4 pensieri riguardo “Élan

  1. Buongiorno, caro Claudio, grazie mille di aver portato questo delizioso pezzo per violino e violoncello 😊

    Zatti viene ricordata come una delle poche compositrici che seppe coniugare l’amore per la famiglia, composta dal marito Amelio Cicuttini e dalle quattro figlie, con la sua grande passione per la musica, alla quale si dedicò inizialmente come esecutrice e poi come compositrice autodidatta.

    Nata a Casarsa della Delizia, in provincia di Pordedone, nella famiglia del medico Carlo Zatti e della maestra elementare Ada Bortolazzi. La madre, in particolare, proveniva da una famiglia padovana e aveva un nonno di origini veneziane appassionato di musica e di arte, il quale trasmise anche a lei questi interessi che, a sua volta, furono passati alla figlia.

    I primi anni della giovane furono segnati da diversi problemi di salute, in quanto nata sottopeso e prematura. Ebbe difficoltà a crescere nei primi mesi, con preoccupazioni della madre riguardanti l’allattamento e la crescita. Anche negli anni successivi, la salute di Zatti rimase cagionevole, come testimoniano i carteggi del padre.

    All’età di dieci anni, Zatti espresse il desiderio di suonare il pianoforte e fu l’unica tra i suoi fratelli a dedicarsi alla musica, mentre gli altri studiavano all’università. Nel 1941, iniziò a studiare privatamente pianoforte con Wanda Malipiero, figlia di un secondo cugino del famoso compositore italiano. Renata fu la prima allieva di Wanda e questo permise di creare un’amicizia duratura fra le due.

    L’anno successivo, come da lei desiderato, la famiglia decise di regalarle un pianoforte nel giorno del suo compleanno, in modo che la giovane potesse esercitarsi anche al di fuori delle lezioni.

    Il 5 novembre 1943, Zatti iniziò a frequentare l’Istituto Musicale “Cesare Pollini” di Padova e fu subito notata dai professori per la sua notevole disposizione per il pianoforte. Il suo insegnante di strumento fu il maestro Tiberio Tonolli, il quale la lodò sempre per la sua bravura e la incoraggiò a fare sempre meglio.

    Nonostante i risultati positivi ottenuti, la giovane confidò al suo diario di essersi sempre sentita in una certa maniera inadeguata nella sua preparazione musicale, pur essendo molto attratta dalla musica.

    Tra l’altro, le sue esibizioni ai saggi di classe furono sempre assai apprezzate e, dopo un suo saggio nel giugno 1949, un giornalista sottolineò addirittura la sua disciplina e musicalità, lodando la sua tecnica lineare e sicura. All’ultimo anno di conservatorio, un giornalista della Gazzetta di Padova (14 maggio 1952) elogiò un’altra sua esibizione, evidenziando le sue doti naturali e la solida preparazione nell’eseguire lo Scherzo op. 31 di Chopin e lo Studio da concerto di Pick-Mangiagalli.

    I primi anni di studio al conservatorio furono segnati dalla Seconda Guerra Mondiale e la famiglia di Zatti fu costretta a trasferirsi temporaneamente in una casa in affitto a Mandria, vicino a Padova nel gennaio 1944, a causa della situazione pericolosa in città. Nonostante le difficoltà, la famiglia cercò sempre di mantenere un ambiente sereno per i figli e la giovane poté sempre continuare a dedicarsi alle sue abitudini borghesi. Il 15 giugno 1952, infine, Zatti conseguì il diploma in pianoforte.

    Sembrava che la sua carriera fosse orientata all’insegnamento e all’attività esecutiva, in quanto tre anni prima del diploma aveva iniziato a lavorare come insegnante presso l’Istituto Santa Dorotea di Padova e, nel 1953, si offrì anche di preparare un amico di famiglia, il futuro musicologo Pierluigi Petrobelli, a preparare l’esame di pianoforte complementare al conservatorio.

    Tuttavia, una lettera del 23 settembre 1952 rivela una sorta di rifiuto verso lo strumento, forse dovuto alla stanchezza accumulata per l’esame di diploma. La vita della Zatti, a questo punto, prese un’altra direzione e ciò la fece allontanare temporaneamente dalla carriera concertistica.

    L’anno precedente, la giovane aveva conosciuto Amelio Cicuttini, uno studente di ingegneria chimica all’Università di Padova. I due si fidanzarono ufficialmente nel 1952 e si sposarono l’anno successivo. Amelio iniziò a lavorare presso la Società FRAGD a Castelmassa sul Po, in provincia di Rovigo e Zatti lo seguì.

    A partire da questo momento, la vita della compositrice divenne strettamente connessa alla carriera professionale del marito, riflettendo una tradizione culturale secondo la quale la moglie seguiva il marito. La carriera di Amelio, infatti, portò la famiglia a viaggiare molto, dapprima stabilendosi negli Stati Uniti, poi a Zurigo e a Buenos Aires e, infine, a Bruxelles, dove vissero a partire dal 1968.

    Durante il periodo a Castelmassa, Zatti ebbe quattro figlie e, negli anni successivi, si dedicò alla loro educazione alla musica e all’arte. Di conseguenza, fu costretta a lasciare il pianoforte a casa negli anni della permanenza negli Stati Uniti, lasciandolo inutilizzato anche dopo il ritorno in Italia fino al 1960.

    Stabilitasi a Bruxelles, la compositrice poté riprendere attivamente lo studio dello strumento e della musica da camera con Jenny Solheid presso il locale conservatorio. La nuova insegnante riconobbe subito il potenziale di Zatti e la incoraggiò a dedicarsi anche alla composizione. La donna accolse il consiglio e iniziò a sottoporle i suoi primi abbozzi compositivi. Negli anni successivi, ella ringraziò la docente per averla guidata verso “la purificazione, la chiarezza, la fortezza, con amore”.

    A partire dagli anni Settanta, la donna si avvicinò da autodidatta alla composizione, sviluppando uno stile tonale libero con armonie e melodie piacevoli. Nonostante non riuscì ad autosostenersi tramite la composizione e a non vincere i numerosi concorsi ai quali partecipò, Zatti continuò a dedicarsi con entusiasmo alla musica. La sua prima produzione fu caratterizzata da pezzi per pianoforte, in quanto era lo strumento che conosceva meglio e che le era più caro.

    Tra i suoi primi lavori, si ricorda Clementina, definito dalla stessa Solheid rappresentativo del pianismo tradizionale e di un dramma chiaramente espresso.

    Successivamente, studiò organo per due anni (1977-1978) e si diplomò in musica da camera (1984) come pianista con André Martin, concentrandosi sullo studio e sull’esecuzione della musica colta.

    Nel 1983, invece, iniziò una nuova fase compositiva per nuovi organici, scrivendo pezzi come Giardini di Cnosso per fagotto e controfagotto. Nello stesso anno, ella iniziò a parlare di sé come compositrice, come testimonia una lettera al nipote Carlo.

    L’anno successivo, la sua pratica compositiva si basò su suggestioni provenienti dalla lettura di testi, poesie e riflessioni, creando una specie di “musica a programma” che perdeva il testo nella versione finale. In questo periodo, intensificò anche il progetto “Invenzione musicale”, una riflessione sulla musica, sulle forme, sulla composizione e sulle estetiche musicali iniziato nel 1981, il quale avrebbe portato alla stesura di uno scritto dedicato all’avvicinamento alla composizione musicale.

    Sempre nel 1984, dopo aver superato un esame all’Accademia di Boitsfort, Zatti inviò un biglietto alla violoncellista Jeannine Foubert menzionando l’esecuzione della sua Berceuse funèbre per violoncello, violino e pianoforte, la quale gli diede la forza di continuare a comporre.

    Nel 1986, invece, intraprese seriamente lo studio del violoncello con Chantal Tilmant van Rode presso l’Accademia Woluwe Saint Pierre, frequentando i corsi per molto tempo fino al diploma nel giugno 2000. Questo nuovo percorso fu motivato dal desiderio di conoscere meglio le possibilità espressive degli strumenti ad arco.

    In questo periodo, la sua attività compositiva rallenta a causa di eventi familiari importanti, come il raggiungimento dell’età pensionabile del marito e la grave malattia dei genitori.

    Tuttavia, riuscì a scrivere il pezzo Le vautour (1987) dove, per la prima volta, impiegò la voce, su testi della poetessa Marie Noël, nei quali vedeva un riflesso della propria esistenza. Nel luglio dello stesso anno, scrisse anche Interludio per violoncello e pianoforte, un pezzo didattico che segnò il ritorno alla scrittura per i suoi strumenti.

    Nello stesso periodo, la compositrice si prese una pausa compositiva, a causa dell’inizio dell’attività didattica della figlia Ada. Nonostante le varie difficoltà, Zatti intensificò il lavoro sul suo progetto e, nel 1988, cercò senza successo di pubblicare il suo testo Invenzione musicale.

    Nel 1990, Zatti riprese fortemente a comporre e, tra i vari pezzi, scrisse Cordata per pianoforte, con dedica al nipote Sebastiano Schavoir. Nello stesso periodo, iniziò anche a collaborare con la giovane flautista Chiara Dolcini, la quale la incoraggiò a scrivere diversi brani per flauto solo o con pianoforte o arpa, organici che si ritrovano nella sua ultima produzione.

    L’anno successivo, la compositrice revisionò Immagine per flauto solo, in collaborazione con Dolcini. Il legame con il pianoforte rimase costante, tanto che spesso l’ispirazione veniva da questo strumento.

    Durante la seconda metà degli anni Novanta, alcune figure furono importanti per la sua vita musicale, ossia il marito (divenuto liutaio nel 1995 e con il quale collaborava nella realizzazione degli strumenti), la sua ex insegnante van Rode (la quale la incoraggiava continuamente), Dolcini (principale interprete dei suoi pezzi) e Fontyn (sua mentore e punto di riferimento, la quale le suggerì addirittura di scrivere una sinfonia e di sviluppare il suo talento per la polifonia lineare, pur giocando più liberamente con il ritmo).

    Nel 1996, la compositrice scrisse limitatamente, a causa di problemi di salute, tuttavia continuò la sua collaborazione con il marito e con la Dolcini.

    L’anno successivo, Zatti rivide il pezzo Ars amata prima (1989) per flauto e pianoforte mentre, nel 1998, continuò a studiare con costanza il violoncello, informando la sua insegnante dei progressi raggiunti e dei nuovi lavori realizzati, come il quartetto La madre del pellicano ed Élan per violino e violoncello. In una lettera a Fontyn, ella espresse la sua ricerca di libertà fisico-morale, in modo da dedicarsi alla composizione senza sensi di colpa.

    Dal 1999 al 2003, la sua attività musicale si intensificò e, accanto all’ottenimento del diploma in violoncello, si impegnò attivamente per stabilire contatti con associazioni di compositrici, come Frauenmusik Forum Schweiz e Suono Donne di Milano, al fine di diffondere le sue composizioni.

    Nel 1999, scrisse anche pezzi religiosi come Maria Rosa Mistica, Ti guardo Mario e A mani vuote, ispirati a una scultura dell’amico Karl Lucas Honneger. Seguirono pezzi per arpa, come il brano Serenissima, dedicato all’arpista Alessandra Trentin.

    L’anno seguente, si definì come una “compositrice essenzialmente autodidatta, con occasionali contatti con maestri di fama internazionale”, descrivendosi come “un insieme di fragilità e forza, amante e selettiva del suono”, considerando la composizione il fattore principale della sua vita musicale. Nello stesso anno, ella terminò il pezzo Il tuo sguardo per flauto solista, ispirato a una poesia di Margherita Guidacci.

    Nel 2001, invece, continuò le sue collaborazioni con Dolcini e Trentin e scrisse nuove opere, come Dove la luce per violino e arpa – ispirato a una poesia di Giovanni Sato e destinato a un concorso -, realizzando anche una trascrizione per violoncello e pianoforte di Élan, intitolata Nouvel Élan, per un esame della figlia Alessandra. Iniziò anche a scrivere Namaskar per flauto in Sol, flauto in Do, voce, campanelli e posture yoga, dedicato alla Dolcini.

    Nel 2002, scrisse Formella per voce recitante e percussioni e trasformò l’ultimo movimento di Silenzio / Passato / Solo i pesci per unico esecutore su idea della Dolcini. Lavorò anche a Controluce per arpa sola insieme alla Trentin e, su invito dell’editore Eurarte, scrisse 8 piccoli ensembles per strumenti melodici, chitarra e pianoforte, traendo ispirazione da schizzi infantili delle sue figlie.

    Negli ultimi anni, nonostante la diagnosi di una malattia polmonare, continuò la sua intensa attività musicale, fino a quando la morte non la portò via il 4 settembre 2003, circondata fino all’ultimo dalla famiglia.

    Compositrice atipica e profondamente appassionata, Zatti si sviluppò artisticamente in una maniera assai singolare, influenzata dal suo trascorso personale e familiare.

    La sua formazione non convenzionale, estranea a un percorso accademico in composizione e basata su solidi studi strumentali, ha contribuito molto a influenzare la sua scrittura, accanto all’esperienza pedagogico-musicale con le figlie. Tutto questo è stato un ottimo terreno per la sua seguente attività compositiva, vista come strumento utile alla ricerca di significato esistenziale.

    Sarebbe riduttivo etichettare Zatti come una semplice dilettante, nonostante non sia riuscita ad avere l’indipendenza economica tramite la composizione. Anche la sua partecipazione (spesso infruttuosa) ai concorsi non è considerata una garanzia di padronanza del mestiere, ma un aspetto secondario rispetto alla sua intima necessità espressiva.

    La sua posizione anomala le consentì di instaurare un rapporto insolitamente diretto con il materiale sonoro e la sua retorica, svincolandosi parzialmente dalle tendenze stilistiche contemporanee. A ciò, hanno contribuito la sua condizione di moglie e madre e l’avvicinamento “tardivo e, per certi versi, ingenuo” all’idioma modernista.

    Zatti riuscì sempre a far prevalere la sua passione per la musica sul desiderio di carriera o su altri egoismi e questo si vede nel suo frequente ritorno sui propri lavori, con revisioni minuziose rivolte alla ricerca di perfezionamento e a una sostanziale indifferenza alla produttività fine a sé stessa. Questa “distillazione lenta” del suo fare compositivo la collocano in una posizione singolare nel panorama musicale contemporaneo.

    La sua produzione è profondamente intrecciata con la vita familiare e non vede la sua famiglia come un ostacolo, ma come parte di fecondi rapporti “professionali”. I familiari sono da lei descritti come interlocutori che sollecitavano riscontri al suo lavoro, nella convinzione che il linguaggio musicale dovesse garantire una comprensibilità universale e una “criticabilità” ampia e nativa.

    Stilisticamente, la sua musica si avvicina a una “metafisica del quotidiano”, permeata da una religiosità intensa e riservata. Le testimonianze post-mortem evidenziano un “autentico fervore per la creazione musicale”, spesso celato sotto la normalità del vissuto quotidiano. I suoi appunti – frammenti di vita quotidiana misti a riflessioni musicali – offrono uno spaccato della sua esistenza divisa tra impegni domestici e composizione.

    Nonostante la dedizione e l’ottima qualità della sua musica, Zatti ottenne uno scarso riconoscimento ufficiale durante la sua vita ma, negli ultimi anni, riuscì a vedere la sua musica eseguita e apprezzata, come testimoniato dai vari contatti con musicisti e dalle sue partecipazioni concorsuali.

    Il suo Élan (termine francese che suggerisce slancio, impeto o spirito) fu, forse, iniziato nel 1998 e poi concluso l’anno seguente. Del pezzo, esiste anche una versione alternativa per flauto e violoncello. Il brano è dedicato alla flautista Marie-Claude Buffenoir (che ne curò la revisione e la trascrizione per il suo strumento) e alla violoncellista Chantal Tilmant van Rode, insegnante della stessa compositrice. La parte violinistica, invece, fu revisionata da André Martin.

    Il pezzo, appartenente al periodo compositivo maturo di Zatti, riflette un certo interesse della stessa per l’esplorazione timbrico-tecnica degli strumenti, unito a una grande sensibilità melodica. Lo stile dell’opera viene spesso descritto come una reminiscenza di altri suoi pezzi per flauto e violoncello dei primi anni Novanta.

    Alcuni, come la compositrice Jacqueline Fontyn nel parlare dello stile generale di Zatti, menzionano la presenza in quest’opera di “forze ataviche e forze nuove”, unite in una “polifonia lineare” con “fresche colorazioni timbriche affini alle scelte della nuova musica consonante”. Questo suggerisce un idioma che, pur esplorando sonorità contemporanee, potrebbe mantenere legami con elementi tradizionali o cantabili.

    La scelta del duo violino-violoncello permette un dialogo intimo e, allo stesso tempo, virtuosistico (la compositrice stessa ha indicato questo pezzo come “difficile”).

    In una lettera alla Fontyn, Zatti descrisse il suo approccio per Élan con queste parole: “Ovviamente ho cercato di scrivere suoni armonici, pollice [posizione del pollice per il violoncello], glissandi, vari pizzicati, ponticello ma anche chiamate melodiche e qualche bravo accordo…”

    Questo evidenzia una ricerca timbrica specifica, orientata alla creazione di sonorità eteree e peculiari (suoni armonici), al raggiungimento di registri acuti e all’esplorazione di diverse possibilità tecniche (posizione del pollice sul violoncello), alla creazione di effetti di scivolamente e di collegamento tra le note (glissandi), all’esplorazione delle diverse modalità di pizzicamento delle corde (vari pizzicati) e a ottenere suoni aspri e ricchi di armonici acuti (suonare vicino al ponticello).

    In più, la presenza di “chiamate melodiche” e di “qualche bravo accordo” indica anche un’attenzione a una più definita dimensione melodico-armonica. La versione per violino, a differenza di quella per flauto, richiede allo strumento di suonare dei bicordi in alcuni passaggi, per sfruttare le capacità polifoniche di questo strumento ad arco.

    Il metro prevalente è il 9/8, un tempo composto suggerente un carattere danzante o fluttuante. Un metro di 3/4, invece, caratterizza l’introduzione e il finale, creando un certo contrasto ritmico.

    La Zatti, nella sua lettera a Fontyn, descrive la ritmica del pezzo come qualcosa che “si spinge fuori dal dentro e così facendo muta da sola”. Questa frase enigmatica suggerisce una concezione organica del ritmo, forse con irregolarità, cambiamenti di impulso o spinte interne che ne determinino lo sviluppo. Il metro prevalente di 9/8 supporta questa idea di flusso ritmico complesso e articolato.

    Nonostante l’enfasi tecnica, la presenza di “chiamate melodiche” suggerisce una certa presenza del materiale tematico, mentre la “polifonia lineare” indica un certo e chiaro contrappunto tra le due voci strumentali.

    L’armonia, pur includendo dissonanze, viene definita da Fontyn affine alla “nuova musica consonante” suggerendo che non si tratti di un pezzo atonale radicale, ma pieno di punti di riferimento armonici o momenti di maggiore consonanza.

    Nel complesso, il pezzo è espressivamente carico, con contrasti tra momenti più lirici o melodici e altri più tesi, frammentati o focalizzati sul timbro e sull’effetto sonoro. La Zatti considera l’uso di tecniche moderne quasi un obbligo per la sua musica (usa il termine “ovviamente”), indicando una volontà di aderire a un certo idioma modernista, pur mantenendo la propria voce.

    Buona giornata e a domani!

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