Antonio Salieri (1750 - 7 maggio 1825): 26 Variazioni sull’aria detta La Follia di Spagna per violino e orchestra (1815). Mirijam Contzen, violino; WDR Sinfonieorchester, dir. Reinhard Goebel.
L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni
Antonio Salieri: ascesa, successi e la leggenda nera di un maestro viennese
Origini e formazione (1750-1766)
Salieri nacque a Legnago nella famiglia del commerciante Antonio Salieri e della sua seconda moglie Anna Maria Scacchi. Il giovane mostrò un talento musicale precoce e fu istruito dal fratello maggiore Francesco (allievo di Tartini) e dall’organista del duomo Giuseppe Simoni. La famiglia subì un tracollo finanziario dal 1757, aggravato dalla morte della madre (1763) e del padre (1764). Salieri si trasferì prima a Padova presso il fratello Pietro e poi nel 1766 a Venezia sotto la protezione del nobile Giovanni Mocenigo. Qui studiò con Giovanni Battista Pescetti (basso figurato) e con Ferdinando Pasini (canto). Nello stesso anno, il compositore Florian Leopold Gaßmann, colpito dalle sue doti, lo portò con sé a Vienna.
Gli esordi viennesi e l’affermazione (1766-1777)
A Vienna, Salieri intraprese studi letterari e musicali, fu presentato all’imperatore Giuseppe II e frequentò Metastasio e Gluck. Il suo debutto operistico avvenne con Le donne letterate (1770). Egli stesso descrisse il suo metodo compositivo rapido, focalizzato sulla definizione delle tonalità e sulla pianificazione dei pezzi d’insieme, specialmente i finali d’atto, ai quali contribuì in modo significativo. Seguirono altre opere comiche su libretto di Boccherini (L’amore innocente, 1770; Don Chisciotte alle nozze di Gamace, 1771). Grazie ai contatti con Gluck, collaborò con Marco Coltellini per il dramma “riformato” Armida (1771) che ebbe successo ma non ebbe seguito immediato data la scarsa propensione per le opere serie da parte del pubblico viennese. Un’altra opera seria innovativa, Daliso e Delmita (1776), andò in scena con poca fortuna. Salieri ebbe invece grande successo nel genere comico con opere su libretti di vari autori (Petrosellini, Poggi, Goldoni, De Gamerra) tra il 1772 e il 1775, come La fiera di Venezia (1772) e La locandiera (1773), oltre al dramma eroicomico La secchia rapita (1772). La sua fama crebbe così tanto da permettergli di rifiutare un’offerta da Stoccolma. Alla morte di Gaßmann, due anni più tardi, gli succedette come direttore dell’opera italiana e compositore di camera, grazie all’appoggio imperiale. In questi anni compose anche la maggior parte della sua musica strumentale (concerti per pianoforte, organo, una sinfonia). Nel 1776 entrò nella Tonkünstler-Societät e l’anno successivo compose l’oratorio La passione di Gesù Cristo su testo di Metastasio, molto apprezzato dal poeta stesso.
Viaggi in Italia e nuove commissioni (1778-1783)
Con la chiusura temporanea della compagnia d’opera italiana a Vienna (1776), Salieri ottenne un lungo congedo per recarsi in Italia tra il 1778 e il 1780. A Milano, la sua opera Europa riconosciuta inaugurò il Teatro alla Scala il 3 agosto 1778, impressionando per la grandiosità scenica e la varietà musicale (come testimoniato da Pietro Verri). A Venezia presentò La scola de’ gelosi al Teatro San Moisè (Carnevale 1779). Compose il primo atto dell’opera Il talismano per la Canobbiana di Milano (agosto 1779). Fu a Roma per due stagioni (Carnevale 1779 e 1780) con due intermezzi e raggiunse Napoli con un invito per il San Carlo, ma dovette rinunciare per la scadenza del congedo. Tornato a Vienna, contribuì al teatro nazionale tedesco con Der Rauchfangkehrer (1781) e compose Semiramide per Monaco (Carnevale 1782).
Il periodo d’Oro Viennese: collaborazioni con Da Ponte e Casti (1783-1788)
Nel 1783, con la riapertura dell’opera italiana a Vienna voluta da Giuseppe II, Salieri riprese pienamente la propria attività. Collaborò con il nuovo poeta imperiale Lorenzo Da Ponte per Il ricco d’un giorno (1784), un dramma giocoso con elementi quasi tragici che però cadde, forse per la sua originalità. Salieri si rivolse allora a Giambattista Casti che scrisse per lui La grotta di Trofonio (1785), opera comica basata sulla magia e l’incantesimo, la cui prima fu ritardata da un’indisposizione del soprano Nancy Storace. Per celebrare la guarigione della cantante, Salieri, Mozart e Cornet musicarono un’ode di Da Ponte (Per la ricuperata salute di Ofelia K 477a, riscoperta nel 2015). Con Casti collaborò ancora per Prima la musica e poi le parole (dato insieme a Der Schauspieldirektor di Mozart, 1786) e per Cublai gran kan de’ Tartari (musicata tra 1786-88), opera satirica contro la corte russa che non fu mai rappresentata per ragioni diplomatiche.
Le commissioni parigine e il successo internazionale (1784-1787)
Parallelamente all’attività viennese, Salieri ricevette tre commissioni da Parigi. Les Danaïdes (1784) fu presentata inizialmente come una collaborazione con Gluck e la paternità esclusiva di Salieri fu rivelata solo dopo il grande successo. Les Horaces (1786) ebbe invece esito sfavorevole. Il riscatto arrivò con il trionfo di Tarare (1787). Quest’opera innovativa fondeva tragedia e commedia in un drame philosophique orientaleggiante ed egualitario, con musica strettamente legata alla parola, abolendo quasi i pezzi chiusi.
Ritorno a Vienna, Axur e fine della collaborazione con Da Ponte (1788-1790)
Giuseppe II volle Tarare a Vienna: Da Ponte ne curò la versione italiana, Axur, re d’Ormus (1788), attenuandone i contenuti ideologici e arricchendola di pezzi chiusi melodici. L’enorme successo di Axur riavvicinò Salieri e Da Ponte, collaborando per altre tre opere: Il talismano (rielaborazione, 1788), Il pastor fido (1789) e La cifra (1789). Salieri iniziò anche a musicare La scola degli amanti, ma abbandonò il progetto (divenne il Così fan tutte di Mozart) per ragioni ignote. La morte di Giuseppe II nel 1790 segnò la fine del favore sia per Salieri che per Da Ponte e pose termine alla loro collaborazione, non senza polemiche da parte del poeta.
Gli ultimi anni operistici, l’attività didattica e la musica sacra (1788-1804)
Dopo la morte dell’imperatore, Salieri si dimise da direttore dell’opera italiana ma mantenne la prestigiosa carica di maestro di cappella di corte (ottenuta nel 1788). Dopo un periodo difficile (il fallito tentativo di mettere in scena Catilina di Casti nel 1792), recuperò terreno grazie ai buoni rapporti con l’impresario Peter von Braun. Compose diverse opere tra il 1795 e il 1800, tra cui Palmira, regina di Persia (1795), Falstaff ossia Le tre burle (1799) e Angiolina (1800). La sua carriera teatrale si concluse sostanzialmente con Annibale in Capua per Trieste (1801) e il Singspiel Die Neger per Vienna (1804). Parallelamente, si dedicò alla musica sacra (messe, Te Deum) richiesta dalla sua carica e a composizioni celebrative per la monarchia asburgica. Intensificò l’attività didattica, avendo circa 70 allievi di canto e composizione, tra cui Beethoven, Schubert e, brevemente, Liszt.
Declino, la “leggenda nera” su Mozart e morte (1820-1825)
Intorno al 1820 iniziarono i segni del declino fisico, accentuatisi nel 1823 con disturbi mentali che portarono al ricovero. Durante questo periodo, si diffusero voci (riportate da Moscheles dopo una visita) che Salieri avesse confessato di aver avvelenato Mozart. Nonostante non vi fossero testimonianze dirette e nonostante le smentite, l’accusa ebbe eco sulla stampa europea. Puškin ne venne a conoscenza (forse tramite giornali parigini o la «Allgemeine musikalische Zeitung») e la utilizzò nel suo microdramma Mozart e Salieri (1831), poi musicato da Rimskij-Korsakov (1898), contribuendo a creare l’immagine, storicamente infondata, di un Salieri invidioso e assassino. Questa immagine fu ripresa nella biografia di Mozart di Ulybyšev (1843, pur senza l’accusa di avvelenamento) e rilanciata in tempi moderni dal dramma Amadeus di Peter Shaffer (1979) e dall’omonimo film di Miloš Forman (1984), fissandola nell’immaginario collettivo.
Analisi delle Variazioni sulla Follia
Le sue 26 Variazioni sull’aria detta La Follia di Spagna rappresentano un affascinante esempio di come un compositore del tardo Classicismo viennese si confrontasse con una delle più celebri e antiche basi armoniche e melodiche della musica europea. La Follia — di origini iberiche (probabilmente portoghesi) e diffusasi ampiamente sin dal Rinascimento — divenne un banco di prova prediletto per i compositori barocchi e continuò a ispirare anche in epoche successive. Salieri, noto principalmente come operista e figura centrale della vita musicale viennese, accoglie questa sfida con maestria orchestrale tipica della sua epoca, creando un lavoro ricco di contrasti timbrici e figurazioni brillanti.
Salieri presenta il tema della Follia in modo chiaro e maestoso, ma senza eccessiva pesantezza. L’incipit è affidato principalmente agli archi che espongono la melodia e la sequenza armonica fondamentale in re minore con un andamento moderato e un carattere quasi solenne, rispettando la tradizionale metrica ternaria. L’orchestrazione è trasparente, permettendo di percepire distintamente la progressione armonica, mentre la melodia, semplice e riconoscibile, è trattata con sobrietà, fungendo da chiara base per le successive trasformazioni. L’atmosfera è quella tipica del tema -– nobile e leggermente malinconica — ma con una intrinseca potenzialità drammatica che le variazioni esploreranno. Subito dopo l’esposizione del tema, Salieri avvia il ciclo di variazioni senza soluzione di continuità, lanciandosi immediatamente in un cambio di carattere.
Le prime quattro variazioni accelerano decisamente il tempo e introducono un’energia ritmica propulsiva. La struttura armonica della Follia rimane salda, ma la melodia tematica viene frammentata e incorporata in brillanti figurazioni degli archi, in particolare dei violini. Scale rapide, arpeggi e passaggi agili dominano la scrittura, mostrando la destrezza tecnica richiesta all’orchestra. La trama è prevalentemente omoritmica, con l’intera sezione degli archi impegnata a creare un tessuto sonoro denso e vivace.
A partire dalla variazione n. 5, Salieri inizia a sfruttare le risorse timbriche dell’orchestra classica in modo più differenziato. I fiati (legni) emergono dal tessuto orchestrale, proponendo proprie elaborazioni del materiale tematico o dialogando con gli archi.
Intorno alla variazione n. 14, il tempo rallenta significativamente e l’atmosfera si fa più intima e lirica. La melodia, pur elaborata, riacquista un carattere cantabile, spesso affidata a strumenti solisti (come l’oboe o il flauto) o alla sezione degli archi con un trattamento espressivo e legato. L’armonia della Follia, dilatata nel tempo, assume una profondità emotiva maggiore. Questa variazione lenta funge da centro espressivo del ciclo, offrendo un respiro contemplativo prima della ripresa dell’energia.
Dopo l’oasi lirica, le variazioni riprendono gradualmente velocità e complessità. La scrittura torna ad essere più virtuosistica, coinvolgendo nuovamente tutta l’orchestra. Salieri esplora diverse combinazioni strumentali, alternando passaggi brillanti degli archi a interventi incisivi dei fiati.
Le ultime variazioni (dalla 22 circa alla 25) sembrano costruire un climax progressivo. Il virtuosismo orchestrale è spinto ulteriormente, con passaggi rapidissimi, con un uso più marcato dei registri estremi e dinamiche più forti. L’interazione tra le diverse sezioni dell’orchestra diventa più serrata, creando un senso di accumulo energetico in preparazione della conclusione. La variazione n. 25 sembra avere un carattere particolarmente grandioso e affermativo.
L’ultima variazione offre una conclusione brillante e affermativa. L’intera orchestra è impiegata, con archi scintillanti e fiati incisivi. Non sembra esserci un ritorno esplicito al tema nella sua forma originale lenta, ma piuttosto una perorazione finale basata sulla struttura armonica della Follia, trattata in modo virtuosistico e conclusivo. La cadenza finale è forte e decisa in re minore, sigillando il ciclo con un senso di compimento formale ed energetico tipico dello stile classico.
Nel complesso, Salieri dimostra in queste Variazioni una notevole padronanza della scrittura orchestrale classica. La sua Follia è meno contrappuntistica rispetto ad alcuni modelli barocchi, concentrandosi maggiormente sulla varietà timbrica, sulle figurazioni brillanti e sui contrasti di carattere. L’armonia rimane sostanzialmente fedele alla tradizione, fungendo da solida impalcatura per l’invenzione melodica e ritmica.




