Concerto dell’estate

Ildebrando Pizzetti (20 settembre 1880 - 1968): Concerto dell’estate per orchestra (1928). Orchestra Alto perfezionamento musicale di Saluzzo, dir. Giuseppe Garbarino.

  1. Mattutino: Vivace e arioso
  2. Notturno: Largo [11:30]
  3. Gagliarda e Finale: Allegro vigoroso [19:37]

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4 pensieri riguardo “Concerto dell’estate

  1. Buongiorno, caro Claudio, grazie di aver condiviso questo meraviglioso concerto “di fine estate” 😊

    Insieme a Ottorino Respighi, Alfredo Casella e Gian Francesco Malipiero, Pizzetti viene ricordato per aver contribuito alla rinascita della musica strumentale italiana e al recupero della musica antica del Bel Paese. Accomunati dal medesimo scopo, realizzato però in modi diversi e nati tutti attorno al 1880, furono ribattezzati “Generazione dell’80”.

    Nato a Parma dall’insegnante di pianoforte e maestro di coro Odoardo Pizzetti e da sua moglie Teresa Fava, frequentò il ginnasio classico Lazzaro Spallanzani di Reggio nell’Emilia (1891-1895), dopodiché fu ammesso al corso di armonia e contrappunto di Teleforo Righi e Giovanni Tebaldini. Su consiglio di quest’ultimo, frequentò a Torino un corso di canto gregoriano, tenuto da Franz Xaver Haberl.

    Dopo il diploma in composizione nel 1901, Pizzetti iniziò a lavorare come maestro sostituto al Teatro Regio di Parma e, nel frattempo, mise mano alle sue prime creazioni teatrali, su testi dell’amico Annibale Beggi (rimase incomplete o distrutte).

    Pochi anni dopo, il compositore partecipò al concorso della rivista romana “Tirso” per le musiche di scena della tragedia La Nave (1907) di Gabriele D’Annunzio, componendo un totale di 21 numeri ispirati ai canti liturgici e alla musica greca (quest’ultima, appresa dall’Histoire et théorie de la musique de l’antiquité di François-Auguste Gevaert).

    A partire da questa collaborazione, si stabilì un fecondo sodalizio tra i due, dal quale sarebbero nati altri lavori, fra i quali le liriche per voce e pianoforte I Pastori da Alcyone (1908) ed Erotica da La Chimera (1911) e la tarda “tragedia pastorale” La figlia di Iorio (1954).

    In ambito strumentale, invece, si ricorda il Quartetto in La maggiore (1906), mentre nell’ambito vocale cameristico si segnalano le Due liriche drammatiche napoletane (1918) su poesie dialettali di Salvatore di Giacomo, i Tre sonetti del Petrarca (1922) e le Tre canzoni (1926) su testi popolari toscani per voce e quartetto d’archi.

    Fin dai suoi inizi, il compositore si interessò molto alla letteratura e al teatro, scrivendo diverse musiche di scena, come i Tre intermezzi sinfonici per l’Edipo re di Sofocle (1914) – scritti per l’attore Gustavo Salvini – le musiche per La rappresentazione di s. Uliva su testo del XVI secolo (1933), commissionate dal Maggio Fiorentino e quelle per la commedia shakesperiana As you like it (1938).

    L’affermazione di Pizzetti in ambito teatrale, tuttavia, avvenne con Fedra (1915), su versi di D’Annunzio.

    Dal 1907, Pizzetti si oppose all’opera verista, formulando il suo “dramma musicale latino”, una via alternativa a quello wagneriano, criticato per l’eccessivo sinfonismo. Rifuggendo da descrittivismi e stasi liriche, l’autore puntava a un teatro lirico che fosse “vita in azione e in divenire”, esprimendo “conflitto di materia e spirito, di istinti e aspirazioni, di egoismi e doveri morali”. Più vicino al teatro di parola che all’opera lirica, il dramma pizzettiano si ispirava a Wagner per l’uso dei motivi conduttori.

    Sempre nel 1907, il compositore divenne docente di composizione dell’Istituto Musicale di Parma, incarico lasciato l’anno successivo per diventare docente di armonia, contrappunto e fuga a Firenze, dove rimarrà anche come direttore (1917-1924).

    Nel capoluogo toscano, conobbe e divenne amico del critico-compositore Giannotto Bastianelli, con il quale fondò “Dissonanza” (1924), rivista di “composizioni musicali italiane moderne”, della quale uscirono solo tre numeri. Fu anche co-fondatore degli Amici della Musica di Firenze (1920).

    Dal 1924 al 1936, Pizzetti fu docente e direttore al Conservatorio di Milano, dopodiché andò a ricoprire la cattedra di perfezionamento in composizione nell’Accademia di S. Cecilia a Roma, rimanendo qui fino al 1958.

    In questi anni, svolse un intensa attività come critico musicale e saggista, scrivendo per vari quotidiani e riviste. Continuò a dedicarsi anche al teatro, con capolavori come Dèbora e Jaéle – ispirato al biblico Libro dei Giudici, 4-5: guerra fra Ebrei e Cananei – e Lo Straniero.

    In entrambi, accanto alla modalità, impiega ampie distese tonali di stampo romantico e post-romantico, aprendosi a un sempre più estroverso descrittivismo, tipico di altre sue composizioni, fra le quali il Concerto dell’estate (1928).

    Dopo una tournée negli Stati Uniti e una a Buenos Aires, Pizzetti fece ritorno in patria, dedicandosi alla scrittura di musiche per film e a vari incarichi occasionali (membro dell’Accademia d’Italia, presidente dell’Istituto Italiano di Storia della Musica, ispettore per il Ministro dell’Educazione Nazionale).

    Fu anche presidente dell’Accademia di S. Cecilia (1948-1951), presidente dell’Istituto di Studi Verdiani (1963-1966), presidente del Sindacato Musicisti Italiani (1954-1959), presidente della Conféderation Internationale des Sociétés d’Auteurs et Compositeurs (1961-1964) e consigliere di amministrazione della SIAE (1955-1963).

    Il Concerto dell’estate (1928) fa parte di un gruppo di composizioni che Pizzetti scrisse dopo la sua nomina a direttore del Conservatorio di Milano e occupa un posto di rilievo nella produzione pizzettiana per il suo ampio respiro sinfonico e la sua solida architettura. La prima esecuzione avvenne il 28 febbraio 1929 a New York, a opera della New York Philarmonic diretta da Arturo Toscanini.

    Questo concerto si contraddistingue per la sua piena manifestazione dell’amore del compositore per la natura. Già durante un’esecuzione di Fontane di Roma di Respighi al Teatro Augusteo di Napoli, il compositore volle esprimersi in merito, sottolineando la notevole fattura della musica, ma anche la sua scarsa sostanza. Lo fece attraverso una metafora naturalistica:

    “Vien fatto di pensare ai trucioli di pioppo: se ne può bruciare un corbello pieno e non s’arriva a scaldarsi le mani”

    Anche di fronte a un quartetto di Max Reger e alla Sonata per violino e violoncello di Maurice Ravel sentenziò, rispettivamente, che “i fiori, da noi, in Emilia, si chiaman fiori del freddo” e che “il contrappunto [dell’opera] è più nudo e malinconico di un ramoscello d’albero a mezzo novembre”.

    Nella scelta del titolo, si avverte la volontà dell’autore di chiarire il suo atteggiamento: perché “Concerto” e non “Poema sinfonico”? Quest’ultimo termine avrebbe fatto riferimento soprattutto all’aspetto puramente “sinfonico” della composizione, sulla “musica pura” come gioco aereo di arabeschi sonori, mentre il primo termine suggerisce l’idea del rapporto e del contrasto, dove si rinviene il doppio piano dialettico del solista e dell’orchestra, della natura e dell’uomo.

    Il primo movimento (Mattutino) alterna due differenti figure tematiche, una vivace e festosa, l’altra più quieta e meditativa. Il motivo iniziale, di sole tre note, si contraddistingue per la sua distesa cantabilità e il suo brillante e luminoso colore che caratterizza l’intera opera, conferendole slancio e vigore. Il secondo tema, affidato all’oboe, presenta un carattere malinconico e dolente e, poco dopo la sua esposizione, si ritorna al motivo iniziale, annunciato con forza dalle varie sezioni orchestrali fino a quando, dopo un notevole climax sonoro, il corno inglese riprende il secondo tema.

    Dopo un calo d’intensità sonora dell’orchestra, ritorna il motivo iniziale, suonato dalle varie sezioni orchestrali in un crescendo continuo, fino ad arrivare a un ff di grande effetto. Dopodiché, la musica si calma, fino ad arrivare al punto in cui gli ottoni ripetono una nota lunga su un sottofondo orchestrale simile a un’allegra danza paesana, accompagnata da un festoso scampanio, fino all’energica chiusura del movimento.

    Il secondo movimento (Notturno: Largo) è pervaso da una calma atmosfera generale, salvo alcuni episodi di notevole intensità sonora. Si avverte il richiamo della natura nei vari sussurri e mormorii silvestri. Dopo l’introduzione degli archi, il tema iniziale viene affidato ai fiati. Notevole è il magnifico assolo del flauto, al quale si affiancano le suggestive entrate del corno in staccato. Ritorna il motivo iniziale, arricchito da interventi solistici come quello del violoncello con la sua distesa e un po’malinconica cantabilità, per poi giungere alla conclusione affidata al flauto sul sottofondo dell’arpa che ripete una sola nota.

    Il terzo movimento (Gagliarda e Finale: Allegro vigoroso) inizia con un ritmo di gagliarda, danza di origini italiane in ritmo ternario puntato, molto diffusa nelle corti, prima di diventare un movimento della suite strumentale. Questo movimento rivela l’interesse di Pizzetti per le antiche forme di danza italiana.

    Lo sviluppo assume carattere rapsodico, durante il quale emerge il clarinetto con un motivo meditabondo e serioso. Nel finale, sembrano riprendere forza le sonorità orchestrali con il ritorno del ritmo di gagliarda, ma ciò dura poco, poiché l’intensità va smorzandosi gradualmente fino alla chiusura da parte di fiati e archi.

    Buona giornata e alla prossima!

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