Elliott Carter (1908 - 5 novembre 2012): Concerto doppio per pianoforte, clavicembalo e 2 orchestre da camera (1961); commissionato dalla Fromm Music Foundation e dedicato a Paul Fromm, filantropo e mecenate. Charles Rosen, pianoforte; Ursula Oppens, clavicembalo; Fellows of the Tanglewood Music Center, dir. Oliver Knussen.
- Introduzione
- Cadenza per clavicembalo
- Allegro scherzando
- Adagio
- Presto
- Cadenza per pianoforte
- Coda
«Un capolavoro – e di un compositore americano» (Igor’ Stravinskij).

L’ho ascoltato, spizzicando qua e là ma con attenzione. Niente da dire, non è il mio genere.
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Non tutto può piacere 🙂
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Buongiorno, caro Claudio, grazie mille per aver condiviso questo incredibile e “dissonante” concerto 😊
Nato negli Stati Uniti, ma cresciuto in Europa, Carter sviluppò da adolescente un grande interesse per la musica. Non incoraggiato particolarmente dai genitori – a parte per alcune lezioni di pianoforte – fu molto attenzionato da Charles Ives, venditore di assicurazioni alla famiglia del ragazzo.
Sotto le attenzioni di Ives, il giovane continuò a perseguire i suoi interessi musicali, approcciandosi particolarmente alla musica moderna. Successivamente, Carter iniziò ad apprezzare i compositori ultra-modernisti americani, come Henry Cowell, Ruth Crawford e Conlon Nancarrow.
A partire dal 1926, il giovane iniziò a frequentare l’Università di Harward, dove studiò inglese e musica. Quest’ultima materia non solo fu approfondita qui (con Walter Piston e Gustav Holst), ma anche alla Longy School of Music. Tra l’altro, fu anche cantore nell’Harvard Glee Club.
Dopo la laurea sei anni più tardi, Carter si accorse di avere ancora scarse abilità compositive e, di conseguenza, decise di trasferirsi a Parigi per studiare tre anni con Nadia Boulanger, sia privatamente che all’École Normale de Musique de Paris.
Ritornato in patria, il compositore iniziò a lavorare per il Ballet Caravan, componendo le musiche dei balletti Pocahontas e The minotaur, due delle sue opere più lunghe del suo periodo neoclassico, anche se entrambi ebbero scarso successo.
Oltre alla composizione, svolse una notevole attività didattica, insegnando al St. John’s College di Annapolis (1940-1944), al Peabody Conservatory (1946-1948), alla Columbia University, al Queens College di New York (1955-1956), alla Yale University (1960-1962), alla Cornell University (dal 1967) e alla Julliard School (dal 1972).
Contemporaneamente, negli anni Cinquanta, Carter ritornò a interessarsi alla sperimentazione, riesaminando tutti i parametri della sua musica. A questo periodo, risalgono la Sonata per violoncello, il primo quartetto d’archi ritmicamente complesso e le Variazioni per orchestra.
Il compositore continuò a scrivere musica ogni mattina fino alla morte, avvenuta per cause naturali alla veneranda età di 103 anni.
Le sue prime composizioni sono principalmente neoclassiche, influenzate da Stravinsky, Copland e Hindemith, mentre le opere successive sono principalmente diatoniche, con un lirismo melodico che ricorda la musica di Barber.
Dagli anni Quaranta, invece, la sua musica subisce un crescente sviluppo di un linguaggio armonico-ritmico personale, caratterizzato da una notevole stratificazione ritmica e da una modulazione metrica.
Sebbene il cromatismo e il suo vocabolario tonale abbiano paralleli con i compositori seriali del tempo, Carter non si avvalse mai di tecniche seriali. A proposito, il compositore dichiarò:
“Certamente non ho mai usato una fila di dodici toni come base di una composizione, nel modo descritto in Stile e idea di Schoenberg, né le mie composizioni sono una rotazione costante di varie permutazioni di file di dodici toni”.
Piuttosto, sviluppò e classifico tutti i possibili insiemi di accordi, compilando il Libro delle Armonie. Una serie di lavori degli anni Sessanta e Settanta generò il suo materiale tonale, usando tutte le possibili combinazioni di un particolare numero di altezze.
Ad esempio, il Concerto per pianoforte e orchestra (1964-1965) utilizza una collezione di accordi di tre note come base, il Terzo quartetto per archi (1971) si avvale di tutti gli accordi di quattro note, il Concerto per orchestra (1969) usa tutti gli accordi di cinque note e, infine, A Symphony of Three Orchestras usa la collezione di accordi di sei note.
Carter usò frequentemente anche accordi “tonici” di 12 note: particolarmente interessanti, a questo proposito, sono gli accordi “all-interval” di 12 toni, nei quali ogni intervallo è rappresentato internamente alle note adiacenti dell’accordo.
Si ricorda anche un utilizzo dell’intera collezione di 88 accordi accordi simmetrici-invertiti a tutti gli intervalli di 12 note all’interno della sua NIght Fantasies (1980) per pianoforte.
In generale, il materiale sonoro è segmentato da Carter tra gli strumenti, con una serie unica di accordi o insiemi accordali assegnati a uno strumento o a una sezione orchestrale specifici. Questa stratificazione, con le singole voci alle quali vengono assegnati il materiale intonativo, la tessitura e il ritmo, sono una componente principe dello stile carteriano.
Dopo Night Fantasies, la sua musica è entrata nel periodo tardo e il suo linguaggio tonale è diventato meno sistematico e più intuitivo, conservando però le caratteristiche basilari delle sue composizioni precedenti.
A differenza della sua musica strumentale, poco legata alla musica popolare americana o al jazz, le sue opere vocali mostrano forti legami con la poesia americana contemporanea.
Tra le sue composizioni migliori, si ricordano le Variazioni per orchestra (1954-1955), il Doppio concerto per clavicembalo e pianoforte con due orchestre da camera (1959-1961), il Concerto per pianoforte e orchestra (1964-1965, un regalo per l’85° compleanno di Stravinsky), il Concerto per orchestra (1969, liberamente basato su una poesia di Saint-John Perse) e la Sinfonia per tre orchestre (1976).
Notevoli anche i cinque quartetti per archi – il più importante corpus di composizioni nel genere dopo Bartók – e la sua Symphonia: sum fluxae pretium spei (1993-1996), la sua maggiore opera orchestrale, caratterizzata da una struttura complessa con strati contrastanti di tessiture strumentali, da delicati assoli di fiati e da “scoppi” di ottoni e percussioni.
Il suo Doppio concerto fu completato nell’agosto 1961 ed eseguito in prima assoluta al Metropolitan Museum of Art’s Grace Rainey Rogers Auditorium il 6 settembre dello stesso anno, con la partecipazione del clavicembalista Ralph Kirkpatrick e del pianista Charles Rosen, sotto la direzione di Gustav Meier.
L’esecuzione prevede la divisione di un’orchestra cameristica in due parti, guidate dai solisti: la prima orchestra è guidata dal clavicembalo e comprende flauto (doppio ottavino), corno, trombone (doppio trombone basso), due percussionisti, viola e contrabbasso, mentre la seconda orchestra è guidata dal pianoforte e comprende oboe, clarinetto (doppio clarinetto in mi bemolle), fagotto, corno, due percussionisti, violino e violoncello.
Il pezzo, molto apprezzato dalla critica, dai musicisti e dal pubblico, fu ampiamente recensito. Tra le varie recensioni, si ricordano quelle del critico del Los Angeles Times Martin Bernheimer e del compositore Harrison Birtwistle:
“Il Doppio Concerto per clavicembalo, pianoforte e due orchestre da camera, scritto nel 1961, fa ancora un gran rumore in molti, meravigliosi modi. I suoni della tastiera sono delicatamente equilibrati e sottilmente contrastati. L’emissione orchestrale – non chiamatela accompagnamento – conferisce nuovi strati di significato al concetto di “busyness” intenzionale. L’interazione percussiva fornisce una punteggiatura eroicamente assertiva“
“Giudico molta musica chiedendomi: “Mi piacerebbe averla scritta io?”. E con i miei pezzi preferiti di Carter, certamente lo farei. Adoro il Doppio Concerto per pianoforte, clavicembalo e due orchestre da camera. Non c’è niente di simile nella musica: il concetto, il modo in cui fa muovere il tempo e il ritmo, la strumentazione – quel maledetto clavicembalo! Non so se sia suonabile o meno, perché è così difficile. Insieme a Le Marteau Sans Maître di Pierre Boulez, il Doppio Concerto è uno dei segnali unici del XX secolo“
Anche il pianista Charles Rosen lodò il lavoro, descrivendo come “l’opera più brillantemente attraente e apparentemente più complessa di Carter”, aggiungendo anche:
“La storia del Doppio Concerto è quella di un graduale ma irregolare progresso di comprensione, percezione e simpatia. Quando l’opera apparve per la prima volta, non c’era quasi nessun esecutore che non rimpiangesse, almeno segretamente, l’assenza della pulsazione centrale che rendeva l’esecuzione d’insieme molto più facile, proprio come coloro che videro i primi quadri cubisti devono necessariamente aver provato – insieme a un’eccitazione liberata – una curiosa ansia per la perdita del punto di vista centrale distrutto dalla frammentazione cubista. La molteplicità della visione è diventata centrale nell’immaginario artistico del XX secolo. Quella di Carter è la realizzazione più ricca e coerente di questa molteplicità nella musica del nostro tempo. La semplicità e la schiettezza della sua realizzazione, tuttavia, la sua permanenza e la sua solidità, cominciano solo ora ad essere percepite”.
Buona giornata e a domani!
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Grazie, Pierfrancesco. A domani 🙂
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