Les neiges d’antan!

Eugène Ysaÿe (16 luglio 1858 - 1931): Les neiges d’antan!, poème per violino e archi op. 23 (1921). Christine Raphael, violino; Rheinisches Kammerorchester, dir. Jan Corazolla.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Eugène Ysaÿe, il titano del violino

Eugène Auguste Ysaÿe non fu semplicemente un musicista, bensì una figura poliedrica e un pilastro della vita musicale europea a cavallo tra il XIX e il XX secolo. La sua carriera, che abbracciò il ruolo di violinista virtuoso, compositore innovativo, influente pedagogo, direttore d’orchestra e organizzatore culturale, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della musica classica.

Origini e formazione di un predestinato
Nato a Liegi in una famiglia di musicisti, il destino di Ysaÿe sembrava segnato fin dalla culla: suo padre, violinista e direttore d’orchestra, fu il suo primo maestro; il giovane prese le prime lezioni all’età di quattro anni. Il suo talento precoce lo portò al Conservatorio di Liegi, ma fu l’incontro quasi leggendario con il celebre violinista Henri Vieuxtemps a cambiargli la vita: impressionato dal suo modo di suonare, Vieuxtemps si assunse personalmente la responsabilità della sua istruzione musicale, garantendogli un percorso d’apprendimento di altissimo livello. Più tardi Ysaÿe si perfezionò con Henryk Wieniawski a Bruxelles e poi con lo stesso Vieuxtemps a Parigi, entrando così in contatto con il cuore pulsante della musica europea e con musicisti di prima grandezza.

L’ascesa del virtuoso e gli incontri fondamentali
La carriera di Ysaÿe decollò rapidamente: dopo un’esperienza come primo violino nell’orchestra che sarebbe poi diventata la Filarmonica di Berlino, dove impressionò il grande Joseph Joachim, intraprese una serie di tournée che lo consacrarono a livello internazionale. I suoi viaggi lo portarono a collaborare e a stringere legami con le più importanti figure musicali dell’epoca: suonò con Clara Schumann, conobbe Edvard Grieg in Norvegia e partecipò a un festival organizzato da Franz Liszt a Zurigo. Stabilitosi a Parigi, divenne una figura centrale nel circolo di César Franck. Il loro sodalizio artistico e umano culminò in un dono immortale: in occasione del matrimonio di Ysaÿe nel 1886, Franck gli dedicò la sua celeberrima Sonata per violino e pianoforte, un capolavoro del repertorio cameristico.

Ispiratore e animatore della vita musicale
L’influenza di Ysaÿe andò ben oltre le sue esecuzioni: le sue qualità artistiche, non ultimo l’interesse per la musica contemporanea, fecero di lui l’ispiratore di un’intera generazione di compositori. Oltre a Franck, gli dedicarono opere fondamentale Claude Debussy (Quartetto per archi), Ernest Chausson (Poème per violino e orchestra), Camille Saint-Saëns e Gabriel Fauré. Ysaÿe non fu solo un destinatario passivo, ma un promotore attivo di queste nuove composizioni, imponendole con determinazione nei programmi dei suoi concerti. La sua visione si concretizzò anche nella fondazione di due importanti istituzioni, il Quatuor Ysaÿe (1889) e i Concerts Ysaÿe (1896), una società di concerti con orchestra propria a Bruxelles, attraverso cui diffuse la musica dei suoi contemporanei.

Il maestro e il lascito pedagogico
La reputazione di Ysaÿe come pedagogo eguagliò quella di virtuoso: fu professore al Conservatorio reale di Bruxelles dal 1886 al 1898 e, successivamente, direttore dell’Orchestra sinfonica di Cincinnati (1918-22). Violinisti da tutto il mondo accorrevano per studiare privatamente con lui. Tra i suoi allievi figurano Josef Gingold, William Primrose, Louis Persinger e Nathan Milstein. Anche i suoi strumenti, un Guadagnini e soprattutto un prezioso Guarneri del Gesù del 1740 (poi appartenuto a Isaac Stern), fanno parte della sua leggenda.

Gli ultimi anni e l’eredità istituzionale
Il prestigio di Ysaÿe fu consacrato da un forte legame con la famiglia reale belga: nominato Maestro della Cappella di corte dal re Alberto I, divenne il consigliere musicale della regina Elisabetta, sua allieva. Da questa collaborazione nacque l’idea di un concorso per giovani talenti, inizialmente chiamato Concours Ysaÿe, che dal 1951 è conosciuto in tutto il mondo come il Concours musical international Reine-Élisabeth-de-Belgique, una delle competizioni più prestigiose al mondo.
Poco prima di morire, nel suo letto d’ospedale, Ysaÿe poté vivere un’ultima, commovente emozione: ascoltare in diretta radio la “prima” della sua opera in lingua vallona, Piére li houyeû, e rivolgere un saluto al pubblico grazie a un collegamento audio-visivo all’avanguardia per l’epoca.

Les neiges d’antan!: analisi
Il titolo del brano è tratto da un verso della Ballade des dames du temps jadis del poeta medievale francese François Villon, ed è la chiave per comprendere l’essenza della composizione. Non si tratta di un’opera strutturata secondo le forme classiche, ma di un brano rapsodico, una meditazione musicale profondamente introspettiva e nostalgica sul tema della memoria, della bellezza effimera e della perdita.

Il brano si apre non con il solista, ma con il quartetto d’archi, che stabilisce immediatamente un’atmosfera rarefatta e sognante. Gli archi, probabilmente con sordina, suonano accordi lenti, cromatici e armonicamente instabili. Questa introduzione crea un paesaggio sonoro nebbioso, quasi impressionista, che non evoca il freddo della neve, ma piuttosto la sua immagine vista attraverso il velo malinconico del ricordo.
Subito, il violino solista fa il suo ingresso nel registro acuto: la sua linea è un recitativo libero, quasi un lamento improvvisato, carico di un lirismo struggente. Non è ancora un tema definito, ma piuttosto la voce del narratore che inizia a rievocare il passato. La dinamica è estremamente contenuta e il suono del violino, sottile e vulnerabile, sembra fluttuare sopra il tappeto armonico del quartetto, come un pensiero che emerge lentamente dalla nebbia della memoria.
Successivamente, la melodia del violino si cristallizza in un tema principale, cantabile e appassionato: la melodia è ampia, romantica, caratterizzata da un intenso vibrato e da un uso sapiente del rubato, che le conferisce un respiro quasi umano. Il quartetto assume un ruolo più dialogico, ora sostenendo, ora rispondendo alle frasi del solista con frammenti contrappuntistici, creando un tessuto sonoro denso e avvolgente.
La natura ciclica della memoria porta a un cambiamento di umore: il carattere si fa più inquieto e il tempo leggermente più mosso. Il violino abbandona il lirismo cantabile per lanciarsi in passaggi tecnicamente più ardui: arpeggi veloci, scale cromatiche e un’esplorazione di tutta la tessitura dello strumento. Questa sezione sembra rappresentare un ricordo più vivido, forse più doloroso o tormentato, che irrompe con forza.
La scrittura si fa più frammentata e febbrile: il quartetto accompagna con accordi sincopati e passaggi in pizzicato che aumentano la tensione ritmica. L’apice di questa sezione si ha con un culmine di grande potenza espressiva, dove il violino si lancia in un passaggio virtuosistico nel registro più acuto, sostenuto da un fortissimo di tutto l’ensemble. È il momento di massima intensità emotiva del brano, il ricordo che brucia prima di affievolirsi.
La musica si placa: segue una sezione che funge da cadenza per il violino solista. Qui il virtuosismo è completamente al servizio dell’introspezione. Il solista, quasi senza accompagnamento, riesplora i frammenti tematici precedenti in una sorta di monologo interiore. Ysaÿe impiega armonici ed effetti di eco per creare un senso di solitudine e riflessione profonda.
Segue il quartetto che reintroduce l’atmosfera nebbiosa dell’inizio, preparando la ripresa del tema principale. Quando il tema ricompare nel violino solista, è trasfigurato: ha perso la passione ardente della sua prima esposizione ed è ora tinto di una rassegnazione dolce e dolente. È lo stesso ricordo, ma visto con la saggezza e la distanza del tempo. La passione si è trasformata in una serena nostalgia.
La conclusione del pezzo è un lento e progressivo dissolvimento: il tempo rallenta ulteriormente e la dinamica si riduce a un impercettibile pianissimo. Il violino solista sale verso il registro sovracuto, utilizzando eterei flautati (armonici artificiali) che rendono il suono spettrale, quasi smaterializzato. È l’immagine sonora perfetta della neve che si scioglie e svanisce o del ricordo che si dissolve nell’oblio. Il quartetto sostiene questo congedo con accordi lunghi e immobili che si estinguono lentamente nel silenzio. L’ultima nota del violino, un armonico fragile e altissimo, rimane sospesa per un istante prima di scomparire del tutto, lasciando l’ascoltatore in uno stato di contemplazione malinconica.

Nel complesso, Les neiges d’antan! è un gioiello di scrittura idiomatica per il violino, in cui la tecnica virtuosistica non è mai fine a sé stessa ma è strumento per un’indagine psicologica di rara profondità. L’opera segue un percorso narrativo chiaro – evocazione, passione, tormento, riflessione e dissolvenza – che rispecchia fedelmente il ciclo agrodolce del ricordo.

Isaye, op. 23