Šostakovič 1975-2025 – III

Dmitrij Šostakovič (1906 - 9 agosto 1975): Dalla poesia popolare ebraica, ciclo di canzoni per soprano, mezzosoprano o contralto, tenore e orchestra op. 79a (1948-63). Anna Aglatova, soprano; Svetlana Šilova, mezzosoprano; Michail Gubskij, tenore; Orchestra Filarmonica di Stato di Mosca, dir. Vladimir Spivakov.

  1. Lamento per un bimbo morto: Moderato

    Il sole e la pioggia, la luce e l’ombra, la nebbia è scesa, la luna è impallidita.
    – Ha partorito?
    – È un maschio, un maschio.
    – E come si chiama?
    – Mojšele, Mojšele.
    – E dove è stato cullato, Mojšele?
    – In una culla.
    – E che cosa gli hanno dato da mangiare?
    – Pane e cipolle.
    – E dove è stato sepolto?
    – In una fossa.
    Oh! Il piccolo in una fossa, in una fossa.
    Mojšele in una fossa.

  2. Mamma e zia premurose: Allegretto [2:35]

    Ciao, ciao, ciao!
    Va’ al villaggio, paparino!
    Portaci una mela,
    così che non ci facciano male gli occhietti!
    Ciao!

    Ciao, ciao, ciao!
    Va’ al villaggio, paparino!
    Portaci un pollo,
    così che non ci facciano male i dentini!
    Ciao!

    Ciao, ciao, ciao!
    Va’ al villaggio, paparino!
    Portaci un’anatra,
    così che non ci faccia male il petto!
    Ciao!

    Ciao, ciao, ciao!
    Va’ al villaggio, paparino!
    Portaci un’oca,
    così che non ci faccia male il pancino!
    Ciao!

    Ciao, ciao, ciao!
    Va’ al villaggio, paparino!
    Portaci dei semi,
    così che non ci faccia male la testolina!
    Ciao!

    Ciao, ciao, ciao!
    Va’ al villaggio, paparino!
    Portaci un coniglietto,
    così che non ci facciano male i ditini!
    Ciao!

  3. Ninna-nanna: Andante [4:46]

    Il mio bambino è il più bello del mondo –
    una luce nell’oscurità.
    Tuo padre è in catene in Siberia,
    Lo zar lo tiene in prigione!
    Dormi, lju-lju, lju-lju!

    Dondolando la tua culla
    la mamma piange.
    Quando sarai grande capirai
    che cosa le brucia il cuore.

    Tuo padre è nella lontana Siberia,
    io nella miseria.
    Ma ora dormi senza preoccupazioni, ah,
    lju-lju, lju-lju, lju-lju!

    Il mio dolore è più nero della notte,
    Tu dormi, io non posso.
    Dormi, mio caro, dormi, figlio mio, dormi,
    lju-lju, lju-lju, lju-lju!

  4. Prima di una lunga separazione: Adagio [7:41]

    – Ah! Abraham, come vivrò senza di te? Io senza di te, tu senza di me, come faremo a vivere lontani?

    – Ricordi, vicino al portico, che cosa mi dicevi in segreto? Ah! Rivočka, dammi le tue labbra, bambina!

    – Ah! Abraham, come vivremo adesso? Io senza di te, tu senza di me, ah, come una porta senza maniglia!

    – Ricordi, quando camminavamo insieme, che cosa mi dicevi sul viale? Ah! Rivočka, dammi le tue labbra, bambina!

    – Ah! Abraham, come vivrò senza di te?

    – Ah! Rivočka, come vivrò senza di te?

    – Ricordi? Indossavo una gonna rossa. Ah, com’ero bella!

    – Io senza di te, tu senza di me: come vivremo senza felicità?

    – Ah! Abraham!

    – Ah! Rivočka, dammi le tue labbra, bambina!

  5. Avvertimento: Allegretto [10:07]

    Ascolta, Chasja!
    Non devi uscire, ti proibisco di uscire con la prima persona che incontri.
    Fa’ attenzione!
    Uscirai, starai fuori fino all’alba, ah!, e dopo piangerai.
    Chasja!
    Ascolta! Chasja!

  6. Il padre abbandonato: Moderato [11:29]

    Ele il rigattiere indossò il cappotto.
    Sua figlia, dicono, è andata via con un poliziotto.

    – Cirele, figlia mia, torna da tuo padre, ti darò abiti eleganti per le tue nozze.
    Cirele, figlia mia, ti comprerò orecchini e anelli.
    Cirele, figlia mia, e per di più sposerai un bell’uomo.
    Cirele, figlia mia.

    – Non ho bisogno di abiti, non ho bisogno di anelli.
    E sposerò soltanto il mio poliziotto.

    – Signor poliziotto, caccia via questo vecchio ebreo quanto prima.

    – Cirele, figlia mia, torna da tuo padre!
    Ah… torna da tuo padre! Cirele! Figlia mia!

  7. Canto sulla miseria: Allegro [13:29]

    Il tetto dorme dolcemente,
    in soffitta, sotto la paglia.
    Nella culla dorme un bambino,
    nudo, senza fasce.

      Hop, hop, più in alto, più in alto!
      La capra mangia la paglia del tetto.
      Hop, hop, più in alto, più in alto!
      La capra mangia la paglia del tetto, oh!

    La culla è nella soffitta,
    nella culla un ragno tesse la mia infelicità.
    Succhia tutta la mia gioia
    e mi lascia solo miseria.

      Hop, hop, più in alto…

    C’è un gallo in soffitta,
    la cresta rosso vivo.
    Oh, moglie mia, prendi in prestito, per i piccoli,
    un pezzetto di pane nero.

      Hop, hop, più in alto…

  8. Inverno: Adagio [14:58]

    La mia Šejndl è costretta a letto
    e con lei giace il nostro bambino malato.
    Nella capanna non c’è nulla per riscaldarla
    e fuori ulula il vento.

    Ah…

    Il freddo e il vento sono tornati,
    non c’è più la forza di soffrire in silenzio.
    Gridate e piangete, bambini,
    l’inverno è tornato.

    Ah…

  9. Una bella vita: Allegretto [18:00]

    Dei vasti campi, miei cari amici,
    non ho cantato durante gli anni bui.
    Non è per me che i campi sono diventati verdi,
    non per me la rugiada ha iniziato a scorrere.

    In una stretta cantina, nell’umida oscurità,
    vivevo un tempo, sfinito dalla miseria.
    E dalla cantina saliva un triste canto
    di dolore, della mia incomparabile sofferenza.

    Fiume del kolchoz, scorri gioioso,
    porta subito i miei saluti ai miei amici.
    Di’ loro che la mia casa ora è nel kolchoz
    e un albero in fiore sta sotto la mia finestra.

    Ora i campi fioriscono per me,
    mi nutrono di latte e miele.
    Sono felice, e tu di’ ai miei fratelli:
    d’ora in poi canterò i campi del kolchoz.

  10. Canto della fanciulla: Allegretto [19:40]

    Nei prati, vicino al bosco
    che è sempre così pensoso,
    pascoliamo dall’alba al tramonto
    le mandrie del kolchoz.

    E io siedo sulla collina
    con il mio piccolo flauto,
    e non mi stanco di contemplare
    la bellezza del mio paese.

    Gli alberi, coperti di fogliame rilucente,
    si ergono con grazia e delicatezza.
    Nei campi il grano matura
    colmo di bellezza.

    Oj-oj, lju-lju!

    A volte un ramo mi sorride,
    una spiga ammicca all’improvviso.
    Un sentimento di grande gioia
    brilla nel mio cuore.

    Canta, piccolo flauto!
    È così facile per noi cantare insieme!
    Montagne e valli ascoltano
    la gioia del nostro canto.

    Non piangere, piccolo flauto!
    Dimentica la tristezza di un tempo.
    Lascia che le tue melodie scorrano
    nella dolce lontananza.

    Oj-oj, lju-lju!

    Sono felice nel mio kolchoz,
    non senti? La mia vita è piena!
    Più allegro, più allegro
    devi cantare, piccolo flauto!

  11. Felicità: Allegretto [22:20]

    Ho preso coraggiosamente mio marito per un braccio,
    anche se sono vecchia, e vecchio è il mio cavaliere.
    L’ho portato a teatro con me
    e abbiamo comprato due biglietti per la platea.

    Seduti là con mio marito fino a tarda notte,
    ci siamo abbandonati a sogni gioiosi –
    quali benedizioni circondano
    la moglie di un calzolaio ebreo.

    E voglio raccontare a tutto il paese
    della mia gioiosa e luminosa sorte:
    i nostri figli sono diventati dottori –
    una stella brilla sopra le nostre teste!



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Dalla poesia popolare ebraica op. 79

Non si tratta di un semplice ciclo di canzoni, ma della testimonianza di un profondo atto di coraggio artistico e umano. Composto nel 1948, Dalla poesia popolare ebraica nasce in uno dei periodi più bui per Šostakovič e per l’intera Unione sovietica. Appena denunciato dal Decreto Ždanov per “formalismo” e costretto a una pubblica umiliazione, il compositore si trovava in una posizione di estrema vulnerabilità: in questo clima, segnato da una crescente ondata di antisemitismo di Stato che sarebbe culminata nella “congiura dei medici”, la scelta del compositore di musicare testi della tradizione ebraica fu un gesto di solidarietà tanto audace quanto pericoloso. Il fatto che l’opera, specialmente nella sua versione orchestrale, abbia dovuto attendere fino al 1964 per una prima esecuzione pubblica, sottolinea l’enorme rischio politico che essa rappresentava.
Lo stesso Šostakovič descrisse il fascino che la musica ebraica esercitava su di lui come «una melodia allegra su intonazioni tristi», una capacità di «ridere attraverso le lacrime»: questa dualità è il cuore pulsante dell’op. 79 e si manifesta fin dalle prime note.
L’organico orchestrale – pur essendo completo – viene spesso utilizzato con la delicatezza della musica da camera. Strumenti come il clarinetto, il flauto e l’ottavino emergono con inflessioni che ricordano chiaramente la musica klezmer: scale modali caratteristiche, glissandi lamentosi e ritmi saltellanti. Questi elementi creano un’atmosfera immediatamente riconoscibile. Tuttavia, Šostakovič non si limita a una semplice imitazione stilistica, ma integra questi idiomi nel suo linguaggio sinfonico, creando un tessuto sonoro che è allo stesso tempo folklorico e profondamente personale.
Il ciclo è diviso in undici canzoni, ma la sua struttura narrativa può essere interpretata come un dittico, diviso tra le prime otto canzoni (il nucleo originale) e le ultime tre (aggiunte per superare la censura).
Il ciclo si apre con un Lamento per un bimbo morto, instaurando subito un’atmosfera cupa e straziante. La voce è carica di disperazione contenuta, mentre l’orchestra – con il violoncello solista in primo piano – crea uno sfondo sonoro desolato: è un’elegia che trascende la singola storia per diventare un lamento universale per le vittime innocenti.
Canzoni come Mamma e zia premurose e la Ninna-nanna esplorano la vita familiare, ma sempre con un’ombra di precarietà e tristezza: la seconda, in particolare, è un capolavoro di ambiguità, con una melodia dolce, ma un’armonia sottostante inquieta, suggerendo che il sonno del bambino sia una fuga temporanea da un mondo ostile.
Il duetto Prima di una lunga separazione è uno dei momenti più toccanti: le voci si intrecciano in un dialogo di dolore e rassegnazione, descrivendo la separazione forzata imposta dalle leggi zariste. La musica qui è incredibilmente espressiva, dipingendo un quadro di sofferenza intima ma storicamente radicata. I brani successivi, Avvertimento, Il padre abbandonato e Canto sulla miseria, continuano a esplorare temi di perdita, povertà e ingiustizia, e trovano il culmine nella desolazione di Inverno.
Con la nona canzone, Una bella vita, il tono cambia bruscamente: le ultime tre canzoni – aggiunte da Šostakovič per placare le autorità – descrivono la presunta felicità e libertà di cui godevano gli ebrei sotto il regime sovietico. La musica diventa marcatamente più ottimistica, con ritmi marziali e melodie in tonalità maggiore.
Tuttavia, è proprio qui che emerge il genio sardonico del compositore, poiché questa “felicità” suona spesso esagerata, quasi caricaturale: il Canto della ragazza e Felicità risuonano con un’energia quasi teatrale e una gioia forzata, sostenute da un’orchestrazione bandistica e pomposa. Questo contrasto con l’autenticità emotiva delle prime otto canzoni è stridente e non può essere casuale: è come se il compositore, costretto a inserire un lieto fine propagandistico, lo avesse fatto con un’ironia così tagliente da trasformarlo in una critica. La vera sofferenza suona reale e profonda, mentre la “felicità” ufficiale suona vuota e artificiale.