Edgard Varèse (22 dicembre 1883 - 1965): Arcana, poema sinfonico per orchestra (1925-27, rev. 1931-32). Orchestre national de France, dir. Pascal Rophé.

Edgard Varèse (22 dicembre 1883 - 1965): Arcana, poema sinfonico per orchestra (1925-27, rev. 1931-32). Orchestre national de France, dir. Pascal Rophé.

Grazie Claudio!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Non c’è di che 🙂
"Mi piace""Mi piace"
Buona giornata
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie, buona giornata anche a te 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona
Feliz NAvidad. 🌹🪷💐💮💮🌷🌷🏵️🏵️🌸🌸🥀🎹🎹🎹🎼🎹🎼🎹🎹🎼
"Mi piace"Piace a 1 persona
Felices fiestas para ti también 🙂
"Mi piace""Mi piace"
Buona domenica 🫶
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie, buona domenica anche a te 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona
UN SALUTO
"Mi piace"Piace a 1 persona
Ciao! 🙂
"Mi piace""Mi piace"
🙋♀️🥂😀👏
"Mi piace"Piace a 1 persona
😉🙋🏻♂️
"Mi piace"Piace a 1 persona
👍👏😃🙋♀️
"Mi piace"Piace a 1 persona
Buongiorno e buona domenica, caro Claudio, grazie mille di aver condiviso questo delizioso pezzo, così ritmicamente vivace, un’eccellente interpretazione! 😊
Nonostante la limitata produzione sopravvisuta (della durata di circa tre ore), Varèse viene ricordato come uno dei più influenti e importanti compositori del tardo XX secolo. Fu il primo a intravedere il potenziale dell’uso dei mezzi elettronici per la produzione del suono, nonché a usare nuovi strumenti e risorse elettroniche, guadagnandosi l’appellativo di “Padre della Musica Elettronica”.
La sua musica enfatizza soprattutto il timbro e il ritmo e, per questo, viene anche ricordato come “lo stratosferico Colosso del Suono”. Egli coniò il termine “suono organizzato” per riferirsi alla propria estetica musicale, la quale rifletteva la sua visione del “suono come materia viva” e dello “spazio musicale come aperto piuttosto che delimitato”.
Varèse concepì gli elementi della sua musica come “masse sonore”, paragonandone l’organizzazione al fenomeno naturale della cristalizzazione. Egli affermò che “per le orecchie ostinatamente condizionate, tutto ciò che è nuovo nella musica è sempre stato chiamato rumore. Che cos’è la musica se non rumori organizzati?”
Il compositore non solo influenzò diverse generazioni di compositori successivi e contemporanei, ma promosse anche attivamente l’esecuzione delle loro opere. Si prodigò anche nel creare e mantenere un dialogo stabile fra i compositori del tempo, fondando l’International Composers’ Guild (1921) e la Pan-American Association of Composers (1926).
Nato a Parigi, trascorse la sua infanzia presso il prozio materno e altri parenti nel villaggio di Le Villars, nella regione della Borgogna. Qui si legò molto al nonno materno, Claude Cortot, nonno anche del pianista Alfred Cortot, cugino di primo grado di Varèse.
Ritornato con i genitori, nel 1893 il giovane fu costretto a trasferirsi con loro a Torino per vivere con i parenti paterni, viste le chiare origini italiane del padre. Qui ebbe modo di ricevere le prime lezioni di musica da Giovanni Bolzoni, direttore del Conservatorio di Torino. Due anni più tardi, Varèse compose la sua prima opera, Martin Pas, andata perduta.
Il suo interesse musicale si sviluppò nel periodo in cui viveva con il padre, quando fu spinto ad approfondire le sue conoscenze scientifiche presso l’istituto tecnico. Qui Varèse si interessò particolarmente alle opere di Leonardo da Vinci e, grazie all’amore per la scienza, il giovane iniziò a studiare il suono, come ebbe modo di ricordare successivamente:
“Quando avevo circa vent’anni, mi imbattei in una definizione di musica che sembrò improvvisamente gettare luce sui miei tentativi di ricerca di una musica che sentivo potesse esistere” Józef Maria Hoene-Wroński, fisico, chimico, musicologo e filosofo polacco della prima metà del XIX secolo, definì la musica come “la corporeizzazione dell’intelligenza che è nei suoni”. Era una concezione nuova ed entusiasmante e per me la prima che mi ha fatto pensare alla musica come spaziale, come corpi sonori in movimento nello spazio, una concezione che ho fatto gradualmente mia“.
Dopo il diploma, il giovane decise di studiare ingegneria al Politecnico di Torino, poiché il padre ingegnere disapprovava i suoi interessi musicali e pretendeva che suo figlio si dedicasse assiduamente agli studi ingegneristici. A causa di ciò, padre e figlio entrarono sempre più in conflitto fino a quando, nel 1903, Varèse lasciò casa per recarsi a Parigi.
L’anno successivo, iniziò la sua formazione musicale formale presso la Schola Cantorum, dove studiò con Albert Roussel (composizione) e con Vincent d’Indy (direzione d’orchestra). Proseguì poi i suoi studi, sempre di composizione, al Conservatorio di Parigi, dove ebbe come insegnante Charles-Marie Widor.
Durante il soggiorno a Parigi, il compositore assistette a un’esecuzione della Sinfonia n° 7 di Beethoven alla Salle Pleyel e, durante l’esecuzione dello Scherzo, forse a causa della risonanza della sala, egli ebbe l’impressione che la musica si spezzasse e si proiettasse nello spazio, un’idea che lo accompagnò per tutto il resto della sua vita e che avrebbe descritto come costituita da “oggetti sonori che fluttuano nello spazio”.
Durante gli anni studenteschi, Varèse scrisse diverse opere orchestrali, eseguite solo in trascrizioni per pianoforte. Tra queste, si ricorda la Rapsodie romane (ca. 1905), ispirata all’architettura romanica della Chiesa di San Filiberto a Tournus.
Nel 1907, il giovane si trasferì a Berlino, dove conobbe e strinse amicizia con Erik Satie, Richard Strauss, Claude Debussy e Ferruccio Busoni, i quali ebbero una grande influenza su di lui. Fu anche amico degli scrittori Romain Rolland e Hugo von Hofmannsthal e, di quest’ultimo, allestì l’opera Œdipus und die Sphinx, mai conclusa.
Negli anni della sua formazione, il compositore fu anche molto influenzato dalla musica medievale e rinascimentale, fondando e dirigendo diversi cori dedicati a questo repertorio durante la sua carriera musicale. Tra le sue altre fonti di influenza, si ricorda anche la musica di Alexander Scriabin e di Hector Berlioz.
Nel 1915, invece, si trasferì negli Stati Uniti, dove tre anni più tardi debuttò dirigendo la Grande messe des morts di Berlioz.
Negli anni successivi, Varèse iniziò a frequentare il Romany Marie’s café a Greenwich Village, luogo di ritrovo dei maggiori compositori americani, dove promosse la sua visione di nuovi strumenti musicali elettronici. Tra l’altro, iniziò anche a lavorare come direttore d’orchestra e fondò una propria orchestra, la New Symphony Orchestra, la quale ebbe breve durata.
In questo periodo, il compositore iniziò a lavorare alla sua prima composizione “americana”, Ameriques (1921), eseguita in prima assoluta cinque anni più tardi dall’Orchestra di Filadelfia, diretta da Leopold Stokowski.
Tutte le sue opere “europee” andarono perdute o furono distrutte nell’incendio di un magazzino berlinese, quindi negli Stati Uniti dovette ricominciare da capo. Si salvarono solo la canzone Un grand sommeil e il poema sinfonico Bourgogne, poi distrutto in un attacco di depressione molti anni dopo.
Dopo quest opera, il compositore, insieme a Carlos Salzedo, fondò l’International Composers’ Guild, dedicata all’esecuzione delle nuove opere di compositori americani ed europei. Nel 1922, invece, Varèse fondò insieme a Busoni un’organizzazione simile a Berlino.
Sotto l’egida dell’International Composers’ Guild, il compositore scrisse molti dei suoi pezzi orchestrali e vocali, come Offrandes (1922), Hyperprism (1923), Octandre (1924) e Intégrales (1924)
Ritornato a Parigi sei anni più tardi, Varèse modificò il suo Amériques per includere l’Ondes Martenot di recente costruzione mentre, nel 1930, compose Ionisation, la prima composizione classica con soli strumenti a percussione, nella quale essi vengono impiegati per esplorare nuovi suoni e nuovi metodi per crearli.
Tra gli anni ’20 e gli anni ’30, Varèse si concentrò sulla creazione di due grandi opere mai portate a compimento e in gran parte andate distrutte, ossia l’opera L’astronome e la sinfonia corale Espace.
Nel 1934, il compositore ritorno negli Stati Uniti, dove compose vari pezzi elettronici, tra i quali Ecuatorial, del quale Slominsky diresse la prima a New York il 15 aprile dello stesso anno. Due anni dopo, invece, scrisse Density 21. 5 per flauto solo e, inoltre, si impegnò attivamente per far conoscere il theremin.
Negli anni ’50, Varèse si aprì al dialogo con una nuova generazione di compositori, quali Pierre Boulez e Luigi Dallapiccola e, in questo periodo, scrisse Déserts e il Poème electronique.
Quest’ultimo, in particolare, fu scritta per la presentazione di un padiglione dell’architetto Le Corbusier all’Esposizione Universale del 1958. Utilizzando 400 altoparlanti separati all’interno dell’edificio, Varèse creò un’installazione sonora e spaziale, orientata a sperimentare il suono mentre si muove nello spazio. Nonostante i pareri contastanti del pubblico e della critica, il pezzo sfidò i mezzi compositivi tradizionali, dando vita alla sintesi e alla presentazione elettronica.
Fino agli anni ’60, il compositore realizzò diversi esperimenti su nastri, realizzando diverse previsioni su come la tecnologia avrebbe cambiato la musica del futuro. Egli predisse la realizzazione di macchine musicali in grado di eseguire la musica a partire dagli input del compositore, suonando “qualsiasi numero di frequenze”.
A partire da Arcana, Varèse abbandonò l’orchestra di grandi dimensioni in favore di ensemble più piccoli e personalizzati. Questo lavoro fa uso di un tema fisso, più volte ripetuto per tutta la sua durata. Nell’opera, si ritrovano anche chiare influenze e reminiscenze dei primi lavori stravinskiani, come Petrushka e Il rito della primavera.
Alcuni motivi alla base di Arcana furono concepiti durante un sogno avuto il 9 ottobre 1925, nel corso di una visita all’Île Saint-Louis, come ebbe modo di dichiarare nelle lettere indirizzate alla moglie Louise.
Inizialmente la sua esecuzione fu prevista per l’inizio del 1926, nell’ambito di un programma alla Carnegie Hall diretto da Leopold Stokowski ma, a causa del complicato linguaggio musicale usato, la prima fu rimandata, fino a quando Stokowski non diresse l’opera con la Philadelphia Orchestra l’8 aprile 1927, presso l’Academy of Music di Philadelphia.
Come illustrato dal compositore nelle lettere indirizzate alla moglie, il titolo della composizione fa riferimento ai misteri alchemici e a una citazione dell’Astronomia Ermetica del medico Paracelso (1493-1541). Con questa sua opera, Varèse intendeva esplorare il regno dei sogni avvalendosi del linguaggio musicale, poiché credeva che la nascita dell’arte derivasse dall’inconscio e non dalla ragione.
Scrisse alla moglie queste parole:
Le due Fanfare che ho sognato erano su una barca che girava e rigirava in mezzo all’oceano, girando in grandi cerchi. In lontananza vedevo un faro, molto alto, e in cima un angelo – e l’angelo eri tu – con una tromba in ogni mano. Si alternavano proiezioni di colori diversi: rosso, verde, giallo, blu e tu suonavi la Fanfara n. 1, con la tromba nella mano destra. Poi, all’improvviso, il cielo è diventato incandescente e accecante: lei ha alzato la mano sinistra verso la bocca e ha suonato la Fanfara n.2. E la barca continuava a girare e a ruotare, e l’alternanza di proiezioni e incandescenze diventava più frequente, più intensa, e le fanfare più nervose, più impazienti… e poi… mi sono svegliato. Ma comunque saranno in Arcana.
La partitura è preceduta dal seguente testo, tradotto in latino, inglese e francese – un riconoscimento del precedente interesse del compositore verso la fusione di arte e scienza:
Esiste una stella, più alta di tutte le altre. Questa è la stella apocalittica. La seconda stella è quella dell’ascendente. La terza stella è quella degli elementi – di questi ce ne sono quattro, per cui sono stabilite sei stelle. Oltre a queste c’è un’altra stella, l’immaginazione, che genera una nuova stella e un nuovo cielo.
Paracelso
Tra il 1931 e il 1932, il compositore procedette a una revisione del pezzo, eseguito per la prima volta il 25 febbraio 1932 a Parigi, sotto la direzione di Nicolas Slonimsky.
Nel complesso, l’opera lascia stupefatti per il suo finale, uno dei momenti più terrificanti di tutta la produzione varèsiana, un “momento alchemico” che porta il compositore a ritornare davvero indietro nel tempo, recuperando le quarte e le quinte parallele della polifonia antica, prima che la serie di esplosioni finali terminino l’opera.
Queste sfumature cupe sembrano, in una certa maniera, appropriate per un’opera “robusta” e “piena di sole” – come la definì Varèse -, il coronamento del suo decennio produttivo prima della depressione e della paralisi creativi che lo costrinse al silenzio per quindici anni.
Buonanotte e a domani!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Molto bene, Pierfrancesco. Buona notte, a domani 🙂
"Mi piace""Mi piace"
Mah. Come riporta il commentatore prima di me, ci sono chiari riferimenti a La sagra della primavera di Igor’ Stravinsky. Non apprezzo molto gli ‘omaggi’, le ‘citazioni’, in ogni campo: mi sembrano scopiazzature. Ai giorni, nostri, è tutto un campionare, lo so. Come se non bastasse, c’è anche l’intelligenza artificiale, che ha esteso a dismisura l’ambito del plagio organizzato e sistematico. Ma questo è tutt’un altro discorso.
"Mi piace"Piace a 1 persona