Ernő Dohnányi (27 luglio 1877 - 1960): Sinfonia n. 2 in mi minore op. 40 (1944, rev. 1957). BBC Philharmonic Orchestra, dir. Matthias Bamert.
- Allegro con brio ma energico e appassionato
- Adagio pastorale, molto con sentimento [13:46]
- Burla: Allegro [26:09]
- Variazioni [30:45]
L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni
Ernő Dohnányi: la musica, la guerra, la fede e la pace
L’ungherese Ernő (alias Ernst von) Dohnányi è stato un acclamato compositore, un pianista virtuoso, un direttore d’orchestra di prima grandezza e un didatta influente.
Formazione e primi successi: sotto l’ala di Brahms e Liszt
Nato a Pozsony (l’odierna Bratislava), Dohnányi ricevette la sua prima educazione musicale dal padre, un professore di matematica e violoncellista dilettante. Il suo talento lo portò all’Accademia reale di musica di Budapest, dove studiò con figure chiave che plasmarono la sua duplice identità artistica: István Thomán, allievo di Liszt, che ne forgiò il virtuosismo pianistico, e Hans von Koessler, devoto di Brahms, che ne influenzò lo stile compositivo. Questa doppia influenza si rivelò cruciale: il suo primo lavoro pubblicato, il Quintetto per pianoforte in do minore, ricevette l’approvazione personale di Johannes Brahms, che lo promosse a Vienna. Dimostrando una precocità eccezionale, Dohnányi si diplomò a meno di vent’anni, ottenendo il massimo dei voti sia come pianista che come compositore. Il suo debutto a Berlino nel 1897 fu un trionfo, seguito da tournée di successo in tutta Europa e negli Stati Uniti, dove si distinse non solo come solista ma anche come musicista da camera, una pratica non comune per i grandi pianisti dell’epoca.
La carriera a Budapest e la vita privata
Dopo un periodo di insegnamento a Berlino (1905-15), Dohnányi tornò a Budapest, diventando una figura centrale della vita musicale ungherese. Fu nominato direttore musicale dell’Orchestra filarmonica di Budapest e, a più riprese, direttore dell’Accademia di musica. In questi ruoli, si impegnò attivamente a promuovere la musica dei suoi contemporanei, inclusi compositori come Béla Bartók e Zoltán Kodály, dimostrando grande apertura artistica. Fu anche un insegnante di fama mondiale, formando una generazione di musicisti di spicco come Georg Solti, Annie Fischer e Géza Anda. La sua vita personale fu altrettanto intensa e complessa: ebbe tre matrimoni e diversi figli. Tra questi, Hans von Dohnányi, nato dal primo matrimonio, divenne un’importante figura della resistenza tedesca anti-nazista; internato nel campo di concentramento di Sachsenhausen, vi morì poco prima della fine della guerra.
Gli anni di guerra e le controversie
Il periodo della seconda guerra mondiale gettò un’ombra sulla reputazione di Dohnányi: nonostante le accuse successive, si impegnò contro le crescenti influenze naziste in Ungheria. Nel 1941 si dimise dalla carica di direttore dell’Accademia di musica per non dover applicare le leggi anti-ebraiche. Inoltre, protesse i membri ebrei della sua orchestra fino a due mesi dopo l’invasione tedesca del marzo 1944, quando fu costretto a sciogliere la compagine. La sua decisione di trasferirsi in Austria nel novembre 1944 attirò molte critiche. Tuttavia, ricerche successive, in particolare quelle dello storico James A. Grymes, lo hanno riabilitato, definendolo «un eroe dimenticato della resistenza all’Olocausto» per aver aiutato attivamente numerosi colleghi ebrei a fuggire.
Il periodo americano e gli ultimi anni
Nel 1949 Dohnányi si trasferì negli Stati Uniti, dove iniziò un nuovo capitolo della sua vita. Per dieci anni insegnò presso la School of Music della Florida State University a Tallahassee, diventando cittadino americano nel 1955: in questo periodo continuò a comporre, mostrando interesse per la musica popolare americana, come dimostra la sua American Rhapsody (1953). La sua ultima esibizione pubblica avvenne il 30 gennaio 1960, proprio alla Florida State University. Morì di polmonite a New York dieci giorni dopo.
Eredità e stile musicale
L’eredità di Dohnányi è vasta e multiforme. Il governo ungherese gli ha conferito postumo il Premio Kossuth, la sua più alta onorificenza civile, nel 1990. Le sue registrazioni continuano a essere ristampate e i suoi scritti didattici, come gli Esercizi giornalieri per il pianista avanzato, sono ancora in uso. Dal punto di vista compositivo, il suo stile è profondamente radicato nel Romanticismo, conservatore ma personale: sebbene influenzato strutturalmente da Brahms, la sua musica mantiene una voce unica. A differenza di Bartók e Kodály, il suo uso di elementi folcloristici ungheresi è più un colore che il fondamento del suo linguaggio musicale. Tra le sue opere più celebri e durature spiccano la Serenata in do maggiore per trio d’archi, op. 10 e le brillanti Variazioni su una melodia infantile per pianoforte e orchestra, op. 25. La sua Seconda Sinfonia – composta durante la guerra – rivela un lato insolitamente cupo e dissonante, riflettendo la tragicità del suo tempo.
Analisi della Seconda Sinfonia
Questa opera monumentale e profondamente personale testimonia l’epoca tragica in cui fu composta; si articola in un percorso emotivo magistrale che conduce l’ascoltatore dalle tenebre di un mondo in guerra alla trascendenza della fede e della pace.
Il primo movimento è un imponente affresco in forma-sonata, che stabilisce fin da subito un clima di conflitto e tensione eroica. La sinfonia si apre senza preamboli con il primo tema in mi minore, un motivo impetuoso e frammentato, enunciato con vigore dall’intera orchestra (tutti). La sua caratteristica principale è una figura ritmica secca e martellante (marcatissimo), costruita su arpeggi ascendenti che creano un senso di lotta e di urgenza inarrestabile. L’orchestrazione è densa e potente, dominata dagli ottoni e dagli archi.
Dopo la furia iniziale, la musica si placa brevemente: la tensione diminuisce, lasciando spazio a un episodio più lirico e preparatorio, sebbene ancora percorso da un’inquietudine latente. Il secondo tema, in sol maggiore, offre un contrasto netto: è una melodia ampia, cantabile e intensamente romantica, affidata agli archi. Questo tema rappresenta un’oasi di lirismo e calore umano, un momento di respiro nostalgico che si contrappone alla brutalità del primo tema. Dohnányi sviluppa questa melodia con grande maestria, creando un crescendo passionale di straordinaria bellezza.
Lo sviluppo è la sezione più drammatica e complessa del movimento: il compositore frammenta e contrappone i due temi principali in un magistrale gioco contrappuntistico. Il primo tema viene trasformato, variato ritmicamente e armonicamente, apparendo in diverse sezioni dell’orchestra con un carattere sempre più minaccioso. Il secondo tema lirico viene anch’esso travolto da questa turbolenza, riapparendo in contesti armonici tesi che ne alterano il carattere sereno. L’orchestrazione diventa un campo di battaglia sonoro, con dialoghi serrati tra legni, ottoni e archi, e con improvvisi picchi dinamici che mantengono altissima la tensione.
La ricapitolazione riesplode con il ritorno del primo tema in tutta la sua potenza originaria. Il secondo tema è invece esposto nella tonalità di mi maggiore (tonica maggiore), portando un raggio di luce e speranza dopo il tumulto. Tuttavia, la vittoria non è ancora definitiva. La coda riprende la drammaticità iniziale: la musica accelera in un vortice finale, in cui frammenti del primo tema si scontrano in un climax di furia implacabile. Il movimento si conclude con accordi secchi e potenti in mi minore, affermando il carattere tragico e combattivo del brano.
Dopo la tempesta del primo movimento, l’Adagio offre un momento di profonda riflessione e serenità. È strutturato in una forma ternaria (ABA). Il movimento si apre con una melodia pastorale di incantevole dolcezza, introdotta dal flauto e poi ripresa dal corno inglese. L’accompagnamento degli archi con sordina e dell’arpa crea un’atmosfera idilliaca e quasi sognante: è una musica intrisa di nostalgia per un mondo perduto, un ricordo di pace e bellezza naturale. L’armonia è ricca e cromatica, tipica dello stile tardo-romantico.
La sezione centrale introduce un elemento di maggiore passione e inquietudine: la melodia diventa più intensa e drammatica, l’orchestrazione si infittisce con l’ingresso degli ottoni e il volume cresce fino a un climax emotivo. Questo episodio sembra rappresentare un ricordo doloroso o un’ombra della tragedia del primo movimento che turba la quiete pastorale.
Il tema pastorale iniziale ritorna, questa volta ancora più trasfigurato e malinconico: la pace è riconquistata, ma ora è una pace consapevole della sofferenza passata. Il movimento si conclude in un sussurro, con gli strumenti che si diradano fino a lasciare solo poche note sospese, spegnendosi in un’atmosfera di serena rassegnazione.
Il terzo movimento è uno scherzo dal carattere grottesco e demoniaco, una vera e propria danza macabra che riflette l’assurdità e l’orrore della guerra. Esso inizia con un ritmo ostinato, quasi meccanico e spettrale, affidato ai legni e agli archi in pizzicato. Su questo sfondo si innestano temi brevi, spigolosi e dissonanti: Dohnányi utilizza brillantemente gli ottoni con sordina e glissandi per creare un effetto sarcastico e terrificante. L’atmosfera è quella di una parata infernale, piena di energia selvaggia e sinistra.
La sezione centrale offre un contrasto surreale: si tratta di un valzer distorto, dal sapore quasi mahleriano, che suona come il ricordo sbiadito di una festa elegante in un mondo ormai in rovina. La melodia è più semplice ma pervasa da un’ironia amara.
Lo Scherzo iniziale ritorna con una furia ancora maggiore, portando il caos al suo apice. La coda è un Prestissimo travolgente che si conclude con un colpo secco e brutale dell’intera orchestra, lasciando l’ascoltatore senza fiato.
Il finale è il cuore spirituale della sinfonia: è un vasto movimento strutturato come tema e variazioni, basato sul corale di J.S. Bach Komm, süßer Tod, komm sel’ge Ruh. Un’introduzione lenta e solenne prepara l’ingresso del tema e il corale viene presentato in modo semplice e austero dagli archi, creando un’atmosfera di profonda devozione e contemplazione della mortalità.
Dohnányi costruisce una serie di variazioni magistrali che esplorano ogni aspetto emotivo del corale: le prime variazioni mantengono un carattere lirico e riflessivo; seguono episodi più mossi e drammatici, che richiamano la lotta del primo movimento; una variazione assume i contorni di una marcia funebre, maestosa e dolente; altre esplorano la grazia e la leggerezza, quasi come uno scherzo etereo.
La sezione culminante è una grandiosa fuga a piena orchestra. Il tema del corale di Bach funge da soggetto e viene elaborato con un contrappunto denso e complesso, in un crescendo di tensione e magnificenza che dimostra la straordinaria abilità tecnica del compositore: la fuga rappresenta il trionfo dell’ordine spirituale sul caos terreno.
La sinfonia si conclude con un’apoteosi finale: il tema del corale risuona trionfalmente in mi maggiore, trasformato da preghiera per la morte a inno di speranza e redenzione. L’orchestra intera celebra una vittoria luminosa e trascendente: la Seconda Sinfonia, iniziata nel fragore della battaglia, si chiude così con un messaggio di pace e di fede incrollabile.

Léo Delibes
Ernő Dohnányi 