Studies in black and white

Nicolas Slonimsky (originariamente Nikolaj Leonidovič Slonimskij; 1894 - 25 dicembre 1995): Studies in black and white per pianoforte (1928), eseguiti dall’autore (registrazione del 1972).

« My first Gradus ad Parnassum in America was the publication in 1929 of my anti-pianistic Studies in Black and White in New Music, a quarterly founded by that formidable champion of modern devices, Henry Cowell. True to my spirit of contrariness, I went against the mainstream. While composers vied with each other in piling up dissonance upon dissonance, I decided to write a piano suite employing only literal concords. Furthermore, I decreed that the right hand should play on the white keys only, and the left hand on the black keys. Consequently, there is no need of accidentals.
« No key signature was required in the right hand as the flats in the left hand were arrayed like a ladder. I described this procedure as consonant counterpoint in mutually exclusive diatonic and pentatonic systems, for I have always been addicted to polysyllabic self-expression. I wrote the studies in the summer of 1928, and both the whimsical idiom and the titles of individual movements reflect the simple sophistication of the period: Jazzelette, A Penny for Your Thoughts, Happy FarmerQuasi Fugato, Anatomy of Melancholy, March, The Sax Dreaming of a Flute, Sin2 x + Cos2 x = 1, and Typographical Errors. There is also a Prelude in which euphonious dissonances are discreetly employed, while the harmonies betray my early adoration of Scriabin whose family I intimately knew in Russia. Henry Cowell reported to me in mock horror that the sales of my opus were almost commercial in numbers, which threw a dark shadow of suspicion on my modernism, for it was a dogma that real modern music did not sell. »

Nicolas Slonimsky
 



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Nicolas Slonimsky, musicista, lessicografo e umorista a tutto tondo

Direttore d’orchestra, pianista, compositore, musicologo e lessicografo, Nicolas Slonimsky è ricordato soprattutto per le sue monumentali opere di riferimento, tra cui il Thesaurus of Scales and Melodic Patterns e il caustico Lexicon of Musical Invective, oltre per aver curato varie edizioni del Baker’s Biographical Dictionary of Musicians.

Un secolo di musica, dalla Russia zarista agli Stati Uniti d’America
Nato Nikolaj Leonidovič Slonimskij a San Pietroburgo da una famiglia di origine ebraica (ma battezzato nella Chiesa ortodossa russa), crebbe nell’ambiente dell’intellighenzia. Sua zia materna, Isabelle Vengerova, fondatrice del Curtis Institute of Music, fu la sua prima insegnante di pianoforte. Dopo la Rivoluzione russa del 1917, Slonimsky intraprese un viaggio verso ovest, stabilendosi prima a Kiev, poi a Costantinopoli e infine a Parigi. Qui lavorò come accompagnatore del celebre direttore Serge Koussevitzky. Nel 1923, seguì il tenore Vladimir Rosing negli Stati Uniti, dove iniziò la propria carriera americana a Rochester (New York), presso l’Eastman School of Music.

Il pioniere dell’Avanguardia e il podio controverso
Trasferitosi a Boston, divenne il segretario e pianista di Koussevitzky, dedicandosi parallelamente all’insegnamento e alla critica musicale. La sua vera vocazione divenne però la direzione d’orchestra, con una missione precisa: promuovere la musica contemporanea. Nel 1927 fondò la Boston Chamber Orchestra e divenne un fervente sostenitore di compositori come Charles Ives ed Edgard Varèse. Condusse diverse prime mondiali cruciali per la storia della musica americana, inclusa quella di Three Places in New England di Ives (1931) e la rivoluzionaria Ionisation di Varèse (1933). Nonostante la sua reputazione di campione dell’avanguardia, i suoi concerti, come la serie che diresse all’Hollywood Bowl nel 1933, furono spesso controversi e ricevettero recensioni contrastanti. Nel 1931 a Parigi sposò la critica d’arte Dorothy Adlow, con Varèse come testimone di nozze.

L’eredità letteraria: studi e critiche musicali
Quando la sua attività direttoriale rallentò, Slonimsky si concentrò sulla scrittura, definendosi scherzosamente un diaskeuast (revisore). La sua produzione letteraria fu vasta e tecnicamente complessa. Pubblicò la cronologia Music Since 1900 e, dopo un viaggio, il primo studio approfondito in inglese sulla musica latinoamericana.
Il suo lascito più duraturo si basa su due opere seminali: il Thesaurus of Scales and Melodic Patterns (1947) e il Lexicon of Musical Invective (1953). Il Thesaurus cataloga ogni combinazione possibile di scale e progressioni melodiche; inizialmente passato inosservato, è divenuto in seguito un testo fondamentale per musicisti d’avanguardia e jazzisti come John Coltrane e Frank Zappa. Il Lexicon of Musical Invective è una raccolta umoristica e tagliente di recensioni storiche e contemporanee ferocemente critiche verso i grandi compositori, da Beethoven in poi, dimostrando come i geni siano stati spesso incompresi al loro tempo.
Dal 1958 al 1992, Slonimsky fu il curatore e unico redattore del Baker’s Biographical Dictionary of Musicians, guadagnandosi una reputazione per la sua maniacale accuratezza fattuale.

Gli ultimi anni: l’icona culturale
Dopo la morte della moglie nel 1964, Slonimsky si trasferì a Los Angeles, dove continuò a insegnare all’UCLA e a tenere conferenze. Visse fino all’età di 101 anni, mantenendo un notevole senso dell’umorismo che lo rese un ospite popolare in programmi radiofonici e televisivi, incluso The Tonight Show di Johnny Carson. Negli ultimi decenni strinse amicizia con il compositore rock d’avanguardia Frank Zappa, arrivando a esibirsi in un suo concerto nel 1981 e adottando il gergo giovanile da lui appreso (chiamò il suo gatto Grody-to-the-Max). A completamento della sua opera, pubblicò l’autobiografia Perfect Pitch (1988), ricca di aneddoti sulla musica del XX secolo. A quasi 100 anni, tornò a San Pietroburgo per un festival musicale, la cui visita fu inclusa nel documentario A Touch of Genius.

Gli Studies in Black and White
Opera unica nel suo genere, arguta e ironica, fu composta nel 1928 e pubblicata l’anno seguente sulla rivista «New Music» di Henry Cowell. Gli Studies in Black and White esplorano esaurientemente le caratteristiche tecniche del pianoforte, ma soprattutto costituiscono una dichiarazione programmatica contro le tendenze moderniste dell’epoca. Il compositore, noto per il suo spirito “contrario” e la sua dipendenza da «un’espressione di sé polisillabica», decise di andare controcorrente, scegliendo di utilizzare accordi consonanti in un periodo in cui i compositori facevano a gara per accumulare la massima quantità di dissonanze.
La premessa strutturale dell’opera è tanto rigorosa quanto scherzosa: la mano destra deve suonare esclusivamente sui tasti bianchi (sistema diatonico), mentre la mano sinistra deve suonare esclusivamente sui tasti neri (sistema pentatonico). Questa rigida separazione elimina la necessità di alterazioni (diesis o bemolli) nello spartito e crea un contrappunto diatonico e pentatonico mutuamente esclusivo.
Il risultato non è una musica atonale, ma piuttosto un’affascinante polimodalità ricca di sfumature, che mescola la semplicità delle scale (i tasti bianchi) con le sonorità più esotiche della pentatonica (i tasti neri). I nove movimenti, intitolati con un «tocco di semplice sofisticazione che riflette il periodo», sono caratterizzati da un idioma capriccioso.
Il Preludio è l’unico movimento in cui Slonimsky ammette di impiegare «dissonanze eufoniche discretamente», rivelando una sua «giovanile adorazione di Skrjabin». Dal punto di vista musicale, il pezzo si apre con una serie di arpeggi complessi e dissonanti. Segue un passaggio virtuosistico caratterizzato da rapidi movimenti cromatici, che danno un tono esuberante e tecnico, pur mantenendo una struttura armonica sorprendentemente ricca e fluida, non ancora pienamente vincolata alla severa regola “bianco-nero” che dominerà i movimenti successivi.
Come suggerisce il titolo, Jazzelette esplora un’atmosfera jazzistica. È il primo movimento in cui la separazione delle tastiere è chiaramente udibile, con la mano destra che produce una linea melodica quasi ingenua e in tonalità di do maggiore, contrastata dalla mano sinistra che crea un’armonia pentatonica scura e irrequieta. Il risultato è un’armonia polimodale che evoca l’estetica sofisticata e malinconica del jazz degli anni ’20, con un carattere dinamico e ritmico che riflette la modernità del titolo. Si notano gli ampi salti melodici e la tessitura complessa.
Il pezzo seguente è invece dominato da rapide ottave spezzate nella mano sinistra che creano un sottofondo sonoro agitato, quasi un ronzio febbrile. Sopra questo strato ostinato, la mano destra intesse una melodia semplice e quasi incalzante. La tensione costante tra i due sistemi modali genera un effetto disorientante, in linea con il titolo che suggerisce una riflessione profonda o un pensiero fugace. La musica è concisa e dinamica.
L’altro studio, che richiama una semplicità pastorale, è qui trattato con ironia. Il pezzo è caratterizzato da uno stile di contabilità conciso e frammentato, spesso spezzato da brevi pause e da figure ritmiche spezzate. Le consonanze diatoniche della mano destra si scontrano con la pentatonica della mano sinistra, creando un effetto di “armonia errata” che deride la semplicità del modello tematico. Il movimento è rapido e nervoso.
Il quarto studio è un’applicazione rigorosa e giocosa della tecnica del fugato alle limitazioni polimodali imposte. La melodia è altamente contrastante, con figure ritmiche veloci alternate a passaggi più staccati. La struttura, pur richiamando la serietà formale della fuga (o fugato), risulta intrinsecamente umoristica a causa dell’uso dei due sistemi che si incrociano senza mai condividere le stesse note cromatiche. La parte centrale è particolarmente frenetica e ricca di salti.
In contrasto con i movimenti più ritmici, Anatomy of Melancholy offre una riflessione più contemplativa. La velocità viene ridotta, mettendo in evidenza gli intervalli dissonanti e le armonie quasi spettrali create dalla giustapposizione della scala diatonica e pentatonica. La scrittura tende verso le note estreme del pianoforte, contribuendo a un senso di vasta desolazione, interrotta solo da momenti di agitazione interna.
March ripristina invece un carattere energico e ritmico, come appropriato per una marcia, ma lo fa con una cadenza asimmetrica e a tratti goffa. La musica è guidata da un impulso ritmico costante e da accordi pieni, enfatizzando l’effetto meccanico e quasi marziale, pur mantenendo il contrasto polimodale “bianco e nero”.
Lo studio successivo evoca un’immagine pittoresca di due strumenti contrastanti. Il pezzo è breve e veloce, con la melodia che sembra simulare il timbro e l’agilità della musica da fiato. La velocità e la leggerezza tecnica sono dominanti, con passaggi veloci che si muovono su e giù per le tastiere, creando un effetto quasi impressionistico, pur rispettando le rigide regole dei tasti assegnati.
L’inclusione di una formula trigonometrica nel titolo seguente è un esempio dell’umorismo colto di Slonimsky. La musica riflette questa equazione fondamentale: una fusione concisa e logicamente costruita di elementi che si combinano in un’unità perfetta. Il pezzo è strutturalmente più denso, con armonie che si risolvono e poi si ricostituiscono in complesse figure ascendenti e discendenti, terminando in un accordo di chiusura definitivo.
Il movimento finale, Typographical Errors, è forse il più concettuale. Il pezzo si presenta come una serie di rapidi passaggi frammentati, che suonano come errori o frammenti musicali non correlati, proprio come degli errori di battitura in un testo. La conclusione è secca e improvvisa, un ultimo scherzo che chiude l’intera opera con un sorriso ironico.

Nonostante le premesse moderniste e la complessa struttura teorica («contrappunto consonante in sistemi diatonici e pentatonici mutuamente esclusivi»), l’opera riscosse un inatteso successo commerciale. Come notò Henry Cowell con orrore simulato, le vendite «quasi commerciali» gettarono un’ombra sul modernismo puro di Slonimsky, il cui dogma imponeva che la vera musica moderna non dovesse vendere. Gli Studies rimangono comunque una testimonianza dell’ingegno di Slonimsky, un’opera che, attraverso la sua autoimposta limitazione armonica e strutturale, ha prodotto una musica pianistica fresca, ironica e sorprendentemente innovativa.

NS

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