una dacia affittata dai due, non lontana da San Pietroburgo.

    Durante la sera, il compositore si dedicava a suonare il pianoforte e, in questo contesto riposante, la sua salute ne giovò. In una lettera alla sorella Anna Davydova, datata 19 giugno, scrisse: “Ho iniziato l’orchestrazione della mia sinfonia; la mia salute è in perfette condizioni, tranne che recentemente ho passato una notte insonne perché ho lavorato troppo a lungo”.

    Ben presto, però, il compositore iniziò a soffrire di attacchi nervosi – sia di giorno che di notte – e questi divennero così allarmanti da dover necessitare l’intervento di un medico, il quale affermo che Čajkovskij era “a un passo dalla follia” e dubitò della sua guarigione.

    Tra l’altro, il compositore soffriva di intorpidimento delle estremità corporee e di allucinazioni particolarmente spaventose e ciò lo portò alla decisione di non lavorare più di notte per tutto il resto della sua vita. Accanto a ciò, iniziarono a comparire accessi di terrore e insopportabili pulsazioni in testa (chiamate “martelletti” dal compositore).

    Alla fine di agosto, Čajkovskij fece ritornò a San Pietroburgo, con la partitura ancora incompleta. Era febbricitante di sentire il giudizio dei suoi ex insegnanti, Anton Rubinstein e Nikolaj Zaremba, su ciò che aveva scritto finora. I due, però, espressero un giudizio altamente critico, rifiutando il lavoro e la sua esecuzione a un concerto della Società Musicale Russa. La delusione fu massima e, in una delle sue lettere, il compositore apostrofa senza mezzi termini i suoi ex insegnanti come “furfanti”.

    Il 3 settembre, il compositore si spostò a Mosca per riprendere l’insegnamento al conservatorio cittadino. A causa di ciò, dovette interrompere i lavori sulla sua sinfonia, anche perché Nikolaj Rubinstein gli commissionò un’Ouverture per l’Inno Danese, in occasione della visita dello Zarevič (il figlio dello zar) e della moglie danese. Il 24 novembre, l’ouverture fu completata e il compositore ritornò sulla sua sinfonia.

    Durante le vacanze natalizie, Čajkovskij ritornò a San Pietroburgo per risentire nuovamente i suoi ex insegnanti e, sebbene l’Adagio e lo Scherzo fossero stati accolti meglio (ma non entusiasticamente), l’intera sinfonia fu giudicata indegna di essere eseguita in pubblico.

    Nikolaj Rubinstein eseguì la prima dello Scherzo durante un concerto della Società Musicale Russa il 22 dicembre a Mosca ma, secondo la testimonianza del fratello Modest, senza riscuotere grande entusiasmo.

    Un’altra esecuzione (stavolta includente l’Adagio) si ebbe il 23 febbraio 1867 a San Pietroburgo e, secondo il fratello Anatolij, “gli applausi furono soddisfacenti anche se non ci fu alcun bis per il compositore”. Anche la stampa cittadina, nelle vesti di un certo “A.D.” ebbe da ridire sull’accoglienza non molto calorosa, affermando che “[la sinfonia] ha meriti innegabili. È melodiosa al massimo grado e molto ben strumentata”.

    Solo il 15 febbraio 1868, durante un concerto della Società Musicale Russa a Mosca, la sinfonia conobbe la sua prima esecuzione integrale, sempre sotto la direzione di Nikolaj Rubinstein, dedicatario della composizione.

    Stavolta, il compositore fu molto contento perché la sua sinfonia fu “un grande successo, soprattutto l’Adagio” e lo stesso parere giunse da un amico del compositore, tal Kachkine, il quale ebbe a dire che “l’accoglienza del pubblico fu così calorosa che superò persino le nostre speranze”.

    Nonostante il grande successo ottenuto, la sinfonia scomparve dalle sale da concerto e bisognerà aspettare l’1 dicembre 1883 – quasi quindici anni dopo – per vederla nuovamente eseguita in pubblico, stavolta sotto la direzione di Max Erdmannsdörfer.

    Questa seconda esecuzione ne consacrò il successo definitivo, mobilitando addirittura la stampa, con la prima pagina del Russian News del 2 dicembre che celebrava il grande evento proclamando che “Questa è una sinfonia autenticamente russa. Si sente in ogni battuta che potrebbe essere stata scritta solo da un russo. Il compositore ha voluto dare un contenuto puramente russo a questa forma sviluppata all’estero”.

    Čajkovskij, però, fu molto critico nei confronti del suo lavoro e, alla fine del concerto, si ritrovò a dire: “Ero presente al concerto della Società Musicale in cui è stata suonata la mia sinfonia, che non veniva eseguita da sedici anni. Mi hanno chiamato in scena con molto entusiasmo e ciò è stato per me piacevole, e lusinghiero, ma allo stesso tempo estremamente penoso…”

    Più avanti, ritratto la sua posizione in una lettera all’amico Karl Albrecht, affermando di avere “un debole per questo peccato della cara gioventù”.

    Non contento dell’approvazione generale ottenuta, nel 1874 Čajkovskij revisionò la sinfonia per produrne una versione definitiva. Le modifiche includono alcuni piccoli tagli nel secondo movimento e nel finale e la sostituzione della prima parte del secondo tema nel primo movimento con una sezione totalmente nuova, “più generosa nel suo lirismo e più ricca nella sua colorazione tonale”.

    L’anno successivo, in una lettera all’amico editore Jurgenson per ringraziarlo della stampa a sorpresa fatta per il suo compleanno, Čajkovskij riassumeva il faticoso percorso del suo lavoro (oltre a rimproverare l’amico per i numerosi errori di stampa): “La Prima Sinfonia è stata scritta nel 1866. Su consiglio di Nikolaj Grigor’evic” [Rubinstein], ho fatto alcuni cambiamenti prima dell’esecuzione e in questa versione è stata eseguita nel 1868. Ma in seguito ho deciso di sottoporla a una revisione radicale. Ad ogni modo, non l’ho fatto prima del 1874″.

    Nonostante la sua genesi travagliata, la sinfonia rimase nel cuore del compositore fino ai suoi ultimi giorni, come testimoniano le righe scritte alla sua mecenate Nadezhda von Meck in una lettera del 1883: “Sebbene per molti aspetti rimanga evidentemente immatura, alla fine ha più sostanza e si dimostra molto più riuscita di molti dei miei lavori successivi”.

    Prima ancora, dopo aver visitato la donna, il compositore le scrisse una lettera, risalente al settembre 1878, nella quale afferma di aver notato un quadro che, a suo giudizio, era “quasi come un’illustrazione del primo movimento della mia Prima Sinfonia. Il quadro rappresenta una larga strada d’inverno. È bello!”

    Il soprannome della sinfonia non si deve al periodo della sua composizione – avvenuta tra la primavera e l’autunno del 1866 – ma alle reminiscenze invernali del compositore del viaggio da San Pietroburgo a Mosca e del suo soggiorno sulle isole Valaam, nella parte nord-occidentale del lago Ladoga.

    Il lavoro è indubbiamente anche un omaggio di Čajkovskij a Mendelssohn, un compositore da lui ammirato per la sua capacità di descrivere un paesaggio e la bellezza della natura in musica.

    Secondo il critico Hoffmann, la prima sinfonia è un espressione di “molto sogno, ma poco inverno, almeno poco inverno della natura (…) ma un inverno dell’anima (…) in cui trionfa una malinconia diffusa, molto russa”.

    Se si trattasse o meno di musica a programma, non ci è dato saperlo con certezza ma, in una lettera del compositore all’amico compositore Sergej Taneev, ritroviamo scritto:“Certo, la mia sinfonia ha un programma, ma è tale che è impossibile formularlo a parole. Sarebbe ridicolo e avrebbe un effetto comico. Ma la sinfonia non dovrebbe essere la più lirica di tutte le forme musicali? Non dovrebbe esprimere tutto ciò per cui non ci sono parole, ma che sgorga dall’anima e che vuole essere espresso?

    Il primo movimento, nella tonalità di Sol minore e in tempo 2/4 – presenta un sapore poetico e ricrea una certa atmosfera fiabesca, tipica dei successivi balletti di Čajkovskij. È strutturato in forma sonata e, ben presto, si sviluppa con una certa violenza, evocando visioni di una folata di vento.

    Il primo tema, lirico e gioioso, è esposto dal flauto e dal fagotto all’unisono a distanza di due ottave, creando una sensazione di freddo e di vuoto, con accompagnamento del dolce tremolo dei violini, simboleggainte il morbido movimento della slitta.

    Questo tema è in netto contrasto con il secondo – più melodico, dolce e sereno – esposto dal clarinetto. Lo sviluppo, invece, presenta momenti di intensificazione dinamica e vari climax, prima dell’arrivo della ripresa del tema iniziale nella sua forma originale.

    Tra i due temi, appare un motivo cromatico discendente che, esposto primariamente dai legni, assomiglia a un tintinnio mentre, dopo il passaggio agli archi, diventa più inquieto. Il motivo viene poi ripreso interamente da altri strumenti, evolvendosi in sonorità piene e trionfali.

    I tre temi vengono riproposti a turno da vari gruppi strumentali, con richiami a distanza, prima del climax finale.

    Il secondo movimento, nella tonalità di Mi bemolle maggiore e in tempo 4/4, inizialmente sembra discostarsi dal suo sottotitolo, in quanto riprende il tema dell’ouverture La tempesta per il dramma di Ostrovskij, incentrato sulle aspirazioni della sua protagnonista all’amore e alla vera felicità. Il tema, però, non è esposto nella sua forma originale, ma in forma modificata, poiché è suonato solo dagli archi e, tra l’altro, anche molto più lentamente.

    Segue una successione di melodie, secondo le parole della critica “piene di lirismo e fascino, molto caratteristiche di Čajkovskij, magnificamente orchestrate e che mostrano molti degli elementi che le renderanno il loro habitat naturale nelle partiture dei suoi balletti”. L’intreccio dei temi è diretto “a creare l’impressione di un movimento essenzialmente monotematico, sostenuto per intero da mezzi principalmente melodici”

    Da segnalare anche la presenza “di un canto malinconico di un uccello perso nella steppa [che] risuona in lontananza più volte e la nebbia avvolge la terra e l’animo del viaggiatore”.

    L’apertura è affidata a una specie di quartetto d’archi, mentre il primo tema viene esposto dall’oboe, sostenuto da flauto e fagotto. Dopo un cambiamento di tempo, si uniscono i violoncelli e il tema assume un carattere più malinconico. Dopo un ritorno al tempo precedente e a una serie di variazioni, si arriva a un improvviso accordo degli archi, seguito dall’arrivo dei due corni che eseguono il tema in “fortissimo, marcando la melodia con molta espressione”.

    Dopo un continuo crescendo che porta a un climax, il tutto si interrompe e ritorna il quartetto d’archi iniziale, sostenuto dal contrabbasso. Questo quartetto, con le sue sonorità, ben rappresenta l’immagine della bruma e della cupezza del paesaggio russo.

    Il terzo movimento, nella tonalità di Do minore e in tempo 3/8, è l’orchestrazione dello Scherzo della Sonata per pianoforte in Do diesis minore (1865), trasposta di un semitono. Le modifiche rispetto al lavoro originale sono poche, esplicitandosi nel cambiamento delle quattro battute iniziali e in alcune battute inserite prima della ripresa del tema principale. Tuttavia, il trio originale è stato sostituito da un valzer, probabilmente il primo in versione orchestrale scritto da Čajkovskij.

    La critica vede in questo brano un ammaliante balletto di fiocchi di neve, con la ripetizione dello schema ritmico oppure una farandola di fantasmi, accompagnati da abbellimenti stravaganti e misteriosi dell’orchestra.

    Questo movimento, a differenza dei due precedenti, non ha indicazioni programmatiche e segna la fine del viaggio invernale. Il tema principale – una serie di accordi affidati prima ai legni e poi agli archi – sfocia in un elegante valzer. La conclusione è affidata una coda, nella quale l’assolo dei timpani segue in pianissimo lo schema ritmico della mazurka.

    L’ultimo movimento è nella tonalità di Sol maggiore e in tempi di 4/4 e di 2/2, diviso in cinque parti (Andante lugubre – Allegro moderato – Allegro maestoso – Andante lugubre – Allegro vivo). Complessivamente, è in forma sonata e si basa sulla canzone popolare russa Jeune fille, je m’en vais semer (“Giovane ragazza, vado a seminare”), la quale introduce il movimento e il secondo tema.

    Nella seconda parte, si ha un passaggio al modo maggiore, prima di passare alla terza parte più vitale e dinamica, culminante in una grande e brillante apoteosi, “una festa piena di brio e di colori che Glinka non avrebbe disconosciuto”.

    Il “programma” del movimento riflette pienamente l’andamento di una grande festa popolare, ipotesi avvalorata dalla presenza della canzone sopra menzionata e dall’ingresso massiccio di diversi ottoni (trombe, tromboni, tuba, piatti, grancassa, ecc.).

    Alcuni temi del movimento sono stati successivamente utilizzati dal compositore nella sua Cantata per l’inaugurazione dell’Esposizione Politecnica (o Cantata per il 200° anniversario della nascita di Pietro il Grande).

    Buona giornata e a domani!

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  2. Auguri a tutti, soprattutto al nostro benemerito blogger. Questa orchestra dimostra che non è indispensabile la chioma svolazzante del direttore né il solito eccesso di retorica russo-triste per suonar bene certi pezzi.

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