Remedium animae

Ottavio Vernizzi (1569 - 28 settembre 1649): O Domine Jesu Christe, mottetto a 6 voci (da Motectorum Specimen… Liber primus, 1603). Dina König, contralto; Susanna Defendi, Adam Jakab, Phillip Boyle, Adrian King e Constantin Meyer, tromboni.

O Domine Jesu Christe,
adoro te in cruce vulneratum
felle et aceto potatum:
te deprecor ut tua vulnera
sint remedium animae meae
morsque tua sit vita mea.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Ottavio Vernizzi: poliedrico organista e compositore bolognese

Ottavio Vernizzi (conosciuto anche come Vernici, Vernitio o Invernizzi) è una figura emblematica del panorama musicale bolognese a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, la cui carriera si estese per oltre cinquant’anni. La sua vita fu un intreccio di servizio ecclesiastico, attività accademica, insegnamento e persino controversie legali, il tutto mentre sviluppava uno stile compositivo che fungeva da ponte tra la polifonia tardorinascimentale e le nuove tendenze concertate del primo Barocco.

Origini e contesto familiare
Vernizzi nacque a Bologna il 27 novembre 1569. La sua famiglia non era di nobili origini, come testimonia il ruolo del padre, Pier Jacopo, bidello presso il Collegio degli artisti, e quello dei suoi fratelli, Ugo e Pier Jacopo, anch’essi bidelli nello Studio bolognese. Questa modesta provenienza, tuttavia, fu in qualche modo riscattata nel Settecento, quando un discendente, Filippo Vernizzi, acquisì il titolo di conte. Ciononostante, storici come Giuseppe Guidicini (1872) hanno espresso scetticismo su presunte antiche nobili ascendenze, suggerendo che la famiglia avesse radici più umili, con il padre di Ottavio descritto come un lavoratore agricolo dei Boncompagni, proprietario di terreni e di un’osteria (“la Cestarella”) fuori Porta Strada Maggiore.

Una prestigiosa carriera di organista
Le informazioni sulla formazione giovanile del compositore sono lacunose, ma è certo che la sua carriera professionale si concentrò presto sulla musica ecclesiastica, in particolare come organista. Già prima del 1596, egli esercitava occasionalmente la professione di organista presso la Basilica di San Petronio a Bologna. Nel febbraio di quell’anno, in seguito alla richiesta di pensionamento del titolare Vincenzo Bertalotti, Vernizzi presentò la sua candidatura ufficiale, forte delle sue «benemerenze acquisite quale supplente» e di «patronati illustri». Insieme a lui si candidò Giovanni Battista Mecchi, un allievo di Bertalotti raccomandato dal cardinale Alessandro Peretti Damasceni. La Fabbriceria della basilica prese una decisione innovativa: il 15 febbraio 1596, entrambi furono assunti con la clausola di essere «equales et equaliter ellecti ad ipsa duo organa». Questo implicava un’alternanza mensile sugli organi e l’obbligo di sostituirsi a vicenda. Questa disposizione fu facilitata dalla contemporanea costruzione del secondo organo della basilica (completato nel 1597 da Baldassarre Malamini), che permise di allineare l’ampliamento dell’organico musicale con la pratica della polifonia a doppio coro.
Nonostante la parità iniziale, Vernizzi ricevette presto un riconoscimento speciale. Oltre a uno stipendio di 13 lire, 6 soldi e 8 denari e un alloggio (successivamente convertito in un’indennità annuale), fu gratificato con due donativi nel 1597 e 1598, un’elargizione vitalizia dal 1625 e aumenti salariali che portarono la sua paga mensile a 22 lire entro il 1641. Vernizzi mantenne il suo incarico a San Petronio per ben cinquantatré anni, fino alla sua morte, avvenuta il 28 settembre 1649. Gli succedette il suo allievo Giulio Cesare Arresti, a testimonianza del suo duraturo impatto. Oltre a San Petronio, ricoprì incarichi di organista anche in San Procolo (1629-32) e presso l’Arciconfraternita di Santa Maria della Vita, luoghi dove molti musicisti della cappella di San Petronio erano attivi.

Didatta e accademico rinomato
Vernizzi non fu solo un esecutore e compositore, ma anche un didatta stimato. I suoi legami familiari con lo Studio pubblico di Bologna gli garantirono rapporti privilegiati con gli studenti universitari, specialmente quelli della natio germanica. A partire dal 1615, contravvenendo alle normative ecclesiastiche, impartì lezioni di musica alle monache camaldolesi di Santa Cristina della Fondazza, dove ebbe tra le sue allieve Lucrezia Orsina Vizzani. Queste lezioni clandestine furono interrotte d’autorità nel 1623.
Fu un membro attivo delle vivaci accademie musicali bolognesi. Aggregato come “Indefesso” all’Accademia dei Floridi, fondata nel 1615 da Adriano Banchieri e successivamente rifondata come Accademia dei Filomusi nel 1623 da Girolamo Giacobbi, la sua influenza è attestata da menzioni in opere di Banchieri, che lodò la sua abilità organistica, incluse un suo mottetto (Quæsivi quem diligit) in una raccolta e gli dedicò una lettera nelle Lettere armoniche. Partecipò anche all’Accademia dei Ravvivati, probabilmente introdotto dal poeta Silvestro Branchi, con cui collaborò in diverse produzioni.

Vita personale e controversie legali
La vita privata di Vernizzi non fu esente da complessità. Nel 1614 ebbe un figlio naturale, Francesco, da Lucrezia Tabarelli, vedova. Gli assicurò un vitalizio per la madre e una donazione di beni per il figlio, e un lascito testamentario a suor Samaritana Valisani (figlia di primo letto della Tabarelli) suggerisce un possibile matrimonio successivo con Lucrezia. Tuttavia, nei suoi testamenti (del 1639 e 1645), il figlio Francesco non è menzionato. Questi documenti invece dettagliano i beneficiari del suo patrimonio, tra cui la seconda moglie Francesca Tegli, la sua serva, i nipoti (figli del fratello Ugo), il suo allievo Giulio Cesare Arresti (a cui destinò l’intera biblioteca musicale e gli strumenti), e altre persone. Vernizzi richiese di essere sepolto senza pompa nella chiesa di Sant’Andrea degli Ansaldi.
Fu anche protagonista di alcune vicende legali. Nel 1634, fu coinvolto in una causa a Roma, ma nobili bolognesi attestarono la sua impossibilità di viaggiare per motivi di età e scarse risorse. Ancora più curiosa fu la controversia del 1636 con il nipote Marcantonio Scavazzoni, che lo citò in giudizio per una scommessa persa a seguito di una testimonianza favorevole di Vernizzi in un processo. La disputa si protrasse per anni, risolvendosi a favore del compositore solo nel 1641.

L’opera musicale: un ponte tra epoche
La virtù compositiva di Vernizzi è attestata da cinque raccolte a stampa superstiti di mottetti, fondamentali per comprendere lo sviluppo della musica sacra bolognese del primo Seicento. La sua opera prima, Motectorum specimen (1603), dedicata al cardinale Peretti, contiene ventidue composizioni da 5 a 10 voci. Queste opere sono espressione dello stile a cappella florido e sontuoso tipico dell’ultima stagione del mottetto polifonico cinquecentesco. I suoi modelli di riferimento erano compositori come Andrea Rota e Girolamo Giacobbi, ma Vernizzi si distinse per un uso più “artificioso” dei procedimenti compositivi, in particolare nell’uso espressivo delle dissonanze e della concatenazione degli esacordi.
Le sue altre musiche a stampa sono prevalentemente in stile concertato, a eccezione di un responsorio. L’Armonia ecclesiasticorum concertuum (1604) include alcuni dei primi esempi di mottetto concertato nell’area bolognese, dedicato alla natio germanica. Seguirono gli Angelici concentus (1606) e i Caelestium applausus (1612), nei quali Vernizzi sviluppa lo stile concertato principalmente attraverso duetti, trii e quartetti vocali di natura contrappuntistica, piuttosto che attraverso il recitativo sillabico o melodizzato. Solo il Caelestium applausus introduce tre mottetti a voce sola, mentre le opere precedenti si concludono con mottetti a quattro voci in stile antico che mostrano un’audace cromatismo. L’opera quinta, Concerti Octavii Vernitii a 5.6.8. cum basso (1613), è nota solo dal titolo. Dopo una lunga pausa, nel 1648, pubblicò la sua opera sesta, i Concerti spirituali, che mostrano un notevole sviluppo in termini di forma, proporzioni e varietà stilistiche rispetto alle sue precedenti composizioni concertate.
Oltre alla musica sacra, Vernizzi compose anche musiche teatrali, tra cui intermedi per tragedie e commedie rappresentate nelle accademie bolognesi, ma purtroppo queste opere sono andate perdute. La sua musica fu riconosciuta anche all’estero, con ristampe di alcuni suoi mottetti in importanti antologie tedesche. Attraverso la sua prolifica attività e la sua capacità di innovare pur mantenendo un legame con la tradizione, Vernizzi si affermò come una figura chiave nella transizione musicale del suo tempo.

Il mottetto O Domine Jesu Christe
Tratto dalla sua raccolta Motectorum Specimen del 1603, è un esempio sublime del passaggio tra la polifonia rinascimentale e l’emergente sensibilità barocca.
Il brano si apre con un’introduzione maestosa e riverente. Le voci entrano gradualmente, tessendo linee melodiche interconnesse che creano una ricca trama polifonica. I tromboni accompagnano le voci, spesso raddoppiandole o fornendo un contrappunto morbido ma solido, mentre l’organo tiene salda la base armonica. La melodia è caratterizzata da passaggi melismatici, specialmente sulla frase «O Domine Jesu Christe», che conferiscono un senso di “floridezza” e grandezza, come descritto nella biografia di Vernizzi per la sua prima raccolta. La dinamica è controllata, ma con una pienezza sonora che evoca solennità. Si percepisce già l’uso di armonie complesse e di “dissonanze espressive” che arricchiscono il tessuto sonoro senza turbarne la devozione.
La musica poi si approfondisce nel descrivere le sofferenze di Cristo, con frasi come «in cruce vulneratum felle et aceto potatum»: qui, il tono si fa più intimo e a tratti più doloroso. Le linee vocali si muovono spesso con moto discendente, suggerendo il peso del sacrificio. Le dissonanze diventano più evidenti e cariche di significato emotivo, risolvendosi poi in consonanze appaganti, un tratto distintivo della musica del primo Barocco che cerca di esprimere gli affetti del testo. I tromboni qui assumono un ruolo ancora più prominente, a volte quasi vocalico, dialogando con i cantanti e rinforzando le armonie più intense.
L’ultima sezione del mottetto si concentra sulla supplica e la speranza, con la musica che riflette questo passaggio emotivo con una maggiore intensità e un senso di risoluzione. Le voci si uniscono in passaggi omoritmici che enfatizzano la chiarezza del messaggio, alternando ancora momenti di intricata polifonia. La dinamica cresce gradualmente verso un climax finale, sottolineando la potenza delle parole. La conclusione è caratterizzata da accordi ricchi e sostenuti, che emanano un senso di pace e fede incrollabile. Le armonie finali sono profondamente consonanti, stabilendo un senso di compimento e di speranza eterna. Il ruolo degli strumenti è fondamentale nell’arricchire questa sonorità sontuosa, creando un tappeto sonoro ampio e avvolgente che culmina in una chiusura piena e risonante.
Nel complesso, il pezzo mostra un equilibrio tra la tradizione polifonica del Cinquecento e l’innovazione armonica e strumentale del Barocco nascente. L’uso espressivo delle dissonanze, la tessitura ricca e florida, e la capacità di tradurre emotivamente il testo in musica, ne fanno un’opera di grande bellezza e profondità devozionale, fedele allo stile descritto per il Motectorum Specimen e al contempo proiettata verso le nuove sonorità del suo tempo.

Taratantara

Jacobus Gallus Carniolus (ovvero Jacob Handl; 3 luglio 1550 - 18 luglio 1591): Musica noster amor, mottetto latino a 6 voci (n. 28 della raccolta Moralia, 1596, postuma). Maulbronner Kammerchor, dir. Jürgen Budday.

Musica noster amor, sit fida pedissequa vatum,
molliter ad cunas fingere nata melos.
Exulet hostiles acuens, taratantara, motus,
vivat, et Aonidum castra Poesis amet.
Et lachrimas vatum colit, et suspiria, Caesar.
Vivat io magnis turba superba Diis.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

La voce della Carniola: Jacobus Gallus, genio del tardo Rinascimento

Jacobus Gallus è stato uno dei più prolifici e influenti compositori del tardo Rinascimento, una figura di transizione che ha saputo fondere magistralmente le tradizioni musicali del proprio tempo con innovative spinte verso la modernità. Nato nelle terre asburgiche della Carniola (l’odierna Slovenia), trascorse l’ultima e più feconda parte della sua vita in Moravia e Boemia, lasciando un’eredità di oltre 500 composizioni.

Vita e origini: un musicista itinerante
Jacobus Gallus è noto anche come Jacob Handl e Jakob Petelin: i termini gallus, Handl e petelin significano “gallo” rispettivamente in latino, in tedesco e in sloveno; tuttavia il compositore non usò mai la forma slovena: preferiva infatti la forma latina, cui spesso aggiungeva l’aggettivo “Carniolus” per rivendicare con orgoglio le proprie origini. Nato presumibilmente a Reifnitz (oggi Ribnica), egli ricevette la prima educazione musicale presso l’abbazia cisterciense di Stična. Tra il 1564 e il 1566 lasciò la terra natale per viaggiare tra Austria, Boemia, Moravia e Slesia. Fu membro della cappella di corte viennese nel 1574 e, tra il 1579 e il 1585, ricoprì il prestigioso incarico di Kapellmeister per il vescovo di Olomouc. Infine, nel 1585 si stabilì a Praga, dove lavorò come organista presso la Chiesa di San Giovanni alla Balustrata fino alla morte.

L’arte della composizione: un ponte tra stili
Gallus fu un esponente musicale della Controriforma in Boemia. La sua grandezza risiede nella capacità di sintetizzare stili diversi: da un lato, la complessa polifonia della scuola franco-fiamminga; dall’altro, la grandiosità sonora e spaziale della scuola veneziana. La sua produzione, vastissima e versatile, spazia dal sacro al profano, includendo opere monumentali che impiegano più cori e fino a 24 parti vocali indipendenti.
Il suo capolavoro è senza dubbio l’Opus musicum (1586-90), una monumentale raccolta di 374 mottetti destinati a coprire le necessità liturgiche dell’intero anno ecclesiastico. Quest’opera, così come la maggior parte delle sue messe, fu stampata a Praga. Nei mottetti, come il celebre O magnum mysterium, è evidente l’influenza veneziana, soprattutto nell’uso della tecnica del “coro spezzato” (cori separati che dialogano tra loro). Gallus fondeva con maestria arcaismo e modernità: se da un lato era un profondo conoscitore delle tecniche imitative tradizionali, dall’altro preferiva la nuova pratica policorale veneziana, utilizzando raramente la tecnica del cantus firmus. La sua audacia si manifesta in transizioni cromatiche che anticipano la dissoluzione del sistema modale, come nel mottetto a cinque voci Mirabile mysterium, la cui complessità armonica è stata paragonata a quella di Carlo Gesualdo. Era inoltre un abile inventore di madrigalismi, ma sapeva anche scrivere brani di intensa e semplice spiritualità, come il suo mottetto più famoso, Ecce quomodo moritur justus, il cui tema fu successivamente ripreso da G.F. Händel.

La produzione profana
Oltre al vasto corpus sacro, egli compose circa 100 brani profani, raccolti principalmente in due raccolte: Harmoniae morales (1589-90) e Moralia (1596). Questa produzione dimostra la sua versatilità, includendo madrigali in latino (una scelta linguistica insolita per il genere, che era prevalentemente italiano), canti in tedesco e altre composizioni in latino.

Musica noster amor: analisi
Questo mottetto è un gioiello della produzione profana, un’ode umanistica alla musica e alla poesia che dimostra in modo esemplare la maestria di Gallus nel tradurre il significato e l’emozione del testo in vivida materia sonora. Il testo è una celebrazione del potere della musica: da un lato, la sua capacità di generare dolcezza e conforto; dall’altro, la sua forza nel bandire gli istinti bellicosi, per poi abbracciare la nobiltà della poesia. Il mottetto è strutturato in una serie di sezioni contrastanti che seguono fedelmente la progressione emotiva del testo, utilizzando la tecnica del madrigalismo con straordinaria efficacia.

Il brano si apre con una dichiarazione solenne e affettuosa: Gallus sceglie una tessitura prevalentemente omoritmica, dove tutte e sei le voci si muovono insieme, conferendo al testo un’immediata chiarezza e un senso di unità. La dinamica è contenuta e l’armonia è prevalentemente consonante, creando un’atmosfera di serena devozione all’arte musicale.
Pur mantenendo un carattere dolce, Gallus introduce poi un delicato contrappunto imitativo: le voci entrano in successione, creando un intreccio morbido e fluttuante che evoca l’immagine del dondolio di una culla. Il termine “fingere” viene impreziosito da un breve ma elegante melisma, dipingendo musicalmente l’atto creativo. La dinamica si attenua ulteriormente, quasi a suggerire un sussurro.
Il carattere cambia bruscamente: “Exulet” è cantato con forza e decisione, segnando una netta rottura con la dolcezza precedente. Il culmine è raggiunto sulla parola onomatopeica “taratantara”, che imita lo squillo delle trombe di guerra. Qui Gallus scatena un vorticoso gioco imitativo: le voci, specialmente tenori e bassi, si rincorrono con ritmi puntati, veloci e staccati, creando una cascata sonora percussiva e brillante.
Dopo il tumulto del “taratantara”, la musica si placa e si eleva nuovamente verso una nobile solennità: la parola “vivat” è presentata in un potente blocco omoritmico, un’affermazione di speranza e resilienza. La frase successiva – che celebra l’unione tra Poesia e Muse – ritorna a una polifonia fluida e complessa, con lunghe linee melodiche che si intrecciano con eleganza, simboleggiando la raffinatezza dell’arte.
La dinamica scende poi a un piano quasi impercettibile. Per dipingere le parole “lachrimas” e “suspiria”, Gallus utilizza un sottile gioco cromatico e armonie dissonanti. Si avvertono dei ritardi che si risolvono lentamente, imitando musicalmente un sospiro. L’atmosfera diventa intima e patetica, quasi malinconica. È in passaggi come questo che si riconosce la modernità di Gallus e la sua capacità di esplorare la profondità psicologica del testo, anticipando sensibilità quasi barocche.
Il mottetto si conclude con un’esplosione di giubilo: la parola “vivat” ritorna, questa volta come un’esclamazione trionfale. Gallus utilizza di nuovo la massima potenza dell’omoritmia: tutte le sei voci sono unite in un accordo pieno e sonoro, proiettato con una dinamica fortissimo. L’effetto è quello di un coro magnifico e unitario che canta una lode finale. La frase si ripete con crescente intensità, culminando in un accordo maggiore finale.

Nel complesso, Musica noster amor è una sintesi perfetta dello stile di Jacobus Gallus: la sua capacità di alternare la complessità polifonica franco-fiamminga a una scrittura omoritmica di derivazione veneziana, il suo uso geniale e quasi teatrale dei madrigalismi, e la sua sensibilità armonica audace e moderna.

Come l’arpa

Giovanni Pierluigi da Palestrina (c1525 - 1594): Sicut cervus, 2a pars Sitivit anima mea, mottetto a 4 voci (1584); testo desunto dal Salmo XLII (41), versetti 1-3. Coro da camera del Collegium Musicum Almae Matris dell’Università di Bologna, dir. Enrico Lombardi.

Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te, Deus.
Sitivit anima mea ad Deum fortem vivum: quando veniam et apparebo ante faciem Dei?
Fuerunt mihi lacrymae meae panes die ac nocte, dum dicitur mihi quotidie: Ubi est Deus tuus?


Grazie a Luís Henriques e al suo bellissimo sito, ho scoperto una vera chicca: il capolavoro di Palestrina in una versione per due arpe, interpreti Laura Puerto e Manuel Vilas:



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

L’anelito dell’anima: il Sicut cervus di Palestrina tra fede e musica

Il mottetto Sicut cervus è una delle composizioni più celebri e amate di Giovanni Pierluigi da Palestrina, maestro indiscusso della polifonia rinascimentale. Il testo esprime il profondo anelito dell’anima verso Dio, un tema che Palestrina traduce in musica con straordinaria sensibilità e maestria contrappuntistica.

Siamo nel pieno Rinascimento maturo, e lo stile di Palestrina incarna l’ideale di chiarezza, equilibrio e serena spiritualità promosso dalla Controriforma. La sua musica è caratterizzata da:
– linee melodiche fluide: prevalentemente per gradi congiunti, con salti melodici attentamente preparati e risolti, creando la famosa “curva palestriniana”;
– armonia prevalentemente consonante: le dissonanze sono trattate con estrema cura, principalmente come ritardi, note di passaggio o di volta, sempre preparate e risolte dolcemente;
– chiarezza testuale: nonostante la complessità polifonica, il testo rimane generalmente intelligibile;
– equilibrio tra le voci: nessuna voce predomina in modo eccessivo; tutte contri­bui­scono alla tessitura complessiva;
– tecnica imitativa: l’imitazione tra le voci è uno dei principali procedimenti costruttivi.

Il mottetto ha inizio con un’entrata imitativa. Il tenor intona per primi il motivo ascendente sulle parole “Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum“, un disegno melodico semplice e sereno. A breve distanza di tempo entrano l’altus una 5ª sopra, il cantus (soprano) un’8ª sopra il tenor e infine il bassus un’8ª sotto, ciascuno riprendendo il motivo iniziale in imitazione non rigorosa.
Sulle parole “desiderat ad fon[tes]” la melodia si sviluppa verso l’acuto, sottolineando il senso di anelito. Sulla parola “aquarum” la melodia è invece caratterizzata da un movimento che può evocare il fluire dell’acqua, con melismi delicati e una tessitura che si mantiene trasparente. Le diverse voci si intrecciano mantenendo l’indipendenza lineare, ma concorrendo a un’armonia piena e consonante.
La seconda parte del versetto riprende musicalmente l’idea iniziale, con la frase “ita desiderat anima mea” che riecheggia l’anelito di “Sicut cervus desiderat“. Le parole “anima mea” ricevono spesso un trattamento espressivo, con linee melodiche che diventano più personali e interiori. Il culmine emotivo di questa prima parte si raggiunge su “ad te, Deus“: qui, la polifonia tende a convergere verso momenti di maggiore omoritmia o verso armonie particolarmente piene e affermative, creando un senso di arrivo e devozione. La cadenza che conclude la prima parte è chiara ma non definitiva, preparando l’ascoltatore alla continuazione.

La seconda parte s’inizia con un’energia leggermente diversa, forse più intensa, sulla parola “Sitivit“. Anche qui, le entrate sono imitative. L’espressione di “sete” è palpabile nelle linee melodiche che si protendono. “Ad Deum fortem vivum” è trattato con maggiore vigore; “fortem” e “vivum” sono sottolineate da armonie più robuste e da un ritmo leggermente più marcato. La domanda “quando veniam” introduce un elemento di attesa e interrogazione. Le linee melodiche presentano inflessioni ascendenti o ritardi armonici che riflettono l’incertezza e il desiderio.
Et apparebo ante faciem Dei” rappresenta il culmine del desiderio. Palestrina spesso costruisce un crescendo musicale corrispondente all’accrescersi dell’intensità testuale, utilizzando una scrittura più piena e talvolta più omoritmica per enfatizzare il momento dell’apparizione divina. La tessitura si fa densa e solenne.
Un cambio di atmosfera avviene con “Fuerunt mihi lacrymae meae“: la musica si fa più sommessa, riflessiva, quasi dolente. Le linee melodiche tendono a salire e l’armonia si tinge di sfumature più malinconiche. “Panes die ac nocte” esprime la costanza del dolore.
Su “Dum dicitur mihi quotidie” la musica assume un carattere più narrativo o declamatorio. La ripetizione di “quotidie” (ogni giorno) è sottolineata da motivi ritmici o melodici insistenti. La domanda finale, “Ubi est Deus tuus?” è il punto di massima tensione emotiva del mottetto, e Palestrina la tratta con grande intensità. Spesso le voci si uniscono in un grido polifonico, pieno di pathos e interrogazione. La dinamica cresce nuovamente e l’armonia presenta ritardi più pungenti per esprimere l’angoscia della domanda.
Palestrina spesso ripete le frasi testuali più significative per enfatizzarne il contenuto emotivo. La sezione finale del mottetto vede la ripresa di “Ubi est Deus tuus?” e altre frasi chiave. La conclusione del mottetto è particolarmente toccante e, dopo l’intensità della domanda, la musica si placa gradualmente. Le ultime iterazioni di “Deus tuus” sono spesso trattate con un progressivo diminuendo, con le voci che si diradano e le armonie che si semplificano, lasciando un senso di contemplazione, forse di speranza sommessa o di una domanda che rimane sospesa nell’etere.

Terribile come un esercito pronto alla battaglia

Vincenzo Ugolini (c1580 - 6 maggio 1638): Quae est ista, mottetto a 3 cori (1622). Coro Counterpoint, dir. David Acres.

Quae est ista, quae progreditur quasi aurora consurgens,
pulchra ut luna,
electa ut sol,
terribilis ut castrorum acies ordinata?
(Cantico dei cantici VI:10)



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Vincenzo Ugolini: un protagonista della musica romana del Seicento

Ugolini è oggi riconosciuto come una figura rilevante nell’ambito della scuola romana di musica sacra, attivo nel cruciale periodo di transizione tra la fine del Rinascimento e l’inizio del Barocco.

Origini e formazione a Roma
Nacque a Perugia, dove fu battezzato il 1° novembre 1578. Le sue prime esperienze musicali formative non sono documentate ma si sa che, nel giugno 1592, entrò come puer cantus (e poi altus) nella prestigiosa cappella musicale di San Luigi dei Francesi a Roma, rimanendovi fino all’ottobre 1594. Qui ebbe la fondamentale opportunità di studiare sotto la guida di Giovanni Bernardino Nanino, allora maestro di cappella. Già nel Natale 1595, Ugolini prestava servizio come cantore per la Confraternita dei Bergamaschi a Roma. La sua prima composizione edita, il madrigale Amor, ch’è quel ch’io miro, apparve nel 1599 nel Secondo Libro di madrigali del suo maestro Nanino, nel quale Ugolini si definì esplicitamente “discepolo”. Tra il maggio 1600 e il dicembre 1601, fu nuovamente attivo in San Luigi dei Francesi, questa volta come bassus.

Primi incarichi da maestro di cappella a Roma e l’incontro (presunto) con Gesualdo
Ugolini ottenne il suo primo incarico come maestro di cappella presso la Chiesa di Santa Maria dei Monti (associata ai Gesuiti) intorno al 1601-1603. Di certo, il 1° gennaio 1603 fu eletto maestro della Cappella Liberiana nella Basilica di Santa Maria Maggiore, una posizione di grande rilievo che mantenne fino al 29 novembre 1609, nonostante un’assenza di nove mesi per malattia nel 1606. Durante il periodo in cui dirigeva la cappella di Santa Maria Maggiore, potrebbe essere avvenuto un incontro significativo: il celebre e tormentato principe Carlo Gesualdo da Venosa, trovandosi a Roma “in incognito”, avrebbe cercato Ugolini per avere un parere sui propri madrigali. Sebbene non certo, questo aneddoto sottolinea la crescente reputazione di Ugolini nell’ambiente musicale romano.

Il periodo beneventano al servizio del cardinale Arrigoni
Il 29 novembre 1609, Ugolini fu licenziato iustis causis (per giusti motivi, non specificati) da Santa Maria Maggiore. Tuttavia, trovò quasi subito una nuova sistemazione, in quanto tra dicembre 1609 e gennaio 1610 entrò al servizio del cardinale Pompeo Arrigoni, vescovo di Benevento dal 1607. Ugolini si trasferì quindi nella città campana, dedicando al cardinale le sue Sacrae cantiones (mottetti) a 8 voci, pubblicate a Roma nel 1614. Il suo servizio a Benevento terminò probabilmente con la morte del cardinale, avvenuta il 4 aprile 1616.

Attività editoriale: madrigali e scelte poetiche
Nel 1615, mentre era ancora legato a Benevento (o subito dopo), Ugolini pubblicò a Venezia due importanti libri di madrigali a cinque voci. La dedica del primo libro è rivolta al potente cardinale Scipione Borghese, ringraziato per non specificati favori ricevuti. La dedica del secondo libro rivela che fu il cardinale Alessandro Damasceni Peretti a richiedere espressamente quei componimenti. Dal punto di vista poetico, Ugolini musicò testi molto diffusi all’epoca (Tasso, Guarini, Marino, ma anche Luigi Cassola e Baldassarre Bonifacio), e si distinse inoltre per la scelta di liriche meno comuni, tratte da raccolte di Maurizio Moro, del perugino Leandro Bovarini e di autori mantovani raccolti da Eugenio Cagnani.

Primo magistero a San Luigi dei Francesi e attività collaterali
Ritornato stabilmente a Roma, Ugolini riprese servizio presso la chiesa dove si era formato: dal luglio 1616 al luglio 1620 fu maestro di cappella a San Luigi dei Francesi. Durante questo periodo ebbe tra i suoi allievi il giovane Orazio Benevoli, destinato a diventare una figura centrale della musica barocca romana. Fu un periodo editorialmente fertile: pubblicò quattro libri di Motecta sive sacrae cantiones per voci sole (da 1 a 4) e organo (1616-1619), dedicandoli a figure influenti come all’auditore della Sacra Rota Francesco Ubaldi, il marchese Valerio Santacroce, monsignor Ottavio Corsini e il cardinale Alessandro Orsini. Il terzo libro (1618) includeva antifone specifiche per la liturgia parigina di San Luigi. Sue composizioni apparvero anche in raccolte curate da Fabio Costantini (1618) e Zaccaria Zanetti (1619). Oltre all’impegno a San Luigi, Ugolini fu attivo nell’organizzazione musicale di feste per importanti confraternite romane, come S. Maria del Pianto, la SS. Trinità dei Pellegrini e S. Maria di Monserrato (1619-1620).

L’apice e la caduta: la direzione della Cappella Giulia
Il 13 giugno 1620 Ugolini raggiunse uno degli apici della carriera musicale romana, venendo nominato coadiutore di Francesco Soriano, maestro della Cappella Giulia in San Pietro. Poco dopo fu assunto anche come tenore nella stessa cappella. Alla morte di Soriano (19 luglio 1621), Ugolini gli succedette pienamente nel ruolo di maestro. Durante questo periodo, compose musica per eventi solenni, come il mottetto a 12 voci Exultate omnes per la nomina del cardinal Borghese ad arciprete della Basilica Vaticana (1620), incluso poi in una sontuosa pubblicazione del 1622 che causò persino una lite legale con l’editore. A questo periodo risalgono anche undici “dialoghi” liturgici a 8-10 voci destinati a essere eseguiti durante la messa. Ugolini aveva la responsabilità di organizzare le musiche per le grandi celebrazioni in basilica, specialmente per la festa di San Pietro, spesso impiegando più cori. Disponeva di musicisti eccellenti, tra cui l’organista Girolamo Frescobaldi e i giovani cantanti Marc’Antonio Pasqualini e Mario Savioni, entrambi suoi allievi. Per l’Anno Santo 1625 compose diverse opere significative. Tuttavia, il 16 febbraio 1626, il capitolo di San Pietro lo licenziò, nominando al suo posto Paolo Agostini. Le ragioni precise non sono note, ma si ritiene che che Agostini avesse sfidato musicalmente Ugolini e che quest’ultimo, rifiutando la sfida, fosse stato allontanato.

Gli ultimi anni: tra Roma, Parma e il ritorno a San Luigi dei Francesi
Dopo il licenziamento da San Pietro, le tracce di Ugolini si perdono per un paio d’anni. Ricompare nel settembre 1628 con la dedica degli Psalmi ad vesperas a 8 voci al cardinale Girolamo Colonna, senza però indicare alcuna carica nel frontespizio. Secondo Vincenzo Giustiniani, si recò a Parma per partecipare ai festeggiamenti delle nozze ducali Farnese-Medici, anche se il suo contributo specifico non è noto. Fu nuovamente a Roma nel settembre 1629 (testimone al testamento di Domenico Allegri) e nell’aprile 1630 dedicò gli Psalmi ad vesperas et motecta a 12 voci al cardinale Antonio Santacroce. Nel maggio 1631, Ugolini fu nominato per la seconda volta maestro di cappella a San Luigi dei Francesi. La chiesa era ora sotto il controllo dei Padri Oratoriani di Francia, e Ugolini collaborò strettamente con il padre Nicolas de Bralion, influenzando le scelte testuali (come nel dialogo Gaudeamus omnes) e adattando la musica alle nuove esigenze liturgiche e cerimoniali (la chiesa era diventata “regia”, legata al Louvre), come dimostra un salmo modificato per Luigi XIII. Esiste anche un aneddoto secondo cui Ugolini avrebbe “emendato” una messa per il re di Francia, forse un’opera a lui dedicata (come la Missa duobus choris di Nicolas Formé del 1638), stile di cui Ugolini era maestro riconosciuto in Italia.

Analisi del mottetto Quae est ista
Il mottetto Quae est ista di Ugolini rappresenta un esempio raffinato della polifonia sacra del primo Barocco romano, un periodo in cui l’eredità stilistica di Palestrina era ancora profondamente sentita, ma iniziava a fondersi con nuove sensibilità espressive. Ugolini si colloca in quella tradizione che cercava di bilanciare la complessità polifonica con l’intelligibilità del testo sacro, secondo i dettami post-tridentini. Tuttavia, rispetto alla pura polifonia rinascimentale, il suo linguaggio mostra già elementi tipici del primo Barocco, come un uso leggermente più libero della dissonanza (sebbene sempre attentamente preparata e risolta), una maggiore enfasi sulle cadenze armoniche per definire la struttura e una sensibilità più accentuata verso l’espressione retorica del testo. La scelta di impiegare soltanto tre voci conferisce al brano una trasparenza particolare, permettendo alle singole linee melodiche di emergere con chiarezza e di interagire in un dialogo contrappuntistico nitido e delicato.
La scrittura è prevalentemente polifonica e basata sull’imitazione. Ugolini introduce le diverse frasi del testo attraverso “punti di imitazione”, dove una voce presenta un motivo melodico che viene poi ripreso dalle altre voci in successione. Questo crea un tessuto sonoro fluido e intrecciato, in cui le voci dialogano costantemente. La scelta delle tre voci permette che questa imitazione sia sempre percepibile, senza la densità che potrebbe derivare da un organico più ampio. Non mancano momenti di scrittura più omofonica o omoritmica, utilizzati strategicamente per sottolineare parole chiave o per creare momenti di maggiore impatto sonoro, specialmente nelle cadenze o in frasi di particolare solennità come forse “terribilis ut castrorum“.
Le linee melodiche sono generalmente cantabili e scorrevoli, caratterizzate da un movimento prevalentemente congiunto, in linea con la tradizione palestriniana. Gli intervalli più ampi sono usati con parsimonia, spesso per sottolineare l’inizio di una nuova frase o per esigenze espressive legate al testo. Si può notare come le linee tendano ad ascendere su parole come consurgens (che sorge) o sol (sole), traducendo musicalmente l’immagine testuale.
L’armonia si muove in un ambito che potremmo definire modale con forti influenze tonali. Le cadenze, che articolano chiaramente le diverse sezioni del mottetto corrispondenti alle frasi del testo, sono spesso ben definite armonicamente (cadenze perfette o plagali), conferendo un senso di direzione e conclusione. L’uso della dissonanza è controllato: le sospensioni sono preparate e risolte con cura, e le note di passaggio contribuiscono alla fluidità delle linee senza turbare l’equilibrio complessivo. La sonorità generale è prevalentemente consonante, creando un’atmosfera serena e luminosa, perfettamente adatta all’immagine della figura femminile descritta (aurora, luna, sole).
Il ritmo è fluido e flessibile, modellato sulle naturali accentuazioni del testo latino. Ugolini alterna abilmente sezioni sillabiche — che garantiscono la chiarezza della dizione — a passaggi più melismatici, solitamente su vocali accentate o parole di particolare importanza (pulchra, electa), che conferiscono slancio espressivo e ornamento alle linee vocali.
La forma del mottetto segue fedelmente la struttura del testo. Ogni frase dà origine a una sezione musicale distinta, solitamente introdotta da un nuovo punto di imitazione e conclusa da una cadenza più o meno forte. Questo approccio durchkomponiert (a composizione continua) permette alla musica di seguire passo passo il significato e l’emozione del testo, creando un percorso sonoro coerente e in crescendo di intensità descrittiva.

Ho cercato, di notte

Johann Vierdanck (battezzato il 5 febbraio 1605 - 1646): Ich suchte des Nachts, mottetto a 5 voci, 2 violini e basso continuo (pubblicato in Geistlicher Concerten, ander Theil, 1643, n. 17). Europäisches Hanse-Ensemble, dir. Manfred Cordes.

Ich suchte des Nachts in meinem Bette, den meine Seele liebet.
Ich suchte, aber ich fand ihn nicht.
Ich will aufstehen und in der Stadt umgehen
auf den Gassen und Straßen und suchen, den meine Seele liebet.
Ich suchte, aber ich fand ihn nicht.
Es fanden mich die Wächter, die in der Stadt umgehen:
Habt ihr nicht gesehen, den meine Seele liebet?
Da ich ein wenig vor ihnen über kam, da fand ich, den meine Seele liebet.
Ich halte ihn und will ihn nicht lassen, bis ich ihn bringe in meiner Mutter Haus,
in meiner Mutter Kammer.
(Cantico dei cantici 3:1-4)

Wie lieblich sind deine Wohnungen

Johann Hermann Schein (20 gennaio 1586 - 1630): Wie lieblich sind deine Wohnungen, mottetto a 4 voci e continuo; testo: Salmo 84, versetti 2-4. Wiener Kammerchor, dir. Johannes Prinz.

Wie lieblich sind deine Wohnungen, Herr Zebaoth!
Meine Seele verlangt und sehnt sich nach den Vorhöfen des Herrn; mein Leib und Seele freuen sich in dem lebendigen Gott.
Denn der Vogel hat ein Haus gefunden und die Schwalbe ihr Nest, da sie Junge hecken: deine Altäre, Herr Zebaoth, mein König und Gott.

Da dove sorge il sole

Jacobus Vaet (c1529 - 8 gennaio 1567): A solis ortus cardine, inno a 5 voci (strofe pari). Dufay Ensemble.

A solis ortus cardine
Ad usque terrae limitem
Christum canamus Principem,
Natum Maria Virgine.

Beatus auctor saeculi
Servile corpus induit,
Ut carne carnem liberans
Non perderet quod condidit.

Clausae parentis viscera
Caelestis intrat gratia;
Venter puellae baiulat
Secreta quae non noverat.

Domus pudici pectoris
Templum repente fit Dei;
Intacta nesciens virum
Verbo concepit Filium.

Enixa est puerpera
Quem Gabriel praedixerat,
Quem matris alvo gestiens
Clausus Ioannes senserat.

Foeno iacere pertulit,
Praesepe non abhorruit,
Parvoque lacte pastus est
Per quem nec ales esurit.

Gaudet chorus caelestium
Et Angeli canunt Deum,
Palamque fit pastoribus
Pastor, Creator omnium.

Iesu, tibi sit gloria,
Qui natus es de Virgine,
Cum Patre et almo Spiritu,
In sempiterna saecula.
Amen.

O nata lux de lumine

Thomas Tallis (c1505 - 1585): O nata lux de lumine, mottetto a 5 voci (pubblicato in Cantiones quae ab argumento sacrae vocantur, 1575, n. 8). The Tallis Scholars, dir. Peter Phillips.

O nata lux de lumine,
Iesu redemptor saeculi,
Dignare clemens supplicum
Laudes precesque sumere.
Qui carne quondam contegi
Dignatus es pro perditis.
Nos membra confer effici
Tui beati corporis.

Radix sancta

Adrian Willaert (c1490 - 7 dicembre 1562): Ave regina caelorum, mottetto a 4 voci (pubblicato in Musica quatuor vocum quae vulgo motecta nuncupatur liber primus, 1539, n. 17). Membri dell’ensemble Capilla Flamenca: Marnix De Cat, contraltista; Jan Caals, tenore; Lieven Termont, baritono; Dirk Snellings, basso e direttore.

Ave, Regina caelorum,
Ave, Domina angelorum:
Salve, radix sancta
ex qua mundo lux est orta:
Gaude gloriosa,
super omnes speciosa:
Vale, valde decora
et pro nobis semper Christum exora.

Terribilis est locus iste

Guillaume Dufay (c1397 - 27 novembre 1474): Nuper rosarum flores, mottetto a 4 voci (1436). The Hilliard Ensemble.

Nuper rosarum flores
Ex dono pontificis
Hieme licet horrida
Tibi, virgo coelica,
Pie et sancte deditum
Grandis templum machinae
Condecorarunt perpetim.

Hodie vicarius
Jesu Christi et Petri
Successor Eugenius
Hoc idem amplissimum
Sacris templum manibus
Sanctisque liquoribus
Consecrare dignatus est.

Igitur, alma parens
Nati tui et filia
Virgo decus virginum,
Tuus te Florentiae
Devotus orat populus,
Ut qui mente et corpore
Mundo quicquam exorarit.

Oratione tua
Cruciatus et meritis
Tui secundum carnem
Nati Domini sui
Grata beneficia
Veniamque reatum
Accipere mereatur.
Amen.

Tenor :

Terribilis est locus iste.

Nuper rosarum flores fu composto per la consacrazione del Duomo di Firenze, avvenuta il 25 marzo 1436. Si è ipotizzato che la struttura del mottetto e quella della cattedrale siano correlate, ma l’argomento è tuttora oggetto di discussione; qui si trovano alcune informazioni in proposito.

NRF

Lodiamo insieme Caterina, modello di santità

Due composizioni medievali dedicate a santa Caterina d’Alessandria nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.


Anonimo: Katerine collaudemus (Lodiamo insieme Caterina), Carmen Buranum 19*. New London Consort, dir. Philip Pickett.

Katerine collaudemus
virtutum insignia,
cordis ei presentemus
et oris obsequia,
ut ab ipsa reportemus
equa laudum premia.

Multa fide Katerina
iudicem Maxentium,
non formidat lex divina
sed format eloquium
quod confutat ex doctrina
errores gentilium.

Victi Christo confitentur
relictis erroribus,
iubet iudex ut crementur,
nec pilis aut vestibus
nocet ignis et torrentur
inustis corporibus.

Post hec blande rex mollitur
virginem seducere,
nec promissis emollitur
nec terretur verbere;
compeditur, custoditur
tetro clausa carcere.

Clause lumen ne claudatur,
illucet porfirio,
qui regine federatur
fidei collegio
quorum fidem imitatur
ducentena concio.

Huius ergo concionis
concordes constantia
vim mundane passionis
pari patiencia
superemus ut in bonis
regnemus in gloria.


John Dunstable (o Dunstaple; c1390 - 1453): Salve scema sanctitatis (Salve, modello di santità), mottetto isoritmico a 4 voci. Hilliard Ensemble.

Cantus

Salve scema sanctitatis
Christi cara Katherina,
sponsa speciosa satis
castitate cristallina;
cuius caro columbina
reges refusa,
casti celi cacumina
rotis revinxit reclusa,
ruptis rotulis recusa
plangens plebs precipitatur
rixa rectorum retusa
pira pestilens paratur.
Poli princeps postulatur;
Christo cremantur credentes,
piis palio prestatur,
celum constatium cluentes
claudunt carcere cluentes
votis virginem urentem;
clatris confluunt clementes,
vitam vitant vix volentem.
Virgo virtute vegentem
poscit plebem prosperari
vitam vincens et virentem
polo poscit premiari.

Contratenor

Salve salus servulorum,
circumfulsa carcerata
sole summo, serenorum
cibo celico cibata;
cuius caro carnicata
modo miro mancipatur,
crudo carceri collata
mox medelis medicatur;
miro mulsa mens munitur
ruta remanens regine,
mamillis martyritur
raptis rejectis ruine.
Ringit radix rex rapine
Katherine concitatur,
rosa rubens repentine
collo ceso cruentatur,
curor candens conspicatur
mox mirifice manare,
caeli culmine cure
morbi medelam mandare.
Martyr mitis meditare,
servulorum suffragare
mestas mentes moderare
sospitate salutare.

Tenor

Cantant celi agmina laudes.

Dunstable

Giornata mondiale contro la violenza sulle donne

Malata d’amore

Antoine Busnois (c1430 - 6 novembre 1492): Anima mea liquefacta est, mottetto a 3 voci su testo tratto dal Cantico dei cantici (V:6-8). Capella Sancti Michaelis.

Anima mea liquefacta est, ut dilectus locutus est.
Quaesivi et non inveni illum; vocavi et non respondit mihi.
Invenerunt me custodes civitatis, percusserunt me et vulneraverunt me.
Tulerunt pallium meum custodes murorum.
Filiae Hierusalem, nuntiate dilecto quia amore langueo.

Flores apparuerunt

Francisco Guerrero (4 ottobre 1528 - 1599): Surge, propera amica mea, mottetto a 6 voci (testo: Canticum canticorum Salomonis 2:10b–13). Stile Antico.

10b Surge, propera amica mea, columba mea, formosa mea, et veni.
11 Jam enim hyems transiit, imber abiit et recessit.
12 Flores apparuerunt in terra, tempus putationis advenit.
Vox turturis audita est in terra nostra;
13 Ficus protulit grossos suos; vineae florentes dederunt odorem suum.
Surge, amica mea, speciosa mea, et veni.

Cantus firmus (soprano II): Veni, sponsa Christi.

Guerrero, Surge

Come una voluta di fumo

Tomás Luis de Victoria (1548 - 27 agosto 1611): Vidi speciosam, mottetto a 6 voci (pubblicato in Motecta, que partim quaternis, partim quinis, alia senis, alia octonis vocibus concinuntur, vol. I, 1572, n. 27). Ensemble Plus Ultra, dir. Michael Noone.

1a pars :
Vidi speciosam sicut columbam ascendentem desuper rivos aquarum:
Cuius inaestimabilis odor erat nimis in vestimentis eius.
Et sicut dies verni, flores rosarum circumdabant eam, et lilia convallium.

2a pars :
Quae est ista, quae ascendit per desertum sicut virgula fumi, ex aromatibus myrrhae et thuris?
Et sicut dies verni, flores rosarum circumdabant eam, et lilia convallium.

Ne unquam obdormiam in morte

Loyset Compère (c1445 - 16 agosto 1518): O bone Jesu, mottetto a 4 voci (pubblicato postumo nella raccolta Motetti de la corona, volume III, 1519, n. 14); testo: Salmo 12:4-5, Salmo 30:6, Salmo 38:5. Ensemble i buoni antichi.

O bone Jesu! Illumina oculos meos, ne unquam obdormiam in morte,
ne quando dicat inimicus meus praevalui adversus eum.
O Adonai! In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum;
redemisti me, Domine, Deus veritatis.

O bone jesu

Per illuminare le genti – II

Hieronymus Praetorius (10 agosto 1560 - 1629): Nunc dimittis, mottetto a 8 voci (pubblicato in Cantiones sacrae de praecipuis festis totius anni, 1599, n. 9); testo: Luca 2:29-32 (Canticum Simeonis). Ensemble Alamire, dir. David Skinner.

Nunc dimittis servum tuum, Domine,
secundum verbum tuum in pace,
quia viderunt oculi mei salutare tuum.
Quod parasti ante faciem omnium populorum
lumen ad revelationem gentium,
et gloriam plebis tuae Israel.

Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto,
sicut erat in principio, et nunc et semper,
et in saecula saeculorum. Amen.

Mottetto firmato

Antoine Busnois (1430 - 1492): Anthoni, usque limina, mottetto in onore di sant’Antonio abate. Capella Sancti Michaëlis.
Questo mottetto è celebre, oltre che per la maestria compositiva dell’autore, per il fatto che il testo contiene, nel primo e nell’ultimo verso, la «firma» di Busnois (evidenziata con inchiostro rosso nel manoscritto).

Anthoni, usque limina
Orbis terrarumque maris,
Et ultra, qui vocitaris
Providencia divina,
Quia demonum agmina
Superasti viriliter:
Audi cetum nunc omina
Psalentem tua dulciter.

Et ne post hoc exlium
Nos igneus urat Pluto,
Hunc ab orci chorum luto
Eruens, fer auxilium:
Porrigat refrigerium
Artubus gracie moys,
Ut per verbi misterium
Fiat in omnibus noys.

Il mottetto Anthoni, usque limina di Antoine Busnois nel MS 5557 (c1470) della Bibliothèque Royale di Bruxelles

Togliete via il lievito vecchio

Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525 - 1594): Expurgate vetus fermentum, mottetto per doppio coro a 8 voci; testo da I Corinzi V:7-8 e Romani IV:24-25. La Grande Chapelle.

Expurgate vetus fermentum et sitis nova conspersio,
etenim Pascha nostrum immolatus est Christus,
itaque epulemur in Domino.
Alleluja.
Mortuus est propter delicta nostra
et resurrexit propter justificationem nostram,
itaque epulemur in Domino.
Alleluja.

GPdP

Per illuminare le genti – I

Johann Rudolf Ahle (1625 - 9 luglio 1673): Herr, nun lästu deinen Diener, mottetto a 1 voce (basso), 4 strumenti (viole o tromboni) e basso continuo; testo: Luca 2:29-32 (Canticum Simeonis). Paul Guttry, basso; Liza Malamut, trombone contralto; Gregory Rock e Motoaki Kashino, tromboni tenore; Garrett Lahr, trombone basso; Frances Conover Fitch, organo.

Herr, nun lästu deinen Diener in Frieden fahren, wie du gesagt hast.
Denn meine Augen haben deinen Heiland gesehen,
welchen du bereitet hast vor allen Völkern,
ein Licht zu erleuchten die Heiden, und zum Preis deines Volk Israel.

Adversum me

Philippe de Monte (1521 - 4 luglio 1603): Domine, quid multiplicati sunt, mottetto a 5 voci (pubblicato in Sacrarum cantionum cum quinque vocibus… liber quintus, 1579, n. 10). Gallicantus, dir. Gabriel Crouch.

Domine quid multiplicati sunt qui tribulant me,
multi insurgunt adversum me, (Salmo 3:1)
aperuerunt super me os suum sicut leo rapiens et rugiens, (Salmo 21:14)
considerabam ad dexteram et videbam
et non erat qui cognosceret me. (Salmo 141:5a)

Amici mei et proximi mei adversum me appropinquaverunt et steterunt,
et qui juxta me erant de longe steterunt,
et vim faciebant qui quaerebant animam meam. (Salmo 37:12)

Salve regina di Isabella Leonarda

Isabella Leonarda (Isabella Calegari) detta la Musa novarese (1620 - 1704): Salve regina, mottetto per voci e strumenti (pubblicato in Mottetti a voce sola op. 11, 1684, n. 12). Gruppo vocale Musica Laudantes, dir. Riccardo Doni; Cappella strumentale del Duomo di Novara, dir. Paolo Monticelli.

In sempiterna sæcula

Tomás Luis de Victoria (1548 - 1611): Conditor alme siderum, inno a 4 voci (pubblicato in Hymni totius anni, 1581, n. 1). Ensemble Plus Ultra, dir. Michael Noone.

I (gregoriano)

Conditor alme siderum
æterna lux credentium
Christe redemptor omnium
exaudi preces supplicum.

II (Victoria)

Qui condolens interitu
mortis perire sæculum
salvasti mundum languidum
donans reis remedium.

III (gregoriano)

Vergente mundi vespere
uti sponsus de thalamo
egressus honestissima
Virginis matris clausula.

IV (Victoria)

Cuius forti potentiæ
genu curvantur omnia
cælestia, terrestia
nutu fatentur subdita.

V (gregoriano)

Te, Sancte fide quæsumus,
venture judex sæculi,
conserva nos in tempore
hostis a telo perfidi.

VI (Victoria)

Sit, Christe rex piissime,
tibi Patrique gloria
cum Spiritu Paraclito
in sempiterna sæcula.
Amen.

Ista velox aquila

Philippe de Vitry (1291 - 9 giugno 1361): Vos qui admiramini virgines / Gratissima virginis species / Gaude gloriosa, mottetto isoritmico a 4 voci. Lumina Ensemble, dir. Anna Pope.

Triplum

Vos qui admiramini virgines,
si virgini pro ceteris eligende
dignati fuerimus nubere,
dum nupsimus tanquam valde diligende.
Ista pulchra specie humilis maneriæ
ac opere virtuosa,
turpis vestrum altera
ausu nimis aspera
necnon virtutes exosa.
Ista lux, nox nubila,
Ista velox aquila,
vos colubres gradientes,
Ista super æterna regnat
vos in misera valle languentis egentes.
Ista virgo regia dulcis est amasia
mea sponsa quæpia.
Rex ego sum, hæc regina.
Quod tanta referimus?
Nos qui cuncta novimus
dignam preelegimus
et ut rosam hanc præspina.
Urgite vos igitur
quia tempus labitur
et mors nos persequitur
huic servite.
Hanc vocate,
quod si neglexeritus
illam non videbitis
gloriam quam cupitis,
vos eia propera te.

Motetus

Gratissima virginis species
quam decorat carnis mundicies,
usque centrum placasti intima
mei cordis plaga dulcissima
intra stimulans amoris spiritum
nescientem pectoris exitum.
Gratissime simili vulnere
peperisti mundum me ledere.
O regina, tuum amplectere
astringendo pectus cum ubere.
O rex regum oculum oculo
et os ori junge pro osculo
ac inspira verbum in labia
qua recepto fiat caro dia.

Tenor e contratenor

Gaude gloriosa.
Vivat iste.

Come un giglio fra le spine

Jacob Clemens non Papa (c1510/15 - 1555 o 1556): Ego flos campi, mottetto a 7 voci (pubblicato postumo in Thesaurus Musicus II, 1564, n. 3), testo tratto dal Cantico dei cantici (II:1-2 e IV:15). Stile Antico.

Ego flos campi et lilium convallium.
Sicut lilium inter spinas sic amica mea inter filias.
Fons hortorum puteus aquarum viventium quae fluunt impetu de Libano.

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Veni, quia amore langueo

Alessandro Grandi (1586 - 1630): O quam tu pulchra es, mottetto a 1 voce e basso continuo (pubblicato in Ghirlanda sacra, scielta da diversi eccellentissimi compositori de varii motetti a voce sola, 1625, n. 7). Julie Hassler, soprano; Le Concert Brisé, dir. William Dongois.

O quam tu pulchra es,
Amica mea, columba mea,
Formosa mea
Oculi tui columbarum
Capilli tui sicut greges caprarum
Et dentes tui sicut greges tonsarum.
Veni de Libano, veni coronaberis.
Surge propera, surge sponsa mea,
Surge dilecta mea, immaculata mea,
Surge, veni, quia amore langueo.

Quam pulchra es

Erhard Bodenschatz (1576 - 1636): Quam pulchra es, amica mea, mottetto a 5 voci (1603; poi pubblicato nel Florilegium Portense, vol. I, 1618). Vocal Concert Dresden e Cappella Sagittariana Dresden, dir. Peter Kopp.

Quam pulchra es, amica mea,
formosa mea;
macula non est in te;
favus distilllans labia tua,
soror, mea sponsa,
et facies tua decora.

Bodenschatz, Quam pulchra es