Prometeo liberato

Sir Granville Bantock (7 agosto 1868 - 1946): Prometheus Unbound, preludio sinfonico per ottoni (1933), da Shelley. Black Dyke Mills Band, dir. Geoffrey Brand.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Granville Bantock tra esotismo e tradizione

Sir Granville Bantock è una figura centrale nella musica inglese del primo Novecento, noto per il suo stile eclettico e il suo ruolo fondamentale nello sviluppo musicale di Birmingham.

Gli inizi inattesi di un musicista
Granville Ransome Bantock nacque a Londra, figlio di un eminente chirurgo scozzese. Nonostante le aspirazioni della famiglia – che lo vedevano destinato a una carriera nel servizio civile indiano – la sua salute cagionevole lo portò inizialmente a studiare ingegneria chimica. La svolta decisiva avvenne all’età di 20 anni: frequentando la biblioteca del South Kensington Museum, rimase affascinato dallo studio dei manoscritti dei grandi compositori, scoprendo così la sua vera vocazione. Intraprese gli studi musicali prima al Trinity College of Music con Gordon Saunders e successivamente, dal 1888, alla prestigiosa Royal Academy of Music, dove studiò armonia e composizione sotto la guida di Frederick Corder, distinguendosi fin da subito e vincendo il Macfarren Prize al suo primo anno.

L’affermazione professionale e gli anni di Birmingham
La carriera di Bantock decollò rapidamente: dopo le prime esperienze come direttore d’orchestra in giro per il mondo con una compagnia di commedie musicali, divenne una figura di spicco nel panorama musicale britannico. Nel 1897 assunse la direzione dei concerti della New Brighton Tower, dove si impegnò attivamente a promuovere le opere di compositori contemporanei come Joseph Holbrooke, Hubert Parry e Charles Villiers Stanford. Fu anche direttore della Liverpool Orchestral Society, con la quale diresse la prima esecuzione di Brigg Fair di Delius nel 1908. Il legame più profondo e duraturo fu però con la città di Birmingham: nel 1900 divenne preside della scuola di musica del Birmingham and Midland Institute e, dal 1908 al 1934, ricoprì la cattedra di Peyton Professor of Music all’Università di Birmingham, succedendo a sir Edward Elgar. Il compositore fu anche un pilastro fondamentale nella fondazione della City of Birmingham Orchestra, di cui diresse il concerto inaugurale nel 1920, eseguendo la propria ouverture Saul. Per il suo contributo alla musica, fu nominato cavaliere nel 1930.

Stile musicale: tra Wagner, esotismo e canti popolari
La sua produzione musicale è caratterizzata da una notevole varietà di influenze: da un lato risentì fortemente del linguaggio armonico e orchestrale di Richard Wagner, dall’altro fu profondamente ispirato dal canto popolare, in particolare quello delle Ebridi, come dimostra la Hebridean Symphony (1915). Un altro elemento distintivo del suo stile è un marcato gusto per l’esotismo, che trova la sua massima espressione nell’epopea corale Omar Khayyám (1906–09). Tra le sue altre opere celebri si annoverano l’ouverture The Pierrot of the Minute (1908), il poema sinfonico The Witch of Atlas (1902) e la Pagan Symphony (1928). Sebbene per un certo periodo la sua musica sia stata meno eseguita, ha conosciuto una significativa riscoperta grazie a numerose registrazioni commerciali a partire dagli anni Novanta.

Riconoscimenti, legami illustri e vita privata
L’influenza di Bantock è testimoniata dai suoi legami con altri giganti della musica: fu un grande sostenitore della musica di Jean Sibelius, il quale gli dedicò la sua Terza Sinfonia e anche Edward Elgar gli rese omaggio, dedicandogli la seconda delle sue celebri marce Pomp and Circumstance.
Poco dopo la sua morte, avvenuta a Londra, fu fondata la Bantock Society, con Sibelius come primo presidente. Sul piano personale, nel 1898 sposò Helena von Schweitzer, che divenne anche sua librettista. La tradizione artistica di famiglia continuò con il figlio Raymond, che sposò la compositrice Margaret More, e con il nipote, Gavin Bantock, divenuto un affermato poeta.

Prometheus Unbound: analisi
Questo preludio sinfonico è un’opera di rara potenza evocativa. Scritta per un complesso di soli ottoni, trae ispirazione dall’omonimo dramma lirico di Percy Bysshe Shelley; Bantock non si limita a illustrare la narrazione, ma ne cattura l’essenza spirituale e filosofica: il passaggio dalle tenebre della tirannia e della sofferenza alla luce trionfale della libertà e della conoscenza. L’uso esclusivo degli ottoni conferisce al brano un carattere monumentale, quasi architettonico, perfetto per dipingere la statura mitica e la lotta cosmica del titano Prometeo.

Il preludio si apre in un’atmosfera di desolazione cosmica: i primi accordi – affidati ai registri più gravi dell’ensemble (tube e tromboni bassi) – sono lenti, solenni e carichi di un peso ineluttabile. La musica evoca un’immagine di oscurità e immobilità: è la rappresentazione sonora di Prometeo incatenato alla roccia del Caucaso, condannato a un’eterna sofferenza.
Le note lunghe e gli accordi cupi, costruiti su armonie che tendono al minore, dipingono un paesaggio vasto e spoglio: u potente accordo dissonante squarcia brevemente il silenzio, come un grido di dolore o un sussulto di sfida soffocato. Si percepisce una tensione statica, il peso di una condanna che si protrae da secoli.
La musica prosegue con un andamento processionale e funereo: le linee melodiche sono frammentate e si muovono lentamente, quasi con fatica, suggerendo il peso fisico e psicologico delle catene. Bantock utilizza magistralmente il timbro scuro degli ottoni gravi per creare un senso di oppressione e grandiosità tragica.
Senza una vera e propria transizione, un improvviso squillo di trombe e corni introduce un elemento nuovo: non è ancora un trionfo, ma un primo, deciso impulso di ribellione. Questo momento segna l’inizio di una fase più dinamica, in cui alla sofferenza passiva si sostituisce un lamento più articolato, quasi un discorso musicale.
Emerge una linea melodica più definita, un tema dolente ma nobile, spesso affidato ai corni: questo può essere interpretato come il lamento di Prometeo, che ricorda il suo amore per l’umanità o medita sulla sua ingiusta punizione. Sebbene la tonalità rimanga prevalentemente cupa, la musica acquista un carattere più narrativo e meno statico. Si avverte un barlume di speranza, la consapevolezza che la condizione di sofferenza non è l’unica realtà possibile.
La musica diventa poi più agitata, ritmicamente complessa e dinamica: Bantock costruisce la tensione attraverso un dialogo serrato tra i diversi gruppi di ottoni, creando un vero e proprio campo di battaglia sonoro.
Un crescendo incalzante, sostenuto da figure ritmiche ripetute, scatena l’azione: brevi e incisivi squilli di fanfara delle trombe vengono contrastati dalle risposte potenti dei tromboni e delle tube. L’armonia si fa più aspra e dissonante, rappresentando lo scontro titanico tra le forze dell’oppressione (simboleggiate da Giove) e la volontà indomita di Prometeo. Questo passaggio è l’apice della lotta, il momento cruciale in cui le catene vengono spezzate.
Con un cambiamento tonale netto e luminoso, la musica esplode in un tema eroico e maestoso: la lotta è vinta, e Prometeo è finalmente “sciolto”. Questa sezione finale è un’apoteosi di luce e potenza, una celebrazione della libertà riconquistata.
Il tema principale, ora in una tonalità maggiore, è ampio, solenne e trionfale: le trombe svettano con una melodia ascendente e radiosa, mentre l’intero ensemble fornisce un supporto armonico ricco e compatto. La musica acquista un respiro grandioso, evocando l’immagine del Titano che si erge libero, guardando a un futuro di speranza per l’umanità.
Il preludio si conclude con una coda potente e affermativa: gli accordi finali, sostenuti e risonanti, sigillano la vittoria in modo definitivo. L’ultima nota, tenuta a lungo da tutto l’ensemble, si dissolve lasciando un’eco di maestosità e di compimento epico.

In sintesi, Prometheus Unbound è un capolavoro di scrittura per ottoni in cui Bantock dimostra una profonda comprensione del potenziale drammatico e timbrico di questo organico. Attraverso un sapiente arco narrativo-musicale, ci conduce dalle profondità della disperazione alla vetta del trionfo, traducendo perfettamente lo spirito rivoluzionario e umanistico del poema di Shelley in un’esperienza sonora indimenticabile.

Granville Bantock