Giselher Klebe (28 giugno 1925-2009): Concerto per violoncello e orchestra (1956). Arthur Troester, violoncello; NDR-Sinfonieorchester, dir. Jean Martinon.
- Fantasie und Kanon
- Variationen [9:10]
L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni
Giselher Klebe: una vita per la musica – dal palco alla cattedra
Giselher Klebe viene ricordato come un influente compositore tedesco, la cui carriera è stata segnata non solo dalla sua prolifica produzione artistica ma anche da un significativo impegno istituzionale, culminato nella presidenza dell’Akademie der Künste di Berlino dal 1986 al 1989.
Primi anni e formazione musicale itinerante
La sua predisposizione per la musica emerse precocemente grazie agli insegnamenti della madre, la violinista Gertrud Klebe. La sua infanzia fu caratterizzata da diversi spostamenti: nel 1932 la famiglia si trasferì a Monaco, dove Giselher frequentò la scuola privata Schönherr e proseguì lo studio del violino con la zia materna, Melanie Michaelis. Un successivo trasferimento del padre per motivi professionali portò la famiglia a Rostock nel 1936. Nello stesso anno, a seguito della separazione dei genitori, Klebe si trasferì con la madre e la sorella a Berlino. Fu qui che, nel 1938, iniziò a delineare i suoi primi abbozzi compositivi, preludio a studi musicali più formali in violino, viola e composizione, intrapresi nel 1940 con il sostegno della città di Berlino.
Gli anni della Guerra e l’interruzione degli studi
Il percorso formativo di Klebe subì una brusca interruzione a causa della seconda guerra mondiale. Dopo aver adempiuto all’obbligo del servizio di lavoro (Arbeitsdienstpflicht), nel 1943 fu arruolato come marconista in un’unità di osservazione. La fine del conflitto lo vide prigioniero di guerra sovietico, ma fu rilasciato poco dopo a causa delle sue precarie condizioni di salute.
Ripresa degli studi e inizio carriera nel dopoguerra
Dopo un lungo periodo di convalescenza, Klebe riprese gli studi di composizione nel 1950. Inizialmente frequentò l’Internationale Musikinstitut di Berlino sotto la guida di Josef Rufer, per poi perfezionarsi nella classe magistrale di Boris Blacher. Parallelamente agli studi, ottenne un impiego presso la sezione di musica colta della Berliner Rundfunk (l’allora emittente radiofonica di Berlino) come revisore di nastri e programmatore musicale. Il 10 settembre 1946 sposò la violinista Lore Schiller (1924-2001), dalla quale ebbe due figlie, Sonja Katharina e Annette Marianne.
Dalla libera professione alla cattedra accademica
Alla fine del 1948, Klebe lasciò il suo incarico alla radio per dedicarsi a tempo pieno alla composizione come libero professionista a Berlino. Tuttavia, nel 1957, optò nuovamente per una posizione stabile, succedendo a Wolfgang Fortner come docente di composizione e teoria musicale presso la Nordwestdeutsche Musikakademie di Detmold. Qui, nel 1962, fu nominato professore, formando dalla sua classe magistrale numerosi compositori di rilievo. Anche dopo il pensionamento nel 1990, Klebe mantenne uno stretto legame con l’Accademia di Detmold. Morì nel 2009 dopo una grave malattia.
Eredità artistica: un vasto corpus operistico e strumentale
Il lascito compositivo di Klebe è imponente, comprendendo oltre 140 opere. La sua produzione spazia attraverso vari generi: 7 sinfonie, 15 concerti solistici, musica da camera per diverse formazioni, opere pianistiche e lavori di musica sacra. Un posto di rilievo è occupato dalle sue 14 opere liriche, per le quali la moglie Lore Klebe fu frequentemente la librettista. Tra queste si annoverano:
– Die Räuber, la sua prima opera, basata sul dramma di Friedrich Schiller, presentata a Düsseldorf nel 1957;
– Jacobowsky und der Oberst, commissionata dalla Hamburgische Staatsoper e basata sulla pièce teatrale di Franz Werfel, la cui “prima” ebbe luogo nel novembre 1965;
– Die Fastnachtsbeichte, scritta su commissione dello Staatstheater Darmstadt, con libretto redatto insieme a Lore Klebe sulla base del racconto di Carl Zuckmayer, e rappresentata per la prima volta a Darmstadt il 20 dicembre 1983;
– Chlestakows Wiederkehr, la sua ultima opera, il cui libretto si ispira alla commedia L’ispettore generale di Nikolaj Gogol’, presentata a Detmold nel 2008.
Concerto per violoncello e orchestra: analisi
Opera significativa del repertorio modernista tedesco del dopoguerra, si articola in due movimenti distinti, ognuno con una propria logica interna e un carattere ben definito, i quali insieme creano un percorso emotivo e intellettuale di grande impatto. L’opera riflette le tendenze compositive dell’epoca, probabilmente influenzate da tecniche seriali e da un linguaggio atonale, ma sempre al servizio di una forte espressività.
Il primo movimento è un affascinante dittico che contrappone la libertà rapsodica della fantasia al rigore strutturale del canone. Il movimento si apre in un’atmosfera cupa e introspettiva. L’orchestra, con i suoi timbri scuri e le armonie tese, crea un paesaggio sonoro misterioso e a tratti inquietante. Il violoncello solista emerge con una melodia lamentosa e lirica, spesso nel registro acuto, che si staglia nettamente contro il fondale orchestrale. Questa sezione iniziale è caratterizzata da un andamento libero, quasi improvvisativo, tipico della forma della fantasia. Il dialogo tra solista e orchestra è serrato: a momenti di lirismo intenso del violoncello si contrappongono interventi orchestrali più frammentati e incisivi, che aumentano la tensione. L’orchestrazione è curata e ricca di sfumature: gli archi forniscono un tessuto denso ma mobile, i fiati (legni e ottoni) intervengono con accenti taglienti o con sonorità più soffuse che arricchiscono la paletta timbrica. La dinamica è ampia, passando da sussurri quasi impercettibili a esplosioni di energia sonora. Il violoncello esplora una vasta gamma di registri e tecniche, dalle melodie cantabili a passaggi più virtuosistici e frammentati, sottolineando la natura emotivamente instabile e ricercatrice della fantasia. C’è un senso di lotta, di interrogazione profonda, che permea questa prima parte. La scrittura armonica è prevalentemente atonale, con dissonanze che contribuiscono all’intensità espressiva, senza però sfociare in un serialismo eccessivamente rigido; piuttosto, sembra una libera atonalità guidata da esigenze espressive.
La transizione verso il canone è preparata da una progressiva diradazione della tessitura e da un cambiamento di carattere. L’elemento canonico non si presenta come un esercizio accademico, ma piuttosto come una tecnica contrappuntistica integrata nel flusso musicale. Si percepiscono linee melodiche che si imitano tra diverse sezioni dell’orchestra e il solista, creando un intreccio polifonico complesso. Il violoncello continua il suo ruolo protagonistico, talvolta partecipando direttamente al gioco canonico, talvolta commentandolo o contrastandolo con materiale melodico più indipendente.
L’atmosfera, pur mantenendo una certa tensione, acquista una maggiore chiarezza strutturale. L’orchestra qui assume un ruolo più attivo nel definire le linee contrappuntistiche, con un uso sapiente dei diversi gruppi strumentali per delineare le voci del canone. La scrittura per il solista rimane impegnativa, con passaggi che richiedono agilità e precisione. Il canone si sviluppa attraverso diverse sezioni, variando in densità e intensità, fino a un progressivo diradarsi della sonorità. Il movimento si conclude in modo sospeso, con il violoncello che si dissolve su note tenute e l’orchestra che svanisce in un pianissimo enigmatico, lasciando l’ascoltatore in uno stato di attesa.
Il secondo movimento è un insieme di variazioni basate su un tema distintivo. Il tema viene presentato inizialmente dal violoncello solo. È una melodia austera, a tratti spigolosa ma con un lirismo intrinseco, caratterizzata da ampi intervalli e un profilo ritmico incisivo. Questa presentazione solistica mette immediatamente in luce il materiale tematico che verrà poi elaborato e trasformato. L’orchestra interviene solo verso la fine dell’esposizione del tema, con accordi tenuti e sommessi degli archi, creando un’aura di attesa.
Le variazioni che seguono esplorano il tema sotto molteplici aspetti, dimostrando la maestria compositiva di Klebe e la versatilità espressiva e tecnica del violoncello. Si alternano variazioni dal carattere lirico e cantabile, in cui il violoncello sviluppa linee melodiche ampie e commoventi, spesso nel registro acuto, sostenuto da un’orchestra discreta e coloristica. Altre variazioni sono invece più ritmiche e agitate, quasi aggressive. In questi momenti, il violoncello si lancia in passaggi virtuosistici, con figurazioni rapide, pizzicati incisivi e un dialogo serrato con un’orchestra più energica, che fa uso di accenti marcati e interventi di ottoni e percussioni.
Una sezione di spicco è la cadenza per violoncello solo che rielabora frammenti del tema in maniera libera e rapsodica, esplorando l’intera estensione dello strumento e diverse tecniche esecutive (arpeggi, doppie corde, passaggi veloci e momenti di intensa liricità). È un momento di grande concentrazione e introspezione solistica. Le variazioni finali sembrano condurre verso una conclusione più rarefatta e riflessiva, con il materiale tematico che ritorna, ma trasfigurato, frammentato. L’orchestra si fa più eterea, con sonorità sospese. Il concerto non si conclude con una fanfara trionfale, ma si dissolve progressivamente nel silenzio, lasciando una sensazione di ambiguità e introspezione, quasi una domanda senza risposta. L’uso delle armonie dissonanti e delle tessiture orchestrali contribuisce a questo finale enigmatico e moderno.
Nel complesso, il Concerto per violoncello di Klebe, pur radicandosi nel linguaggio modernista del XX secolo, non rinuncia a una forte carica espressiva e a momenti di intenso lirismo, specialmente affidati al solista. La scrittura per il violoncello è estremamente impegnativa, richiedendo all’interprete non solo grande abilità tecnica ma anche una profonda sensibilità musicale per navigare la complessa gamma emotiva del brano. L’orchestra non è mai un mero accompagnamento, ma un partner attivo nel dialogo, contribuendo in modo significativo alla definizione delle atmosfere e allo sviluppo drammatico.
