Il Requiem di Fauré

Gabriel Fauré (1845 - 4 novembre 1924): Requiem (versione del 1893 ricostruita da John Rutter). Caroline Ashton, soprano; Stephen Varcoe, baritono; Simon Standage, violino; John Scott, organo; The Cambridge Singers; membri della City of London Sinfonia, dir. John Rutter.

  1. Introït – Kyrie
  2. Offertoire [5:59]
  3. Sanctus [14:24]
  4. Pie Jesu [17:30]
  5. Agnus Dei – Lux aeterna [21:02]
  6. Libera me [26:23]
  7. In paradisum [30:57]

20 pensieri riguardo “Il Requiem di Fauré

  1. Questa composizione è la più nota del compositore francese, da lui scritta a più riprese tra il 1887 e il 1890. Fu terminata definitivamente dieci anni più tardi e pubblicata presso l’editore parigino Hamelle.

    Incerte sono le ragioni che spinsero Fauré a comporre il suo Requiem, anche se si ritiene che possa essere stato spinto dalla morte del padre nel 1885 e dalla morte della madre due anni dopo. Tuttavia, al momento di quest’ultima perdita, il compositore aveva già iniziato a scrivere il lavoro, del quale poi dichiaro, in una lettera all’amico compositore Maurice Emmanuel:

    “Il mio Requiem non è stato scritto per niente, per piacere, se così posso dire!”

    La prima musica composta per l’opera fu il Libera me, scritto nel 1877 come pezzo autonomo, mentre la prima versione dell’opera risale al periodo 1887-1888. Da lui chiamato “un petit Requiem”, era strutturato in cinque movimenti (Introit e Kyrie, Sanctus, Pie Jesu, Agnus Dei e In Paradisum) e non includeva il Libera me.

    Questa versione fu eseguita in prima assoluta il 16 gennaio 1888 per il funerale dell’architetto Joseph Lesoufaché, celebrato alla Chiesa de La Madeleine di Parigi. La direzione fu affidata al compositore stesso, mentre la voce bianca degli acuti era Louis Aubert.

    Nel 1889, Fauré aggiunse l’Hostias dell’Offertorio, mentre l’anno seguente ampliò l’Offertorio e aggiunse il Libera me. Questa seconda versione fu eseguita per la prima volta il 21 gennaio 1893, sempre a La Madeleine e sotto la sua direzione.

    A causa del divieto di utilizzo di voci femminili in chiesa, il compositore adoperò voci bianche come cantanti solisti e contralto come coristi ma, nelle esecuzioni concertistiche, Fauré impiegò le voci femminili per le parti corali acute e le voci soliste nel Pie Jesu.

    Tra il 1899 e il 1900, la partitura fu rielaborata per orchestra e quest’altra versione fu presentata in anteprima al Trocadéro di Parigi il 12 luglio 1900, in occasione dell’Esposizione Universale. A proposito della sua opera, Fauré ebbe a dire:

    “Tutto ciò che sono riuscito ad considerare attraverso l’illusione religiosa l’ho messo nel mio Requiem, che inoltre è dominato dall’inizio alla fine da un sentimento molto umano di fede nel riposo eterno”.

    «È stato detto che il mio Requiem non esprime la paura della morte e qualcuno l’ha definito una ninna nanna della morte. Ma è così che vedo la morte: come una liberazione felice, un’aspirazione alla felicità in alto, piuttosto che un’esperienza dolorosa. La musica di Gounod è stata criticata per la sua inclinazione alla tenerezza umana. Ma la sua natura lo predisponeva a sentirsi così: l’emozione religiosa prendeva questa forma dentro di lui. Non è necessario accettare la natura dell’artista? Quanto al mio Requiem, forse ho anche cercato istintivamente di sfuggire a ciò che è ritenuto giusto e doveroso, dopo tutti gli anni di accompagnamento dei servizi funebri sull’organo! So tutto a memoria. Volevo scrivere qualcosa di diverso.»

    Nel 1924, infine, la versione orchestrale completa dell’opera fu eseguita al funerale del compositore.

    La maggior parte del testo era in latino, a eccezione del Kyrie in dialetto greco antico (koinè). Seguendo le convenzioni dell’epoca, Fauré escluse le sezioni Graduale e Tractus della Messa mentre, in virtù della tradizione barocca francese, evitò di impostare il Dies Irae in favore del Pie Jesu. In più, modificò leggermente i testi delle altre sezioni, a eccezione dell’Offertorio che modificò integralmente. Evitò, infine, di musicare il Benedictus e aggiunse due testi della liturgia del funerale, Libera me e In Paradisum.

    La struttura dell’opera ricorda quella dell’Ein deutsches Requiem brahmsiano: entrambi i lavori hanno sette movimenti e impiegano un baritono e un soprano solisti.

    Come il Requiem di Mozart, l’opera inizia in tempo lento in Re minore e, dopo una battuta di appena un Re negli strumenti, il coro entra in pianissimo in sei parti sull’accordo di Re minore e vi resta in omofonia per tutta la durata del testo “Requiem aeternam”. Al progredire dell’armonia e dell’intensità sonora, viene raggiunto un primo climax su “et lux perpetua”, seguito da un decrescendo su un ripetuto “luceat eis”. I tenori ripetono la preghiera per il riposo eterno su una semplice melodia, così come i soprani, quindi tutte le voci concludono con un “Exaudi”.

    Il Kyrie inizia con la stessa melodia affidata prima al tenore, ma ora all’unisono con soprano, contralto e tenore, ripetuta successivamente in armonia a quattro parti. La chiamata “Christe” è dapprima enunciata forte e urgente, poi ripetuta dolcemente un paio di volte. La conclusione è affidata alla chiamata del “Kyrie” in pianissimo.

    L’Offertorio inizia in Si minore con un canone di contralto e tenore in breve successione su una semplice melodia modale, in una preghiera (“O Domine, Jesu Christi, rex gloriae”), terminando all’unisono. Segue una prima ripetizione un tono sopra per il verso successivo e un’altra ripetizione un altro tono sopra per la successiva chiamata più urgente di Gesù, invocata dai bassi. Le voci aggiungono solo in piano, spezzate da pausa, le parole “ne cadant – in obscurum”.

    Il baritono introduce l’Hostias et preces, cominciando con una nota ripetuta e aumentando di intensità sulla frase “fac eas, Domine, de morte transire ad vitam”. Il coro ripete la prima riga del testo sullo stesso motivo iniziale, ma in una polifonia a quattro parti, conclusa da un brillante Amen in Si maggiore.

    Il Sanctus, a differenza di altre ambientazioni, è espresso in forma molto semplice: i soprani cantano dolcemente su una semplice melodia ascendente e discendente di sole tre note, ripetuta dalle voci maschili, accompagnati da arpeggi dell’arpa e da una melodiaa sognante dei violini. Lo schema si ripete, aumentando la lunghezza della melodia e la loro intensità, fino a quando si ha un forte su “Excelsis”.

    L’orchestra cambia tono e l’accompagnamento sognante viene sostituito da accordi maggiori fermi e potenti, con una fanfara di corno in forte, sulla quale le voci maschili cantano “Hosanna in Excelsis”. Segue la risposta dei soprani in diminuendo e la musica ritorna agli arpeggi precedenti, mentre la melodia del violino ascende fino alla nota finale in Mi bemolle maggiore e il coro si ripete, con i contralti che cantano “Sanctus”.

    Il soprano solista canta la preghiera al “Buon Gesù” per il riposo eterno e l’unica riga di testo viene ripetuta tre volte, le prime due chiedendo “Requiem”, poi intensificata per il “Sempiternam requiem”. Il primo richiamo è una breve melodia modale in Si bemolle maggiore, mentre il secondo richiamo è simile, ma più acuto. Sulle parole “Dona eis, Domine, dona eis Requiem” vi è una maggiore espressione, ma arrivando ad alternare solo due note su due ripetizioni di “sempiternam requiem”. L’ultimo richiamo rialterna nuovamente due note in estensione ancora più bassa, fino a quando l’ultimo “requiem” ha un dolce movimento ascendente.

    L’Agnus Dei inizia in Fa maggiore con una melodia orchestrale fluente e ampia. Poco dopo, i tenori cantano una melodia ascendente-discendente, poi ripetuta dall’orchestra. Segue una modulazione in minore e all’Agnello di Dio viene chiesto riposo in accordi di audace progressione armonica. I tenori, senza introduzione strumentale, ripetono il primo verso, concludendo con un pacifico “sempiternam”. I soprani, invece, iniziano la sezione successiva con un lungo “Lux”, poi il coro, diviso in sei parti, lascia risplendere quella luce. La conclusione è affidata all’orchestra, con l'”Agnus Dei”, preceduto da una ripresa dell’Introito da parte del coro.

    Il Libera me è introdotto dal baritono solista, il quale introduce la prima sezione. Su un basso ostinato di due semiminime, una pausa e il levare ai successivi 2/4, esso canta il “Libera me”, su una melodia ampia, caratterizzata da alcuni salti acuti. Il testo è proseguito dal coro in quattro parti in omofonia. Più slanciato è il “Dies Irae”, espresso da accordi fortissimi, lasciando poi il posto alla preghiera per il riposo in piano, con un crescendo su “Dona eis, Domine”, ammorbidito su un ultimo “et lux perpetua luceat eis”. Segue la ripetizione all’unisono della frase iniziale del baritono da parte del coro, il quale con il solista concludono ripetendo dolcemente “Libera me, Domine”.

    Il movimento finale, In Paradisum, si basa su un movimento continuo e brillante di triadi spezzate veloci nell’orchestra. I soprani cantano una melodia espressiva e crescente, arricchita dagli accordi delle altre voci e divisa in sei parti, sul “Jerusalem” finale. Un altro intervento è affidato dai soprani, accompagnati dalle altre voci sulle ultime parole: Requiem aeternam.

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        1. C’è un equivoco di base per cui il Requiem K 626 è considerato un capolavoro. Ma, a prescindere dal fatto che Mozart ne ha portato a termine soltanto la prima metà, non si tiene in considerazione il fatto che il Requiem è un’opera scritta su commissione; non solo: Amadé sapeva benissimo che la composizione sarebbe stata fatta passare per farina del sacco del committente. Penso che non sia affatto insensato ritenere che Mozart abbia lavorato al Requiem, come sua consuetudine in casi del genere, con scarsa applicazione: “con la mano sinistra”, come si suol dire. A dimostrarlo ci sono vari passaggi contrappuntistici presi di peso da composizioni di Händel e alcuni momenti oserei dire caricaturali, come il “Tuba mirum” che difficilmente può far pensare alle trombe del Giudizio ma pare piuttisto una paciosa aria da opera buffa. Se il Requiem è un capolavoro lo è, secondo me, nel campo delle prese in giro. Dove Mozart, si sa, eccelleva 🙂

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          1. Quello è un manuale di armonia e introduzione all’analisi musicale, a uso degli allievi dei conservatori. Ma, più che altro, sono stato per oltre trent’anni redattore in Utet, dove ho lavorato al Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti (Deumm) e altre opere affini.

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