14 pensieri riguardo “L’Ottava di Petterson

  1. Buongiorno, caro Claudio, grazie di aver condiviso questa potente e trionfante sinfonia… Mahler, se fosse ancora vivo, ne sarebbe orgoglioso 😊

    Nato nel castello di Granhammar, in Svezia, Pettersson era figlio del fabbro Karl Viktor Pettersson e della sarta Ida Paulina Svenson. Cresciuto in povertà in un monolocale seminterrato a Stoccolma, a proposito della sua giovinezza, ebbe a dire:

    “Non sono nato sotto un pianoforte, non ho trascorso la mia infanzia con mio padre, il compositore… no, ho imparato a lavorare il ferro bianco con il martello del fabbro. Mio padre era un fabbro che poteva dire no a Dio, ma non all’alcol. Mia madre era una donna pia che cantava e giocava con i suoi quattro figli”

    All’età di dieci anni, comprò un violino economico con i soldi guadagnati dalla vendita di cartoline natalizie e imparò a suonarlo da solo. Il suo interesse per la musica era così forte che nemmeno le percosse paterne e la minaccia del riformatorio riuscirono a farlo smettere e, grazie all’aiuto della musica e alla sua autodisciplina, riuscì a uscire dalla miseria e dalle difficili condizioni familiari.

    Quattro anni più tardi, Pettersson concluse le scuole elementari e, da allora, decise di dedicarsi completamente allo studio del violino.

    Nel 1930 iniziò a studiare violino, viola, contrappunto e armonia al Conservatorio dell’Accademia Reale Svedese di Musica. Grazie a una borsa di studio, otto anni più tardi riuscì a recarsi a Parigi per studiare viola con Maurice Vieux.

    Negli anni Quaranta, iniziò a lavorare come violista presso la Società dei Concerti di Stoccolma e, nel frattempo, continuò a perfezionarsi musicalmente, studiando privatamente con Karl-Birger Blomdahl (composizione), Tor Mann (orchestrazione) e Otto Olsson (contrappunto).

    Nel settembre 1951, invece, ritornò a Parigi per studiare composizione con René Leibowitz, Arthur Honegger, Olivier Messiaen e Darius Milhaud. L’anno successivo, ritornò in patria e, dopo una diagnosi di artrite reumatoide, rinunciò alla carriera concertistica per dedicarsi alla composizione.

    All’epoca della sua Sinfonia n° 5 (1962), la sua mobilità e la sua salute erano gravemente compromesse e, avendo difficoltà a lavorare a tempo pieno, il governo svedese gli concedette un reddito a vita.

    Nel 1970, poco dopo aver terminato la Sinfonia n° 9, Pettersson fu ricoverato per nove mesi in ospedale, dove iniziò la scrittura della sua Sinfonia n° 10 (1972).

    Ricoverato nuovamente per una malattia renale, riuscì a riprendersi, ma l’artrite lo confinò per gran parte del suo tempo nel suo appartamento al 4° piano di uno stabile senza ascensore.

    Nel 1975, dopo una disputa su una modifica del programma di un concerto per una tournée americana, il compositore vietò alla Filarmonica di Stoccolma di eseguire le sue opere “per sempre”, anche se l’anno successivo il divieto fu revocato.

    Nel 1978, Pettersson si trasferì in una casa popolare e iniziò a scrivere la sua Sinfonia n° 17, rimasta però incompiuta a causa della sua morte.

    La sua musica è paragonabile alla produzione sinfonia mahleriana, soprattutto per la magnifica struttura, la passione e il dinamismo. Mai sconfinato nell’avanguardia, il compositore si avvalse sempre di mezzi espressivi tradizionali.

    Nelle sue composizioni, i temi di base vengono sempre modificati e sviluppati, mentre la scrittura musicale si compone di molte linee polifoniche simultanee, risultando spesso molto difficile da comprendere.

    La musica, invece, raggiunge climax feroci, alleviati, soprattutto nella produzione più tarda, da “oasi liriche” (Lyrische Inseln). Le sue sinfonie, in particolare, nonostante l’enorme durata (fino a 70 minuti) sono tipicamente concepite come opere monolitiche e, spesso, sono in un solo movimento.

    Accanto alla produzione sinfonica, Pettersson scrisse canzoni e opere cameristiche di breve respiro, a partire dagli anni Trenta.

    Nella decade successiva, invece, scrisse il ciclo vocale Barefoot Songs (1943-1945) – del quale varie parti sono citate in altre sue opere – e un dissonante Conerto per violino e quartetto d’archi (1949), influenzato da Bartók e Hindemith. A partire dal 1951, creò le sperimentali Sette Sonate per due violini e la Sinfonia n° 1.

    Gli anni ’60 e ’70 sono dedicati alla produzione sinfonica, con capolavori come la Sinfonia n° 6 (1963-1966), la Sinfonia n° 7 e la Sinfonia n° 8 (1968-1969), nonché la Sinfonia n° 12 (1973-1974) per coro misto e orchestra – su poesie dell’epoca di Pablo Neruda – e la cantata Vox Humana (1974), su testi di poeti latinoamericani.

    Le sue ultime composizioni includono un Concerto per violino e orchestra (1977-1978), scritto per la violinista Ida Haendel, una Sinfonia n° 16 (1979) – con una parte solistica virtuosistica per sassofono contralto, commissionata dal sassofonista americano Frederick L. Hemke – e un concerto incompleto, scoperto postumo, per viola e orchestra (1979-1980).

    A differenza di altre sinfonie di Pettersson, la sua Sinfonia n° 8 è divisa in due movimenti separati. L’atmosfera generale del lavoro è cupa e minacciosa. I movimenti armonici sono lenti, accompagnati da figure ritmiche ripetute e ossessive che danno l’impressione di una vasta struttura sonora nel tempo.

    L’introduzione presenta una melodia dolce, accompagnati da accordi ferventi, dopodiché segue un ritmo marciante. Il tema principale di questa prima parte è costituito da un semitono crescente su un ritmo ostinato, nella tonalità di Si bemolle minore. Successivamente, la tessitura musicale si infittisce e si separa in piani distinti, ognuno contraddistinto da un onnipresente ossessionante schema ritmico.

    Questo clima conflittuale prosegue nella seconda parte e, dopo un introduzione molto cupa e lenta, vari motivi saltellanti si accumulano in successione e si contendono la musica. Nonostante tutti questi tumulti, l’armonia procede lentamente, creando un effetto di contrasto.

    Segue una lunga sezione centrale, concentrata nel registro basso o acuto dell’orchestra. I bassi tentano di sovvertire questa gerarchia, ma vengono respinti dai violini e dall’ottavino. Segue un ritorno del motivo del “sospiro inverso”, dopodiché la sinfonia perde gradualmente la sua forza sonora. Improvvisamente, la musica sembra assumere luce e calore e, da qui, inizia una coda particolarmente estesa, come se la sensazione di sicurezza di queste nuove sonorità non volesse essere andarsene.

    Buona giornata e a domani!

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