Hans Pfitzner (5 maggio 1869 - 22 maggio 1949): Scherzo per orchestra (1888). Bamberger Symphoniker, dir. Werner Andreas Albert.
L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni
Hans Pfitzner: tra melodia e ideologia – un ritratto complesso
Origini e formazione
Nato a Mosca nella famiglia del violinista e direttore musicale Robert Pfitzner e di sua moglie Wilhelmine Reimer, Pfitzner si trasferì con la famiglia a Francoforte sul Meno nel 1872. Ricevette le prime lezioni di musica dal padre e iniziò a comporre già a undici anni (1880), con i primi Lieder conservati risalenti a quattro anni più tardi. Tra il 1886 e il 1890, studiò al Dr Hoch’s Konservatorium di Francoforte, dove ebbe come insegnanti Iwan Knorr (composizione) e James Kwast (pianoforte). Durante gli anni studenteschi, fu anche membro della Sängerschaft St Pauli. Dopo aver ottenuto il diploma, Pfitzner insegnò teoria e pianoforte al Conservatorio di Coblenza (1892-93).
Ascesa professionale e vita personale
La sua carriera prese slancio nel 1894 con un posto da Kapellmeister (non retribuito) al Teatro municipale di Magonza, dove l’anno successivo furono rappresentate le sue prime opere importanti, ossia l’opera Der arme Heinrich e le musiche di scena per Das Fest auf Solhaug di Ibsen. Nel 1897 si trasferì a Berlino, dove insegnò composizione e direzione al Conservatorio Stern.
La sua seconda opera, Die Rose vom Liebesgarten, fu presentata nel 1901 a Wuppertal e ripresa quattro anni dopo alla Hofoper di Vienna sotto la direzione di Gustav Mahler. Pfitzner divenne primo Kapellmeister al Theater des Westens di Berlino (1903) e direttore dell’Orchestra Kaim di Monaco (1907-08). Nel 1908 fu nominato direttore del Conservatorio e dei concerti sinfonici della Filarmonica di Strasburgo, città che all’epoca faceva parte del Secondo Reich tedesco; sempre a Strasburgo, nel 1910 Pfitzner assunse la direzione musicale del Teatro dell’opera. Scoppiata la prima guerra mondiale si offrì volontario, ma fu congedato.
Il trionfo di Palestrina e la consacrazione
Il 1917 segnò una tappa fondamentale nella carriera di Pfitzner con la prima rappresentazione al Prinzregententheater di Monaco della “leggenda musicale” Palestrina, diretta da Bruno Walter. L’opera, considerata il capolavoro di Pfitzner, esplora il conflitto tra l’autonomia dell’artista e le esigenze della società, trasponendolo nel contesto rinascimentale. Dopo la restituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia, nel 1919, Pfitzner si trasferì a Unterschondorf am Ammersee. Fu temporaneamente direttore dei Münchner Philharmoniker (1919-20), poi divenne responsabile di un corso di perfezionamento di composizione all’Accademia prussiana delle arti. In questo periodo compose la cantata romantica Von deutscher Seele (1921) e il Concerto per pianoforte in mi bemolle maggiore (1922). Seguirono il Concerto per violino in si minore op. 34 (1923) — dedicato alla violinista australiana Alma Moodie — e il Quartetto per archi in do diesis minore (1925). Le pubbliche celebrazioni del suo 60° compleanno nel 1929 segnarono l’apice della sua celebrità; nello stesso anno ottenne un incarico di insegnamento all’Accademia statale di musica di Monaco, città dove si trasferì. Nel 1930 compose la fantasia corale Das dunkle Reich.
Crisi personali e l’ombra del nazismo incombente
Dei primi anni ’30 sono Das Herz (1930-31), l’ultima opera teatrale di Pfitzner, e la Sinfonia derivata dal Quartetto per archi (1932). Il periodo fu segnato da difficoltà personali e professionali. Nel 1934 si ritirò dall’Accademia musicale di Stato, ma le sue eccessive pretese di pensione provocarono contrasti con il primo ministro Hermann Göring. A seguito della morte del figlio Paul (1936) e della rottura con i figli Peter e Agnes (1937) il suo carattere s’inasprì. Durante la seconda guerra mondiale, Pfitzner e la moglie scamparono a un bombardamento vicino a Norimberga. Nel 1943 la sua casa a Monaco fu bombardata, costringendolo a trasferirsi a Vienna-Rodaun. Nel 1944 perse anche il secondo figlio, Peter, caduto in Russia.
Il difficile dopoguerra: denazificazione e fine di un’era
Nel 1945 Pfitzner fuggì a Garmisch-Partenkirchen, trovando alloggio in un centro per rifugiati, per poi trasferirsi in una casa di riposo a Monaco-Ramersdorf l’anno dopo. Nel 1948, durante il processo di denazificazione, la Spruchkammer di Monaco lo classificò come “non interessato dalla legge”, grazie anche a dichiarazioni a suo favore da parte di figure come Walter Braunfels, Arnold Schoenberg, Bruno Walter e Carl Zuckmayer. Nell’ottobre 1948 subì un ictus, da cui si riprese; nel febbraio 1949, a Vienna, partecipò alle prove e alla prima rappresentazione postbellica del Palestrina. Pfitzner considerò l’idea di stabilirsi nuovamente nella capitale austriaca, ma non ne ebbe il tempo: subì un secondo ictus a Salisburgo, dove morì poco tempo dopo.
Un’eredità musicale complessa: stile, opere e ricezione critica
L’opera di Pfitzner fonde elementi romantici e tardo-romantici con un elaborato lavoro tematico, un intenso drammatismo musicale e un’intimità cameristica. Rappresenta un singolare proseguimento della tradizione classico-romantica, la cui estetica conservatrice Pfitzner difese strenuamente nei suoi scritti contro le correnti contemporanee. Le sue composizioni, pur radicate nel post-romanticismo, mostrano grandi qualità e, con le loro asprezze riflessive, sono più vicine a un linguaggio moderno di quanto l’autore intendesse.
Apprezzato da contemporanei come Gustav Mahler (il quale definì un capolavoro il suo Secondo Quartetto) e inizialmente da Richard Strauss, Pfitzner vide Thomas Mann dedicare un saggio al Palestrina e co-fondare nel 1918 lo Hans-Pfitzner-Verein für deutsche Tonkunst. Dopo la “prima” del Palestrina, Pfitzner fu considerato il principale esponente di una concezione musicale marcatamente tedesca e antimodernista. Tuttavia, dalla metà degli anni ’20 la sua opera fu messa in ombra da quella di Strauss; questi nel 1927 si espresse su di lui in termini negativi. L’opera Das Herz (1932) ebbe scarso successo, e durante il Terzo Reich Pfitzner rimase una figura marginale e le sue opere eseguite raramente.
Ciononostante, il biografo Walter Abendroth elogiò entusiasticamente il Palestrina nel 1935. Bruno Walter continuò a stimarlo, eseguendo il Palestrina negli Stati Uniti. Hans Heinz Stuckenschmidt (1969) vide la sua opera come ambivalente, inizialmente modernista e poi conservatrice. Wolfgang Rihm (1981) spiegò la sua scarsa popolarità attuale con il fatto di essere “troppo progressista” per un ascolto superficiale e “troppo conservatore” per aver influenzato significativamente la musica successiva. Nonostante una registrazione completa delle sue opere orchestrali (Werner Andreas Albert, 1995), Pfitzner è oggi raramente eseguito. Tentativi di rivalutazione sono stati fatti da direttori come Christian Thielemann, che ha spesso diretto il Palestrina, e Ingo Metzmacher, la cui esecuzione di Von deutscher Seele nel 2007 suscitò critiche.
Il pensiero controverso: scritti teorici e la deriva antisemita (fino al 1933)
Nei suoi scritti teorici, Pfitzner si oppose alle influenze contemporanee, adottando una posizione antimodernista e antisemita. Già nel 1898 scrisse all’amico Paul Nikolaus Cossmann (ebreo convertito al cattolicesimo) di essersi «formato particolarmente come antisemita a Berlino». Nel 1917 pubblicò il pamphlet Futuristengefahr (Pericolo Futurista) contro Ferruccio Busoni e, implicitamente, Arnold Schoenberg. Thomas Mann nel 1919 osservò la sua politicizzazione in senso nazionalista e antidemocratico.
Negli anni ’20, i suoi scritti costruirono un’antitesi tra la musica tedesca e i suoi «distruttori ebrei», parallelizzando lo sviluppo politico e musicale e accusando il popolo tedesco di essersi lasciato guidare da «criminali russo-ebraici» dopo la Rivoluzione del 1918. Con una sorta di «leggenda musicale del tradimento», profetizzò la «fine dell’arte tedesca».
In Die neue Ästhetik der musikalischen Impotenz (1920) attaccò specificamente il critico Paul Bekker, accusandolo di guidare il «movimento internazionale-ebraico nell’arte», distinguendo tra “ebreo” e “giudaismo” e tracciando una linea di demarcazione tra il sentire “tedesco-nazionale” e quello “internazionale”. I suoi scritti, pubblicati integralmente in una raccolta edita fra il 1926 e il 1929, contengono numerosi concetti-chiave che vennero poi ripresi dai principali esponenti della cultura nazista: «destino dell’arte nazionale», «conservazione della nostra natura», «americanismo a-nazionale». Qui scrisse: «L’antitedesco, in qualsiasi forma si presenti, come atonalità, internazionalità, americanismo, pacifismo tedesco, assedia la nostra esistenza, la nostra cultura da ogni parte e con essa quella europea».
Compromesso e allineamento: Pfitzner sotto il Terzo Reich
Dopo l’ascesa del nazismo, Pfitzner si allineò al regime. Nel 1933 si impegnò per la liberazione dell’amico Cossmann, arrestato dai nazisti. Nello stesso anno fu tra i firmatari di un documento contro Thomas Mann. Sempre nel 1933, grazie all’intervento del Kampfbund für deutsche Kultur di Alfred Rosenberg, ottenne un ingaggio a Berlino dopo il licenziamento del direttore Otto Klemperer. Inviò i propri scritti a Hans Hinkel, funzionario del Kampfbund, evidenziando Futuristengefahr. Rinunciò a dirigere al Festival di Salisburgo per non servire “un’arte non tedesca”.
Pfitzner firmò appelli a sostegno di Hitler, come quello dei “creatori di cultura” (1934) per l’unificazione delle cariche di presidente e cancelliere, appelli elettorali (1936) e per l’annessione dell’Austria (1938). Divenne una figura importante nella politica culturale nazista, partecipando a eventi di rappresentanza e venendo nominato da Joseph Goebbels membro del Senato culturale del Reich nel 1935. Molti nazisti lo consideravano un modello, e una valutazione politica del NSDAP lo definì «favorevole al nazionalsocialismo». Nonostante un periodo di relativo silenzio dopo il 1938, in seguito alle sue lamentele fu invitato a esibirsi nei territori occupati (nei Paesi Bassi nel 1941; l’anno successivo assistette a una rappresentazione del Palestrina a Parigi). Tuttavia Hitler non lo ebbe in simpatia, come evidenziato da una nota d’archivio che raccomandava di celebrare in tono relativamente dimesso il suo 75° compleanno. Ma nel maggio 1944 Pfitzner ricevette da Hitler una donazione di 50.000 marchi e nell’agosto dello stesso anno fu inserito nella Gottbegnadeten-Liste. Nel 1944 compose la Krakauer Begrüßung op. 54 in omaggio al suo amico e mecenate Hans Frank, governatore generale della Polonia occupata, poi condannato per crimini di guerra.
L’ostinata difesa: giustificazioni postbelliche e antisemitismo radicato
Nel giugno 1945 Pfitzner giustificò l’antisemitismo di Hitler in una glossa sulla seconda guerra mondiale, scrivendo: «L’ebraismo mondiale è un problema, e un problema razziale… Ci si ricorderà di Hitler e lo si vedrà diversamente… Il suo innato proletariato lo portò ad assumere, di fronte al più difficile dei problemi umani, il punto di vista del disinfestatore… Quindi non il “perché” gli è da rimproverare, non che lo abbia fatto, ma solo il “come” ha affrontato il compito, la goffaggine da Berserker…”
Nello stesso testo, Pfitzner minimizzò le atrocità nei campi di concentramento, paragonando l’idea di sterminio di una razza a quella degli indiani d’America e suggerendo che un «contro-calcolo delle crudeltà» subite dai tedeschi avrebbe ribaltato i ruoli di colpa e accusa. Nel 1946 Pfitzner tentò di presentare la propria adesione al nazismo come espressione di un ideale e, in ottobre, inviò un telegramma di «grata solidarietà» a Hans Frank, condannato a morte a Norimberga.
Analisi dello Scherzo per orchestra
Composto all’età di soli 19 anni, lo Scherzo per orchestra si presenta come un’opera ambiziosa e vigorosa, saldamente radicata nella tradizione tardo-romantica tedesca. Pur mostrando l’influenza di maestri come Brahms per la densità tematica e forse un’eco del giovane Strauss per l’energia orchestrale, il brano rivela già una personalità musicale definita, capace di gestire ampie forme e un organico orchestrale considerevole. Il brano segue la forma classica dello scherzo con trio, ulteriormente espansa da un’introduzione e una significativa coda.
L’opera si apre con un gesto orchestrale incisivo e scattante, quasi una fanfara abbreviata. Brevi frammenti ascendenti negli archi e legni, sostenuti da accordi netti degli ottoni, creano immediatamente un’atmosfera di energia e attesa. È un preludio brevissimo ma efficace, che prepara il terreno per il materiale tematico principale dello Scherzo.
Il vero e proprio Scherzo s’inizia con un tema vivace e ritmicamente marcato, esposto principalmente dagli archi e dai legni. È caratterizzato da un andamento ascendente, quasi guizzante, con un profilo melodico agile e ben definito. L’orchestrazione è brillante e trasparente in questa fase iniziale. Segue una breve sezione che introduce nuovo materiale o sviluppa frammenti del tema principale, mantenendo l’energia propulsiva. Si nota un dialogo più fitto tra le sezioni orchestrali, con gli ottoni che intervengono con maggiore decisione.
Il discorso musicale si fa più complesso: Pfitzner elabora il materiale tematico iniziale con abilità, introducendo progressioni armoniche più elaborate e un impasto orchestrale più denso. Si percepiscono sequenze ascendenti e discendenti, con un uso dinamico che varia dal forte al fortissimo, creando momenti di grande enfasi. Gli archi mantengono un ruolo propulsivo con figurazioni veloci, mentre i legni e gli ottoni colorano e sottolineano i punti culminanti. Verso la fine di questa sezione, l’energia inizia a stemperarsi, con passaggi più frammentati e misteriosi che preparano l’inizio del trio. Gli ultimi secondi vedono un diradarsi della strumentazione con pizzicati degli archi e interventi solistici dei legni.
Il trio segna un netto contrasto con l’energia irruente dello Scherzo. L’indicazione temporale non è precisa, ma l’atmosfera si fa più lirica, cantabile e pastorale. Il tempo percepito è più tranquillo. I legni (oboe, clarinetto) e gli archi assumono un ruolo melodico predominante, disegnando melodie ampie e sognanti, spesso con un carattere quasi da Ländler o valzer lento. L’orchestrazione è più rarefatta, con un focus sulla cantabilità delle linee. All’interno del trio, Pfitzner introduce una sezione leggermente più animata e appassionata. Pur mantenendo il carattere lirico, la melodia si fa più intensa e l’armonia più cromatica. Gli archi sviluppano il materiale con maggiore fervore.
Ritorna il tema principale del trio, spesso variato nell’orchestrazione. Progressivamente, l’energia inizia nuovamente ad accumularsi, con un crescendo dinamico e un infittirsi della strumentazione, che funge da ponte per la ripresa dello Scherzo.
Dopo la transizione dal trio, una breve preparazione orchestrale reintroduce con forza il materiale tematico dello Scherzo e il tema principale ritorna con la sua energia originaria. La ripresa è abbastanza fedele all’esposizione, sebbene Pfitzner spesso introduca sottili variazioni nell’orchestrazione o nell’elaborazione del materiale. Lo sviluppo, però, viene intensificato, portando il materiale dello Scherzo a nuove vette di complessità e vigore. L’interazione contrappuntistica tra le sezioni è più marcata, e l’orchestra è impiegata in tutta la sua potenza. Si avvertono momenti di grande tumulto e agitazione, che conducono direttamente alla coda.
La coda inizia riprendendo frammenti tematici dello Scherzo, ma con un’energia rinnovata e un carattere più affermativo. Pfitzner costruisce la tensione attraverso crescendo orchestrali e una scrittura ritmicamente sempre più incalzante. Si raggiunge un primo grande culmine. Segue una sezione in cui il materiale viene ulteriormente elaborato, con richiami tematici che vengono presentati in maniera grandiosa e talvolta trasfigurata. L’orchestrazione è massiccia, con ottoni squillanti e un pieno coinvolgimento di tutte le sezioni. Dopo un breve momento di apparente acquietamento, la musica riprende slancio per un’ultima, trionfale affermazione. Si possono notare accordi potenti e un progressivo rallentando che conduce a una chiusura enfatica e perentoria, tipica del linguaggio tardo-romantico. Gli ottoni e le percussioni (timpani) giocano un ruolo cruciale nel sigillare l’opera.
Pfitzner dimostra già una notevole padronanza dell’orchestra. L’impasto sonoro è ricco e variegato e contrasta efficacemente le sezioni leggere e agili dello Scherzo (archi e legni) con i momenti più potenti (ottoni e percussioni). Nel trio, invece, spiccano gli assoli dei legni e la cantabilità degli archi. L’uso degli ottoni è spesso eroico e affermativo, specialmente nella coda.
Il linguaggio armonico è tonale, ma con un uso frequente di cromatismi e modulazioni che arricchiscono il discorso musicale, tipico del tardo Romanticismo. Non si spinge verso le audacie dei suoi contemporanei più progressisti, ma rimane all’interno di una solida tradizione. I temi sono ben caratterizzati e memorabili, specialmente il tema principale dello Scherzo e quello lirico del trio. Pfitzner mostra abilità nello sviluppo tematico, frammentando, combinando e variando i motivi principali.
Il brano è caratterizzato da una grande varietà ritmica, con l’energia propulsiva dello Scherzo che contrasta con i ritmi più fluidi e distesi del trio. Le dinamiche sono ampiamente sfruttate, spaziando da pianissimo sussurrati a fortissimo travolgenti, contribuendo in modo significativo all’espressività e alla struttura formale dell’opera.
Nel complesso, l’opera è già matura per molti aspetti. Rivela un compositore con una solida tecnica compositiva, una fervida immaginazione orchestrale e un forte senso della forma. È un pezzo che, pur non essendo tra i più rivoluzionari del suo tempo, dimostra l’abilità di Pfitzner nel creare musica energica, espressiva e ben costruita, elevandosi a testimonianza significativa del suo percorso artistico e del panorama musicale tardo-romantico.


