Concerto per violoncello – XVII

Krzysztof Penderecki (1933 - 29 marzo 2020): Concerto per violoncello e orchestra n. 2 (1982). Mstislav Rostropovič (dedicatario della composizione), violoncello; Phil­har­mo­nia Orchestra diretta dall’autore.

KP

12 pensieri riguardo “Concerto per violoncello – XVII

  1. Buonasera, caro Claudio, grazie mille di aver portato questo portentoso concerto per violoncello e orchestra, davvero un’interpretazione mozzafiato! 😊

    Penderecki viene ricordato come uno dei maggiori rappresentanti della scuola compositiva polacca degli anni ’60 del XX secolo. È stato anche uno dei primi compositori a impiegare nelle proprie opere la tecnica di estrarre suoni in modi non convenzionali da strumenti tradizionali [1].

    Nato a Dębica nella famiglia dell’avvocato e musicista dilettante Tadeusz Penderecki e di sua moglie Zofia Berger, il giovane si approcciò alla musica all’età di soli sei anni, prendendo lezioni private di pianoforte, anche se l’esperienza fu di breve durata a causa del cattivo approccio pedagogico del suo insegnante.

    Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, iniziò a studiare privatamente con Stanisław Darłak (violino) e con Stanisław Dalla (composizione), sotto il quale scrisse le sue prime composizioni. Nel 1951, si iscrisse all’Università Jagellonica, dove studiò con Franciszek Skołyszewski (teoria musicale) e con Stanisław Tawroszewicz (violino). Nel quadriennio 1954-1958, invece, il giovane studiò presso la Scuola Superiore Statale di Musica di Cracovia, dove ebbe come insegnanti Artur Malawski (violino) e Stanisław Wiechowicz (composizione).

    Dopo la laurea, Penderecki iniziò a insegnare presso l’istituto e, nel frattempo, iniziò a scrivere le sue prime composizioni, influenzate dalla musica di Webern, Boulez e Stravinsky.

    Nel 1959, le sue composizioni Strofe, Emanazioni e Salmi di Davide furono insignite dei primi premi al concorso dell’Unione dei Compositori Polacchi e ciò gli fece ottenere una borsa di studio per formarsi all’estero. In questo periodo, assieme ad alcuni amici (tra i quali Piotr Skrzynecki e Bronisław Chromy) fondò il salotto letterario Piwica pod Baranami (“Seminterrato (o cantina) sotto gli Arieti”) [2].

    Parallelamente, Penderecki si dedicò alla scrittura di pezzi per il teatro e per il cinema, fra i quali si ricordano la musica per lo spettacolo teatrale Chiave d’oro (1957) di Władysław Jarema, la musica per il primo film di animazione Bulandra e il diavolo (1959) di Jerzy Zitzman e Lechosław Marszałek e la musica per il primo cortometraggio animato Non c’è fine alla grande guerra (1959) di Jan Łomnicki.

    Negli anni successivi, il compositore continuò a scrivere per questi due ambiti, componendo oltre 20 colonne sonore originali per spettacoli drammatici e oltre 40 per spettacoli di marionette, ma anche per almeno 11 documentari e per 25 film di animazione per adulti e ragazzi.

    La fama internazionale, tuttavia, arrivò con la Trenodia per le vittime di Hiroshima e la Passione secondo San Luca, le prime opere nelle quali impiegò tecniche di articolazione non convenzionali, come bussare sul fondo degli strumenti ad arco o usare l’arco sulla cordiera. Poco tempo dopo, scrisse sulla stessa scia la sua prima opera lirica, I diavoli di Loudun (1969), eseguita in prima assoluta presso l’Opera di Amburgo sotto la direzione di Konrad Swinarski.

    Segui Fluorescences (1961), nel quale Penderecki aumentò la densità orchestrale con un maggior numero di fiati e ottoni e un’enorme sezione di percussioni di 32 strumenti per sei musicisti, tra i quali un güiro messicano, macchine da scrivere, gong e altri strumenti insoliti. Qui, per la prima volta, impiegò una nuova notazione musicale, rappresentando la musica come suoni in continua trasformazione.

    Un altro pezzo importante è Canon (1962) per 52 archi e 2 nastri, dove impiegò la tecnica delle masse sonore, drammaticamente accostate a mezzi tradizionali. In questo pezzo, i musicisti devono cantare a bocca chiusa in vari punti, mentre gli archi devono eseguire glissandi e armonici di massa, ripresi da uno dei nastri più avanti nell’opera.

    Negli anni ’70, Penderecki si dedicò alla scrittura di pezzi sacri, fra i quali si ricordano un Dies irae, un Magnificat e il Canticum Canticorum Salomonis per coro e orchestra. Nello stesso periodo, scrisse anche Kosmogonia (1970) per solisti, coro misto e orchestra, commissionatogli per la celebrazione del 25° anniversario della fondazione delle Nazioni Unite. Nel pezzo, sono accostati testi antichi di Sofocle e Ovidio e dichiarazioni contemporanee di astronauti sovietici e americani per esplorare musicalmente l’idea del cosmo.

    A partire dal 1973, invece, si dedicò alla direzione orchestrale, dirigendo varie formazioni in patria e all’estero ed eseguendo pezzi propri e di altri compositori.

    Al 1996, risale la sua sinfonia-oratorio Sette porte di Gerusalemme, scritta su commissione della città omonima per la celebrazione del giubileo dei 3000 anni della Città Santa. La prima ebbe luogo a Gerusalemme il 9 gennaio 1997, mentre la prima polacca si ebbe il 14 marzo dello stesso anno nella capitale.

    Come didatta, viene ricordato per la fondazione dell’Accademia Musicale Internazionale “Centro Europeo di Musica” di Lusławice.

    Il suo approccio stilistico non convenzionale è rappresentato egregiamente in opere come la Trenodia per le vittime di Hiroshima, Polymorphia e De Natura Sonoris I e II. Nel novero rientra, come detto sopra, anche la sua Passione secondo San Luca, anche se in essa il contrasto fra le scene drammatiche composte in modo avanguardistico è dato da episodi meditativi scritti con tecniche tradizionali.

    Nel corso della sua vita, Penderecki riuscì a realizzare in maniera davvero originale i postuali avanguardistici, culminando nella Sinfonia per orchestra. Tra questi, si ricorda l’”aleatorismo non intenzionale”, consistente nel registrare in maniera imprecisa le partiture. Ciò gli costo critiche dagli interpreti delle sue opere e, a partire dalle edizioni successive delle sue composizioni, il compositore consentì di scrivere le note alla vecchia maniera.

    A partire dagli anni ’70, Penderecki ritornò alla tonalità, scrivendo nello stile della musica sinfonica tedesca di fine Ottocento, come si può vedere nella sua Sinfonia n° 2 (o Sinfonia di Natale, così denominata per l’apparizione in apertura della frase iniziale del canto natalizio Silent Night). Nonostante le accuse di “tradimento dell’avanguardia”, il suo nuovo stile godette dell’approvazione del pubblico. Nel Concerto per violino n° 1, tra l’altro, il compositore abbandonò i densi cluster tonali in favore degli intervalli melodici di semitono e di tritono.

    Penderecki spiegò questo cambio di rotta affermando che la sperimentazione avanguardistica si era allontanata notevolmente dalle qualità espressive e non formali della musica occidentale, dicendo che: “L’avanguardia ha dato un’illusione di universalismo. Il mondo musicale di Stockhausen, Nono, Boulez e Cage era per noi, i giovani – stretti dall’estetica del realismo socialista, allora il canone ufficiale nel nostro paese – una liberazione… Mi sono presto reso conto, tuttavia, che questa novità, questa sperimentazione e speculazione formale, è più distruttiva che costruttiva; ho realizzato la qualità utopica del suo tono prometeico”.

    Nel 1975, scrisse un’altra composizione tonale, l’opera A Paradise Lost, per la celebrazione della commemorazione del bicentenario degli Stati Uniti nel 1976.

    Nella decade successiva, invece, si dedicò alla scrittura di opere “politiche”, sull’onda del crescente interesse per questo genere nel paese. Un famoso esempio è il Requiem polacco, classificato come appartenente al cosiddetto “realismo socialista liturgico”.

    Quest’opera fu scritta in più parti, seguendo un processo creativo che prevedeva la scrittura di una o più parti iniziali e, successivamente, seguiva l’aggiunta delle successive. Ciò portò alla presentazione e all’esecuzione dell’opera in prima assoluta per più volte. Anche la sua Sinfonia n° 7 (2005, commissionata per l’inaugurazione della Filarmonica del Lussemburgo)fu scritta nella stessa maniera e, nel 2020, l’opera conobbe un ulteriore completamento.

    Questa tendenza spinse Penderecki a trasferire in ambito musicale una tradizione originariamente appartenente all’ambito pittorico, consistente nel fatto che il maestro accetta commissioni e coordina il lavoro, mentre gli allievi si dedicano alla parte operativa, adattando l’opera a organici successivi o sviluppando le idee del loro maestro.

    Nel 1980, Penderecki fu incaricato dal governo di scrivere un pezzo per accompagnare lo svelamento di una statua presso i cantieri navali di Danzica, per commemorare coloro che erano stati uccisi nelle rivolte antigovernative nel decennio precedente. Da qui nacque Lacrimosa, successivamente ampliato e ribattezzato come Requiem polacco (1980-1984, 1993 e 2005).

    Morì nel 2020 nella sua casa di Cracovia, a seguito di una lunga malattia.

    La sua produzione annovera 5 opere liriche, 8 sinfonie e vari pezzi orchestrali, nonché diversi concerti per strumento solista, arrangiamenti corali di testi principalmente religiosi, pezzi cameristici e varia musica strumentale, nonché numerose musiche per il teatro e per il cinema.

    Il Concerto per violoncello e orchestra n° 2 fu eseguito per la prima volta l’11 gennaio 1983 dalla Filarmonica di Berlino, sotto la direzione di Penderecki e con Rostropovich al violoncello. All’epoca, fu ben accolto per la sua apparente espansione del linguaggio neo-romantico adottato dal compositore il decennio prima e che raggiunse il suo apice in A Paradise Lost, nella Sinfonia n° 2 e nel Te Deum.

    Questa composizione non segue la forma convenzionale del concerto in tre movimenti (veloce-lento-veloce), ma è strutturata in un’alternanza di sezioni lente e veloci, ciascuna delle quali appare tre volte, seguita da una coda in tempo lento. Le sezioni lente sono introdotte da un parente lontano e semplificato delle trame a blocchi pendereckiane, miste a glissandi poco profondi.

    L’atmosfera introduttiva è caratterizzata da grande incertezza e, addirittura, dall’arrivo di un imminente cataclisma, creati dal tritono risultante del Si naturale iniziale contrappuntato da un Fa naturale basso. L’inquietudine è amplificata dalle campane che rintoccano e da una catena di tritoni e semitoni ascendente verso una coppia di terze minore, riprese in seguito.

    L’opera inizia con una serie di “gesti” (crome reiterate accompagnate da glissandi poco profondi) discendenti e gelidi agli archi superiori, accompagnati da accordi tenuti degli archi inferiori. Questi “gesti” aumentano gradualmente di volume e di densità armonica fino a diventare un cluster accordale eseguito da tutti gli archi.

    Improvvisamente, essi scompaiono per lasciare il posto ad accordi pulsanti sui bassi e poi a una scrittura più stabile sugli archi inferiori. Solo ora appare il solista, il quale introduce un passaggio gradualmente ascendente (Vivo) che conduce a scambi orchestrali sostenuti. L’atmosfera generale è fatale e rassegnata, spesso infiammata per gli accesi scambi solista-ottoni, ben più attivi degli archi, soprattutto per i bruschi assalti delle percussioni.

    Queste si uniscono presto al solista prima della ripresa dei “gesti” iniziali degli archi (Tempo I), facendo seguire un pensieroso passaggio di scambio tra solista e legni superiori, il quale culmina in uno sviluppo molto elaborato. Da qui, la musica diventa nuovamente vivace (Allegretto), con il solista impegnato in accesi botta e risposta con archi e percussioni, culminanti in feroci cluster accordali e in attacchi ripetuti dei legni.

    Questi ultimi poi si placano gradualmente per far ritornare i “gesti” iniziali degli archi (Lento), dopodiché segue un monologo del solista, contrapposto a una trama prima di legni e percussioni e poi a un intenso dialogo con gli archi e gli ottoni, raggiungendo un vigoroso climax. L’atmosfera, assai seria, è dominata dalla grande attività delle percussioni e del solista (Allegretto), il quale guida l’orchestra in un’animata processione che porta a una sezione più capricciosa (Poco meno mosso) con ottoni e percussioni in primo piano.

    Questi eseguono un’elaborata cadenza accompagnata, con il solista che risponde variamente e in modo conflittuale all’orchestra, prima di spegnersi in accordi sostenuti. Riemergono per l’ultima volta i “gesti” iniziali degli archi (Tempo I), mentre il solista esegue una trenodia finale che ricrea l’atmosfera di incertezza iniziale. Archi superiori, legni e campane continuano a suonare da soli fino alla conclusione.

    Note:

    [1] Si fa riferimento al “sonorismo”, un approccio compositivo di matrice polacca consistente nell’esplorazione di fenomeni puramente sonori nelle opere. Il termine fu coniato negli anni ’60 dal musicologo Józef Michał Chomiński, anche se l’approccio in questione già esisteva fin dal decennio precedente all’interno dell’avanguardia musicale polacca.

    Le composizioni “sonoristiche” si concentrano su specifiche caratteristiche e qualità del timbro, della tessitura, dell’articolazione, della dinamica e del movimento, in modo da creare una forma maggiormente libera.

    Questo approccio valorizza anche la scoperta di nuove sonorità partendo da strumenti tradizionali, nonché la creazione di tessiture innovative create combinando suoni strumentali diversi in modi insoliti e unici. L’intenzione era quella di andare oltre la semplice interpolazione di colori individuali, di peculiarità e di sperimentazioni di ogni sorta, mirando a stabilire nuove funzioni strutturali in una composizione, per esempio impiegando accordi non funzionali al fine di creare determinati effetti sonori ed enfatizzando l’aspetto sonoro dei testi nella musica vocale.

    Tra i principali modi di estrarre le nuove sonorità dai vecchi strumenti si ricordano:

    • grattare, stridere e tamburellare sulla cassa degli strumenti ad arco;
    • estrarre il suono direttamente dalle corde o dalla cassa del pianoforte;
    • suonare strumenti a fiato di legno o di metallo incompleti o preparati.

    Spesso, i vari tipi di suoni vengono raggruppati in blocchi, i quali assumono i ruoli tradizionalmente attribuiti alla melodia, al ritmo o all’armonia. I cambiamenti del timbro, della tessitura e della dinamica, invece, sono impiegati per modellare la forma e la drammaturgia della composizione. Nelle opere “sonoristiche”, in particolare, si incontrano due tipi di struttura della forma:

    • un’idea sonora caratteristica e/o un’idea contrastante, spesso associate a una sintesi finale di entrambe verso la fine del pezzo;
    • un graduale aumento fino a un climax eseguito da tutto l’ensemble alla massima dinamica o, al contrario, al minimo.

    Le opere così concepite furono spesso accusate di essere “cataloghi di effetti” e, infatti, furono create in un periodo “sperimentale”. Con i mezzi acquisiti negli anni successivi, i compositori sono riusciti a dar vita a opere molto più complesse, di stampo sinfonico-cameristico, come dimostra soprattutto la Passione secondo San Luca di Penderecki.

    Molte partiture “sonoristiche”, tra l’altro, si sono spesso ispirate a disegni tecnici, grafici e, addirittura, elettrocardiogrammi, stravolgendo di conseguenza anche la sfera della notazione musicale.

    Le radici di quest’approccio affondano nel movimento nazionalista del “colorismo polacco”, sorto negli anni ’20 e il cui maggiore esponente è Karol Szymanowski. Il “sonorismo” propriamente detto fu sviluppato molto più tardi allo scopo di affrancarsi da un rigido serialismo e i maggiori contributi alla sua evoluzione provennero proprio da Penderecki. Anche altri compositori furono associati al movimento, come Grażyna Bacewicz, Henryk Górecki, Kazimierz Serocki, Wojciech Kilar, Witold Szalonek, Witold Rudziński, Zbigniew Bujarski, Zbigniew Penherski e Zygmunt Krauze.

    [2] Il salotto, ancora oggi esistente, è situato a Cracovia e, per oltre trent’anni dalla sua fondazione, è stato il cabaret politico più importante della Polonia, anche dopo la fine dell’era comunista. Fu creato nel 1956 dal regista Piotr Skrzynecki, fu inizialmente concepito come un luogo di incontro per gli studenti della città, in particolare coloro che erano impegnati in studi letterari, musicali, pittorici e drammaturgici. Al salotto, inoltre, erano benvenuti anche i loro amici e tutti coloro appassionati dell’arte in tutte le sue forme.

    Come si può dedurre dal suo nome originale, il salotto fu fondato nelle cantine del palazzo “Pod Baranami”. Nel corso della sua esistenza, questo luogo ha ospitato esibizioni di vario tipo (persino jazz) e, nel periodo compreso tra il 1960 e il 1970, fu la sede della rappresentazione delle migliori opere polacche, guadagnandosi la reputazione di una delle migliori sedi artistiche del paese. Spesso, queste opere erano davvero innovative o ironiche e impiegavano i testi più svariati, come il Cantico dei Cantici o la descrizione della riproduzione delle lumache tratta da un’antica enciclopedia.

    Il salotto fu anche il teatro di celebrazioni “rumorose”, tra le quali il compleanno del suo fondatore, celebrato anche dopo la sua morte in forma di concerti di compleanno presso il Teatro Juliusz Słowacki di Cracovia.

    Buonanotte e a domani!

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