Concerto scozzese

Sir Alexander Mackenzie (1847 - 28 aprile 1935): Concerto per pianoforte e orchestra op. 55, Scottish (1897). Steven Osborne, pianoforte: BBC Scottish Symphony Orchestra, dir. Martyn Brabbins.

  1. Allegro maestoso
  2. Molto lento [9:54]
  3. Allegro vivace [19:14]

6 pensieri riguardo “Concerto scozzese

  1. Buongiorno e buon inizio di settimana, caro Claudio, grazie mille di aver condiviso questo possente concerto, un’interpretazione davvero meravigliosa! 😊

    Mackenzie viene oggi ricordato per essere stato uno dei padri del “Rinascimento Musicale Britannico” [1] nel tardo XIX secolo, accanto a Hubert Parry e a Charles Villiers Stanford.

    Nato a Edimburgo nella famiglia del violinista Alexander Mackenzie e di sua moglie Jessie Campbell, il giovane si fece presto notare per il suo precoce talento musicale tanto che, già all’età di otto anni, suonava tutte le sere nell’orchestra paterna.

    La sua formazione musicale avvenne in Germania, dapprima studiando privatamente pianoforte e composizione con August Bartel e poi al conservatorio (1857-1861), dove ebbe come insegnanti K. W. Ulrich (violino) ed Eduard Stein (teoria musicale). Al termine di questa prima fase di studi, Mackenzie iniziò a lavorare come violinista presso l’Orchestra Ducale.

    L’anno successivo, il giovane si iscrisse alla Royal Academy of Music di Londra, dove studiò con Prosper Sainton (violino), Charles Lucas (armonia) e Frederick Bowen Jewson (pianoforte). Durante questo periodo, Mackenzie lavorò come musicista nelle orchestre di teatro e di music hall, così come in concerti classici.

    Questo, talvolta, lo portò a trascurare i suoi studi tanto che, in un’occasione, non avendo preparato un pezzo per un esame di pianoforte, egli si mise a improvvisare – “iniziando in La minore e avendo cura di terminare nella stessa tonalità” – convincendo gli esaminatori che si trattava di una composizione poco conosciuta di Schubert.

    Ritornato a Edimburgo nel 1865, il compositore iniziò a lavorare intensamente come insegnante, sia privatamente che nei college locali e, cinque anni più tardi, ottenne la nomina a responsabile della musica presso la St. George’s Charlotte Square. Nel 1873, invece, divenne direttore della Scottish Vocal Association, impegnandosi in parallelo anche in una vivace attività esecutiva.

    A causa dei numerosi impegni, la salute di Mackenzie iniziò a deteriorarsi e, di conseguenza, fu costretto a rallentare. Dopo alcuni mesi di riposo, però, ritornò a comporre a tempo pieno. Decise di stabilirsi a Firenze, dove rimase fino al 1888, a eccezione di un breve soggiorno inglese (1885).

    Durante questo periodo, egli trascorse molto tempo in compagnia di Liszt e iniziò a scrivere diversi pezzi strumentali, orchestrali e corali, nonché due opere liriche.

    Nel 1888, Mackenzie fu nominato preside della Royal Academy of Music e, sotto il suo mandato, l’istituto ritornò al suo vecchio splendore. Egli si impegnò a rinnovare i piani di studio e a riorganizzare il corpo docente, oltre a insegnare appassionatamente composizione e a dirigere l’orchestra studentesca.

    Nei suoi ultimi anni da preside, Mackenzie divenne marcatamente conservatore, proibendo ai suoi studenti di suonare la musica cameristica di Ravel, da lui considerato “un’influenza pericolosa”.

    Tra il 1892 e il 1899, invece, il compositore fu direttore della Royal Choral Society e della Philarmonic Society Orchestra, dirigendo le prime britanniche di molte composizioni, incluse sinfonie di Čajkovskij e di Borodin.

    Come il padre, Mackenzie si interessò molto alla musica popolare, producendo diverse raccolte di arrangiamenti di canzoni tradizionali scozzesi. Nel 1903, volendo studiare anche la canzone popolare canadese, si recò in Canada con il musicista Charles Albert Edward Harriss.

    La sua visita stimolò la vita culturale del paese e si tennero varie competizioni di festival corali in tutto il Canada, con la fondazione di undici nuove società corali. In più, il compositore stesso diresse diversi concerti durante la sua permanenza nel paese, contribuendo alla diffusione della musica britannica del periodo.

    Mackenzie fu considerato un musicista cosmopolita, tanto da guadagnarsi l’elezione alla carica di presidente dell’International Music Society (1908-1912). Fin dai suoi primi tempi come orchestrale a Edimburgo e Birmingham, inoltre, incontrò e divenne amico di vari musicisti internazionali, come Clara Schumann, Joseph Joachim, Charles Gounod e Antonín Dvořák.

    La sua produzione musicale annovera 90 composizioni, scritte in uno stile “cosmopolita e antiquato, mostrando influenze di compositori francesi e tedeschi, come Bizet, Gounod, Schumann e Wagner”.

    Tra le sue composizioni cameristiche, si ricordano un trio con pianoforte, un quartetto d’archi e un quartetto con pianoforte mentre, in ambito orchestrale, si segnalano l’ouverture Cervantes (1877), tre Rapsodie Scozzesi, un concerto per violino, un concerto “Scozzese” per pianoforte (1897), la suite London Day by Day (1902) e la Rapsodia Canadese (1905).

    Fu anche autore di musiche di scena per sei drammi, tra i quali Ravenswood e The Little Minister di J. M. Barrie. Scrisse anche varie opere liriche originali – come Colomba (1883), The Troubadour (1886), The Cricket on the Hearth (1914), The Eve of St. John (1924) – e due opere quasi complete, The Cornish Opera e Le Luthier.

    Da segnalare, infine, due monografie – una su Verdi (1913) e una su Liszt (1920) – e un libro di memorie, A Musician’s Narrative (1927).

    Il suo Concerto per pianoforte e orchestra “Scozzese” si inserisce pienamente nel periodo tardo-romantico e nel cosiddetto “Rinascimento Musicale Britannico”. L’opera fu dedicata a una sua cara amica, Angelina Goetz.

    Come suggerisce il titolo, Mackenzie attinge consciamente al materiale melodico-ritmico e al carattere della musica popolare della sua terra natale, integrandolo nella struttura formale del concerto romantico. La scrittura pianistica è decisamente virtuosistica, in linea con la tradizione concertistica del tempo.

    Il primo movimento è nella tonalità di Sol maggiore e segue una forma-sonata modificata, con un’ampia introduzione orchestrale, una complessa sezione di sviluppo e una ricapitolazione insolita, culminante in una cadenza fungente da ponte verso il movimento successivo.

    L’inizio è affidato a un tema vigoroso e maestoso presentato dall’orchestra, di carattere quasi marziale e caratterizzato da accordi pieni e ritmi puntati. Dopo una breve transizione modulante, il pianoforte entra in modo drammatico e virtuosistico con una specie di introduzione rapsodica in forte, presentando materiale di collegamento ricco di arpeggi, ottave spezzate e passaggi cromatici, subito stabilendo l’abilità tecnica richiesta.

    Il secondo tema è nella relativa minore (Mi minore) e ha un carattere più leggero e danzante, marcato “pianissimo staccato sempre”. Questo nuovo materiale, di sapore folcloristico e simile a una giga, presenta un ritmo insistente e un profilo melodico semplice, venendo sviluppato con leggere variazioni e con il dialogo orchestrale.

    Il terzo tema, infine, è nella dominante della relativa minore (Si maggiore) e viene presentato dal pianoforte. Marcato “dolce piano espressivo”, è una melodia cantabile e di sapore romantico, evocativa di una ballata scozzese. L’orchestra riprende frammenti e, dopo una sezione di accelerando sempre e crescente, si arriva a una potente conclusione dell’esposizione in fortissimissimo.

    Lo sviluppo inizia subito dopo la cadenza conclusiva dell’esposizione. Si tratta di una sezione ampia e complessa che rielabora materiale tematico precedente, in particolare il motivo ritmico dell’Allegretto e la melodia dell’Andantino. Armonicamente instabile, esso esplora varie tonalità.

    La scrittura pianistica, assai virtuosistica, presenta passaggi in ottave, arpeggi veloci, accordi densi e rapide scale. Vi è anche un serrato dialogo tra solista e orchestra.

    Ritorna brevemente il carattere dell’Allegretto e dell’Andantino, stavolta in un contesto di sviluppo e di intensificazione (accelerando molto e crescente). La conclusione è affidata a una sezione potente che sfocia in una cadenza, molto virtuosistica e basata sul materiale tematico già esposto, che conduce alla ripresa.

    Si ha un ritorno al tema principale nella tonalità di impianto, con una maggiore partecipazione del pianoforte (fortissimo marcato sempre). Segue una virtuosistica sezione con materiale di collegamento che conduce alla ricapitolazione dei temi secondari. Questa avviene attraverso una breve fioritura pianistica marcata “Cadenza”, la quale sembra più un ponte che una cadenza strutturale completa.

    La sezione “Più lento, espressivo” funge da transizione emotivo-tematica e si basa su un motivo lirico e un rallentamento del tempo, preparando l’atmosfera del successivo movimento che segue quasi senza interruzione.

    Il secondo movimento segue una forma ABA con Coda e inizia con la transizione precedente. Qui, la tonalità si sposta a Mi maggiore. Il pianoforte presenta il tema principale – una melodia molto lirica, cantabile e quasi vocale marcata “piano espressivo – con un accompagnamento semplice e arpeggiato.

    L’orchestrazione è delicata e coloristica e risalta l’ampiezza e l’espressività della melodia, il cui carattere nostalgico e romantico ricorda una lenta aria scozzese. Si ha una ripetizione del tema con leggere variazioni armonico-figurative.

    Segue una sezione contrastante in Do diesis minore, con una scrittura più densa e leggermente più inquieta (mezzoforte), la quale introduce nuovo materiale e sviluppa frammenti del primo tema. Vi sono un crescendo emotivo (sempre cresc.) e passaggi più mossi (poco animato). Anche se segnato dolcissimo, il poco animato ha un’energia trattenuta contrastante con la serenità iniziale.

    Dopo varie modulazioni si ha il ritorno del tema principale nella tonalità di impianto, esposto dal pianoforte con una scrittura più ornata e con accompagnamento orchestrale. Segue un rallentamento della musica che introduce una breve sezione “quasi Recitativo” per l’oboe su accordi tenuti del pianoforte, creando un momento di sospensione. Un “molto rallentato” finale conduce direttamente al movimento conclusivo.

    Questo è strutturato secondo una forma rondò-sonata (ABACABA-Coda) o un rondò complesso con episodi sviluppati e una significativa trasformazione tematica.

    Il primo tema, nella tonalità di Sol maggiore, presenta indicazione di tempo “Allegro vivace (ma non presto all’principio) e si caratterizza per il carattere estremamente energico, ritmico e danzante. Esposto dall’orchestra in mezzoforte e ripreso dal pianoforte in fortissimo, presenta ritmi puntati incisivi (i quali ricordano lo “Scotch snap” – una semicroma seguita da una croma puntata e viceversa) e un forte impulso motorio. Evoca chiaramente una danza scozzese vigorosa, come un reel o uno strathspey.

    Il secondo tema, contrastante ed energico, modula verso Mi minore/Si minore e si caratterizza per una scrittura pianistica brillante e virtuosistica, con ottave rapide e passaggi scalari.

    Dopo il ritorno del primo tema, viene introdotta la sezione di sviluppo, la quale inizia con una transizione ed esplora diverse tonalità e tessiture. Sono presenti momenti dialoganti tra solista e orchestra e culmina in una riaffermazione forte, seguita da una sezione più calma e lirica che porta a un ritenuto.

    Ritorna ancora il primo tema, ma trasformato (Andante tranquillo, quasi dolente), in Sol minore e con andamento più lento. Di carattere malinconico e quasi lamentoso, questa parte è un vero colpo di genio drammatico, mostrante la versatilità del materiale tematico di sapore folcloristico.

    Un accelerando riporta al tempo e al carattere originali, con la ripresa di materiale precedente e con sezioni di sviluppo virtuosistico. Dopo un breve interludio lirico, si ha un aumento del tempo e dell’intensità e la scrittura del pianoforte si fa più brillante con trilli, scale rapide e ottave. Il tempo accelera ancora per la stretta finale e il concerto si conclude con grande energia e virtuosismo, con accordi potenti in fortissimissimo e una cadenza plagale implicita (IV-I).

    Note:

    [1] Con l’espressione “Rinascimento Musicale Britannico (o Inglese)” si intende un periodo iniziato all’incirca negli ultimi decenni dell’Ottocento (nello specifico, dal 1880 circa in poi) e proseguito nel primo Novecento, durante il quale si ebbe una significativa rinascita e un grande sviluppo della musica colta scritta da compositori inglesi.

    Prima di questo periodo, specialmente dopo Händel e Purcell, la musica colta britannica era spesso considerata come meno originale e meno rilevante rispetto a quella prodotta sul continente europeo e si percepiva una sensazione di stagnazione o di eccessiva dipendenza da modelli stranieri.

    Durante questi anni, emerse una generazione di compositori che tentarono di creare uno stile nazionale peculiare, spesso attingendo al ricco patrimonio della musica popolare britannica. Vi fu anche un forte impulso dato dalla fondazione e dal rafforzamento di importanti istituzioni musicali, come il Royal College of Music e la Royal Academy of Music.

    Oltre a Parry, Stanford e Mackenzie, figure chiave di questo movimento furono Arthur Sullivan e Sir Edward Elgar, la figura più internazionalmente riconosciuta di questa rinascita. Successivamente, compositori come Ralph Vaughan William, Gustav Holst e Frederick Delius si impegnarono in questo rinnovo musicale durante il XX secolo.

    Buona giornata e a domani!

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