Christian Erbach (c1568/73 - 14 giugno 1635): Fantasia sexti toni. Manuel Tomadin, organo.
L’approfondimento di Pierfrancesco Di Vanni
Christian Erbach e la musica della Germania meridionale fra Rinascimento e Barocco
Christian Erbach, detto il Vecchio (der Altere), è una figura chiave della musica tedesca, operando come compositore e organista nel cruciale periodo di passaggio stilistico tra il tardo Rinascimento e l’alba del Barocco.
Gli inizi, avvolti nel mistero, l’ascesa ad Augusta e il mecenatismo dei Fugger
Le informazioni sui primi anni di vita e sulla formazione musicale di Erbach sono scarse. Studiosi ottocenteschi avevano ipotizzato che potesse aver studiato a Venezia, ma di questo non esistono prove concrete. Si presume che Johannes Wigand, ludirector nella sua città natale, possa essere stato uno dei suoi primi maestri, ma anche questa è un’ipotesi. La prima traccia documentata di Erbach risale al 1596, con la pubblicazione di una sua litania a cinque voci nel Thesaurus litaniarum di Georg Victorinus. Già in quel periodo, Erbach beneficiava del sostegno della potente famiglia di banchieri e mercanti Fugger di Augusta (in Baviera), diventando organista della loro cappella di corte negli anni ’90 del Cinquecento. Nel 1600 dedicò il suo primo libro di Modi sacri a Marx (Markus) Fugger il Giovane (1564-1614), includendovi un votum nuptiale composto per le seconde nozze del mecenate con Maria Salome von Königsegg (1598). La prefazione dedicatoria di quest’opera offre ulteriori dettagli sul rapporto privilegiato con i Fugger. Erbach concluse il suo servizio presso la famiglia Fugger dopo la morte di Marx nel 1614.
Incarichi ufficiali e le tribolazioni della guerra. Gli ultimi anni e la morte
Quando Hans Leo Haßler lasciò Augusta nel 1602, Erbach ne assunse progressivamente diversi incarichi. Il 27 marzo divenne organista della collegiata di San Maurizio e l’11 giugno organista della città imperiale di Augusta, ruolo che includeva la direzione degli Stadtpfeifer (musici al servizio della municipalità). Dopo una grave malattia nel 1603, Erbach consolidò la propria posizione ad Augusta, vedendo il contratto con la città rinnovato nel 1609, 1614 e 1620. Il 26 febbraio 1625 fu nominato organista della Cattedrale di Augusta, succedendo a Erasmus Mayr, e lasciò l’incarico a S. Maurizio. Presso la cattedrale collaborò in diverse occasioni con Gregor Aichinger. La guerra dei trent’anni portò inevitabilmente diverse difficoltà: con l’occupazione svedese di Augusta nel 1632, Erbach perse il suo seggio nel gran consiglio cittadino e la sua situazione finanziaria peggiorò drasticamente. A causa di ristrettezze economiche, Erbach fu licenziato dall’incarico di organista della cattedrale il 9 giugno 1635. Morì poco dopo e fu sepolto ad Augusta il 14 giugno dello stesso anno. Sua moglie ricevette l’ultimo pagamento trimestrale il 7 settembre. Wolfgang Agricola gli succedette come organista della cattedrale.
Fondatore di una scuola organistica. L’opera strumentale e quella vocale
L’importanza di Erbach nella storia della musica della Germania meridionale nel primo terzo del XVII secolo risiede principalmente nella sua attività di insegnante. Formò un gran numero di allievi, dando vita a un’influente scuola organistica sud-tedesca, il cui esponente più noto fu Johann Klemm. Fu anche un apprezzato esperto nella costruzione di organi. La sua produzione compositiva per strumenti a tastiera è la più significativa, comprendendo circa 150 opere tra toccate, canzoni strumentali e ricercari:
le toccate si ispirano a modelli veneziani: sono caratterizzate da passaggi virtuosistici e, talvolta, da una sezione centrale contrappuntistica; anche gli introiti (raccolti in tre pubblicazioni di musiche chiesastiche apparse fra 1604 e 1606) hanno caratteristiche comuni con le toccate;
le canzoni si rifanno alle composizioni congeneri per ensemble, ma possono a loro volta includere elementi tipici della toccata;
i ricercari utilizzano spesso più temi (solitamente due, talvolta fino a quattro) in contrasto tra loro. Esistono somiglianze tematiche tra la sua musica per tastiera e quella di contemporanei come Johann Ulrich Steigleder e Jan Pieterszoon Sweelinck.
Similmente alla sua musica strumentale, la produzione vocale di Erbach attinge in parte a modelli veneziani, in particolare alle opere a doppio coro di Andrea Gabrieli. Attraverso il suo lavoro, Erbach contribuì all’affermazione della policoralità nella Germania meridionale. Le sue composizioni corali godettero di grande stima, come dimostra la loro frequente inclusione in antologie a stampa del tardo XVI e XVII secolo e la loro menzione negli inventari dell’epoca. Come sottolinea Christoph Hust, «con la sua opera, Christian Erbach ha spesso infranto ed esteso il repertorio standard del suo tempo, tecnicamente per lo più modesto, e ha riassunto in modo esemplare le tradizioni di ricezione della musica italiana».
Fantasia sexti toni
Si tratta di un significativo esempio di musica organistica tedesca del primo Barocco, un periodo di transizione in cui le forme rinascimentali si arricchiscono di nuove espressività e tecniche strumentali. Il termine fantasia implica una certa libertà formale, non legata a schemi rigidi come la fuga o la sonata, permettendo al compositore di esplorare diverse idee musicali, sezioni contrastanti e sviluppi tematici. L’indicazione sexti toni fa riferimento al sesto modo ecclesiastico (ipolidio, assimilabile al moderno fa maggiore), che non di rado caratterizza brani dalla sonorità brillante e affermativa, pur potendo accogliere momenti di maggiore introspezione.
Il brano si articola essenzialmente in due parti, la prima contrappuntistica, con imitazioni canoniche a due-tre voci, la seconda in forma di toccata, con passaggi virtuosistici affidati alla mano destra mentre la sinistra si limita a eseguire un semplice accompagnamento accordale.
La libertà formale della fantasia permette a Erbach di creare un percorso musicale variegato e coinvolgente, ben sottolineato dalla scelta dei registri da parte dell’interprete, che rendono giustizia alla magnificenza e all’articolazione interna del pezzo. È un brano che ben rappresenta il ponte tra due epoche musicali, mostrando la via verso le più complesse e monumentali forme organistiche del pieno Barocco.
Mark-Anthony Turnage (10 giugno 1960): Times Flies per orchestra (2019). BBC Symphony Orchestra, dir. Sakari Oramo.
L’approfondimento di Pierfrancesco Di Vanni
Mark-Anthony Turnage: un ponte sonoro tra classica, jazz e dramma teatrale
Turnage è una figura centrale e innovativa nel panorama della musica classica contemporanea britannica, rinomato per la sua capacità di fondere influenze eterogenee in un linguaggio musicale unico e potente.
Origini e formazione: dai primi passi all’eccellenza accademica
Nato a Corringham, Essex, Turnage crebbe in una famiglia di amanti della musica classica e ferventi cristiani pentecostali. La sua vocazione compositiva emerse precocemente, iniziando a scrivere musica all’età di nove anni. A quattordici anni, il suo talento lo portò a studiare presso la sezione giovanile del prestigioso Royal College of Music. La sua formazione musicale fu guidata da figure di spicco come Oliver Knussen e John Lambert, per poi proseguire sotto l’egida di Gunther Schuller, affinando ulteriormente la sua tecnica e visione artistica.
L’influenza del Jazz e la creazione di uno stile ibrido
Una caratteristica distintiva della musica di Turnage è la profonda e costante influenza del jazz, in particolare dell’opera iconica di Miles Davis. Questa passione non è rimasta confinata all’ascolto, ma si è tradotta in una prassi compositiva che integra elementi jazzistici e prevede la collaborazione diretta con celebri musicisti del genere. Artisti del calibro di John Scofield, Peter Erskine, John Patitucci e Joe Lovano hanno infatti partecipato all’esecuzione di sue opere, arricchendole con la loro improvvisazione e sensibilità.
Il palcoscenico operistico: narrazioni potenti e temi contemporanei
Turnage ha lasciato un’impronta significativa nel teatro musicale con la composizione di tre opere liriche di grande respiro e un’opera per famiglie. Greek, del 1988, nata con l’incoraggiamento di Hans Werner Henze e presentata alla Biennale di Monaco, si basa sull’adattamento che Steven Berkoff ha fatto dell’Edipo re, trasponendo il mito classico in una cruda realtà contemporanea. The Silver Tassie (2000), basata sull’omonima pièce teatrale di Seán O’Casey, esplora le tragiche conseguenze della guerra. Anna Nicole (2011), su libretto di Richard Thomas, racconta l’ascesa e la drammatica caduta della modella e celebrità mediatica Anna Nicole Smith, offrendo uno sguardo critico sulla cultura della celebrità. Coraline (2018), destinato a un pubblico familiare, è un adattamento dell’oscuro romanzo fantasy di Neil Gaiman, messo in scena dalla Royal Opera al Barbican Theatre.
Queste opere hanno goduto di un’ampia circuitazione internazionale, con allestimenti significativi presso teatri come la New York City Opera, l’Opernhaus di Zurigo, il Theater Dortmund, il Theater Freiburg e l’Opéra de Lille.
Opere orchestrali e da camera: un catalogo ricco e diversificato
Oltre al teatro, Turnage ha prodotto un vasto corpus di lavori orchestrali e cameristici. Tra questi spiccano: Three Screaming Popes, ispirata ai celebri dipinti di Francis Bacon; concerti solistici come Your Rockaby (per sassofono e orchestra), Yet Another Set To (per trombone e orchestra, dedicato a Christian Lindberg) e From the Wreckage (per tromba e orchestra, scritto per Håkan Hardenberger); Blood on the Floor (1993–96), opera per quartetto jazz e grande ensemble, particolarmente toccante e personale: articolata in nove sezioni, affronta il tema della tossicodipendenza; la sezione «Elegy for Andy» è un commovente lamento per la perdita del fratello del compositore.
Fra le più recenti composizioni di Turnage si annoverano Remembering per orchestra (2017); Shadow Walker, concerto per due violini e orchestra (2018); Testament per soprano e orchestra su testi ucraini (2018).
Turnage ha inoltre arricchito il repertorio vocale con cicli di canzoni scritti per interpreti di fama internazionale come Sarah Connolly, Gerald Finley e Allan Clayton.
La musica al servizio della danza: collaborazioni coreografiche
La creatività di Turnage ha trovato un naturale sbocco nel mondo della danza, ispirando numerosi coreografi: Blood on the Floor è stato
coreografato da Wayne McGregor per il Balletto dell’Opéra di Parigi nel 2011 e, nello stesso anno, Turnage ha collaborato nuovamente con McGregor e con l’artista visivo Mark Wallinger per la partitura di Undance. Il Royal Ballet ha messo in scena Trespass (2012), con coreografie di Christopher Wheeldon e Alistair Marriott, e Strapless (2017), coreografato da Wheeldon.
Riconoscimenti, incarichi e impegno didattico
Il contributo di Turnage alla musica è stato ampiamente riconosciuto attraverso numerosi incarichi prestigiosi. È stato il primo Radcliffe Composer in Association con la City of Birmingham Symphony Orchestra (1989-93) e il primo Compositore associato della BBC Symphony Orchestra (2000-03). È stato anche compositore residente della London Philharmonic Orchestra (2005-10) e co-compositore residente della Chicago Symphony Orchestra (2006-10), insieme a Osvaldo Golijov. Dal 2005 è Research Fellow in Composizione presso il Royal College of Music. Nel 2015, la sua dedizione alla musica è stata premiata con la nomina a Commendatore dell’Ordine dell’Impero britannico (CBE).
Vita personale e impegno sociale: oltre la partitura
La sua compagna è la regista Rachael Hewer, la quale nel 2020 ha fondato il Virtual Opera Project (VOPERA). Nel gennaio 2025, Turnage è stato ospite del celebre programma "Desert Island Discs" su BBC Radio 4. Tra le sue scelte musicali figuravano brani di Oliver Knussen (Notre Dame des Jouets), Miles Davis (Blue in Green) e Stevie Wonder (Living for the City). Durante la trasmissione, ha rivelato il suo impegno come volontario regolare presso un banco alimentare e il suo coinvolgimento in progetti musicali con i detenuti, dimostrando una sensibilità che si estende oltre il mondo della composizione.
Times Flies: analisi Time Flies è una composizione sinfonica commissionata dalla City of Birmingham Symphony Orchestra, dalla Tokyo Metropolitan Symphony Orchestra e dalla NDR Radiophilharmonie di Hannover per celebrare il centenario della prima e il sessantesimo anniversario della seconda, nonché il sessantesimo compleanno del compositore stesso. Il titolo non è solo un riferimento all’inesorabile scorrere del tempo e alle occasioni celebrative, ma si manifesta anche musicalmente attraverso tre sezioni distinte, ognuna evocante l’atmosfera di una delle città coinvolte nella commissione: Tokyo, Londra e New York, sebbene non siano esplicitamente indicate come movimenti separati nella partitura. L’opera è un affresco sonoro che combina la sensibilità lirica di Turnage con la sua caratteristica energia ritmica e le influenze jazzistiche.
La composizione è strutturata in tre sezioni principali, continue ma distinguibili per carattere e materiale tematico, che possono essere idealmente associate alle tre città:
Tokyo: caratterizzata da un lirismo sognante e atmosfere rarefatte, con un ruolo predominante del violino solista;
New York: intrisa di inflessioni jazzistiche, energia ritmica urbana e sonorità più brillanti e incisive;
London: una sezione più complessa e drammatica, che esplora sonorità profonde e culmina in un finale potente, per poi dissolversi.
Il concetto del "tempo che vola" è sottilmente intessuto nell’opera, non solo attraverso il contrasto tra le sezioni, ma anche con l’uso di sonorità che evocano il ticchettio e i rintocchi, specialmente all’inizio e alla fine.
Il lavoro s’inizia in modo etereo e suggestivo. Delicate sonorità percussive (Glockenspiel, celesta e campanelli) e arpeggi d’arpa creano un’atmosfera quasi magica, che potrebbe evocare il ticchettio di un orologio o i suoni cristallini di un giardino giapponese. I flauti introducono frammenti melodici lievi e sospesi. Un violino solista emerge con una melodia cantabile, lirica e leggermente malinconica, tipica dello stile espressivo di Turnage. L’orchestra fornisce un accompagnamento discreto e scintillante, principalmente dagli archi e legni acuti. L’armonia è tonale ma arricchita da dissonanze espressive, creando un senso di nostalgia e contemplazione. La scrittura per il violino è fluida e melodica, esplorando il registro acuto con grazia. La sezione si sviluppa gradualmente e la scrittura per il violino diventa più virtuosistica, con passaggi più mossi e agili. L’orchestra si infittisce, con interventi più marcati dei corni e degli archi. C’è un crescendo dinamico e di tensione, pur mantenendo un carattere prevalentemente lirico. Emergono brevi cellule ritmiche più marcate nei bassi e ottoni, che preannunciano cambiamenti futuri. Questa prima parte raggiunge un culmine emotivo con una melodia ampia e appassionata negli archi, su cui il violino solista continua a tessere le sue linee. Questo momento ha un carattere quasi cinematografico, per poi placarsi e condurre alla sezione successiva.
La seconda sezione introduce un cambiamento netto di atmosfera, con la musica che diventa più frammentata e ritmicamente incisiva. Interventi degli ottoni (trombe con sordina, tromboni) e percussioni più marcate introducono un sapore decisamente jazzistico. Si avvertono ritmi sincopati e armonie che richiamano il linguaggio del jazz orchestrale. Questa parte è chiaramente ispirata all’energia pulsante di una metropoli come New York. Turnage utilizza elementi tipici del suo stile: ritmi "swinganti" (anche se non letterali), un basso pizzicato che ricorda un walking bass, riff incisivi negli ottoni e nei legni (con timbri che a tratti possono evocare sassofoni, tipici dell’influenza di Miles Davis e Gil Evans). Le percussioni scandiscono ritmi complessi e propulsivi. La scrittura è brillante, virtuosistica per diverse sezioni dell’orchestra. L’energia si intensifica ulteriormente, con passaggi più dissonanti e una tessitura orchestrale più densa e a tratti aggressiva. Gli ottoni sono protagonisti con fanfare potenti e ritmi serrati. La sezione culmina in un potente tutti orchestrale, seguito da una rapida dissolvenza.
Anche l’ultima sezione porta a un cambio radicale, con la musica che si fa lenta, rarefatta e misteriosa. Alti archi sostenuti, legni solistici (flauto, oboe) con melodie frammentate e dolenti e l’uso evocativo di glockenspiel e celesta creano un’atmosfera quasi nebbiosa, forse un’alba londinese o un momento di profonda riflessione. L’armonia è più sospesa e ambigua. Da questa quiete, inizia un lungo e potente crescendo. Gli archi diventano più appassionati e tesi, gli ottoni aggiungono peso e gravità con accordi sostenuti e a tratti minacciosi. La tensione armonica e dinamica aumenta progressivamente, portando a un culmine di grande impatto emotivo, caratterizzato da sonorità orchestrali massicce, dissonanze marcate e una forte carica drammatica, quasi tragica. Dopo il culmine, la musica si placa gradualmente. Rimangono sonorità sospese e frammenti melodici nei legni (notevole un intervento del fagotto), come un’eco del dramma precedente. Un nuovo impulso ritmico, introdotto dalle percussioni e dagli archi bassi, segna l’inizio della coda finale. C’è un ritorno all’energia, con fanfare degli ottoni e una scrittura orchestrale più brillante. Si percepiscono echi e trasformazioni del materiale tematico della prima sezione, in particolare il lirismo del violino, ora integrato in una tessitura più robusta e affermativa. La musica costruisce verso un finale grandioso e potente, con ampi accordi e una sonorità piena. Negli ultimissimi istanti, mentre l’orchestra si dissolve, riemergono flebilmente i suoni di Glockenspiel dell’inizio, chiudendo il cerchio e richiamando il tema del "tempo che vola".
Turnage eccelle nel fondere elementi della tradizione classica con il linguaggio del jazz e del popular. In Time Flies, questo è evidente nel contrasto tra il lirismo della prima sezione, l’energia jazzistica della seconda e la profondità drammatica della terza. L’orchestrazione è ricca, colorata e magistrale e Turnage sfrutta appieno le potenzialità della grande orchestra sinfonica. Gli archi forniscono sia tappeti sonori lussureggianti che linee melodiche appassionate e passaggi ritmicamente incisivi. I legni sono spesso usati per soli espressivi e per aggiungere colori brillanti o malinconici. Gli ottoni sono impiegati per momenti di grande potenza, fanfare, ma anche per sonorità più contenute e jazzistiche (con sordine). Le percussioni giocano un ruolo fondamentale, non solo nel fornire impulso ritmico (quasi come una drum-kit nella sezione "New York") ma anche nel creare atmosfere eteree e suggestive (Glockenspiel, celesta, campanelli). L’arpa è usata efficacemente per aggiungere brillantezza e colore. La presenza di un violino solista, specialmente nella prima sezione e con richiami nel finale, conferisce all’opera un carattere concertante, sebbene non si tratti di un concerto tradizionale. La scrittura per il solista è idiomatica e virtuosistica. Il linguaggio armonico di Turnage è radicato in una sorta di tonalità espansa, dove centri tonali riconoscibili sono arricchiti e messi in discussione da dissonanze, cluster e armonie di derivazione jazzistica (accordi di settima, nona, alterazioni). Il ritmo, invece, è un elemento propulsivo nella musica di Turnage. Si passa da flussi melodici ampi e cantabili a sezioni di grande complessità ritmica, con sincopi, ostinati e una forte energia motoria, specialmente nella sezione "New York".
L’opera ha grande impatto emotivo e ricchezza espressiva. Il viaggio sonoro attraverso le tre "città" (o stati d’animo) è vivido e coinvolgente, spaziando dalla delicatezza e nostalgia di "Tokyo", all’energia vibrante e a tratti caotica di "New York", fino alla profondità drammatica e alla solennità di "London", che culmina in un finale catartico e affermativo. Il tema del tempo, evocato musicalmente, aggiunge un ulteriore strato di riflessione all’ascolto. Nel complesso, il pezzo si conferma come un’opera significativa nel catalogo di Turnage, dimostrando la sua abilità nel creare affreschi orchestrali complessi e accessibili, capaci di comunicare con immediatezza pur mantenendo una profondità strutturale e armonica. La sua capacità di fondere mondi sonori diversi in un linguaggio personale e coerente è qui pienamente realizzata, offrendo un’esperienza d’ascolto ricca e gratificante. La composizione è un degno omaggio alle orchestre committenti e una riflessione matura sul tema universale del tempo.
Pēteris Vasks (16 aprile 1946): Vientuļais eņģelis (Angelo solitario), meditazione per violino e archi (1999). Alina Pogostkina, violino; Sinfonietta Rīga, dir. Juha Kangas.
Aleksandr Sergeevič Dargomyžskij (14 febbraio 1813 - 1869): Малороссійскій Козачёкъ (Kozačok piccolorusso), fantasia sopra una danza cosacca per orchestra (1868). Orchestra sinfonica di Stato dell’URSS, dir. Evgenij Svetlanov.
Charles Ives (20 ottobre 1874 - 1954): The Celestial Railroad, « phantasy » per pianoforte (1925), ispirato dall’omonimo racconto di Nathaniel Hawthorne. Donald Berman.
Lasciato inedito dall’autore, questo brano presenta particolari motivi di interesse in quanto strettamente collegato a altre composizioni ivesiane, segnatamente la Sonata per pianoforte n. 2 e il II movimento della Quarta Sinfonia.
Tobias Hume (c1569 - 1645): Loves Farewell (pubblicato in The First Part of Ayres, French, Pollish and Others, 1605, n. 48). Shirley Edith Hunt, viola da gamba.
Clément Janequin (c1485 - 1558): Martin menait son porceau au marché, chanson a 4 voci (pubblicata in Vingt et six chansons musicales a quatre parties, 1535, n. 35); testo di Clément Marot. Ensemble «Clément Janequin».
Martin menait son porceau au marché,
Avec Alix qui, en la plaine grande,
Pria Martin de faire le pêché
De l’un sur l’autre.
Et Martin lui demande:
Et qui tiendra notre porceau, friande?
Qui? dit Alix. Bon remède il y a.
Lors le porceau à sa jambe lia.
Et Martin juche qui lourdement engaine
Le porc eut peur et Alix s’écria:
Serre, Martin, notre porceau m’entraîne!
Andrea Gabrieli (c1533 - 1585): Canzon francese detta Martin menoit a quattro voci di Ianequin. Fabio Bonizzoni, organo.
Composizioni di Leone Sinigaglia (1868 - 16 maggio 1944), musicista e alpinista, vittima dell’Olocausto.
Regenlied per archi op. 35 n. 1 (1910). Orchestra Città di Ferrara, dir. Marco Zuccarini.
Due Pezzi per violoncello e orchestra op. 16 (1902). Fernando Caida Greco, violoncello; Orchestra Città di Ferrara, dir. Marco Zuccarini.
Romanze
Humoresque [4:50]
Hora mystica in la maggiore per quartetto d’archi (1894). Quartetto Tamborini: Bruno Raiteri e Antonio Sacco, violini; Fabrizio Montagner viola; Marco Pasquino violoncello.
La pastora e il lupo (da Diciotto vecchie canzoni popolari del Piemonte op. 40b). Coro da Camera di Torino, dir. Dario Tabbia.
La bërgera larga ij moton [bis]
al long de la riviera;
’l sol levà l’era tant caod,
la s’è seta a l’ombrëta.
J’è sortì ’l gran lüv dël bòsc
con la boca ambajeja,
l’ha pijà ’l pi bel barbin
ch’i era ’nt la tropeja.
La bërgera ’s bota a criar:
«Ahi mi, pòvra fijeta!
Se quaidon m’agioteis,
saria soa morosëta».
Da lì passa gentil galant,
con la soa bela speja
j’à dait tre colp al lüv,
barbin l’è saotà ’n tera.
«Mi v’ ringrassio, gentil galant,
mi v’ ringrassio ’d vòstra pena.
Quand ch’i tonda ’l me barbin
’v donerai la lena.»
«Mi son pa marcant de pann
e gnianca de la lena:
un basin dël vòst bochin
’m pagherà la pena.»
(La pastora fa pascolare le pecore lungo la riva; il sole alto è molto caldo, così si è seduta all’ombra.
Il gran lupo è uscito dal bosco con la bocca spalancata, ha preso il più bell’agnello del gregge.
La pastora si mette a gridare: «Ahimè, povera ragazza! Se qualcuno mi aiutasse sarei la sua amorosa.»
Da lì passa il gentil galante: con la sua bella spada dà tre colpi al lupo, l’agnello salta a terra.
«Vi ringrazio della vostra pena, gentil galante: quando toserò il mio agnello vi regalerò la lana.»
«Non sono mercante di stoffe e neppure di lana: un bacio della vostra bocca mi ripagherà della pena.»)
Sinigaglia amava molto la montagna. In gioventù si dedicò con passione all’alpinismo, segnalandosi in particolare per le sue arrampicate sulle Dolomiti: a lui si devono fra l’altro le prime ascensioni della Croda da Lago e del Monte Cristallo. Il 25 agosto 1990 era fortunosamente scampato alla morte sul Cervino in tempesta: fu tratto in salvo dalla sua guida, il leggendario Jean-Antoine Carrel di Valtournenche, che dopo aver portato Sinigaglia al sicuro morì di sfinimento; dell’impresa compiuta dal rude e coraggioso montanaro, e del suo sacrificio, il giovane musicista lasciò una toccante testimonianza.
Wilhelm Middelschulte (1863 - 4 maggio 1943): Kanonische Fantasie über B A C H (1906). Brink Bush all’organo della St. Anne Church in Rochester (NY).
B A C H nella nomenclatura anglosassone corrispondono a SI♭ LA DO SI♮.
Louis-Emmanuel Jadin (1768 - 11 aprile 1853): Fantasia concertante in sol minore per arpa, pianoforte e orchestra. Lily Laskine, arpa; Robert Veyron-Lacroix, pianoforte; Orchestre de chambre «Jean-François Paillard», dir. Jean-François Paillard.
Allegro risoluto
[Tema e variazioni:] Adagio – Allegro moderato [16:02]
Jean Absil (1893 - 2 febbraio 1974): Fantaisie-Caprice per sassofono contralto e orchestra op. 152 (1971). Dominique Tassot, sassofono; Münchner Rundfunkorchester, dir. Manfred Neuman.
Jean Absil (1893 - 2 febbraio 1974): Fantaisie concertante per violino e orchestra op. 99 (1958). Maurice Raskin, violino; Orchestre National de Belgique, dir. Edgard Doneux.
Ludwig van Beethoven (circa 16 dicembre 1770 - 1827): Fantasia in sol minore-si bemolle maggiore per pianoforte op. 77 (1809). Edwin Fischer (1952).
Ai suoi tempi Beethoven era considerato un grande improvvisatore: con la sua maestria in questo campo conquistò i salotti aristocratici viennesi, procurandosi amicizie e mecenatismo. Secondo Carl Czerny, che di Beethoven fu allievo, la Fantasia op. 77 dà un’idea esatta dell’arte improvvisatoria beethoveniana.
William Alwyn (7 novembre 1905 - 1985): Autumn Legend per corno inglese e orchestra (1954). Royal Liverpool Philharmonic Orchestra, dir. David Lloyd-Jones.
Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840 - 6 novembre 1893): Scherzo-fantaisie in mi bemolle minore per pianoforte op. 72 n. 10 (1892-93). Viktorija Postnikova.
Čajkovskij nel 1893
L’opera pianistica di Čajkovskij, molto nota in Russia, dove è considerata di altissimo livello qualitativo, è quasi del tutto sconosciuta in Occidente, forse a causa dei giudizi non positivi espressi in passato da autorevoli storici della musica. In effetti ho avuto modo di leggere che le composizioni ciajkovskiane per pianoforte solo non presenterebbero particolari motivi di interesse in quanto non si discosterebbero molto dalla Salonmusik che andava di moda nel secondo Ottocento: si tratterebbe cioè di brani d’occasione, senza pretese, adatti essenzialmente a essere eseguiti dalle fanciulle di buona famiglia borghese per allietare le riunioni conviviali con parenti e amici. Bene, credo che nulla sia lontano da quel genere di musica più di questo Scherzo-fantaisie, che Čajkovskij scrisse circa un anno prima della morte. È un brano nervoso, a tratti aspro, solo apparentemente disteso nella sezione centrale, nella quale è citata – ma resa quasi irriconoscibile – una canzone tradizionale ucraina intitolata La gru (Журавель, Žuravel’), sulla quale Čajkovskij vent’anni prima aveva costruito il movmento finale della Seconda Sinfonia.
Nel 1892 Čajkovskij aveva lavorato fra l’altro a una sinfonia che poi aveva deciso di non portare a termine, ritenendola priva di valore e di significato. Questa sinfonia è stata poi ricostruita dal compositore e musicologo sovietico Semën Bogatyrëv (1890 - 1960) e oggi è nota come Settima Sinfonia in mi bemolle maggiore. Bogatyrëv si avvalse di numerosi abbozzi lasciati da Čajkovskij e da parti dell’opera incompiuta rifuse in altre composizioni; mancava però del tutto il III movimento, sicché Bogatyrëv si risolse a utilizzare in sua vece lo Scherzo-fantaisie, che orchestrò appositamente. L’ascoltiamo interpretato dall’Orchestra di Filadelfia diretta da Eugene Ormandy:
Isidora Žebeljan (27 settembre 1967 - 29 settembre 2020): Konji Svetog Marka, iluminacija za orkestar (I cavalli di san Marco, miniatura per orchestra, 2004). Janáčkova filharmonie Ostrava, dir. David Porcelijn.
Con il suo ensemble, The Broadside Band, Jeremy Barlow ha lavorato a lungo e proficuamente sulle musiche utilizzate da Johann Christoph Pepusch nell’Opera del mendicante (The Beggar’s Opera, 1728) di John Gay: la quale è l’unica ballad opera di cui si parli ancora ai nostri giorni, grazie anche al rifacimento brechtiano del 1928, Die Dreigroschenoper, che adotta però musiche originali composte da Kurt Weill. Per l’Opera del mendicante invece, com’è noto, Pepusch adattò i testi di Gay a melodie che all’epoca avevano una certa notorietà, prendendole a prestito da broadside ballads, arie d’opera, inni religiosi e canti di tradizione popolare.
Oltre a produrre un’edizione completa del lavoro di Gay e Pepusch, Barlow e la sua band hanno inciso (per Harmonia Mundi, 1982) anche un’antologia degli airs più famosi (in tutto nove brani), di ciascuno dei quali proponendo non solo la versione dell’Opera del mendicante ma anche la composizione originale e eventuali altre sue trasformazioni, varianti e parodie.
L’ultima sezione dell’antologia, che qui sottopongo alla vostra attenzione, è dedicato a Greensleeves. Comprende, nell’ordine:
una improvvisazione sul passamezzo antico, eseguita al liuto da George Weigand
Greensleeves, la più antica versione nota della melodia (dal William Ballet’s Lute Book, c1590-1603) con la più antica versione nota del testo (da A Handful of Pleasant Delights, 1584), cantata da Paul Elliott accompagnato al liuto da Weigand [1:13]
Alas, my love, you do me wrong,
To cast me off discourteously.
And I have loved you so long,
Delighting in your company.
Greensleeves was all my joy,
Greensleeves was my delight,
Greensleeves was my heart of gold,
And who but my Lady Greensleeves.
I have been ready at your hand,
To grant whatever you wouldst crave,
I have both waged life and land,
Your love and goodwill for to have.
Well I will pray to God on high
That thou my constancy mayst see,
And that yet once before I die,
Thou wilt vouchsafe to love me.
Greensleeves, now farewell, adieu,
God I pray to prosper thee,
For I am still thy lover true,
Come once again and love me.
Greensleeves, la versione più diffusa all’inizio del Seicento, secondo William Cobbold (1560 - 1639) e altri autori, con improvvisazioni eseguite da Weigand alla chitarra barocca e da Rosemary Thorndycraft al bass viol [4:07]
la versione dell’Opera del mendicanteche già conosciamo, interpretata ancora da Elliott a solo [5:27]
un misto di tre jigs irlandesi eseguito da Barlow al flauto e da Alastair McLachlan al violino [6:03]:
– A Basket of Oysters (da Moore’s Irish Melodies, 1834)
– A Basket of Oysters or Paddythe Weaver (Aird’s selection, 1788)
– Greensleeves (versione raccolta a Limerick nel 1852)
With his ensemble, The Broadside Band, Jeremy Barlow worked extensively and profitably on the music used by Johann Christoph Pepusch in John Gay’s The Beggar’s Opera (1728): it is the only ballad opera still being talked about in our days, thanks also to Bertolt Brecht’s 1928 remake, Die Dreigroschenoper, which however has original music composed by Kurt Weill. It is not the same for The Beggar’s Opera: Gay’s lyrics were in fact adapted by Pepusch to melodies that at the time already had a certain notoriety, borrowing them from broadside ballads, opera arias, religious hymns and folk songs.
Barlow and his band have recorded a complete edition of Gay and Pepusch’s work, as well as an anthology of its most famous airs (nine pieces in all), of each of which they presented not only The Beggar’s Opera version, but also the original composition and some of its variants and parodies.
The last track of the anthology, the one I submit to your attention here, is dedicated to Greensleeves. It includes, in order:
Greensleeves, earliest version of melody (from William Ballet’s Lute Book, c1590-1603) with earliest surviving words (A Handful of Pleasant Delights, 1584), sung by Paul Elliott accompanied on lute by Weigand [1:13]
Alas, my love, you do me wrong,
To cast me off discourteously.
And I have loved you so long,
Delighting in your company.
Greensleeves was all my joy,
Greensleeves was my delight,
Greensleeves was my heart of gold,
And who but my Lady Greensleeves.
I have been ready at your hand,
To grant whatever you wouldst crave,
I have both waged life and land,
Your love and goodwill for to have.
Well I will pray to God on high
That thou my constancy mayst see,
And that yet once before I die,
Thou wilt vouchsafe to love me.
Greensleeves, now farewell, adieu,
God I pray to prosper thee,
For I am still thy lover true,
Come once again and love me.
Greensleeves, the most widespread version at the beginning of the seventeenth century, according to William Cobbold (1560 - 1639) and other authors, with improvisations performed by Weigand on baroque guitar and by Rosemary Thorndycraft on bass viol [4:07]
The Beggar’s Opera version (we already know it) sung by Elliott a solo [5:27]
a medley of three Irish jigs performed by Barlow on flute and Alastair McLachlan on violin [6:03]:
– A Basket of Oysters (da Moore’s Irish Melodies, 1834)
– A Basket of Oysters or Paddythe Weaver (Aird’s selection, 1788)
– Greensleeves (collected Limerick 1852).
Johann Sebastian Bach (1685 - 1750): Chromatische Fantasie und Fuge in re minore BWV 903 (c1717-23). Chiara Massini, clavicembalo, e Andrea Bacchetti, pianoforte.
La Fuga ha inizio rispettivamente a [6:09] e a [7:00]
Ralph Vaughan Williams (1872 - 1958): Fantasia on Greensleeves for flute, harp and strings. Philadelphia Orchestra; conductor: Eugene Ormandy.
La Fantasia on Greensleeves è in realtà un arrangiamento, realizzato nel 1934 da Ralph Greaves con l’approvazione di Vaughan Williams, di un brano dell’opera Sir John in Love (1929), basata sulla commedia di Shakespeare Le allegre comari di Windsor. Utilizza non solo il ballad cui si allude nel titolo, ma anche una melodia tradizionale intitolata Lovely Joan, che Vaughan Williams aveva ascoltato nel Suffolk.
The Fantasia on Greensleeves is actually an arrangement, made in 1934 by Ralph Greaves with the approval of Vaughan Williams, of a piece from the opera Sir John in Love (1929), based on Shakespeare’s play The Merry Wives of Windsor. It uses not only the ballad alluded to in the title, but also a traditional tune called Lovely Joan, which Vaughan Williams heard in Suffolk.
Ferruccio Busoni (1866 - 1924): Turandots Frauengemach, n. 4 delle 6 Elegien per pianoforte BV 249 (1907). Claudius Tanski.
« An amusing circumstance surrounds the fourth Elegy. According to Petri, someone had shown Busoni the melody Greensleeves, and had convinced him, or else Busoni had assumed, that it was an oriental tune » (Larry Sitsky).