Concerto triplo – III

Donald Martino (1931 - 8 dicembre 2005): Con­cer­to per clarinetto, clarinetto basso, clarinetto contrabbasso e piccola orchestra (1977). Anand Devendra, clarinetto; Dennis Smylie, clarinetto basso; Leslie Thimming, clarinetto contrabbasso; The Group for Contemporary Music, dir. Harvey Sollberger.

  1. Tempo libero
  2. Larghetto [13:06]
  3. Agitato [20:43]


L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Pulitzer e dodecafonia: la storia del compositore Donald Martino

Vita e formazione
Donald James Martino è stato un compositore americano, vincitore del Premio Pulitzer. Originario di Plainfield, New Jersey, iniziò la sua carriera come clarinettista, dedicandosi al jazz sia per diletto che professionalmente. I suoi studi di composizione iniziarono alla Syracuse University con Ernst Bacon e proseguirono alla Princeton University, dove lavorò con i compositori Roger Sessions e Milton Babbitt. Martino completò la sua formazione studiando con Luigi Dallapiccola in Italia come borsista Fulbright.

Carriera accademica e riconoscimenti
Martino fu anche un influente docente, insegnando in prestigiose istituzioni come la Yale University, la Brandeis University, la Harvard University e il New England Conservatory of Music, dove ricoprì il ruolo di capo del dipartimento di composizione. Il culmine della sua carriera arrivò nel 1974, quando vinse il Premio Pulitzer per la musica grazie alla sua opera da camera intitolata Notturno.

Stile musicale e opere notevoli
La maggior parte della produzione matura di Martino, inclusi pezzi con elementi pseudo-tonali, fu composta utilizzando il metodo dodecafonico. Nonostante avesse studiato con Babbitt, il suo stile sonoro era più vicino al lirismo espressivo del suo maestro italiano, Dallapiccola.
Tra le sue composizioni più famose e difficili c’è la sonata Pianississimo, commissionata dal pianista Easley Blackwood con l’esplicita richiesta di renderla una delle pagine più ardue mai scritte. Sebbene l’opera sia di difficoltà “epica” (ed è stata registrata più volte), Blackwood si rifiutò di eseguirla.
Martino espresse anche la sua ammirazione per il suo mentore, Milton Babbitt, dedicandogli due omaggi musicali in occasione dei suoi compleanni: B,a,b,b,i,t,t e il Concerto triplo.

Eredità
Nel 1991, la rivista «Perspectives of New Music» dedicò un ampio tributo di 292 pagine a Martino; in suo onore, il New England Conservatory organizzò un concerto commemorativo nel 2007, la cui registrazione fu successivamente pubblicata nel 2009.

Il Concerto triplo
Si tratta di una composizione che, pur muovendosi nel solco della tradizione dodecafonica, ne esplora i confini con un virtuosismo strumentale e una ricchezza timbrica eccezionali. L’opera è strutturata in tre movimenti distinti che mettono in risalto l’interazione unica tra i tre clarinetti solisti e l’orchestra da camera.
Il primo movimento, Tempo libero, si apre con una brusca, quasi violenta, esplosione del pieno organico, subito seguita dall’entrata del clarinetto contrabbasso. Questo attacco stabilisce immediatamente il clima di tensione e l’elemento ritmico e percussivo che caratterizzeranno il movimento.
I tre clarinetti solisti (clarinetto soprano, clarinetto basso, clarinetto contrabbasso) esordiscono con un materiale melodico e ritmico estremamente frammentato e serrato. La natura non tonale della musica, gestita con la tecnica dodecafonica, si manifesta in rapidi scambi di note puntiformi, micro-intervalli e ampi salti, sfruttando l’intera gamma dinamica e timbrica di ciascuno strumento. In particolare, il clarinetto contrabbasso viene impiegato per esplorare le regioni più gravi e scure dell’organico, creando una base timbrica complessa.
La sezione centrale del movimento è dominata da una continua ricerca di interazione virtuosistica tra i tre solisti e l’orchestra. Si susseguono momenti di grande tensione, dove le linee melodiche dei clarinetti si intrecciano in un dialogo frenetico, spesso interrotto da risposte secche e percussive del resto dell’ensemble. L’atmosfera è tesa, a tratti giocosa, ma sempre altamente tecnica e frammentata. Verso la conclusione del movimento, la densità strumentale si riduce, ma solo per un breve respiro, prima di riprendere con un’ulteriore accelerazione e un climax ritmico che porta a un brusco arresto.
Il secondo movimento, Larghetto, offre un netto contrasto, agendo da momento di intensa introspezione e lirismo, seppur all’interno di un linguaggio moderno.
L’inizio è affidato principalmente al clarinetto basso e all’orchestra in una tessitura più rarefatta e cameristica. Il carattere della musica è malinconico, meditativo e si concentra sull’esplorazione di dinamiche sommesse e colori più tenui. Il solismo in questo movimento è meno aggressivo e più orientato all’espressione della linea melodica. La parte centrale è scandita da interventi lirici, quasi lamentosi, affidati in particolare al clarinetto soprano, che emerge dalla trama orchestrale con un tono quasi elegiaco, evidenziando il lato espressivo e cantabile dello strumento, che fu in origine la prima vocazione di Martino.
L’interazione tra i solisti si sviluppa qui attraverso passaggi di linee diatonico-cromatiche distese, con un’esposizione più chiara del materiale seriale, che in questo contesto acquisisce una qualità di “pseudo-tonalità” tipica di alcune opere di Martino influenzate da Dallapiccola. Nonostante la complessità armonica, il movimento mantiene un senso di sospensione emotiva e una raffinata chiarezza timbrica, culminando in un delicato dissolvimento sonoro che prepara l’ascoltatore per il movimento finale.
Il finale, Agitato, riporta l’ascoltatore a un dinamismo e a una tensione ritmica estremi, riprendendo il clima virtuosistico e frammentato del primo movimento.
L’attacco è immediato e perentorio, con i clarinetti che si lanciano in un turbine di figure ritmiche serrate e veloci, spesso caratterizzate da rapidi staccati e un uso incisivo della percussione. La sfida tecnica dei solisti è qui al suo apice, con passaggi rapidissimi e tecnicamente impegnativi che si rincorrono e si stratificano. Il clarinetto contrabbasso, in particolare, riafferma il suo ruolo di “macchina ritmica” con interventi di grande peso sonoro.
Il movimento è un mosaico di frasi brevi e nervose, interrotte da silenzi e riprese esplosive. L’agitazione che dà il titolo al movimento non è solo di natura espressiva, ma si riflette nella scrittura implacabile e nella continua richiesta di virtuosismo a tutti gli esecutori. Il finale è segnato da una progressione di intensità, dove tutti gli elementi orchestrali e solistici convergono in un’ultima, densa e complessa affermazione del materiale tematico, concludendosi con un ultimo e definitivo scatto dinamico e ritmico che sigilla l’intera opera in un gesto di forza e chiarezza strutturale.

Concerto triplo – II

Raffaele Gervasio (26 luglio 1910 - 1994): Triplo Concerto per flauto, viola, chitarra, archi e percussioni op. 131, Concerto degli oleandri (1993). Mario Carbotta, flauto; Teresa Laera, viola; Nando Di Modugno, chitarra; Orchestra sinfonica lucana, dir. Vito Clemente.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Raffaele Gervasio, dal Carosello alle sale da concerto: ritratto di un maestro a due volti

Raffaele Gervasio è stato uno dei compositori italiani più versatili del Novecento, capace di muoversi con eguale maestria tra il mondo della “musica pura” (sinfonica e cameristica) e quello della “musica applicata” per radio, cinema e televisione, lasciando un’eredità che spazia dalle celebri sigle popolari a complesse opere orchestrali.

La formazione di un talento
Nato a Bari da Michele Gervasio – noto archeologo e direttore del museo cittadino – il giovane intraprese gli studi musicali nel 1923 presso il Liceo musicale «Niccolò Piccinni» del capoluogo pugliese, dove fu allievo di Cesare Franco (armonia), Italo Delle Cese (pianoforte) e della giovane e talentuosa Gioconda De Vito (violino).
Il suo talento fu presto notato da Amilcare Zanella che, nel 1927, lo volle con sé al Conservatorio «Rossini» di Pesaro, inserendolo nella propria classe di composizione e affidandolo al maestro Chiti per il perfezionamento del violino. Dopo il diploma in violino nel 1929, proseguì gli studi di composizione con Zanella fino al 1931, per poi trasferirsi a Firenze. Qui completò la formazione al Conservatorio «Cherubini» sotto la guida di Vito Frazzi, diplomandosi in composizione nel 1933. La sua sete di conoscenza lo portò a Roma, dove frequentò il corso di perfezionamento di Ottorino Respighi al Conservatorio di Santa Cecilia, ottenendo nel 1936 il premio come miglior allievo. Nello stesso prestigioso istituto, seguì anche il corso di Ernesto Cauda dedicato alla musica per la riproduzione meccanica (cinema, radio, discografia), un’esperienza che si rivelerà fondamentale per la sua futura carriera.

Il successo nella musica applicata: radio, cinema e televisione
Dopo gli studi, Gervasio si dedicò con grande successo alla musica applicata: dal 1940 al 1960 ricoprì il ruolo di direttore musicale della INCOM (Industrie Cortometraggi), per cui sonorizzò centinaia di documentari e cinegiornali con musiche originali e di repertorio. La sua firma divenne sinonimo di riconoscibilità e qualità, legandosi ad alcune delle sigle più iconiche della cultura di massa italiana: dal cinegiornale “Settimana Incom” alla sigla di Voci dal Mondo, che per decenni avrebbe introdotto il GR2, fino alla celeberrima e indimenticabile melodia di Carosello.
Compose musiche di scena per importanti spettacoli di prosa (Francesca da Rimini, Faust, Il mercante di Venezia) e collaborò intensamente con la radio, come nella Ballata italiana (1951) diretta da Franco Ferrara. Un capitolo di particolare rilievo fu il Carosello napoletano, grandioso spettacolo teatrale del 1950 diretto da Ettore Giannini, che gli valse il premio “Maschera d’argento” per la musica. Il successo fu tale che nel 1954 l’opera fu trasposta in un film prodotto dalla Lux Film, le cui musiche, in gran parte originali, furono dirette da Fernando Previtali.
Un altro progetto di grande impatto culturale fu l’album I Canti che hanno fatto l’Italia (1961), prodotto da RCA in occasione delle celebrazioni di Italia 61. L’opera – una raccolta di musiche originali, trascrizioni e rielaborazioni del patrimonio popolare – fu diretta da Franco Ferrara e interpretata da voci celebri. La sua importanza fu sancita dalla RAI, che la scelse per inaugurare le trasmissioni del secondo canale televisivo il 4 novembre 1961.

Il ritorno alla musica “pura”, l’insegnamento e i riconoscimenti
Nonostante i successi nella musica applicata, Gervasio non abbandonò mai la sua vocazione per la composizione pura: già nella seconda metà degli anni Cinquanta riprese a scrivere musica sinfonica e, nel 1961, lasciò definitivamente la INCOM per dedicarsi esclusivamente a questa passione. Gli anni Sessanta furono un periodo di intensa creatività, che vide la nascita di opere fondamentali come il Concerto spirituale (1961), il Preludio e Allegro concertante (1962), il Concerto per violino e orchestra (1966) e la Fantasia per pianoforte (1970), scritta su richiesta del pianista Rudolf Firkušný.
Nel 1967 – su invito dell’amico Nino Rota – accettò la cattedra di composizione al Conservatorio «Piccinni» di Bari. Due anni dopo, nel 1969, assunse la direzione del nuovo Conservatorio «Egidio Romualdo Duni» di Matera, trasformandolo in pochi anni in un’istituzione di riferimento a livello nazionale per le sue didattiche innovative. In questo periodo scrisse anche diversi lavori destinati ai suoi giovani allievi. Dopo essere tornato all’insegnamento a Bari nel 1977, si ritirò definitivamente nel 1980. Il suo prestigio fu coronato nel 1978 con l’elezione ad accademico di Santa Cecilia.

Gli ultimi anni: una prolifica stagione creativa
Libero dagli impegni didattici, Gervasio visse un’ultima, straordinaria stagione creativa, dedicandosi interamente alla composizione. In questo periodo produsse un vasto catalogo di opere cameristiche e orchestrali, tra cui spiccano: Movimenti perpetui per orchestra (1982), l’Ouverture inaugurale per organo e orchestra (1983), il Doppio Concerto per violino, chitarra e archi (1984), la Composizione orchestrale (1986) commissionata dall’Accademia di Santa Cecilia, e il Triplo Concerto degli oleandri (1993). La sua ultima opera furono le Variazioni sulla preghiera del Mosè di Rossini per tromba e organo (1994), sigillo di una vita spesa al servizio della musica in tutte le sue forme.

Il Concerto degli oleandri: analisi
Opera di rara bellezza, si distingue per la peculiare scelta strumentale e per il carattere evocativo e solare. Lontano dalle asprezze e dalle complessità intellettualistiche di molta musica contemporanea del suo tempo, Gervasio crea un affresco sonoro che profuma di Mediterraneo, fondendo la struttura classica del concerto con una sensibilità melodica quasi cinematografica. L’opera, in un unico movimento, si articola in una serie di episodi contrastanti che esplorano le molteplici possibilità timbriche e dialogiche del trio solista.

Il Concerto si apre in un’atmosfera intima e pastorale: la chitarra solista introduce il discorso musicale con una serie di arpeggi delicati e sognanti che stabiliscono immediatamente un clima di serena attesa. Questo preludio chitarristico funge da sipario, aprendo la scena all’ingresso dell’intero ensemble. Gli archi poi entrano con un tappeto sonoro morbido e avvolgente, su cui si innesta il tema principale, una melodia gioiosa, spensierata e dal carattere nettamente danzante, quasi popolaresco. Il tema viene esposto dai tre solisti che agiscono come un’unica entità: il flauto e la viola, spesso procedendo in parallelo, si scambiano e intrecciano le frasi melodiche, mentre la chitarra fornisce un indispensabile sostegno ritmico e armonico con arpeggi brillanti e accordi precisi. La scrittura è trasparente e luminosa, con le leggere percussioni che aggiungono tocchi di luce. In questa sezione, Gervasio presenta i protagonisti non come avversari dell’orchestra, ma come un “concertino” affiatato che dialoga amabilmente su un fondale orchestrale lussureggiante.
Abbandonata la solarità del tema iniziale, il Concerto si inoltra in una sezione di sviluppo più complessa e ricca di contrasti. L’atmosfera si fa più lirica e introspettiva e gli archi introducono una nuova idea tematica, più cantabile e malinconica, mentre i solisti si ritagliano spazi individuali: ascoltiamo un breve ma intenso assolo della viola, seguito da un passaggio più etereo del flauto.
Questo momento di quiete è interrotto da un episodio di grande energia e tensione drammatica: il ritmo si fa più serrato e incalzante, sostenuto dal pizzicato degli archi e da un uso più marcato delle percussioni. I tre solisti si lanciano in passaggi virtuosistici, con scale rapide e figurazioni complesse, a volte all’unisono, a volte in un rapido inseguimento. Questa sezione dimostra la maestria di Gervasio nel creare un forte contrasto dinamico e agogico, mostrando il lato più brillante e tecnicamente impegnativo del trio.
L’orchestra si ritira quasi completamente, lasciando il campo a quella che può essere definita una cadenza collettiva per i tre solisti: è un lungo momento di dialogo intimo, in cui flauto, viola e chitarra esplorano le loro potenzialità timbriche in piena libertà.
La viola emerge con un canto caldo e appassionato, seguita dal flauto con frasi più aeree e sognanti. La chitarra si lancia in un assolo di notevole bellezza, ricco di arpeggi e armonie che evocano sonorità spagnoleggianti, confermando l’ispirazione mediterranea dell’opera. Il dialogo tra gli strumenti è fitto e profondo, un vero e proprio scambio di confidenze musicali prima della conclusione.
Come in una classica forma-sonata, riappare il tema principale danzante dell’esposizione, questa volta presentato con un vigore e una pienezza orchestrale ancora maggiori. Il ritorno di questa melodia solare e riconoscibile infonde un senso di gioia e circolarità, chiudendo il cerchio narrativo del brano.
Dalle fondamenta di questa ripresa si sviluppa la coda finale: la musica acquista progressivamente velocità e intensità, in un crescendo che coinvolge l’intera orchestra. I solisti si esibiscono in un ultimo slancio virtuosistico, spingendo il discorso musicale verso una conclusione brillante, affermativa e piena di energia che si chiude con accordi decisi e perentori.

La vera originalità dell’opera risiede nella geniale fusione timbrica del trio solista; Gervasio riesce a far convivere tre strumenti dalla natura profondamente diversa: il suono aereo e cristallino del flauto, quello caldo, scuro e umano della viola e quello percussivo e armonico della chitarra. Piuttosto che metterli in competizione, li tratta come le tre facce di un unico strumento, un “super-solista” capace di passare da momenti di intimità cameristica a esplosioni di virtuosismo orchestrale. Il concerto è un magnifico esempio della maturità stilistica di Gervasio, un pezzo che, pur radicato nella tradizione formale, parla un linguaggio immediato, melodico e profondamente comunicativo, capace di dipingere con i suoni i colori, la luce e il calore di un paesaggio mediterraneo baciato dal sole.

Concerto triplo – I

Antonio Salieri (18 agosto 1750 - 1825): Concerto in re maggiore per oboe, violino, violoncello e orchestra (1770). Heinz Holliger, oboe; Thomas Füri, violino e direzione; Thomas Demenga, violoncello; Camerata Bern.

  1. Allegro moderato
  2. Cantabile [9:28]
  3. Andantino [17:22]

Capricorn Concerto

Samuel Barber (9 marzo 1910 - 1981): Capricorn Concerto per flauto, oboe, tromba e archi op. 21 (1944). Eastman-Rochester Orchestra, dir. Howard Hanson (incisione del 1959).

  1. Allegro ma non troppo
  2. Allegretto [7:12]
  3. Allegro con brio [10:09]

Capricorn è la casa di Mount Kisco (stato di New York) che Barber acquistò insieme con Gian Carlo Menotti nel 1943; il nome è dovuto al fatto che l’edificio godeva del massimo dell’illuminazione solare durante l’inverno.

Concerto per tre

Carl Friedrich Fasch (18 novembre 1736 - 1800): Concerto in mi maggiore per tromba, violino, oboe d’amore, archi e continuo. Gabriele Cassone, trom­ba; Massimo Spadano, violino; Alfredo Bernardini, oboe d’amore e direzione; Zefiro Baroque Or­chestra.

  1. Allegro
  2. Affettuoso [5:19]
  3. Allegro [11:04]

Allegro marziale, Andante siciliano & Presto spagnuolo

Robert Casadesus (1899 - 19 settembre 1972): Concerto per 3 pianoforti e orchestra d’archi op. 65 (1964). Robert, Gaby e Jean Casadesus, pianoforti; Orchestre des Concerts Colonne, dir. Pierre Dervaux (registrazione del 1966).

  1. Allegro marziale
  2. Andante siciliano
  3. Presto spagnuolo
Robert & Gaby Casadesus

Concerto dell’Albatro

Giorgio Federico Ghedini (11 luglio 1892 - 1965): Concerto dell’Albatro per voce recitante, violino, violoncello, pianoforte e orchestra (1945) su testi tratti da Moby Dick di Herman Melville (traduzione di Salvatore Quasimodo). Gordon Stanley, voce recitante; Mela Tenenbaum, violino; Dorothy Lawson, violoncello; Cameron Grant, pianoforte; Philharmonia Virtuosi, dir. Richard Kapp.

« Ricordo il primo albatro che vidi.
« Fu durante un lungo colpo di vento in acque remote nei mari antartici.
« Dopo la mia guardia franca del mattino, ero salito sul ponte coperto di nubi e là vidi, gettato sulle boccaporte di maestro, un essere regale, pennuto, di immacolata bianchezza e dal sublime romano rostro adunco.
« A intervalli esso allargava le ali immense da arcangelo, come per abbracciare qualche arca santa. Stupefacenti palpitazioni e sussulti lo scuotevano.
« Attraverso i suoi inesprimibili, stranissimi occhi mi pareva di scorgere segreti che giungevano a Dio.
« A lungo contemplai quel prodigio di penne. Non posso dire, ma soltanto far sentire, le cose che mi guizzarono allora nella mente. »