La sua musica fa cose strane con il tempo

Tōru Takemitsu (8 ottobre 1930 - 1996): リヴァラン – Riverrun per pianoforte e orchestra (1984). Noriko Ogawa, pianoforte; BBC Philharmonic Orchestra, dir. Juanjo Mena.
Il titolo del post di oggi mi è stato ispirato da un interessante articolo di Tom Service dedicato a Takemitsu.

TT

15 pensieri riguardo “La sua musica fa cose strane con il tempo

  1. Buongiorno, caro Claudio, grazie mille per aver portato questa composizione di Takemitsu, davvero deliziosa… l’avevo già ascoltata nella tua discoteca online, ma risentirla è stato davvero un grande piacere 😊

    Takemitsu nacque a Tokyo, ma trascorse i suoi primi anni a Dalian, in Cina. Solo nel 1938, il giovane ebbe modo di ritornare in patria, per frequentare la scuola elementare ma, a causa della coscrizione militare, dovette interrompere gli studi sei anni più tardi.

    L’esperienza militare fu descritta da Takemitsu come “estremamente amara”, anche se gli permise di interfacciarsi per la prima volta con la musica colta occidentale, attraverso la canzone popolare francese Parlez-moi d’amour, da lui ascoltata segretamente con i colleghi e suonata su un grammofono con una puntina di fortuna ricavata da un bambù.

    Dopo l’occupazione americana del Giappone, Takemitsu lavorò per le forze armate statunitensi ma, a causa di una lunga malattia, fu costretto a letto e colse quest’opportunità per ascoltare più musica occidentale possibile sulla rete delle forze armate statunitensi. Rimasto profondamente colpito dai suoi ascolti, sentì il bisogno di allontanarsi dalla musica tradizionale giapponese, non molto amata perche “ha sempre richiamato gli amari ricordi della guerra”.

    Nonostante l’assenza di formazione musicale, il giovane iniziò a comporre seriamente all’età di 16 anni, ispirandosi ai suoi ascolti. Sue queste parole:

    “… iniziai a [scrivere] musica attratto dalla musica stessa come un essere umano. Nella musica ho trovato la mia ragione d’essere come uomo. Dopo la guerra, la musica era l’unica cosa. Scegliere di fare musica ha chiarito la mia identità”

    A parte un breve periodo di studio con il compositore giapponese Yasuji Kiyose nel 1948, Takemitsu fu praticamente autodidatta per tutta la sua carriera musicale.

    Nello stesso anno, si avvicinò alla musica elettronica, da lui concepita come la tecnologia per “trasformare il rumore in toni musicali temperati all’interno di un piccolo tubo occupato”. All’inizio negli anni Cinquanta, apprese che “un [ingegnere] francese, Pierre Schaeffer, aveva inventato il metodo (o i metodi) della musique concrète basandosi sulla mia stessa idea. Ero contento di questa coincidenza”.

    Nel 1951, invece, fu co-fondatore del gruppo antiaccademico Jikken Kōbō (“Laboratorio sperimentale”), nato per la collaborazione multidisciplinare su progetti multimediali misti, estranei alla tradizione artistica giapponese. Grazie al lavoro del gruppo, furono introdotti in Giappone per la prima volta vari compositori occidentali contemporanei.

    A questo periodo, risalgono i suoi primi tentativi compositivi, come Saegirarenai Kyūsoku I (“Riposo ininterrotto I, 1952 – un’opera pianistica priva di ritmo regolare e di linee di battuta), Relief Statique (1955) e Vocalism A-I (1956), due esempi di registrazione elettronica su nastro.

    Al periodo, risale anche un breve apprendistato compositivo con Fumio Hayasaka, con il quale Takemitsu avrebbe collaborato più avanti.

    Alla fine del decennio, il compositore scrisse il suo Requiem (1957) per orchestra d’archi, il quale gli procurò rilevanza internazionale. L’opera fu dedicata al suo maestro Hayasaka e fu ascoltata da Stravinsky nel 1958 durante un suo viaggio in Giappone per ascoltare le ultime novità musicali giapponesi. Il compositore russo lodò enormemente l’opera, invitando addirittura Takemitsu a pranzo, un’esperienza “indimenticabile” per il compositore giapponese.

    Una volta ritornato in patria, Stravinsky gli procurò una commissione per una nuova opera, da parte della Fondazione Koussevitskij: fu così che nacque Dorian Horizon (1966), eseguito in prima assoluta dalla San Francisco Company, diretta da Aaron Copland.

    Durante il periodo trascorso con il Jikken Kōbō, Takemitsu conobbe l’opera sperimentale del compositore americano John Cage e, dopo aver ascoltato il suo Concerto per pianoforte e orchestra, si sentì incoraggiato a usare procedure intederminate e notazioni grafiche nelle sue successive composizioni, come Ring (1961), Corona (1962) per pianista/i e Corona II (1962) per archi. In questi lavori, ogni esecutore ha dei cartoncini colorati con dei motivi circolari stampati disposti liberamente dall’esecutore per creare “la partitura”.

    Nonostante la scarsa durata dell’influenza cageiana, sono rimaste alcune somiglianze tra le filosofie di Cage e di Takemitsu, come l’uso dei timbri nei singoli eventi sonori e la nozione di silenzio “come plenum piuttosto che come vuoto”. In più, l’interesse di Cage per lo Zen sembra aver allertato Takemitsu sulla possibilità di incorporazione di elementi tradizionali giapponesi nelle sue opere. Sue queste parole:

    Devo esprimere la mia profonda e sincera gratitudine a John Cage. Il motivo è che nella mia vita, nel mio sviluppo, per un lungo periodo ho lottato per evitare di essere “giapponese”, per evitare le qualità “giapponesi”. È stato soprattutto grazie al contatto con John Cage che sono arrivato a riconoscere il valore della mia tradizione”

    Takemitsu, in particolare, fu attirato da una performance di musica tradizionale giapponese, il Bunraku, come ammise in una sua conferenza del 1988:

    “Un giorno mi capitò di assistere a uno spettacolo del teatro delle marionette Bunraku e ne rimasi molto sorpreso. Fu nella qualità del tono, nel timbro, del futazao shamisen, lo shamisen a collo largo usato nel Bunraku, che riconobbi per la prima volta lo splendore della musica tradizionale giapponese. Ne fui molto commosso e mi chiesi perché la mia attenzione non fosse mai stata catturata prima da questa musica giapponese”

    Successivamente, il compositore decise di studiare tutte le tipologie di musica tradizionale del suo paese, attenzionando soprattutto le differenze tra le varie tradizionale, nel tentativo di “far emergere la sensibilità della musica giapponese che era sempre stata dentro di lui”. Non fu cosa facile, perché questo genere di musica era largamente ignorata e agli studenti veniva sempre richiesto di imparare il pianoforte.

    Nei primi anni Sessanta, Takemitsu si spinse oltre, incorporando gli strumenti tradizionali giapponesi nella sua musica, come il biwa (un liuto a manico corto) e lo shakuhachi (un flauto diritto). Nonostante le grandi difficoltà iniziali, in Eclipse (1966) il compositore riuscì a usare i due strumenti, trovando un sistema di notazione valido per degli strumenti che, normalmente, non sono suonati assieme né usati in opere annotate con sistemi di notazione occidentale.

    La sua opera successiva, November Steps (1967), risulto difficile da concepire come la precedente ma, alla fine, ebbe un grandioso successo, conoscendo anche una grande diffusione in occidente.

    Nel 1972, il compositore ebbe modo di conoscere la musica gamelan balinese e, da questa esperienza, nacque l’opera per pianoforte For Away (1973), costituita da un’unica linea complessa distribuita tra le mani del pianista, la quale riflette gli schemi di incastro tra i metallofoni di un’orchestra gamelan.

    Il periodo “balinese” durò poco poiché, nello stesso anno, Takemitsu ritornò alla combinazione strumentale di shakuhachi, biwa e orchestra, nell’opera poco conosciuta Autumn.

    Negli anni successivi, il compositore si impegnò nel realizzare opere “integrate”, come Voice (1971) per flauto solo, Waves (1976) per clarinetto, corno, due tromboni e grancassa e Quatrain (1977) per clarinetto, violino, violoncello, pianoforte e orchestra, le prime di una serie di composizioni che incorporavano idee e linguaggi tradizionali.

    Tra l’altro, il compositore iniziò a interessarsi sempre più al giardino tradizionale giapponese, riflettendo questo interesse in opere come In an Autumn Garden (1973) per orchestra gagaku e A Flock Descends into the Pentagonal Garden (1977) per orchestra.

    Negli anni Ottanta, Takemitsu iniziò a usare motivi melodici su cui basare le sue opere, prima fra tutte Far Calls. Coming Far! (1980) per violino e orchestra. Sue queste parole:

    “Volevo progettare un “mare” tonale. Qui il “mare” è Mi bemolle [Es nella nomenclatura tedesca]-E-A, un motivo ascendente di tre note composto da un mezzo passo e una quarta perfetta. [… In Far Calls] questo è esteso verso l’alto da A con due terze maggiori e una terza minore… Utilizzando questi schemi ho creato il “mare della tonalità” da cui scaturiscono molti accordi pantonali”.

    Accanto ai motivi melodici, si avvalse di un maggiore uso di materiale diatonico, basato su armonie terziarie e del voicing jazz. Molte delle opere successive fanno riferimento all’acqua, come Toward the Sea (1981), Rain Tree and Rain Coming (1982) e Riverrun and I Hear the Water Dreaming (1987). In tutte queste composizioni, il motivo S-E-A ha un ruolo di primo piano e indica una maggiore enfasi sull’elemento melodico nella sua musica.

    Prima di morire, Takemitsu volle realizzare un’opera, in collaborazione con il romanziere Barry Gifford e il regista Daniel Schmid, commissionata dall’Opéra National de Lyon. Il progetto, tuttavia, rimase incompiuto a causa della sua morte per un cancro alla vescica.

    Compositore poliedrico, fu infuenzato nei suoi primi lavori da compositori molto diversi stilisticamente tra di loro, come Debussy, Webern, Varèse, Schoenberg e Messiaen.

    Fin dagli inizi, Takemitsu mostrò una posizione contraria ai rigidi accademismi musicali, evitando di rispettare le “banali regole della musica, regole che sono… soffocate da formule e calcoli”, poiché era importante che “i suoni avessero la libertà di respirare… così come uno non può pianificare la propria vita, non può nemmeno pianificare la musica”.

    Molto sensibile al timbro strumentale e orchestrale, in tutta la sua opera usa combinazioni strumentali insolite, come in Quotation of Dream (1991), Archipelago S. (1993) per 21 esecutori e Arc I & II (1963-1966 e 1976), dove le forze orchestrali più convenzionali formano “gruppi” non convenzionali.

    Viene anche ricordato per l’impiego della tecnica del “contrappunto aleatorio” (in A Flock Descends into the Pentagonal Garden), consistente nella divisione delle sezioni orchestrali in gruppi, ognuno dei quali deve ripetere brevi passaggi musicali a volontà. Questi passaggi sono controllati comunque dal direttore d’orchestra, il quale riceve istruzioni sulla durata approssimativa di ogni passaggio e indica all’orchestra quando passare alla sezione successiva.

    Notevole, infine, il suo contributo alla musica per film, scrivendo le musiche di più di 100 film, nelle quali pose grande attenzione all’uso attento del silenzio e alla concezione del film da parte del regista.

    La sua opera Riverrun fu eseguita per la prima volta il 10 gennaio 1985 dalla Los Angeles Philarmonic, con il solista Peter Serkin e la direzione di Simon Rattle.

    Si ispira al romanzo Finnegans Wake dello scrittore irlandese James Joyce (“Riverrun, oltre Eva e Adamo, dalla riva alla baia, ci riporta al Castello di Howth e dintorni attraverso un comodus vicus ricircolante”), nonché all’idea dell’acqua come metafora compositiva di un fiume armonico più poroso, in grado di portare con sé con la sua corrente non solo le inevitabili “dissonanze”, ma anche elementi precedenti legati alla musica di Debussy e Messiaen.

    Scrisse Takemitsu: “La musica scorre sotto forma di un affluente musicale derivato da una certa corrente principale, che scorre attraverso il paesaggio della notte nel mare della tonalità. Il motivo, e gli intervalli di una settima maggiore e di una terza minore, quasi come semplici simboli, si disperdono gradualmente e danno sempre origine a una varietà di sottospecie melodiche. Anche se a volte sono in conflitto tra loro, non rappresentano necessariamente uno sviluppo dialettico, ma continuano a presentarsi, scomparire e ripetersi”.

    Buona giornata e alla prossima!

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