I See You

Robert Paterson (29 aprile 1970): I See You (ICU) per orchestra d’archi e registrazione (2015). American Modern Ensemble, Del Sol Quartet, JACK Quartet e PUBLIQuartet, dir. Delta David Gier.

« I See You is inspired by a week I spent at my father’s side in a hospital. Having never spent much time in hospitals, I was unaccustomed to hearing the myriad of sounds, particularly in the Intensive Care Unit (ICU), where my father lay incapacitated, in critical condition. It was incredibly sad: I could see him, but because he was so sedated, he was barely aware I was even in the room with him. Despite this, there was something strangely soothing and almost musical about the constant pattern of beeps and noises emanating from the machines. To pass the time, I would imagine an orchestra playing, with the litany of noises as accompaniment.
« I See You consists of three connected sections. The first section entitled Tranquillo is calm and soothing, almost like a lullaby, with long melodic lines. The second, entitled Sturn und drang (“storm and stress”) is more rhythmic and stressful, incorporating a cacophony of ICU sounds. The final section, entitled Return, is more like the first, perhaps a bit darker, but with rays of optimism toward the end. Throughout the entire work, I incorporate sounds one might hear in an ICU, manipulated and mixed with recordings of heartbeats, breathing and the sounds of children playing. The piece ends with the overlapping patterns of my own heartbeat, my father’s heartbeat, and my son’s heartbeat, and even my son’s heartbeat when he was in my wife’s womb, creating an intimate, multi-generational, rhythmic tapestry » (Robert Paterson).

5 pensieri riguardo “I See You

  1. Buongiorno, caro Claudio, grazie mille di aver portato questo pezzo così toccante, davvero un’ottima interpretazione! 😊

    Paterson è attualmente considerato un “maestro dei nostri tempi” ed è principalmente famoso per le sue vivaci composizioni orchestrali, l’ampio corpus cameristico, la chiara scrittura vocale delle sue opere liriche, nonché per i suoi pezzi corali e vocali.

    Nato a Buffalo nella famiglia dello scultore Tony Paterson e della pittrice e direttrice scolastica Eleanor Paterson, egli è cresciuto circondato dalla musica, poiché entrambi i genitori erano ferventi appassionati di musica e il padre lo portava ai concerti di musica nuova presso l’Università di Buffalo, dove venivano spesso eseguite composizioni di Cage e di Feldman.

    Paterson ha iniziato a comporre da autodidatta all’età di soli 13 anni e, in parallelo, ha studiato privatamente composizione con William Ortiz-Alvarado (1984-1986). Ha preso anche lezioni private di percussioni e ha frequentato l’Interlochen Center for the Arts (1982-1983).

    Durante i suoi anni scolastici, si è esibito negli ensemble di fiati, nella jazz band e in vari cori, giocando anche nella squadra di tennis. In questo periodo, ha continuato a perfezionarsi musicalmente, studiando privatamente con Lynn Harbold, Jack Brennan, David DePeters, Anthony Miranda e John Bacon (percussioni), nonché con Claudia Hoca ed Edmund Gordanier (pianoforte).

    Ha, inoltre, frequentato il Boston University Tanglewood Institute per due estati, dove ha studiato percussioni con vari membri della Boston Symphony Orchestra, tra i quali Arthur Press, Charlie Smith e Tom Gauger.

    Nel 1995, Paterson si è laureato in musica presso la Eastman School of Music, dove ha studiato con Christopher Rouse, Joseph Schwantner, Samuel Adler, Warren Benson e David Liptak. Qui ha seguito una doppia specializzazione in composizione e percussioni, studiando queste ultime con John Beck ed esibendosi nell’ensemble “Musica Nova” dell’istituto. Durante questo periodo, è anche stato membro della confraternita musicale Phi Mu Alpha Sinfonia.

    Quattro anni più tardi, egli ha frequentato l’Aspen Music Festival and School, dove ha studiato con John Harbison e Bernard Rands mentre, nel 2000, ha studiato privatamente con Aaron Jay Kernis presso l’Atlantic Center for the Arts.

    Nel 2001, invece, ha conseguito la laurea magistrale in musica presso la Jacobs School of Music dell’Indiana University a Bloomington, dove ha avuto come insegnanti Frederick A. Fox ed Eugene O’Brien (composizione), Gerald Carlyss e Thomas Stubbs (percussioni).

    Tre anni più tardi, infine, ha ottenuto il dottorato in Arti Musicali presso la Cornell University, dove ha studiato composizione con Steven Stucky e Roberto Sierra.

    Dopo aver completato gli studi, Paterson si è trasferito a New York, dove ha lavorato come insegnante dapprima al Bronx Community College e poi al Sarah Lawrence College. In parallelo, ha anche iniziato a dedicarsi all’attività compositiva, esecutiva e direttoriale.

    Come percussionista, Paterson ha dedicato diversi anni nello sviluppo di una tecnica a sei bacchette basata sull’impugnatura Burton [1]. Si è perfezionato in questa tecnica durante i suoi anni da studente alla Eastman School of Music, dove ha presentato il primo recital mondiale interamente per marimba a sei bacchette.

    Oltre a scrivere diversi pezzi per sei bacchette, il compositore è stato “fondamentale nella commissione di opere per marimba a sei bacchette” e, a oggi, ha scritto 14 composizioni che impiegano tale tecnica.

    Nel 2016, Paterson ha diretto il Programma di Composizione dell’Atlantic Music Festival, dove ha insegnato dal 2012 al 2017. Attualmente, è il direttore artistico del Mostly Modern Festival.

    In passato, egli ha insegnato anche alla Cornell University, all’Hobart College, al William Smith College, al Bronx Community College, alla Walden School, a Point Counterpoint e al Rocky Ridge Music Center.

    Oltre che eccellente musicista e compositore, è anche un cuoco esperto di cucina vegana e ha paragonato l’invenzione di nuovi piatti alla composizione musicale, usando il cibo al posto delle note.

    La sua musica è influenzata dalla natura e molti suoi pezzi, come A New Eaarth ed Embracing The Wind, si ispirano a temi ecologici. Vi sono anche composizioni ispirate al rock and roll (come Ghost Theater che cita la parte di batteria di John Bonham da When the Levee Breaks dei Led Zeppelin e Hell’s Kitchen), al jazz (come l’ultimo movimento della Symphony in Three Movements e Thursday), alla world music (come The Book of Goddesses) e la musica indiana (come il terzo movimento di Sun Trio).

    Nelle sue opere, si può anche apprezzare l’influenza della musica di compositori russi (Stravinsky, Shostakovich e Schnittke), francesi (Ravel, Satie, Debussy e Messiaen) e americani (Copland, Ives e Reich), nonché di molti suoi ex insegnanti.

    Nel complesso, la sua musica è fortemente eclettica, in quanto egli stesso ha dichiarato che “Sono essenzialmente interessato a unificare tutti gli elementi musicali – e molti elementi non musicali (cioè il “rumore”) – in un insieme coeso

    Stilisticamente, sebbene alcuni suoi pezzi siano atonali, gran parte della sua produzione è tonale e unisce scale maggiori e minori, modi, cromatismo, scale ottatoniche, scale blues, serie dodecafoniche, scale artificiali e scale non occidentali (come la scala indonesiana in Quintus).

    Formalmente, invece, alcune sue composizioni sono altamente episodici (Sextet e Hell’s Kitchen), mentre altre sono più fluide e continue (Dark Mountains per orchestra, A Dream Within A Dream per coro a cappella e Deep Blue Ocean per due pianoforti).

    La sua musica è generalmente molto colorata e incorpora tecniche estese in molti suoi pezzi, come Scorpion Tales per due arpe, The Book of Goddesses per flauto, arpa e percussioni, Komodo e Piranha per marimba solista ed Eating Variations per baritono ed ensemble da camera. Talvolta, Paterson usa oggetti trovati, come in Hell’s Kitchen, dove vengono richiesti utensili da cucina, pentole, padelle e, addirittura, un lavello da cucina.

    In molti suoi pezzi si ritrovano anche suoni di campane, come nel caso di The Thin Ice of Your Fragile Mind che richiede l’utilizzo di cimbali a dita graduati e Tingsha, Eating Variations che richiede campane tibetane di altezza specifica e A New Eaarth che richiede a non-percussionisti l’uso di campane a vento specificamente accordate.

    Molte opere del compositore sono programmatiche, come Electric Lines per orchestra, Crimson Earth per orchestra sinfonica e Sextet per ensemble da camera. Tra i temi ricorrenti, si ricordano personaggi famosi come Thomas Edison (Sonata for Bassoon and Piano) e Mike Piazza (ciclo di lieder Batter’s Box), ma anche dipinti famosi (Closet Full of Demons per sinfonietta ispirato a L’incubo di Henry Fuseli, Crimson Earth ispirato a Il Trionfo della Morte di Pieter Bruegel Il Vecchio e il terzo movimento del suo Wind Quintet ispirato a La persistenza della memoria di Salvador Dalí).

    Alcune sue opere, infine, citano lavori di altri compositori, come l’Elegy for Two Bassoons and Piano e l’Elegy for Two Cellos and Piano – entrambe ispirate alla musica di Bach – l’opera Looney Tunes – ispirata alla musica di Messiaen e Parker – e la Sonata for Bassoon and Piano che cita Rachmaninoff e Honegger.

    Sebbene molte sue opere siano serie o, almeno, musicalmente astratte, alcuni suoi pezzi incorporano elementi umoristici, come i suoi cicli di lieder cameristici Batter’s Box e CAPTCHA e i pezzi corali The Essence of Gravity e Did You Hear.

    Riguardo all’umorismo nella sua musica, Paterson ha affermato che “Di tutti gli aspetti della scrittura che sembrano incuriosire le persone riguardo al mio lavoro, il mio abbracciare l’umorismo è probabilmente il più controverso: ad alcuni piace, ad altri no. Molti compositori ammettono che non amano scrivere musica ‘divertente’. Sembra quasi che pensino di correre il rischio di essere considerati triviali o poco seri se abbracciano l’umorismo”.

    Durante la sua vita, infine, il compositore ha scritto molti pezzi vocali e, sebbene abbia musicato varie poesie di Wallace Stevens e Robert Creeley, ha anche musicato numerosi testi alternativi, come messaggi di segreteria telefonica inventati (Thursday per soprano e pianoforte), parole onomatopeiche (The Essence of Gravity per coro a cappella) e filastrocche (Life is But a Dream per coro a cappella).

    La sua I See You (ICU) è una composizione profondamente personale, nata da un’esperienza emotivamente intensa, ossia una settimana trascorsa al capezzale del padre in terapia intensiva (ICU, Intense Care Unit). Il titolo stesso cattura la struggente dualità della situazione, cioè la presenza fisica del compositore accanto al padre e l’incapacità di questi – fortemente sedato – di ricambiare lo sguardo o riconoscere pienamente la presenza del figlio.

    Paterson nota la sorprendente e quasi musicale qualità dei suoni ambientali del luogo (i bip costanti, i rumori delle macchine) che formano la base sonoro-concettuale del pezzo, giustapposti all’angoscia emotiva. L’opera si eleva così a meditazione sulla vita, sulla fragilità, sulla connessione familiare e sul trascorrere del tempo, impiegando un linguaggio sonoro unico che unisce la tradizionale orchestra d’archi con suoni registrati e manipolati.

    L’opera si articola in tre sezioni collegate senza soluzione di continuità, come descritto da Paterson stesso:

    • Tranquillo: una sezione iniziale dall’atmosfera calma, quasi eterea e cullante, corrispondente all’osservazione del compositore sulla qualità “estremamente lenitiva” dei suoni ospedalieri, nonostante la situazione drammatica;
    • Sturm und Drang (“Tempesta e Impeto”): questa sezione centrale rappresenta il nucleo sonoro-emotivo più turbolento e incarna lo stress, l’ansia e la cacofonia associati alla crisi medica e all’ambiente della terapia intensiva. Il titolo fa riferimento al movimento letterario-musicale tedesco del tardo XVIII secolo, caratterizzato da espressione emotiva intensa e turbolenta;
    • Return (“Ritorno”): la sezione conclusiva ritorna a un’atmosfera più calma, simile alla prima parte, ma velata da un’ombra malinconica. Tuttavia, Paterson introduce “raggi di ottimismo verso la fine”, suggerendo una risoluzione emotiva o una forma di accettazione e di speranza;

    L’elemento distintivo del pezzo, come anticipato, è l’integrazione di una traccia registrata con l’orchestra d’archi dal vivo. Questa traccia non è un semplice sottofondo, ma è parte integrante della tessitura musicale e concettuale.

    In particolare, i bip ritmici dei monitori, i sibili dei ventilatori e gli altri rumori sono spesso trattati ritmicamente, fornendo ostinati pulsanti o elementi percussivi che interagiscono con le figurazioni ritmiche degli archi. Talvolta emergono come elementi isolati, evocando direttamente l’ambiente ospedaliero. Essi iniziano sottilmente e diventano preponderanti nella seconda sezione.

    Paterson sovrappone anche registrazioni dei suoi battiti cardiaci, di suo padre, di suo figlio e, persino, del figlio in utero. Questo elemento così profondamente personale crea un arazzo ritmico multi-generazionale, molto evidente verso la fine e simboleggiante la continuità della vita, l’evoluzione dei legami familiari nel tempo e la malattia.

    I suoni di respiro amplificati e manipolati contribuiscono, invece, all’atmosfera organica e talvolta affannosa, specialmente nella sezione centrale. Sono, infine, inclusi anche voci di bambini che giocano, le quali creano un contrasto potente e toccante con l’ambiente sterile e teso dell’ospedale, rappresentando l’innocenza o i ricordi felici in contrapposizione con la drammatica situazione attuale.

    Nella prima sezione, le linee melodiche sono lunghe, liriche e cantabili, spesso affidate ai violini o alle viole, con un carattere quasi da ninna-nanna. Hanno un andamento prevalentemente per gradi congiunti e un profilo espressivo dolce.

    Le armonie, invece, sono consonanti, prevalentemente basate su intervalli di quarta e di quinta e accordi sospesi o modali, creando un senso di calma statica leggermente tensiva. Vi sono anche lunghi pedali nei violoncelli e nei contrabbassi che ancorano armonie maggiormente fluttuanti nelle sezioni superiori. L’uso di armonici, infine, crea una sonorità trasparente, fragile e delicata.

    Il ritmo è qui lento, con note lunghe e un flusso regolare, mentre la dinamica si concentra prevalentemente su pianissimo sussurrati. La tessitura, infine, è spesso trasparente, omoritmica o con melodia accompagnata, con l’uso di divisi e di armonici che alleggerisce il suono.

    Nella seconda sezione, le idee melodiche si fanno più frammentate, spezzate, spigolose e cromatiche, trasformandosi in gesti ritmico-melodici carichi di tensione. L’armonia segue l’andamento melodico e diventa estremamente dissonante, con cluster tonali fitti, accordi cromaticamente saturi e una implicita bitonalità/politonalità. La tensione armonica è massima e riflette lo stress emotivo.

    Il ritmo, invece, è molto più attivo, sincopato, irregolare e percussivo. Si osservano figure rapide e martellanti, tremoli veloci e pizzicati secchi che contribuiscono alla cacofonia e alla sensazione di agitazione. L’interazione tra i ritmi meccanici della registrazione e quelli organici e stressati degli archi è qui davvero intensa.

    La tessitura si fa qui molto più densa e complessa, con strati sovrapposti di figure ritmiche diverse, canoni distorti, contrappunto dissonante, dando vita a un effetto caotico e opprimente. Tecniche come tremolo sul ponticello aggiungono un colore aspro e nervoso. La dinamica, infine, si concentra molto su fortissimo intensi e angoscianti.

    L’ultima sezione vede un ritorno di linee melodiche lunghe, ma più malinconiche e interrogative, con la manifestazione dell’ottimismo finale in un frammento melodico più luminoso. L’armonia ritorna all’apertura e alla consonanza iniziali, però con un certo uso di dissonanze passeggere e accordi minori che conferiscono un po’ di cupezza. Verso la fine, la consonanza aumenta, guardando ai “raggi di ottimismo”.

    Il ritmo ritorna anch’esso alla calma iniziale, anche se l’arazzo ritmico dei battiti cardiaci sovrapposti crea una poliritmia complessa e significativa. Anche la tessitura ritorna alla trasparenza iniziale, anche se i battiti costruiscono una polifonia ritmica finale. Le diverse sezioni degli archi interagiscono dinamicamente, con emergenti passaggi solistici occasionali del primo violino e del violoncello.

    La chiave interpretativa del pezzo rimane l’interazione tra archi e registrazione. Questa relazione è multiforme e svolge funzioni di contrasto (i suoni organici e caldi degli archi contrastano con i suoni freddi e meccanici della registrazione), di integrazione (i ritmi della registrazione diventano parte della struttura ritmica complessiva, con gli archi che li imitano o li contrastano), di commento (la registrazione commenta l’azione degli archi, ricordando costantemente il contesto programmatico), di dialogo (in alcuni punti, vi è un pero e proprio dialogo tra i gesti degli archi e i suoni registrati) e di fusione (la sovrapposizione di battiti con le sonorità degli archi crea una fusione simbolica tra macchine, corpo, famiglia e musica).

    Nel complesso, la composizione si rivela potente ed emotivamente risonante, riuscendo a trasformare un trauma personale in un’opera d’arte universale, esplorando temi legati alla fragilità esistenziale, alla memoria e ai legami familiari, nonché la strana intersezione tra tecnologia medica e vita umana.

    L’uso innovativo della registrazione integrata con l’orchestra d’archi crea sonorità uniche e profondamente personali, con l’intero percorso emotivo reso in maniera convincente attraverso l’uso sapiente di tutti i parametri musicali. Il finale multi-generazione dei battiti cardiaci è molto toccante e offre una conclusione intima e simbolica.

    Note:

    [1] Si tratta di un metodo per tenere due mazzuole in ogni mano per suonare uno strumento a percussione, sviluppato dal vibrafonista jazz Gary Burton. Tenendo il palmo rivolto verso l’alto, la mazzuola interna è posizionata e incrociata sulla mazzuola esterna. La fine della prima viene tenuta con il mignolo, mentre la seconda viene tenuta tra indice e medio. Il pollice è, invece, posizionato all’interno della mazzuola interna, ma tavolta si trova tra le mazzuole per allargare l’intervallo.

    La mazzuola interna (generalmente usata per le melodie) è articolabile separatamente, afferandola con indice e pollice e ruotando sulla mazzuola esterna. Se necessario, quest’ultima si può articolare separatamente allargando l’intervallo dimodoché le mazzuole si avvicinino il più possibile a formare un angolo retto e dando un colpo rapido verso il basso con polso, medio e indice.

    Buona giornata e alla prossima!

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