Érik Satie 1925-2025 – IV

Érik Satie (1866 - 1° luglio 1925): Sonatine bureaucratique per pianoforte (1917). Pascal Rogé.

  1. Allegro
  2. Andante [1:03]
  3. Vivache [2:38]


L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

L’ironia in frac: Satie e la dissacrazione della forma nella Sonatine bureaucratique

L’opera fu scritta in pieno fermento delle avanguardie e durante la prima guerra mondiale e, anch’essa, è un manifesto dell’estetica satieana. L’obiettivo polemico del pezzo è incredibilmente preciso: la Sonatina in do maggiore op. 36 n. 1 di Muzio Clementi, ancora oggi un caposaldo della didattica pianistica, un pezzo che generazioni di studenti di pianoforte hanno suonato fino allo sfinimento. Satie prende quest’icona della pedanteria accademica e la sottopone a un processo di corrosione sottile e geniale, trasformandola nella colonna sonora della giornata di un mediocre impiegato.

Il brano si apre con una citazione quasi letterale del primo movimento di Clementi. Le scale ascendenti, gli arpeggi spezzati (il cosiddetto “basso albertino”), tutto è riconoscibile. Qui però s’inizia il gioco di Satie: già dopo poche battute, egli introduce delle “note sbagliate”, delle dissonanze sottili che incrinano la levigatezza classica. È come ascoltare un allievo diligente ma non troppo dotato, o un impiegato che esegue i suoi compiti in modo meccanico, con qualche occasionale e goffa sbavatura. Nelle note a margine della partitura, Satie descrive la scena: «Egli si alza di buon umore… Va in ufficio… Cammina per strada…». La musica diventa programmatica, ma in modo parodistico. La banalità del tema di Clementi si sposa perfettamente con la banalità della routine quotidiana.
Il secondo movimento, basato sull’Andante di Clementi, è il cuore malinconico e surreale della Sonatina. La melodia, già di per sé semplice e un po’ leziosa nell’originale, viene qui avvolta in armonie più ambigue e persino toccanti. Le dissonanze si fanno più espressive, suggerendo una sorta di nostalgia o un vago sogno. Le annotazioni di Satie recitano: «Sopra una vecchia canzone peruviana… Egli la rimpiange… sogna una promozione…». Satie non si limita a deridere; esplora la tristezza intrinseca della mediocrità. L’impiegato, nella sua pausa, sogna qualcosa di più grande, ma il suo sogno è espresso attraverso il linguaggio musicale più convenzionale e limitato possibile.
Il finale è dove la farsa burocratica raggiunge il suo apice. Il Vivace di Clementi, un pezzo brillante e veloce, viene trasformato in una corsa frenetica e insensata. Satie accelera il ritmo, introduce interruzioni brusche, scale cromatiche che sembrano inciampare su sé stesse e accordi fuori posto che suonano come un gesto di stizza. Le annotazioni descrivono la fine della giornata lavorativa: «Egli è molto zelante… È tutto… Ae ne va tutto contento…». La “gioia” dell’impiegato è rappresentata da una musica meccanica, quasi nevrotica, che corre verso una conclusione tanto attesa quanto priva di un vero appagamento. Il finale è secco, quasi troncato, come se si fosse timbrato il cartellino d’uscita.

Nel complesso, il brano è molto più di un semplice scherzo musicale: è una critica pungente alla cultura del suo tempo, una presa in giro della seriosità con cui veniva trattata la “grande musica” e della sua funzione educativa, spesso ridotta a un esercizio meccanico. Satie ci dimostra che si può essere profondi e provocatori usando i materiali più semplici e “bassi”. Indossando il “frac” della forma-sonatina, Satie ne rivela le cuciture, gli strappi e la polvere accumulata.

Nel cor più non mi sento

Giovanni Paisiello (1740 - 1816): «Nel cor più non mi sento», duetto, dal II atto dell’opera L’amor contrastato, ossia La molinarella (libretto di Giuseppe Palomba, 1788; ripresa nel 1790 con il titolo La molinara). Renata Tebaldi, soprano (esegue soltanto la 1a strofe); New Philharmonia Orchestra, dir. Richard Bonynge.

Nel cor più non mi sento
brillar la gioventù.
Cagion del mio tormento,
Amor, sei colpa tu.
Mi pizzichi, mi stuzzichi,
mi pungichi, mi mastichi;
Che cosa è questa, ohimè?
Pietà, pietà, pietà!
Amore è un certo che,
che disperar mi fa!


Bonifazio Asioli (30 agosto 1769 - 1832): Sonata in sol maggiore per pianoforte op. 8 n. 1. Vladimir Plešakov.

  1. Presto
  2. Adagio [6:22]
  3. Tema («Nel cor più non mi sento» di Paisiello), 10 variazioni e Epilogo [11:18]


Ludwig van Beethoven (1770 - 1827): 6 Variazioni per pianoforte su «Nel cor più non mi sento» WoO 70 (1795). Wilhelm Kempff.
Sulla genesi di questa composizione si racconta il seguente aneddoto. Una sera Beethoven si trovava a teatro per assistere a una rappresentazione della Molinara; quando fu eseguito il noto duetto «Nel cor più non mi sento», una dama gli disse: «Avevo alcune variazioni su questo tema, ma le ho perdute». Durante la notte Beethoven compose sei variazioni sul tema di Paisiello e il mattino successivo le inviò alla signora con questa intitolazione: Variazioni ecc. perdute per la — ritrovate per Luigi van Beethoven. Sie sind so leicht, daß die Dame sie wohl a vista sollte spielen können (sono così facili che la signora dovrebbe essere in grado di eseguirle a prima vista).


Niccolò Paganini (1782 - 1840): Introduzione e variazioni sul tema «Nel cor più non mi sento» per violino solo (1821). Leonid Kogan.


Giovanni Bottesini (1821 - 1889): Variazioni su «Nel cor più non mi sento» per contrabbasso e pianoforte op. 23. Gabriele Ragghianti, contrabbasso; Pier Narciso Masi, pianoforte.