Piccola Sinfonia concertante

Frank Martin (1890 – 21 novembre 1974): Petite Symphonie concertante per arpa, clavicembalo, pianoforte e doppia orchestra d’archi (1944-45). Taylor Ann Fleshman, arpa; Renée Anne Louprette, clavicembalo; Frank Corliss, pianoforte; The Orchestra Now, dir. Zachary Schwartzman.

  1. Adagio – Allegro con moto
  2. Adagio [13:58]
  3. Allegretto alla marcia [18:46]

10 pensieri riguardo “Piccola Sinfonia concertante

  1. Buongiorno, caro Claudio, grazie di aver condiviso questa interessante e insolita composizione. C’è da dire che arpa, clavicembalo e pianoforte formano un terzetto ardito, dal carattere contrastante, però piacevole da ascoltare 😊

    Insieme ad Arthur Honegger, Frank Martin è ricordato come il più importante compositore svizzero del XX secolo.

    Nato in una famiglia ugonotta, nel quartiere Eaux-Vives di Ginevra, iniziò precocemente i suoi contatti con la musica, improvvisando al pianoforte di casa e scrivendo, all’età di nove anni, le sue prime composizioni, senza possedere alcuna istruzione musicale.

    Tre anni più tardi, il giovane assistente a un’esecuzione della Passione di San Matteo di Bach, rimanendone profondamente estasiato e capendo che la musica sarebbe stata il suo destino.

    Nonostante questa piacevole scoperta, Martin rispettò comunque la volontà dei suoi genitori, studiando matematica e fisica all’Università di Ginevra. In parallelo, si dedicò anche alla sua formazione musicale, studiando privatamente pianoforte, composizione e armonia con Joseph Lauber, figura di spicco della vita musicale ginevrina dell’epoca.

    Fin da subito, il giovane si mostrò un eccezionale interprete al pianoforte e al clavicembalo, rivelandosi dotato di un grande senso ritmico.

    Proseguendo in questa direzione, negli anni Venti Martin lavorò a stretto contatto con Émile Jaques-Dalcroze – il fondatore dell’euritmia (un concetto nel quale la musica viene appresa e vissuta tramite il movimento) – dal quale apprese molte cose sul ritmo e sulla teoria musicale.

    Nel frattempo, si dedicò anche all’esplorazione di alcuni particolari tipi di ritmo, specialmente quelli indù e bulgari, facendo confluire le sue scoperte nel trittico orchestrale Rythmes (1926), basato principalmente su un elemento di nervosismo ritmico.

    Prima di incontrare Dalcroze, dal 1918 al 1926 il compositore ebbe modo di compiere alcuni viaggi in Europa a scopo di arricchimento musicale, visitando Zurigo, Roma e Parigi, ritornando nella sua città natale con una nuova consapevolezza della musica jazz, nonché con una rinnovata conoscenza della musica modale e di quella seriale, tutte e tre adottate all’interno della sua produzione, senza però una certa costanza.

    Nel 1926, Martin fondò e diresse la Società di Musica da Camera di Ginevra, contribuendo molto alle ricerche sulla musica del XVII-XVIII secolo e arricchendo il repertorio per clavicordo e pianoforte.

    Fu anche insegnante di teoria musicale e improvvisazione all’Istituto Jaques-Dalcroze (1928-1938) e insegnante di musica da camera al Conservatorio di Ginevra (1930-1933 e 1941-1946), fondatore e direttore artistico del Technicum Moderne de Musique e presidente dell’Associazione Svizzera dei Musicisti (1942-1946), ricevendo da quest’ultima un premio di composizione nel 1947.

    Nel 1946, invece, si trasferì nei Paesi Bassi con la moglie di origini olandesi Maria Boeke, stabilendosi dapprima ad Amsterdam e poi a Naarden, dove si dedicò tranquillamente alla composizione fino alla sua morte.

    Dal 1950 al 1957, invece, fu professore dell’Alta Scuola di Musica di Colonia. Nel frattempo, continuò a dedicarsi alla composizione, riuscendo anche ad affermarsi a livello internazionale come direttore d’orchestra e come pianista interprete delle proprie opere.

    La sua musica dapprima si ispirò alla produzione di J. S. Bach e a quella dei compositori tardo-romantici francesi mentre, tra il 1920 e il 1930, la sua musica fu influenzata dalle opere di Ravel e di Debussy, indirizzandosi verso uno stile modale caratterizzato dalla sperimentazione ritmica.

    Successivamente, Martin sviluppò un proprio linguaggio musicale, attingendo dalla tecnica dodecafonica schoenberghiana, riuscendo a unire il senso del ritmo e l’espressività melodica con un’inconfondibile armonia tonale allargata.

    Le sue opere vocali, in particolare, colpiscono per l’accurata declamazione sillabica e l’approccio epico-lirico, mentre le sue composizioni strumentali si distinguono per l’eccellente uso delle possibilità sonore e musicali dei singoli strumenti, spesso accostati in maniera insolita.

    Nel complesso, la sua produzione trae ispirazione dal suo Cristianesimo e, a questo proposito, la sua musica derivava “dall’invidualità piuttosto che dall’universalità della sua fede… certamente più ampia del Calvinismo”.

    Il suo stile musicale si contraddistingue per un estremo lirismo, con linee melodiche spesso pronunciate e intense, sostenuti da accordi in continuo cambiamento al basso. Spesso, egli musicava testi tedeschi e si ispirava molto a testi medievali, apprezzati per la loro vivacità e sincerità, lontane dai canoni classici.

    Inoltre, il suo senso umoristico, il suo atteggiamento aperto verso la musica jazz e alla musica popolare, fanno di lui un compositore “atipico”, lontano da tutte le grandi scuole musicali novecentesche.

    Tra i suoi pezzi più conosciuti, vi sono la Petite Symphonie Concertante (1944-1945) – la sua opera orchestrale più conosciuta, la quale lo ha reso famoso a livello internazionale – la Messa (la più nota tra le sue composizioni corali) e i Monologhi di Jedermann per baritono e pianoforte od orchestra (la più nota tra le sue opere per voce sola).

    Altri pezzi di rilevo sono una sinfonia (1936-1937), due concerti per pianoforte (1933-1934 e 1969), un concerto per clavicembalo (1951-1952), un concerto per violino (1950), un concerto per violoncello (1965), un concerto per sette strumenti a fiato (1949) e una serie di “ballate” in un solo movimento per vari strumenti solisti con pianoforte od orchestra.

    Tra i pezzi teatrali, invece, si ricordano le trasposizioni operistiche di Der Sturm di Shakespeare nella versione tedesca di August Wilhelm Schlegel (1952-1955) e di Monsieur de Pourceaugnac di Molière (1960-1962), nonché la fiaba satirica La nique à Satan (1928-1931).

    Si ricordano, infine, varie opere su testi e soggetti sacri, come il pezzo teatrale Le Mystère de la Nativité (1957-1959) e l’oratorio In Terra Pax (1944), annoverate da molti critici tra le migliori composizioni religiose del Novecento.

    La sua Petite Symphonie Concertante gli fu commissionata nel 1944 dal direttore d’orchestra Paul Sacher e fu completata l’anno successivo, venendo eseguita in prima assoluta a Zurigo il 27 maggio 1946, sotto la direzione del suo commissionario, dedicatario dell’opera.

    Martin impiegò tutti i comuni strumenti a corda disponibili e usò l’arpa, il clavicembalo e il pianoforte non come strumenti di accompagnamento o “basso continuo” ma come strumenti solisti, in un lontano ricordo del Concerto Brandeburghese n° 5 di Bach e giustificando così il titolo della composizione.

    L’opera è in due movimenti, separati da brevissime pause e ogni movimento può essere ulteriormente diviso in due parti diverse: il primo comprende un’introduzione lenta sulla quale si basa l’Allegro successivo, mentre il secondo inizia con un Adagio che risalta i tre strumenti solisti prima di sfociare in una marcia vivace.

    La composizione, in stile neoclassico, trae elementi sia dalla tradizione musicale francese (l’uso dell’armonia per creare colore locale e l’organizzazione formale più libera) sia da quella austro-tedesca (lo stile generalmente polifonico e il denso motivismo).

    Si può notare anche un uso della tecnica dodecafonica, evidente nel primo movimento: una serie di dodici note è presente in apertura, ma è trattata come un qualsiasi materiale tematico, venendo trasporta in modi diversi, ma mai invertita, retrogradata o retrogradata-invertita.

    Il pezzo fu destinato ai “clavicembali revival”, i grandi strumenti del primo Novecento costruiti secondo la tradizione pianistica da costruttori come Goble e Pleyel. Si tratta di uno dei pochi brani del genere a essere composto nel XX secolo e, temendo che la sua insolita strumentazione potesse limitarne le esecuzioni, Martin riscrisse l’opera per grande orchestra, senza strumenti solisti.

    Buona giornata e a domani!

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