Due per Stravinskij

Igor’ Stravinskij (1882 - 6 aprile 1971): Concerto per 2 pianoforti (1935). Vladimir Aškenazij e Andrej Gavrilov.

  1. Con moto
  2. Notturno: Adagietto [5:30]
  3. Quattro variazioni:
    • Variazione 1 [10:47]
    • Variazione 2 [12:01]
    • Variazione 3 [12:47]
    • Variazione 4 [14:00]
  4. Preludio [15:06] e Fuga [16:26]

IFS

9 pensieri riguardo “Due per Stravinskij

  1. Buongiorno e buona domenica, caro Claudio, grazie mille di aver condiviso questo ipnotico concerto per due pianoforti, un’interpretazione davvero fantastica! 😊

    Il concerto fu scritto da Stravinsky tra il 1931 e il 1935, un periodo pienamente appartenente alla sua fase neoclassica. Fu la prima opera del compositore a essere scritta dopo essere diventato cittadino francese e, insieme alla Sonata per due pianoforti, è oggi considerato una delle maggiori composizioni pianistiche di questa fase.

    Nei primi mesi del 1931, Stravinsky si spostò da Nizza a Voreppe per passarvi solo l’estate e, invece, vi rimase tre anni, affascinato dalla bellezza e dalla tranquillità di questa località. Qui, in autunno, incominciò la gestazione dell’opera, la quale fu interrotta diverse volte per iniziare altri pezzi (come il Duo concertante e Perséphone) per, infine, concludersi il 9 novembre 1935.

    L’opera fu concepita a scopo pratico, in quanto il compositore desiderava un pezzo di ampio respiro da eseguire in concerto con il figlio Sviatoslav Soulima, valente pianista, anche in luoghi privi di orchestra. Questa intenzione influenzò decisamente la scelta dell’organico (due pianoforti soli, senza orchestra) e, con tutta probabilità, anche il dialogo virtuosistico tra le due parti.

    Per facilitare la scrittura della composizione e “sentire” come interagissero fra di loro i due strumenti, Stravinsky si fece costruire dalla Pleyel uno speciale pianoforte doppio, formato da due triangoli incastrati. Su questo strumento, riuscì a terminare il concerto provandolo poco per volta con il figlio.

    Lo stile di questo concerto è inequivocabilmente neoclassico, non solo per la ricerca di una chiarezza formale e per il recupero di forme di stampo classico-barocco (variazioni, fuga ed elementi sonatistici), ma anche per la scrittura contrappuntistica assai rigorosa, la grande vitalità ritmica e un trattamento decisamente percussivo dello strumento.

    In questo lavoro, il compositore ampliò le possibilità strumentali fino a rasentare una polifonia “sinfonica” di grande densità sonora, ammettendo candidamente che esso fosse “sinfonico sia nei volumi che nelle proporzioni.

    Stravinsky stesso, nell’introdurre la prima esecuzione dell’opera (avvenuta il 21 novembre 1935 a Parigi alla Salle Gaveau per l’Université des Annales, con lui e il figlio Soulima come interpreti), sottolineò l’originalità di questo “concerto” senza orchestra, mettendo in risalto l’elemento competitivo (il “concertare”) tra i due pianoforti, trattati alla stessa maniera.

    Sue queste parole: “La storia conosce, tutto sommato, poche opere per due pianoforti senza orchestra. Quanto a concerti per due pianoforti, non ne esistono, che io sappia”. (Come poi sostenne Casella, Stravinsky ignorava i Concerti per due tastiere di Bach).

    Tra l’altro, per ricostruire un’opera fedele al passato, il compositore si immerse nello studio delle variazioni e delle fughe di Beethoven e di Brahms durante la composizione.

    Anche la scelta di titoli in lingua italiana per indicare i movimenti del concerto riflette un’esigenza di fedeltà storica, poiché l’Italia è stata la culla di molte forme musicale adottate da Stravinsky nell’opera e la lingua italiana era diventata la lingua principe della terminologia musicale in tutto il continente europeo per indicare tempi, dinamiche e tipi di movimento e usare titoli italiani era un modo diretto per evocare questo passato musicale.

    Il primo movimento presenta elementi della forma-sonata (presenza di centri tonali e della ripresa), sebbene rielaborati alla maniera stravinskiana. Questa parte è dominata da una grande energia motoria, basata su note e accordi ribattuti, scale e una scrittura decisamente percussiva. La sezione centrale introduce elementi quasi jazzistici su un ostinato del basso. L’interazione tra i due strumenti è davvero serrata, quasi una contesa virtuosistica.

    Il secondo movimento ha un carattere più lirico e cantabile del precedente, con una melodia ornata che ricorda lo stile settecentesco, ma non priva di influenze armoniche moderne e con un finale quasi sfacciato (“Cocktail sass”). Stravinsky immaginò la parte del primo pianoforte come “una ballerina rappresentata da un clavicembalo”. Il compositore, inoltre, specificò che il titolo non andasse inteso nel senso romantico, ma più vicino alla Nachtmusik del Settecento, come una musica “dopocena” o un intermezzo leggero.

    Il terzo movimento è costituito da un tema (in realtà il soggetto della fuga del movimento finale) e da quattro variazioni, le quali esplorano diverse velocità, registri pianistici (con linee melodiche spostate in diverse ottave) e tecniche virtuosistiche, come note in ottava martellanti e passaggi velocissimi. In particolare, l’ultima variazione presenta un tipico ostinato stravinskiano, basato su un intervallo di terza (Sol e Si♭)

    Dapprima, Stravinsky volle orchestrare questo movimento, ma alla fine vi rinunciò, preferendo mantenerlo per soli due pianoforti per l’esecuzione con il figlio. Anche l’ordine dei movimenti fu oggetto di ripensamento, poiché inizialmente le variazioni erano destinate a seguire la fuga, ma successivamente il compositore le antepose per dare maggior peso conclusivo all’accordo finale della fuga.

    L’ultimo movimento inizia con un solenne preludio lento e accordale, seguito da una fuga a 4 voci basata sul tema precedente. Essa è seguita da una coda che rielabora il materiale tematico anche per inversione. Una voce aggiuntiva in note ribattute collega ritmicamente questa parte al primo movimento.

    Stravinsky era davvero fiero di questa fuga, da lui considerata uno degli apici della sua produzione strumentale. Il finale è davvero potente, con un accordo fortissimo e dissonante e un accordo più piano e consonante (anche se sembra che il compositore, successivamente, avesse espresso il desiderio di omettere quest’ultimo accordo). La struttura di questo movimento, con la ripresa libera del preludio e l’inversione della fuga, sembra ispirata al finale della Sonata op. 110 di Beethoven.

    Nel complesso, questo pezzo si rivela intellettualmente stimolante e tecnicamente brillante, esplorando le potenzialità del duo di pianoforti in chiave anti-romantica, oggettiva e formalmente rigorosa, pur mantenendo una forte carica espressiva attraverso il ritmo e il virtuosismo.

    In particolare, l’armonia fa uso di una tonalità allargata e di massicce dissonanze, nonché della bitonalità e di armonie non funzionali tradizionali, senza trascurare la chiarezza delle linee melodiche anche nei passaggi più aspri. Il ritmo, invece, è piuttosto complesso e cangiante e si basa su ostinati, sincopi e precisione metronomica, in uno stile “macchina da cucire”.

    Buona giornata e a domani!

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