Quel cor è mio

Sigismondo d’India (c1582 - 19 aprile 1629): Felice chi vi mira, madrigale a 5 voci (dal Primo Libro de madrigali a 5 voci, 1606, n. 6) su testo di Battista Guarini. La Venexiana, dir. Claudio Cavina.

Felice chi vi mira,
Ma più felice chi per voi sospira;
Felicissimo poi
Chi sospirando fa sospirar voi.

Ben hebbe amica stella
Chi per donna sì bella
Puù far content’in un
L’occhi e ‘l desio
E sicuro può dir:
«Quel cor è mio».

12 pensieri riguardo “Quel cor è mio

  1. Buongiorno e buon sabato, caro Claudio, grazie mille di aver portato questo delizioso madrigale, una interpretazione davvero meravigliosa! 😊

    d’India viene oggi ricordato come importante continuatore della tradizione monteverdiana, operante fra il Tardo Rinascimento e il primo Barocco.

    Nato a Palermo, non si ha alcuna notizia né sulle sue origini né sulla sua formazione professionale, anche se si ritiene che abbia studiato a Napoli.

    Alcune informazioni sulla sua vita, però, sono fornite da lui stesso nelle sue raccolte stampate. Per esempio, nella prefazione alle Musiche da cantar solo I Libro (1609), nel quale si legge che “…insino dalla fanciullezza mi procurai di conversare con huomini intelligenti della Musica, et da suoi dotti discorsi imparare ciò che desideravo sapere sì del comporre a più voci, come del cantar solo…”

    Si sa anche che, agli inizi del Seicento, si recò in varie città italiane, facendosi conoscere nelle corti più famose, come quella di Mantova, dove sicuramente conobbe Monteverdi. Qui realizzò anche la sua prima raccolta stampata, Il I Libro dei Madrigali a 5 voci (1606), dedicata a Vincenzo Gonzaga.

    Due anni più tardi, d’India si spostò a Napoli, dove diede alle stampe Il I Libro di villanelle a tre voci (1608), dedicato al viceré J. A. Pimentel. Tra il 1608 e il 1609, invece, si divise tra Roma e Firenze.

    Nella capitale italiana, il compositore conobbe l’abate Odoardo Farnese, dedicatario del IV Libro dei Madrigali a 5 voci. A Firenze, frequentò la casa di Giulio Caccini, a cui fece conoscere i propri pezzi, cantati dai migliori cantanti dell’epoca, fra lui Francesca, la figlia di Caccini.

    Nel capoluogo toscano, d’India prese parte ai festeggiamenti organizzati per il matrimonio di Cosimo de’ Medici con Maria Maddalena d’Austria e, nello stesso periodo, fece pubblicare la raccolta di monodie Musiche da cantar solo I Libro. In esso, sono anche presenti alcuni pezzi a più voci, probabilmente destinati a intermedi musicali per varie commedie.

    Nel 1610, d’India si recò presso i duchi di Parma e Piacenza, partecipando ai festeggiamenti per la nascita del figlio Alessandro, occasione per la quale scrisse una canzonetta. All’evento, fece anche la conoscenza del cardinale Maurizio di Savoia, al quale dedicò i Novi Concentus Ecclesiastici.

    L’anno successivo, fu forse a Venezia per curare con l’editore Gardano la stampa de Il II Libro dei Madrigali a 5 voci, dedicato a Francesco Malaspina. Nello stesso anno, precisamente il 1° aprile, si spostò a Torino per lavorare come maestro della musica da camera al servizio di Carlo Emanuele I di Savoia.

    La permanenza presso i Savoia inaugurò il periodo compositivo più fertile del compositore che, tra il 1612 e il 1621, diede alle stampe varie raccolte, quali Il 2° Libro delle Villanesse, il 2°, 3° e 4° Libro delle Musiche monodiche, il 4° e 5° Libro dei Madrigali a 5 voci e Le Musiche e Balli (quest’ultimo considerato il sesto libro dei madrigali).

    Nel 1622, invece, d’India si allontanò temporaneamente dalla corte “per suoi affari” e, durante questo periodo, molti musici di corte ordirono un complotto ai suoi danni, in quanto mal sopportavano la posizione di privilegio raggiunta dal compositore. Questo comportò l’abbandono definitivo della città da parte di d’India nel maggio dell’anno successivo, in favore probabilmente di Venezia o Roma.

    Nell’ottobre del 1623, tuttavia, il compositore si recò a Modena alla corte di Alfonso d’Este, rimanendo qui per circa un anno. Durante questa breve permanenza, d’India realizzò L’Ottavo Libro dei Madrigali a cinque voci, dedicati a Isabella d’Este e fatti pubblicare a Roma lo stesso anno.

    Dal 1624 al 1626, il compositore fu a Roma presso il cardinale Maurizio e, salvo un breve soggiorno modenese, egli rimase nella capitale fino a poco tempo prima della morte. Nel suo ultimo anno di vita, si recò nuovamente a Modena, dove morì.

    Eccellente compositore, nella sua produzione polifonica seppe coniugare i grandi modelli italiani con il nuovo stile monodico. Fu anche un dotato cantore e questo gli permise di conoscere ampiamente la voce, alla quale diede grande importanza nei suoi pezzi vocali. Anche in ambito sacro non fu da meno, scrivendo semplici mottetti nello stile polifonico della scuola romana.

    Accanto a ciò, d’India dimostrò un eccellente talento per la poesia, scrivendo tutti i testi dei brani del Libro V delle musiche a una voce (1623) e alcuni di quelli del IV Libro delle musiche monodiche (1621). Pubblicò, infine, alcuni versi in importanti raccolte musicali dell’epoca, come la Recreatione Armonica (1611) di Francesco Anerio e i Concerti Accademici (1629) di Dionisio Bellante.

    Il suo madrigale Felice chi vi mira è un ottimo esempio del suo stile compositivo di transizione ed è basato su una poesia amorosa di ispirazione petrarchesca, la quale esplora i temi dell’ammirazione, del desiderio e della felicità nell’amore corrisposto. Il pezzo è diviso in due parti, una pratica comune per i madrigali basati su testi lunghi o presentanti un cambio di tematica o tonalità.

    L’opera è prevalentemente nella tonalità di Sol minore [1] e ciò viene confermato dall’ampio utilizzo di accordi tipici della tonalità minore (Sol minore, Do minore e Re maggiore come dominante), ma anche dall’impiego di accordi appartenenti alla tonalità relativa maggiore (Si bemolle maggiore) e alla sua dominante (Fa maggiore).

    Il compositore fa un uso espressivo della dissonanza, sebbene in maniera controllata rispetto ad altri suoi lavori più “sperimentali”. Si notano ritardi e note di passaggio che creano tensione e rilascio, spesso in corrispondenza di parole cariche emotivamente.

    Le linee melodiche, assai cantabili, sono subordinate all’armonia e all’espressione testuale e si muovono prevalentemente per gradi congiunti, con salti per dare enfasi o delineare l’armonia. Evidente anche l’uso di melismi su parole chiave per sottolinearne il significato, un tipico esempio di madrigalismo.

    Il metro è 4/4, mentre il ritmo ha una certa flessibilità, seguendo da vicino la prosodia del testo. Si alternano valori più lunghi (semibrevi e minime) per momenti di stasi o enfasi e valori più brevi (semiminime e crome) per sezioni più animate o per illustrare concetti come il sospiro. L’interazione ritmica tra le voci crea un certo interesse e complessità, specialmente nei passaggi imitativi.

    Il pezzo inizia prevalentemente con una scrittura omofonico-accordale, con le voci [2] che si muovono insieme con chiarezza, presentando il tema iniziale della felicità nel contemplare l’amata. Poco dopo, la tessitura diventa maggiormente imitativa, con le voci che entrano in successione creando un dialogo. Il ritmo si anima leggermente e inizia a essere introdotta gradualmente l’idea del “sospirare”.

    L’armonia, salda nella tonalità di impianto, è relativamente semplice e consonante, riflettendo la serenità del “felice mirar” (progressione i – iv – V – i). Le note lunghe (semibrevi e minime) conferiscono un senso di calma e di contemplazione. Si può osservare una modulazione ad aree vicine (Do minore) e l’introduzione di semiminime.

    Dopo un ritorno a una scrittura più accordale per enfatizzare la parola “felicissimo”, si ha una cadenza in Fa maggiore.

    Segue una elaborata sezione con una tessitura marcatamente polifonica e imitativa, nella quale le parole “sospirando” e “sospirar” sono trattate con melismi e crome, dipingendo musicalmente l’atto del sospirare e l’affatto del sospiro. Le voci si intrecciano fittamente, creando non solo un effetto di eco e di intensificazione emotiva, ma suggerendo anche la propagazione dei sospiri. La sezione si conclude su un accordo in Sol minore.

    L’armonia è molto attiva e impiega dissonanze come ritardi e note di passaggio per accrescere la tensione emotiva legata all’atto del sospirare.

    La seconda parte inizia più pacatamente e riflessivamente della prima, con le voci che entrano in imitazione con un andamento più calmo e note più lunghe. La tessitura si sviluppa gradualmente e l’armonia rimane relativamente consonante per esprimere la sensazione di bellezza e di contentezza. Le entrate imitative continuano ad arricchire il discorso musicale.

    Segue una sezione più sicura e slanciata, caratterizzata da una scrittura sempre contrappuntistica, ma con le linee melodiche convergenti verso l’affermazione finale. Verso la fine, la scrittura diventa decisamente omofonico-accordale, con la ripetizione della frase “Quel cor è mio” e l’uso di pause per aumentare l’enfasi. La cadenza finale in Sol maggiore (cadenza piccarda) suggella il sentimento di possesso felice e sicuro.

    d’India usa magistralmente il contrasto tra omofonia (per chiarezza testuale ed enfasi) e polifonia imitativa (per sviluppo musicale ed espressione di emozioni complesse come il sospirare o l’intreccio di pensieri). L’interazione vocale è ben bilanciata, creando una sonorità piena e ricca tipica del madrigale tardo-rinascimentale.

    Molta attenzione è posta nella traduzione musicale del significato e dell’affetto testuali, con l’uso di armonie chiare e andamento scorrevole (“Felice”), ritmi frammentati, melismi, imitazione serrate e armonie più tese (“Sospiro”), armonie consonanti e andamento piacevole (“Bellezza”, “Contentezza”) e, infine, omofonia, ritmo deciso e cadenza finale in maggiore (“Sicurezza”, “Quel cor è mio”).

    Nel complesso, il pezzo mantiene la ricchezza contrappuntistica del madrigale rinascimentale, integrandovi una maggiore attenzione alla declamazione testuale, un uso più libero e mirato della dissonanza a fini espressivi e una più chiara direzionalità armonica, elementi tipici del primo Barocco e della monodia accompagnata.

    Note:

    [1] Nonostante l’armatura di chiave presenti un solo bemolle (Si) suggerendo la tonalità di Fa maggiore, l’armonia suggerisce chiaramente la tonalità di Sol minore. Non si tratta di un errore, ma di una stretta adesione alle convenzioni notazionali musicali del periodo, ancora influenzate dal precedente sistema modale.

    Il Sol minore, infatti, è strettamente correlato al modo Dorico trasposto su Sol (Sol-La-Sib-Do-Re-Mi♮-Fa♮-Sol). Si può notare come il sesto grado di questa scala sia innalzato (Mi naturale invece di Mi bemolle) rispetto alla scala minore naturale moderna e richiede solo il Si bemolle in chiave. I compositori dell’epoca preferivano usare armature di chiave più semplici di quelle attuali, aggiungendo le alterazioni necessarie nel corso del brano.

    [2] La scrittura madrigalistica dell’epoca era spesso a 5-6 (o più) voci, andando oltre le quattro voci standard. L’aggiunta di una quinta voce prevedeva la denominazione di “Quinto” o “Quintus”, il cui registro poteva variare in base alle esigenze compositive.

    Buona giornata e a domani!

    Piace a 2 people

commenti