Vincenzo Ugolini (c1580 - 6 maggio 1638): Quae est ista, mottetto a 3 cori (1622). Coro Counterpoint, dir. David Acres.
Quae est ista, quae progreditur quasi aurora consurgens,
pulchra ut luna,
electa ut sol,
terribilis ut castrorum acies ordinata?
(Cantico dei cantici VI:10)
L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni
Vincenzo Ugolini: un protagonista della musica romana del Seicento
Ugolini è oggi riconosciuto come una figura rilevante nell’ambito della scuola romana di musica sacra, attivo nel cruciale periodo di transizione tra la fine del Rinascimento e l’inizio del Barocco.
Origini e formazione a Roma
Nacque a Perugia, dove fu battezzato il 1° novembre 1578. Le sue prime esperienze musicali formative non sono documentate ma si sa che, nel giugno 1592, entrò come puer cantus (e poi altus) nella prestigiosa cappella musicale di San Luigi dei Francesi a Roma, rimanendovi fino all’ottobre 1594. Qui ebbe la fondamentale opportunità di studiare sotto la guida di Giovanni Bernardino Nanino, allora maestro di cappella. Già nel Natale 1595, Ugolini prestava servizio come cantore per la Confraternita dei Bergamaschi a Roma. La sua prima composizione edita, il madrigale Amor, ch’è quel ch’io miro, apparve nel 1599 nel Secondo Libro di madrigali del suo maestro Nanino, nel quale Ugolini si definì esplicitamente “discepolo”. Tra il maggio 1600 e il dicembre 1601, fu nuovamente attivo in San Luigi dei Francesi, questa volta come bassus.
Primi incarichi da maestro di cappella a Roma e l’incontro (presunto) con Gesualdo
Ugolini ottenne il suo primo incarico come maestro di cappella presso la Chiesa di Santa Maria dei Monti (associata ai Gesuiti) intorno al 1601-1603. Di certo, il 1° gennaio 1603 fu eletto maestro della Cappella Liberiana nella Basilica di Santa Maria Maggiore, una posizione di grande rilievo che mantenne fino al 29 novembre 1609, nonostante un’assenza di nove mesi per malattia nel 1606. Durante il periodo in cui dirigeva la cappella di Santa Maria Maggiore, potrebbe essere avvenuto un incontro significativo: il celebre e tormentato principe Carlo Gesualdo da Venosa, trovandosi a Roma “in incognito”, avrebbe cercato Ugolini per avere un parere sui propri madrigali. Sebbene non certo, questo aneddoto sottolinea la crescente reputazione di Ugolini nell’ambiente musicale romano.
Il periodo beneventano al servizio del cardinale Arrigoni
Il 29 novembre 1609, Ugolini fu licenziato iustis causis (per giusti motivi, non specificati) da Santa Maria Maggiore. Tuttavia, trovò quasi subito una nuova sistemazione, in quanto tra dicembre 1609 e gennaio 1610 entrò al servizio del cardinale Pompeo Arrigoni, vescovo di Benevento dal 1607. Ugolini si trasferì quindi nella città campana, dedicando al cardinale le sue Sacrae cantiones (mottetti) a 8 voci, pubblicate a Roma nel 1614. Il suo servizio a Benevento terminò probabilmente con la morte del cardinale, avvenuta il 4 aprile 1616.
Attività editoriale: madrigali e scelte poetiche
Nel 1615, mentre era ancora legato a Benevento (o subito dopo), Ugolini pubblicò a Venezia due importanti libri di madrigali a cinque voci. La dedica del primo libro è rivolta al potente cardinale Scipione Borghese, ringraziato per non specificati favori ricevuti. La dedica del secondo libro rivela che fu il cardinale Alessandro Damasceni Peretti a richiedere espressamente quei componimenti. Dal punto di vista poetico, Ugolini musicò testi molto diffusi all’epoca (Tasso, Guarini, Marino, ma anche Luigi Cassola e Baldassarre Bonifacio), e si distinse inoltre per la scelta di liriche meno comuni, tratte da raccolte di Maurizio Moro, del perugino Leandro Bovarini e di autori mantovani raccolti da Eugenio Cagnani.
Primo magistero a San Luigi dei Francesi e attività collaterali
Ritornato stabilmente a Roma, Ugolini riprese servizio presso la chiesa dove si era formato: dal luglio 1616 al luglio 1620 fu maestro di cappella a San Luigi dei Francesi. Durante questo periodo ebbe tra i suoi allievi il giovane Orazio Benevoli, destinato a diventare una figura centrale della musica barocca romana. Fu un periodo editorialmente fertile: pubblicò quattro libri di Motecta sive sacrae cantiones per voci sole (da 1 a 4) e organo (1616-1619), dedicandoli a figure influenti come all’auditore della Sacra Rota Francesco Ubaldi, il marchese Valerio Santacroce, monsignor Ottavio Corsini e il cardinale Alessandro Orsini. Il terzo libro (1618) includeva antifone specifiche per la liturgia parigina di San Luigi. Sue composizioni apparvero anche in raccolte curate da Fabio Costantini (1618) e Zaccaria Zanetti (1619). Oltre all’impegno a San Luigi, Ugolini fu attivo nell’organizzazione musicale di feste per importanti confraternite romane, come S. Maria del Pianto, la SS. Trinità dei Pellegrini e S. Maria di Monserrato (1619-1620).
L’apice e la caduta: la direzione della Cappella Giulia
Il 13 giugno 1620 Ugolini raggiunse uno degli apici della carriera musicale romana, venendo nominato coadiutore di Francesco Soriano, maestro della Cappella Giulia in San Pietro. Poco dopo fu assunto anche come tenore nella stessa cappella. Alla morte di Soriano (19 luglio 1621), Ugolini gli succedette pienamente nel ruolo di maestro. Durante questo periodo, compose musica per eventi solenni, come il mottetto a 12 voci Exultate omnes per la nomina del cardinal Borghese ad arciprete della Basilica Vaticana (1620), incluso poi in una sontuosa pubblicazione del 1622 che causò persino una lite legale con l’editore. A questo periodo risalgono anche undici “dialoghi” liturgici a 8-10 voci destinati a essere eseguiti durante la messa. Ugolini aveva la responsabilità di organizzare le musiche per le grandi celebrazioni in basilica, specialmente per la festa di San Pietro, spesso impiegando più cori. Disponeva di musicisti eccellenti, tra cui l’organista Girolamo Frescobaldi e i giovani cantanti Marc’Antonio Pasqualini e Mario Savioni, entrambi suoi allievi. Per l’Anno Santo 1625 compose diverse opere significative. Tuttavia, il 16 febbraio 1626, il capitolo di San Pietro lo licenziò, nominando al suo posto Paolo Agostini. Le ragioni precise non sono note, ma si ritiene che che Agostini avesse sfidato musicalmente Ugolini e che quest’ultimo, rifiutando la sfida, fosse stato allontanato.
Gli ultimi anni: tra Roma, Parma e il ritorno a San Luigi dei Francesi
Dopo il licenziamento da San Pietro, le tracce di Ugolini si perdono per un paio d’anni. Ricompare nel settembre 1628 con la dedica degli Psalmi ad vesperas a 8 voci al cardinale Girolamo Colonna, senza però indicare alcuna carica nel frontespizio. Secondo Vincenzo Giustiniani, si recò a Parma per partecipare ai festeggiamenti delle nozze ducali Farnese-Medici, anche se il suo contributo specifico non è noto. Fu nuovamente a Roma nel settembre 1629 (testimone al testamento di Domenico Allegri) e nell’aprile 1630 dedicò gli Psalmi ad vesperas et motecta a 12 voci al cardinale Antonio Santacroce. Nel maggio 1631, Ugolini fu nominato per la seconda volta maestro di cappella a San Luigi dei Francesi. La chiesa era ora sotto il controllo dei Padri Oratoriani di Francia, e Ugolini collaborò strettamente con il padre Nicolas de Bralion, influenzando le scelte testuali (come nel dialogo Gaudeamus omnes) e adattando la musica alle nuove esigenze liturgiche e cerimoniali (la chiesa era diventata “regia”, legata al Louvre), come dimostra un salmo modificato per Luigi XIII. Esiste anche un aneddoto secondo cui Ugolini avrebbe “emendato” una messa per il re di Francia, forse un’opera a lui dedicata (come la Missa duobus choris di Nicolas Formé del 1638), stile di cui Ugolini era maestro riconosciuto in Italia.
Analisi del mottetto Quae est ista
Il mottetto Quae est ista di Ugolini rappresenta un esempio raffinato della polifonia sacra del primo Barocco romano, un periodo in cui l’eredità stilistica di Palestrina era ancora profondamente sentita, ma iniziava a fondersi con nuove sensibilità espressive. Ugolini si colloca in quella tradizione che cercava di bilanciare la complessità polifonica con l’intelligibilità del testo sacro, secondo i dettami post-tridentini. Tuttavia, rispetto alla pura polifonia rinascimentale, il suo linguaggio mostra già elementi tipici del primo Barocco, come un uso leggermente più libero della dissonanza (sebbene sempre attentamente preparata e risolta), una maggiore enfasi sulle cadenze armoniche per definire la struttura e una sensibilità più accentuata verso l’espressione retorica del testo. La scelta di impiegare soltanto tre voci conferisce al brano una trasparenza particolare, permettendo alle singole linee melodiche di emergere con chiarezza e di interagire in un dialogo contrappuntistico nitido e delicato.
La scrittura è prevalentemente polifonica e basata sull’imitazione. Ugolini introduce le diverse frasi del testo attraverso “punti di imitazione”, dove una voce presenta un motivo melodico che viene poi ripreso dalle altre voci in successione. Questo crea un tessuto sonoro fluido e intrecciato, in cui le voci dialogano costantemente. La scelta delle tre voci permette che questa imitazione sia sempre percepibile, senza la densità che potrebbe derivare da un organico più ampio. Non mancano momenti di scrittura più omofonica o omoritmica, utilizzati strategicamente per sottolineare parole chiave o per creare momenti di maggiore impatto sonoro, specialmente nelle cadenze o in frasi di particolare solennità come forse “terribilis ut castrorum“.
Le linee melodiche sono generalmente cantabili e scorrevoli, caratterizzate da un movimento prevalentemente congiunto, in linea con la tradizione palestriniana. Gli intervalli più ampi sono usati con parsimonia, spesso per sottolineare l’inizio di una nuova frase o per esigenze espressive legate al testo. Si può notare come le linee tendano ad ascendere su parole come consurgens (che sorge) o sol (sole), traducendo musicalmente l’immagine testuale.
L’armonia si muove in un ambito che potremmo definire modale con forti influenze tonali. Le cadenze, che articolano chiaramente le diverse sezioni del mottetto corrispondenti alle frasi del testo, sono spesso ben definite armonicamente (cadenze perfette o plagali), conferendo un senso di direzione e conclusione. L’uso della dissonanza è controllato: le sospensioni sono preparate e risolte con cura, e le note di passaggio contribuiscono alla fluidità delle linee senza turbare l’equilibrio complessivo. La sonorità generale è prevalentemente consonante, creando un’atmosfera serena e luminosa, perfettamente adatta all’immagine della figura femminile descritta (aurora, luna, sole).
Il ritmo è fluido e flessibile, modellato sulle naturali accentuazioni del testo latino. Ugolini alterna abilmente sezioni sillabiche — che garantiscono la chiarezza della dizione — a passaggi più melismatici, solitamente su vocali accentate o parole di particolare importanza (pulchra, electa), che conferiscono slancio espressivo e ornamento alle linee vocali.
La forma del mottetto segue fedelmente la struttura del testo. Ogni frase dà origine a una sezione musicale distinta, solitamente introdotta da un nuovo punto di imitazione e conclusa da una cadenza più o meno forte. Questo approccio durchkomponiert (a composizione continua) permette alla musica di seguire passo passo il significato e l’emozione del testo, creando un percorso sonoro coerente e in crescendo di intensità descrittiva.