Allegro risoluto – V

Amanda Röntgen-Maier (1853 - 15 luglio 1894): Concerto in re minore per violino e orchestra (1875). Claudia Bonfiglioli, violino; Orchestra filarmonica reale di Stoccolma, dir. Sakari Oramo.
Del Concerto esiste un unico movimento (Allegro risoluto), gli altri sono probabilmente andati perduti.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Amanda Röntgen-Maier: il talento riscoperto di una pioniera della musica

Figura di spicco nel panorama musicale del XIX secolo, violinista virtuosa e compositrice di grande talento, Amanda Röntgen-Maier ebbe una carriera tanto brillante quanto breve, messa in ombra dalle convenzioni sociali del suo tempo. La sua musica, riscoperta alla fine del XX secolo, rivela un’artista di calibro internazionale.

Formazione di un prodigio: primi anni e studi
Nata a Landskrona, in Svezia, Carolina Amanda Erika Maier crebbe in un ambiente intriso di musica. Suo padre, Carl Eduard Maier, un immigrato tedesco, era un pasticciere ma anche un musicista diplomato che impartì ad Amanda le prime lezioni di violino e pianoforte. Per il suo eccezionale talento fu accolta nella Kungliga musikaliska akademien (Accademia reale svedese di musica) a Stoccolma nel 1869. Lì seguì corsi diversi, tra cui violino, organo, composizione e storia della musica. Nel 1872 fu la prima donna donna a diplomarsi in direzione, ottenendo il massimo dei voti nella maggior parte delle discipline. Grazie a una borsa di studio proseguì la formazione presso il prestigioso Conservatorio di Lipsia (1873-76); qui ebbe come insegnanti Engelbert Röntgen (violino) e Carl Reinecke (composizione). Fu in questo periodo che strinse una profonda e duratura amicizia con il compositore norvegese Edvard Grieg.

La carriera di virtuosa e compositrice
Prima ancora di terminare gli studi, Maier era già un’affermata concertista e una compositrice promettente. Tra il 1876 e il 1880 intraprese tre grandi tour concertistici che la portarono a esibirsi in tutta la Scandinavia, suonando anche alla presenza del re Oscar II di Svezia. Il suo talento compositivo emerse con forza nel 1875, quando presentò il Concerto per violino e orchestra in re minore: l’opera fu eseguita per la prima volta ad Halle e successivamente a Lipsia nel 1876, dove l’autrice suonò con la celebre Orchestra del Gewandhaus diretta da Carl Reinecke, imbracciando per l’occasione un prezioso violino Stradivari. Un altro lavoro di pregio, la Sonata per violino e pianoforte in si minore, fu pubblicata nel 1878: quando le furono suggerite delle modifiche, Maier dimostrò di aver raggiunto la piena maturità artistica rifiutandosi di alterare la propria visione originale: l’opera fu dunque stampata così come l’autrice l’aveva concepita.

Vita familiare e la musica tra le mura domestiche
Nel 1880 Amanda Maier sposò il pianista e compositore Julius Röntgen, figlio del suo insegnante di violino. La coppia si stabilì ad Amsterdam ed ebbe due figli, Julius e Engelbert, che diventeranno entrambi musicisti professionisti sotto la guida della madre. Dopo il matrimonio, la sua carriera pubblica si interruppe quasi del tutto, come imponevano le convenzioni dell’epoca. Tuttavia, la musica non abbandonò mai la sua vita: la casa dei Röntgen divenne un vivace salotto musicale, un punto d’incontro per alcuni dei più grandi musicisti del tempo, tra cui Johannes Brahms, Clara Schumann, Anton Rubinštejn e Edvard Grieg. Amanda suonava frequentemente in privato con il marito, ma si esibiva raramente nei concerti di musica da camera organizzati nella sua abitazione.

Gli ultimi anni e il testamento musicale
Dopo la nascita del secondo figlio, la salute della musicista declinò. Nel 1887 Amanda Röntgen-Maier si ammalò di pleurite, cosa che la costrinse a lunghi periodi di riposo e a viaggi in cerca di cure; si recò fra l’altro a Nizza e a Davos. Nonostante la malattia, non smise mai di comporre e suonare. Proprio durante questo difficile periodo creò il suo ultimo grande capolavoro, il Quartetto con pianoforte in mi minore, completato nel 1891. Quest’opera, di respiro internazionale e profondamente influenzata da Brahms, è considerata una delle sue composizioni più mature e complesse; fu eseguito postumo. Amanda Röntgen-Maier morì serenamente nel 1894, poche ore dopo aver tenuto lezione ai suoi figli.

Le opere principali
Parte della produzione di Amanda Röntgen-Maier è andata perduta, ma le opere sopravvissute testimoniano il suo grande valore artistico.
– La Sonata per violino e pianoforte (1878) è un’opera ben strutturata e originale, caratterizzata da un primo movimento energico, un secondo movimento cantabile e un finale tecnicamente brillante;
– i Sechs Stücke (Sei Pezzi) per violino e pianoforte (1879) sono brani dal carattere intimo e personale che spaziano da dialoghi intensi a ritmi che ricordano la musica popolare ungherese e nordica;
– il Quartetto con pianoforte in mi minore (1891), considerato opera della piena maturità, dimostra una profonda conoscenza della musica da camera del suo tempo. È un lavoro su larga scala, con una timbrica tardo-romantica, melodie che evocano canti popolari e una scrittura complessa e appassionata.

Coda: un’eredità riscoperta
L’amicizia con Edvard Grieg durò tutta la vita; dopo la morte di lei, il compositore norvegese scrisse «Era una delle mie preferite». Nonostante il suo immenso talento, il nome della musicista svedese cadde nell’oblio per quasi un secolo, ma venne finalmente riscoperto negli anni 1990. Le sue opere rivelano una compositrice di considerevole statura artistica, pienamente paragonabile a quella dei suoi celebri contemporanei, offrendoci il ritratto di un potenziale straordinario, solo parzialmente espresso a causa dei limiti imposti al suo ruolo di donna e madre.

Il Concerto per violino e orchestra in re minore: analisi
Questa composizione, una delle gemme dimenticate del repertorio romantico, risale al 1875, quando l’autrice aveva solo 22 anni; ci è pervenuto un unico, ma formidabile movimento, l’Allegro risoluto. Anche se incompleta, questa composizione dimostra una maturità, una padronanza della forma e una profondità emotiva che la pongono al livello dei grandi concerti violinistici della sua epoca, come quelli di Brahms e Bruch, dai quali trae evidente ispirazione pur mantenendo una voce personale e distintiva.

Il lavoro si apre senza preamboli, con un accordo potente e drammatico in re minore affidato all’orchestra intera. L’introduzione è breve ma densa di significato: non è una semplice preparazione, ma una vera e propria dichiarazione di intenti. I ritmi puntati, le linee discendenti e l’orchestrazione piena, con ottoni e timpani in evidenza, stabiliscono immediatamente un’atmosfera tesa, eroica e passionale, tipica del tardo Romanticismo di scuola tedesca.
L’entrata del violino solista è altrettanto risoluta e virtuosistica: anziché presentare una melodia cantabile, Maier fa entrare il solista con una serie di arpeggi e corde doppie impetuose, che si slanciano verso l’alto per poi ridiscendere con forza. Questa non è un’entrata lirica, ma un’affermazione di potenza.
Il primo tema vero e proprio, introdotto dal violino, è angolare, agitato e ritmicamente incalzante. È costruito su frammenti che l’orchestra riprende e commenta, creando un dialogo serrato e drammatico. La scrittura per il solista è immediatamente impegnativa, richiedendo agilità, precisione e un suono robusto per non essere sopraffatto dalla massa orchestrale. Questa sezione è caratterizzata da una forte instabilità emotiva, che oscilla tra la passione e l’urgenza.
Dopo una breve transizione orchestrale modulante, il clima cambia radicalmente: come da manuale della forma sonata, si passa alla tonalità relativa maggiore, fa maggiore. Il secondo tema è un’oasi di lirismo e calore. Il violino solista introduce una melodia cantabile, dolce e profondamente romantica, che si dispiega con grande ampiezza.
L’orchestrazione qui si fa più rarefatta e delicata: i legni dialogano teneramente con il solista, mentre gli archi forniscono un tappeto sonoro morbido e avvolgente. Questa melodia, ricca di pathos, offre un contrasto perfetto con l’irruenza del primo tema e permette al violinista di mostrare un lato più intimo e espressivo del suo strumento. La sezione si conclude con una breve codetta che riprende un po’ di energia, preparando il terreno per lo sviluppo.
Quest’ultimo è la sezione più complessa e drammatica del movimento: Maier dimostra qui la sua straordinaria abilità nel manipolare il materiale tematico. Lo sviluppo inizia con l’orchestra che riprende frammenti del primo tema in un’atmosfera tempestosa. Il violino rientra con una serie di passaggi virtuosistici mozzafiato: scale velocissime, arpeggi spezzati e un uso intenso del registro acuto, quasi a rappresentare una lotta contro le forze orchestrali.
Segue un momento di straordinaria bellezza e introspezione: la tempesta si placa e il violino, accompagnato da un’orchestra sommessa, elabora frammenti del secondo tema in tonalità minori, conferendogli un carattere malinconico e quasi nostalgico. La tensione ricomincia a salire. Solista e orchestra si scambiano frammenti tematici in un crescendo continuo, esplorando diverse tonalità e creando un senso di grande instabilità armonica e drammatica. La scrittura diventa sempre più densa e complessa. La sezione di sviluppo si conclude con una nuova transizione, nella quale l’orchestra, con i corni in primo piano, costruisce una suspense quasi insopportabile, preparando il ritorno trionfale del tema principale.
Il primo tema ritorna con tutta la sua forza originaria, presentato dal tutti orchestrale nella tonalità d’impianto. L’effetto è quello di un ritorno a casa catartico dopo la tempesta dello sviluppo. Il violino solista riprende il tema con rinnovato vigore, quasi a suggellare la vittoria dopo la lotta. Il secondo tema non viene riproposto nella relativa maggiore, ma nella tonalità parallela (re maggiore). Questa scelta tonale trasforma il carattere della melodia: da calda e romantica, diventa radiosa, luminosa e trionfale. L’orchestrazione è brillante e solenne, e accompagna il canto del violino verso il culmine emotivo che precede la cadenza.
L’orchestra si ferma su un accordo sospeso, lasciando il palcoscenico interamente al violino solista per una cadenza virtuosistica e ben strutturata. Non si tratta di un mero sfoggio tecnico, ma di una vera e propria sintesi del materiale del movimento. Maier intreccia frammenti riconoscibili sia del primo tema (con le sue corde doppie e i suoi ritmi incalzanti) sia del secondo tema (trasformato in passaggi più lirici), il tutto arricchito da una panoplia di difficoltà tecniche:
– arpeggi su quattro corde;
– corde doppie e triple complesse;
– trilli prolungati e passaggi di agilità estrema.
Dopo la cadenza, l’orchestra rientra con intensità, riprendendo il materiale del primo tema in re maggiore. La coda è veloce, energica e decisamente affermativa. Il violino si lancia in un’ultima serie di passaggi brillanti, dialogando con l’orchestra in un crescendo finale che porta il movimento a una conclusione eroica e inequivocabilmente vittoriosa. Gli ultimi accordi, potenti e decisi, sigillano l’opera in un tripudio sonoro.

Il Concerto per violino orchestra in re minore di Amanda Röntgen-Maier sorprende per la sua architettura solida, l’equilibrio tra momenti di dramma intenso e lirismo struggente e la scrittura violinistica tanto impegnativa quanto idiomatica. Il ruolo del solista è eroico, richiedendo un interprete di altissimo livello tecnico e di grande sensibilità musicale. L’orchestra non si limita a fornire un mero accompagnamento, ma è un vero e proprio co-protagonista, in un dialogo costante e fecondo con il violino.
Possiamo a buon diritto affermare che, pur se incompleto, questo brano costituisce una testimonianza folgorante del genio di una compositrice straordinaria che merita di essere riscoperta ed eseguita molto più frequentemente.

Times Flies

Mark-Anthony Turnage (10 giugno 1960): Times Flies per orchestra (2019). BBC Symphony Orchestra, dir. Sakari Oramo.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Mark-Anthony Turnage: un ponte sonoro tra classica, jazz e dramma teatrale

Turnage è una figura centrale e innovativa nel panorama della musica classica contemporanea britannica, rinomato per la sua capacità di fondere influenze eterogenee in un linguaggio musicale unico e potente.

Origini e formazione: dai primi passi all’eccellenza accademica
Nato a Corringham, Essex, Turnage crebbe in una famiglia di amanti della musica classica e ferventi cristiani pentecostali. La sua vocazione compositiva emerse precocemente, iniziando a scrivere musica all’età di nove anni. A quattordici anni, il suo talento lo portò a studiare presso la sezione giovanile del prestigioso Royal College of Music. La sua formazione musicale fu guidata da figure di spicco come Oliver Knussen e John Lambert, per poi proseguire sotto l’egida di Gunther Schuller, affinando ulteriormente la sua tecnica e visione artistica.

L’influenza del Jazz e la creazione di uno stile ibrido
Una caratteristica distintiva della musica di Turnage è la profonda e costante influenza del jazz, in particolare dell’opera iconica di Miles Davis. Questa passione non è rimasta confinata all’ascolto, ma si è tradotta in una prassi compositiva che integra elementi jazzistici e prevede la collaborazione diretta con celebri musicisti del genere. Artisti del calibro di John Scofield, Peter Erskine, John Patitucci e Joe Lovano hanno infatti partecipato all’esecuzione di sue opere, arricchendole con la loro improvvisazione e sensibilità.

Il palcoscenico operistico: narrazioni potenti e temi contemporanei
Turnage ha lasciato un’impronta significativa nel teatro musicale con la composizione di tre opere liriche di grande respiro e un’opera per famiglie.
Greek, del 1988, nata con l’incoraggiamento di Hans Werner Henze e presentata alla Biennale di Monaco, si basa sull’adattamento che Steven Berkoff ha fatto dell’Edipo re, trasponendo il mito classico in una cruda realtà contemporanea.
The Silver Tassie (2000), basata sull’omonima pièce teatrale di Seán O’Casey, esplora le tragiche conseguenze della guerra.
Anna Nicole (2011), su libretto di Richard Thomas, racconta l’ascesa e la drammatica caduta della modella e celebrità mediatica Anna Nicole Smith, offrendo uno sguardo critico sulla cultura della celebrità.
Coraline (2018), destinato a un pubblico familiare, è un adattamento dell’oscuro ro­man­zo fantasy di Neil Gaiman, messo in scena dalla Royal Opera al Barbican Theatre.
Queste opere hanno goduto di un’ampia circuitazione internazionale, con allestimenti significativi presso teatri come la New York City Opera, l’Opernhaus di Zurigo, il Theater Dortmund, il Theater Freiburg e l’Opéra de Lille.

Opere orchestrali e da camera: un catalogo ricco e diversificato
Oltre al teatro, Turnage ha prodotto un vasto corpus di lavori orchestrali e cameristici. Tra questi spiccano: Three Screaming Popes, ispirata ai celebri dipinti di Francis Bacon; concerti solistici come Your Rockaby (per sassofono e orchestra), Yet Another Set To (per trombone e orchestra, dedicato a Christian Lindberg) e From the Wreckage (per tromba e orchestra, scritto per Håkan Hardenberger); Blood on the Floor (1993–96), opera per quartetto jazz e grande ensemble, particolarmente toccante e personale: articolata in nove sezioni, affronta il tema della tossicodipendenza; la sezione «Elegy for Andy» è un commovente lamento per la perdita del fratello del compositore.
Fra le più recenti composizioni di Turnage si annoverano Remembering per orchestra (2017); Shadow Walker, concerto per due violini e orchestra (2018); Testament per soprano e orchestra su testi ucraini (2018).
Turnage ha inoltre arricchito il repertorio vocale con cicli di canzoni scritti per interpreti di fama internazionale come Sarah Connolly, Gerald Finley e Allan Clayton.

La musica al servizio della danza: collaborazioni coreografiche
La creatività di Turnage ha trovato un naturale sbocco nel mondo della danza, ispirando numerosi coreografi: Blood on the Floor è stato
coreografato da Wayne McGregor per il Balletto dell’Opéra di Parigi nel 2011 e, nello stesso anno, Turnage ha collaborato nuovamente con McGregor e con l’artista visivo Mark Wallinger per la partitura di Undance. Il Royal Ballet ha messo in scena Trespass (2012), con coreografie di Christopher Wheeldon e Alistair Marriott, e Strapless (2017), coreografato da Wheeldon.

Riconoscimenti, incarichi e impegno didattico
Il contributo di Turnage alla musica è stato ampiamente riconosciuto attraverso numerosi incarichi prestigiosi. È stato il primo Radcliffe Composer in Association con la City of Birmingham Symphony Orchestra (1989-93) e il primo Compositore associato della BBC Symphony Orchestra (2000-03). È stato anche compositore residente della London Philharmonic Orchestra (2005-10) e co-compositore residente della Chicago Symphony Orchestra (2006-10), insieme a Osvaldo Golijov. Dal 2005 è Research Fellow in Composizione presso il Royal College of Music. Nel 2015, la sua dedizione alla musica è stata premiata con la nomina a Commendatore dell’Ordine dell’Impero britannico (CBE).

Vita personale e impegno sociale: oltre la partitura
La sua compagna è la regista Rachael Hewer, la quale nel 2020 ha fondato il Virtual Opera Project (VOPERA). Nel gennaio 2025, Turnage è stato ospite del celebre programma "Desert Island Discs" su BBC Radio 4. Tra le sue scelte musicali figuravano brani di Oliver Knussen (Notre Dame des Jouets), Miles Davis (Blue in Green) e Stevie Wonder (Living for the City). Durante la trasmissione, ha rivelato il suo impegno come volontario regolare presso un banco alimentare e il suo coinvolgimento in progetti musicali con i detenuti, dimostrando una sensibilità che si estende oltre il mondo della composizione.

Times Flies: analisi
Time Flies è una composizione sinfonica commissionata dalla City of Birmingham Symphony Orchestra, dalla Tokyo Metropolitan Symphony Orchestra e dalla NDR Radiophilharmonie di Hannover per celebrare il centenario della prima e il sessantesimo anniversario della seconda, nonché il sessantesimo compleanno del compositore stesso. Il titolo non è solo un riferimento all’inesorabile scorrere del tempo e alle occasioni celebrative, ma si manifesta anche musicalmente attraverso tre sezioni distinte, ognuna evocante l’atmosfera di una delle città coinvolte nella commissione: Tokyo, Londra e New York, sebbene non siano esplicitamente indicate come movimenti separati nella partitura. L’opera è un affresco sonoro che combina la sensibilità lirica di Turnage con la sua caratteristica energia ritmica e le influenze jazzistiche.
La composizione è strutturata in tre sezioni principali, continue ma distinguibili per carattere e materiale tematico, che possono essere idealmente associate alle tre città:

  • Tokyo: caratterizzata da un lirismo sognante e atmosfere rarefatte, con un ruolo predominante del violino solista;

  • New York: intrisa di inflessioni jazzistiche, energia ritmica urbana e sonorità più brillanti e incisive;

  • London: una sezione più complessa e drammatica, che esplora sonorità profonde e culmina in un finale potente, per poi dissolversi.

Il concetto del "tempo che vola" è sottilmente intessuto nell’opera, non solo attraverso il contrasto tra le sezioni, ma anche con l’uso di sonorità che evocano il ticchettio e i rintocchi, specialmente all’inizio e alla fine.
Il lavoro s’inizia in modo etereo e suggestivo. Delicate sonorità percussive (Glockenspiel, celesta e campanelli) e arpeggi d’arpa creano un’atmosfera quasi magica, che potrebbe evocare il ticchettio di un orologio o i suoni cristallini di un giardino giapponese. I flauti introducono frammenti melodici lievi e sospesi. Un violino solista emerge con una melodia cantabile, lirica e leggermente malinconica, tipica dello stile espressivo di Turnage. L’orchestra fornisce un accompagnamento discreto e scintillante, principalmente dagli archi e legni acuti. L’armonia è tonale ma arricchita da dissonanze espressive, creando un senso di nostalgia e contemplazione. La scrittura per il violino è fluida e melodica, esplorando il registro acuto con grazia. La sezione si sviluppa gradualmente e la scrittura per il violino diventa più virtuosistica, con passaggi più mossi e agili. L’orchestra si infittisce, con interventi più marcati dei corni e degli archi. C’è un crescendo dinamico e di tensione, pur mantenendo un carattere prevalentemente lirico. Emergono brevi cellule ritmiche più marcate nei bassi e ottoni, che preannunciano cambiamenti futuri. Questa prima parte raggiunge un culmine emotivo con una melodia ampia e appassionata negli archi, su cui il violino solista continua a tessere le sue linee. Questo momento ha un carattere quasi cinematografico, per poi placarsi e condurre alla sezione successiva.
La seconda sezione introduce un cambiamento netto di atmosfera, con la musica che diventa più frammentata e ritmicamente incisiva. Interventi degli ottoni (trombe con sordina, tromboni) e percussioni più marcate introducono un sapore decisamente jazzistico. Si avvertono ritmi sincopati e armonie che richiamano il linguaggio del jazz orchestrale. Questa parte è chiaramente ispirata all’energia pulsante di una metropoli come New York. Turnage utilizza elementi tipici del suo stile: ritmi "swinganti" (anche se non letterali), un basso pizzicato che ricorda un walking bass, riff incisivi negli ottoni e nei legni (con timbri che a tratti possono evocare sassofoni, tipici dell’influenza di Miles Davis e Gil Evans). Le percussioni scandiscono ritmi complessi e propulsivi. La scrittura è brillante, virtuosistica per diverse sezioni dell’orchestra. L’energia si intensifica ulteriormente, con passaggi più dissonanti e una tessitura orchestrale più densa e a tratti aggressiva. Gli ottoni sono protagonisti con fanfare potenti e ritmi serrati. La sezione culmina in un potente tutti orchestrale, seguito da una rapida dissolvenza.
Anche l’ultima sezione porta a un cambio radicale, con la musica che si fa lenta, rarefatta e misteriosa. Alti archi sostenuti, legni solistici (flauto, oboe) con melodie frammentate e dolenti e l’uso evocativo di glockenspiel e celesta creano un’atmosfera quasi nebbiosa, forse un’alba londinese o un momento di profonda riflessione. L’armonia è più sospesa e ambigua. Da questa quiete, inizia un lungo e potente crescendo. Gli archi diventano più appassionati e tesi, gli ottoni aggiungono peso e gravità con accordi sostenuti e a tratti minacciosi. La tensione armonica e dinamica aumenta progressivamente, portando a un culmine di grande impatto emotivo, caratterizzato da sonorità orchestrali massicce, dissonanze marcate e una forte carica drammatica, quasi tragica. Dopo il culmine, la musica si placa gradualmente. Rimangono sonorità sospese e frammenti melodici nei legni (notevole un intervento del fagotto), come un’eco del dramma precedente. Un nuovo impulso ritmico, introdotto dalle percussioni e dagli archi bassi, segna l’inizio della coda finale. C’è un ritorno all’energia, con fanfare degli ottoni e una scrittura orchestrale più brillante. Si percepiscono echi e trasformazioni del materiale tematico della prima sezione, in particolare il lirismo del violino, ora integrato in una tessitura più robusta e affermativa. La musica costruisce verso un finale grandioso e potente, con ampi accordi e una sonorità piena. Negli ultimissimi istanti, mentre l’orchestra si dissolve, riemergono flebilmente i suoni di Glockenspiel dell’inizio, chiudendo il cerchio e richiamando il tema del "tempo che vola".
Turnage eccelle nel fondere elementi della tradizione classica con il linguaggio del jazz e del popular. In Time Flies, questo è evidente nel contrasto tra il lirismo della prima sezione, l’energia jazzistica della seconda e la profondità drammatica della terza. L’orchestrazione è ricca, colorata e magistrale e Turnage sfrutta appieno le potenzialità della grande orchestra sinfonica. Gli archi forniscono sia tappeti sonori lussureggianti che linee melodiche appassionate e passaggi ritmicamente incisivi. I legni sono spesso usati per soli espressivi e per aggiungere colori brillanti o malinconici. Gli ottoni sono impiegati per momenti di grande potenza, fanfare, ma anche per sonorità più contenute e jazzistiche (con sordine). Le percussioni giocano un ruolo fondamentale, non solo nel fornire impulso ritmico (quasi come una drum-kit nella sezione "New York") ma anche nel creare atmosfere eteree e suggestive (Glockenspiel, celesta, campanelli). L’arpa è usata efficacemente per aggiungere brillantezza e colore. La presenza di un violino solista, specialmente nella prima sezione e con richiami nel finale, conferisce all’opera un carattere concertante, sebbene non si tratti di un concerto tradizionale. La scrittura per il solista è idiomatica e virtuosistica. Il linguaggio armonico di Turnage è radicato in una sorta di tonalità espansa, dove centri tonali riconoscibili sono arricchiti e messi in discussione da dissonanze, cluster e armonie di derivazione jazzistica (accordi di settima, nona, alterazioni). Il ritmo, invece, è un elemento propulsivo nella musica di Turnage. Si passa da flussi melodici ampi e cantabili a sezioni di grande complessità ritmica, con sincopi, ostinati e una forte energia motoria, specialmente nella sezione "New York".

L’opera ha grande impatto emotivo e ricchezza espressiva. Il viaggio sonoro attraverso le tre "città" (o stati d’animo) è vivido e coinvolgente, spaziando dalla delicatezza e nostalgia di "Tokyo", all’energia vibrante e a tratti caotica di "New York", fino alla profondità drammatica e alla solennità di "London", che culmina in un finale catartico e affermativo. Il tema del tempo, evocato musicalmente, aggiunge un ulteriore strato di riflessione all’ascolto. Nel complesso, il pezzo si conferma come un’opera significativa nel catalogo di Turnage, dimostrando la sua abilità nel creare affreschi orchestrali complessi e accessibili, capaci di comunicare con immediatezza pur mantenendo una profondità strutturale e armonica. La sua capacità di fondere mondi sonori diversi in un linguaggio personale e coerente è qui pienamente realizzata, offrendo un’esperienza d’ascolto ricca e gratificante. La composizione è un degno omaggio alle orchestre committenti e una riflessione matura sul tema universale del tempo.