Capriccioso

Camille Saint-Saëns (9 ottobre 1835 - 1921): Introduction et Rondo capriccioso in la minore per violino e orchestra op. 28 (1863). Itzhak Perlman, violino; New York Philharmonic orchestra, dir. Zubin Mehta.


Lo stesso brano nella trascrizione per due pianoforti di Claude Debussy. Jean-François Heisser e Georges Pludermacher.

Saint-SaënsCamille Saint-Saëns

DebussyClaude Debussy



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

L’Introduction et Rondo capriccioso in la minore per violino e orchestra è un’opera virtuosistica e profondamente espressiva che mette in risalto sia la bellezza melodica che la brillantezza tecnica del violino solista.
Originariamente, fu concepita come movimento finale di un’opera più ampia, ma poi divenne un pezzo autonomo, eseguito in “prima” assoluta a Parigi al Théâtre des Champs-Élysées il 4 aprile 1867. Primo esecutore e dedicatario del brano fu il violinista spagnolo Pablo de Sarasate, a quel tempo ancora agli inizi della sua carriera. Fu proprio a lui che il compositore si ispirò nella composizione del pezzo, inserendo al suo interno delle evidenti allusioni stilistiche spagnoleggianti.
Saint-Saëns aveva conosciuto il famoso compositore spagnolo già nel 1859, rimanendo subito stregato dal suo talento. In quell’anno, Sarasate gli aveva commissionato un concerto per violino, presentandolo al pubblico durante la prima dell’Introduction. Successivamente, il compositore francese dedicò al suo amico anche il Concerto n. 3 per violino e orchestra, il quale divenne uno dei più celebri pezzi del repertorio violinistico.

Il pezzo si articola in due sezioni principali: un’introduzione lenta e malinconica, seguita da un rondò vivace e capriccioso.
L’introduzione si apre con l’indicazione di tempo Andante malinconico e, fin dalle prime note, si percepisce un’atmosfera di profonda introspezione e tristezza.
Il violino solista entra quasi subito dopo il breve accordo d’orchestra, stabilendo la tonalità di impianto. La melodia è frammentata, con note lunghe e sospese, seguite da brevi, struggenti frasi discendenti. L’accompagnamento orchestrale, appena percettibile, è fornito dagli archi con accordi tenuti, creando un sottofondo etereo che non compete mai con la voce del solista.
La melodia si sviluppa con maggiore fluidità, introducendo passaggi con doppie corde che aggiungono densità e risonanza al suono del violino. L’orchestra rimane un tappeto sonoro, tessendo armonie che sostengono la linea melodica principale. Pur mantenendo il carattere malinconico e il tempo lento, iniziano ad apparire figure più complesse e arpeggiate: questi non sono ancora sfoggi di virtuosismo, ma piuttosto ornamentazioni espressive che arricchiscono il discorso musicale.
La musica raggiunge un punto culminante emotivo e la melodia si innalza a registri più acuti, con un aumento dinamico che passa dal piano al mezzoforte e oltre. I passaggi si fanno più densi e appassionati, caratterizzandosi per la presenza di rapide scale e arpeggi ascendenti e discendenti. L’orchestra risponde con maggiore partecipazione, fornendo un supporto armonico più robusto.
Dopo il climax, la musica si placa gradualmente. Il violino rallenta, scendendo a figure più sommesse e frammentate. Questo segmento funge da transizione, preparando l’ascoltatore per il contrasto netto che seguirà. La melodia si dissolve quasi in un sospiro, creando un’aspettativa risolutiva per l’ingresso del Rondò.
Quest’ultimo è caratterizzato dall’indicazione Allegro ma non troppo e segna un cambiamento radicale di atmosfera, con un’esplosione di energia e vivacità, spesso associata a ritmi spagnoleggianti.
Con un’entrata improvvisa e brillante, il violino attacca il tema principale, un motivo ritmico, incisivo e altamente virtuosistico in la minore. Il carattere “capriccioso” del titolo è immediatamente evidente e l’orchestra fornisce un accompagnamento staccato e ritmicamente propulsivo, supportando il violino senza mai offuscarlo. La dinamica è vivace, quasi ininterrottamente forte.
Segue un momento di leggero contrasto, sebbene l’energia generale rimanga alta. La melodia si fa più cantabile e si alternano scale rapide e frasi più ampie ed espressive, spesso con doppie corde e arpeggi veloci. La tonalità tende a spostarsi verso il maggiore, donando un carattere più brillante rispetto al tema principale.
Questo riappare, ancora più brillante e virtuosistico, seguito da un secondo episodio di marcato contrasto. Il tempo rallenta e la tonalità si sposta definitivamente verso il maggiore. La melodia è lirica e sentimentalmente romantica, quasi una serenata spagnola. L’orchestra crea un sottofondo caldo e armonioso.
Un breve passaggio ripristina l’energia e la tensione, con figure ascendenti e discendenti che conducono al ritorno del tema principale, il quale si ripresenta con rinnovato vigore, ulteriormente elaborato e più complesso. Segue il terzo episodio, una sezione di estremo virtuosismo che porta il solista al limite delle sue capacità. Si assiste a un moto perpetuo di scale rapidissime, arpeggi spezzati, salti di corda e picchettati volanti. Questa sezione è un vero tour de force per il violinista e l’orchestra accompagna con brevi e potenti staccati che sottolineano il ritmo frenetico.
Il tema principale del Rondò fa la sua ultima apparizione, più esaltante e trionfale che mai. Il ritmo accelera ulteriormente e la dinamica aumenta, portando la musica a una conclusione grandiosa. Seguono brevi e intense sezioni virtuosistiche, concludendo con una coda che rappresenta la celebrazione finale del virtuosismo e dell’energia. Il violino solista e l’orchestra si uniscono in una serie di passaggi brillanti, scale ascendenti e accordi potenti. Perlman conclude con una serie di note acute e fortissimo, terminando il pezzo con una sferzante e definitiva cadenza finale.

Nel complesso, la composizione non è solo un brano virtuosistico, ma anche un’opera di grande profondità emotiva e ricchezza melodica. La sua struttura contrastante, con un’apertura quasi meditativa che lascia il posto a una danza spagnola travolgente, lo rende un pezzo affascinante e un pilastro del repertorio violinistico.

Érik Satie 1925-2025 – II

Érik Satie (1866 - 1° luglio 1925): Première Gymnopédie per pianoforte (1888). Khatia Buniatishvili.


Lo stesso brano nell’orchestrazione di Claude Debussy (1897). London Promenade Orchestra, dir. Eric Hammerstein.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

L’eleganza del vuoto: Satie e la Première Gymnopédie tra luce e ombra

Per comprendere la portata di questo brano, dobbiamo fare riferimento al suo titolo: Gymnopédie fa riferimento a un’antica festività spartana nel corso della quale giovani nudi (o, sempliicemente, senza armi) danzavano lentamente in una sorta di rito solenne, eseguendo anche canti ed esercizi ginnici. Con ciò, Satie intende evocare un’immagine di purezza arcaica, di nudità formale e di austerità, in netto contrasto con l’opulenza decorativa della sua epoca.
In metro 3/4, definirla un valzer sarebbe profondamente sbagliato, poiché manca della spinta e della leggerezza tipiche della danza. L’accompagnamento della mano sinistra – che alterna una nota bassa al primo tempo con un accordo sui due tempi successivi – è implacabile e ipnotico. Non è una pulsazione che invita al movimento, ma un battito lento e ritualistico, quasi un respiro o un passo cerimoniale. La sua regolarità monotona crea una sorta di stasi, un tempo circolare che non progredisce ma semplicemente è . La struttura del brano è altrettanto elementare, riconducibile a una forma A-B-A, dove sezioni quasi identiche si alternano, rafforzando la sensazione di un’esperienza meditativa più che di una narrazione musicale.
La melodia della mano destra, descritta dall’indicazione di Satie come Lent et douloureux (Lento e doloroso) fluttua sopra l’accompagnamento con una grazia malinconica e distaccata. È una melodia semplice, quasi spoglia, ma incredibilmente evocativa. Non ha lo slancio passionale romantico, ma è piuttosto una linea vocale introversa, un canto solitario.
Anche qui Satie abbandona quasi completamente le regole dell’armonia funzionale classica, secondo cui gli accordi devono seguire una progressione logica di tensione e risoluzione. Al contrario, gli accordi sono trattati come blocchi di colore, giustapposti per creare un’atmosfera.
L’esempio più celebre è l’apertura, con il succedersi di due accordi di settima maggiore, rispettivamente su sol e su re: questa successione, priva di un legame tonale tradizionale, crea un effetto fluttuante e onirico. Non c’è un “percorso” da seguire, solo una contemplazione di sonorità. L’uso di accordi di settima e nona, non come dissonanze da risolvere ma come colori stabili e autosufficienti, anticipa di decenni le innovazioni armoniche dell’Impressionismo (Debussy, che era amico di Satie e orche­strò la prima e la terza Gymnopédie, ne fu profondamente influenzato) e persino del jazz.

Nel complesso, anche questa composizione è un manifesto, elevandosi come rappre­sen­tante di quella musique d’ameublement che non pretende di essere al centro dell’at­ten­zione, ma che ha il potere di modificare l’ambiente e lo sato d’animo di chi ascolta.

La sua musica non durerà

Claude Debussy (1862 - 1918): Quartetto in sol minore per archi op. 10 (1893). Juilliard Quartet.

  1. Animé et très décidé
  2. Assez vif et bien rythmé
  3. Andantino, doucement expressif
  4. Très modéré

 « Con queste giornate primaverili mentre siamo indolenti e insonnoliti come dei bevitori di birra è passato il concerto commemorativo di Claudio Debussy sul nostro assopimento, come una lenta ombra luttuosa.
« Noi l’abbiamo veduto pochi anni fa: la sua pallidissima fronte gonfia e quasi ondeggiante sotto gli urti di un fermento interno in levitazione, il suo sguardo sofferente e profondo di bizantino, e le sue povere mani fredde, passive, emaciate e gialle come due vecchi guanti ci impressionarono come se in quell’uomo ancora tanto vivo e celebre l’istinto fosse spento e incenerito per sempre.
« Lo si considera come un genio del nostro secolo, a noi apparve sempre come un modista della musica. Ricercatore di espressioni originali egli non trovava che qualche fortunata eleganza. Egli si rifiutava di toccare la terra con i piedi ed aveva dei brividi di repulsione al suono di musica altrui, e disse che Beethoven era volgare.
« Mal sostenuto da un temperamento che non era né ricco né generativo egli oltrepassò il segno dell’arte per naufragare in un intellettualismo disperato. Aveva in fondo più confidenza nella pittura e nella poesia che nella musica a sé. Procedendo criticamente per esclusione egli giunse a farsi un genere limitato, indeterminabile, e quasi scientifico. Egli eccelle dal punto di vista istrumentale pianistico.
« Maeterlinck è stato il suo ispiratore. Le principesse incorporee che non vedono il giorno e agonizzano contro le pareti dei bui sotterranei ostruiti; la vita senza occhi e senza orecchi; tutte le vaghe apprensioni dell’inintelligibile fanno parte del suo programma di perdizione musicale e ci costringono a far quarantena sulle minacciose latitudini dell’Inconcludente.
« Pure spesso, sotto i veli, traspare nelle sue pagine quel genere d’album indispensabile nel salotto francese, che Egli deforma orribilmente per repulsione e per necessità, ma il sentimento poco originale rimane.
« Nondimeno, se accostiamo bene l’orecchio a qualche fenditura ci accadrà di sorprendere, a traverso questo cumulo di pregiudiziali, il passaggio fortuito di certe squisitezze sincere, sonore, rare ed effimere.
« Non vogliamo intendercene troppo, ma probabilmente il programma di ieri non fu composto con quel senso di carità e di onoranza che la triste e solenne occasione richiedeva.
« Gli esecutori erano tutti valorosissimi artisti e ci parve di capire che alcuni d’essi non fossero preparati alla morte prematura del decantato riformatore francese.
« Il programma comprendeva: la Sonata per violino e pianoforte, le Trois Chansons de Bilitis, due liriche dalle Ariettes oubliées e il Noël des enfants qui n’ont plus de maisons, che la signora Montjovet cantò con profondo sentimento; i Reflets dans l’eau, l’Hommage à Rameau e il Children’s Corner per pianoforte solo, eseguiti egregiamente da Alfredo Casella. Per ultimo il Quartetto per archi, esecutori Mario Costa, Giacinto Spada, Gustavo Gatti e Tito Rosati.
« Il pubblico numerosissimo fece, qua e là, il respiro grosso, ma applaudi alla fine di ogni pezzo e acclamò la signora Montjovet che dovette bissare il Noël des enfants…
« Noi rimaniamo tutt’ora persuasi che Claudio Debussy oltre che un creatore di musiche che non dureranno molto nel tempo a venire, era, per certe sue attitudini teoriche, il propulsore di un movimento disastroso e in Italia ne conosciamo assai bene le conseguenze.
« Alfredo Casella che fu magna pars del concerto, Malipiero e tutti i fratellini minori erano presenti ieri alla commemorazione. Se piangiamo la morte di Claudio Debussy dovremmo strapparci le chiome al vedere la numerosa famiglia che Egli ha abbandonato sul lastrico di S. Cecilia.»

 Bruno Barilli 
 («Il Tempo», 6 aprile 1918) 
 

 Bruno Barilli 

Chiari di Luna – II

Claude Debussy (1862 - 25 marzo 1918): Clair de Lune, III movimento della Suite bergamasque per pianoforte (1890-1905). Il brano, ispirato da una poesia di Paul Verlaine, è qui eseguito dall’autore (incisione su rullo per pianoforte automatico, risalente al 1913).

Votre âme est un paysage choisi
Que vont charmant masques et bergamasques
Jouant du luth et dansant et quasi
Tristes sous leurs déguisements fantasques.

Tout en chantant sur le mode mineur
L’amour vainqueur et la vie opportune,
Ils n’ont pas l’air de croire à leur bonheur
Et leur chanson se mêle au clair de lune,

Au calme clair de lune triste et beau,
Qui fait rêver les oiseaux dans les arbres
Et sangloter d’extase les jets d’eau,
Les grands jets d’eau sveltes parmi les marbres.

(Paul Verlaine)

Princesse des Espagnes

Claude Debussy (1862 - 25 marzo 1918): Madrid, mélodie (1879), testo di Alfred de Musset. Véronique Dietschy, soprano; Emmanuel Strosser, pianoforte.

Madrid, princesse des Espagnes,
Il court par tes mille campagnes
Bien des yeux bleus, bien des yeux noirs.
La blanche ville aux sérénades,
Il passe par tes promenades
Bien des petits pieds tous les soirs.

Madrid, Madrid, moi, je me raille
De tes dames à fine taille
Qui chaussent l’escarpin étroit;
Car j’en sais une par le monde
Que jamais ni brune ni blonde
N’ont valu le bout de son doigt!

Or si d’aventure on s’enquête
Qui m’a valu telle conquête,
C’est l’allure de mon cheval,
Un compliment sur sa mantille,
Puis des bonbons à la vanille
Par un beau soir de carnaval.

Dans la forêt des lilas blancs

 
Claude Debussy (22 agosto 1862 - 1918): La Belle au bois dormant, mélodie L 81 (1890) su testo di Vincent Hyspa. Véronique Gens, soprano; Roger Vignoles, pianoforte.

Des trous à son pourpoint vermeil,
Un chevalier va par la brune,
Les cheveux tout pleins de soleil,
Sous un casque couleur de lune.
Dormez toujours, dormez au bois,
L’anneau, la Belle, à votre doigt.

Dans la poussière des batailles,
Il a tué loyal et droit,
En frappant d’estoc et de taille,
Ainsi que frapperait un roi.
Dormez au bois, où la verveine,
Fleurit avec la marjolaine.

Et par les monts et par la plaine,
Monté sur son grand destrier,
Il court, il court à perdre haleine,
Et tout droit sur ses étriers.
Dormez la Belle au Bois, rêvez
Q’un prince vous épouserez.

Dans la forêt des lilas blancs,
Sous l’éperon d’or qui l’excite,
Son destrier perle de sang
Les lilas blancs, et va plus vite.
Dormez au bois, dormez, la Belle
Sous vos courtines de dentelle.

Mais il a pris l’anneau vermeil,
Le chevalier qui par la brune,
A des cheveux pleins de soleil,
Sous un casque couleur de lune.
Ne dormez plus, La Belle au Bois,
L’anneau n’est plus à votre doigt.

L 81

Croquembouches

Claude Delvincourt (1888 - 5 aprile 1954): Croquembouches, 12 pezzi per pianoforte (1926). Diane Andersen.

  1. Omelette au rhum : Allegretto
  2. Linzer Tart : Allegro non troppo (Mouvement de valse)
  3. Rahat loukhoum : Très tranquillement
  4. Grenadine : Allegretto (Mouvement de habanera)
  5. Meringue à la crème : Allegro vivace
  6. Plum pudding : Allegro moderato, avec un humour tout britannique
  7. Puits d’amour : Lent sans excès
  8. Croquignoles : Vif et léger
  9. Baba : Assez animé
  10. Pets de nonne : Moderato non troppo
  11. Nègre en chemise : Andante, non troppo lento
  12. Huile de ricin : Molto moderato

Proprio come aveva fatto Debussy per i suoi Preludi, cui questi 12 Croquembouches fanno simpa­ticamente il verso, anche Delvincourt indica il titolo di ciascun brano non in testa alla partitura, bensì alla fine, sotto l’ultima battuta, fra parentesi e preceduti da tre punti di sospensione.

Nuit d’étoiles

Claude Debussy (1862-1918): Nuit d’étoiles, mélodie su testo di Théodore de Banville (1880). Natalie Dessay, soprano; Philippe Cassard, pianoforte.

      Nuit d’étoiles,
      Sous tes voiles,
  Sous ta brise et tes parfums,
      Triste lyre
      Qui soupire,
  Je rêve aux amours défunts.

La sereine Mélancolie
Vient éclore au fond de mon cœur,
Et j’entends l’âme de ma mie
Tressaillir dans le bois rêveur.

      Nuit d’etoiles…

Je revois à notre fontaine
Tes regards bleus comme les cieux;
Cette rose, c’est ton haleine,
Et ces étoiles sont tes yeux.

      Nuit d’etoiles…

L 2

Chansons de Bilitis – II

Claude Debussy (1862 - 25 marzo 1918): Chansons de Bilitis, 12 brani per 2 flauti, 2 arpe e celesta L2 102 (1900-01) per accompagnare la recitazione degli omonimi poemetti di Pierre Louÿs.
La partitura originale (perduta) è stata ricostruita, sulla base del materiale autografo superstite, da Pierre Boulez (1954), da Arthur Hoérée (1971) e da Rudolf Escher (1972).

  1. Chant pastoral
  2. Les comparaisons
  3. Les contes
  4. Chanson
  5. La partie d’osselets
  6. Bilitis
  7. Le tombeau sans nom
  8. Les courtisanes égyptiennes
  9. L’eau pure du bassin
  10. La danseuse aux crotales
  11. Le souvenir de Mnasidica
  12. La pluie du matin

Nel 1914 Debussy rielaborò sei di questi brani (nn. 1, 7, 4, 10, 8 e 12) per pianoforte a 4 mani con il titolo Six Épigraphes antiques (L2 139).
Sulle Chansons de Bilitis di Debussy si trovano in rete, fra l’altro, uno studio in italiano (qui) e uno in francese (qui).


Bilitis, illustrazione di George Barbier
Bilitis, illustrazione di George Barbier
Bilitis, illustrazione di George Barbier
Illustrazioni di George Barbier (1922).

Chansons de Bilitis – I

Claude Debussy (1862 - 25 marzo 1918): Trois Chansons de Bilitis, 3 mélodies per voce e pianoforte L2 97 (1897-98) su testi di Pierre Louÿs. Régine Crespin, soprano; John Wustman, pianoforte.

I. La Flûte de Pan: Lent et sans rigueur de rythme

Pour le jour des hyacinthies,
il m’a donné une syrinx faite
de roseaux bien taillés,
unis avec la blanche cire
qui est douce à mes lèvres comme le miel.

Il m’apprend à jouer, assise sur ses genoux;
mais je suis un peu tremblante.
il en joue après moi,
si doucement que je l’entends à peine.

Nous n’avons rien à nous dire,
tant nous sommes près l’un de l’autre;
mais nos chansons veulent se répondre,
et tour à tour nos bouches
s’unissent sur la flûte.

Il est tard,
voici le chant des grenouilles vertes
qui commence avec la nuit.
Ma mère ne croira jamais
que je suis restée si longtemps
à chercher ma ceinture perdue.


II. La Chevelure: Assez lent, très expressif et passionnément concentré [3:01]

Il m’a dit: «Cette nuit, j’ai rêvé.
J’avais ta chevelure autour de mon cou.
J’avais tes cheveux comme un collier noir
autour de ma nuque et sur ma poitrine.

«Je les caressais, et c’étaient les miens;
et nous étions liés pour toujours ainsi,
par la même chevelure, la bouche sur la bouche,
ainsi que deux lauriers n’ont souvent qu’une racine.

«Et peu à peu, il m’a semblé,
tant nos membres étaient confondus,
que je devenais toi-même,
ou que tu entrais en moi comme mon songe.»

Quand il eut achevé,
il mit doucement ses mains sur mes épaules,
et il me regarda d’un regard si tendre,
que je baissai les yeux avec un frisson.


III. Le Tombeau des Naïades: Très lent [7:00]

Le long du bois couvert de givre, je marchais;
Mes cheveux devant ma bouche
Se fleurissaient de petits glaçons,
Et mes sandales étaient lourdes
De neige fangeuse et tassée.

Il me dit: «Que cherches-tu?»
Je suis la trace du satyre.
Ses petits pas fourchus alternent
Comme des trous dans un manteau blanc.
Il me dit: «Les satyres sont morts.»

«Les satyres et les nymphes aussi.
Depuis trente ans, il n’a pas fait un hiver aussi terrible.
La trace que tu vois est celle d’un bouc.
Mais restons ici, où est leur tombeau.»

Et avec le fer de sa houe il cassa la glace
De la source ou jadis riaient les naïades.
Il prenait de grands morceaux froids,
Et les soulevant vers le ciel pâle,
Il regardait au travers.

La Flûte de Pan

Fuochi artificiali

Claude Debussy (1862 - 1918): Preludio in fa maggiore (…Feux d’artifice) dal Deuxième livre (1913), n. 12. Arturo Benedetti Michelangeli, pianoforte.


Igor’ Stravinskij (1882 - 1971): Feu d’artifice op. 4 (1908). Columbia Symphony Orchestra diretta dall’autore.


«Recentemente ho visto Stravinskij…
Dice: il mio Oiseau de feu, il mio Sacre, come un bambino direbbe: la mia trottola, il mio cerchio. Ed è proprio questo: un bambino viziato che, ogni tanto, mette le dita nel naso della musica. È anche un giovane selvaggio che porta cravatte da pugno nell’occhio, bacia la mano alle signore pestando loro i piedi. Da vecchio, sarà insopportabile, o meglio non sopporterà nessuna musica; ma per ora è straordinario! Dichiara di essere mio amico, perché l’ho aiutato a salire un gradino della scala dalla cui sommità lancia granate, non tutte esplodono. Ma, ripeto, è straordinario.»
(lettera di Claude Debussy a Robert Godet del 4 gennaio 1916)