Johann Strauß figlio (25 ottobre 1825 - 1899): Klänge aus der Raimundzeit, valzer op. 479 (1898), composto per l’inaugurazione del monumento a Ferdinand Raimund. Berliner Symphoniker, dir. Robert Stolz.
L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni
Klänge aus der Raimundzeit, il testamento musicale di Johann Strauß figlio
Oggi ricorre il bicentenario della nascita di Johann Strauß figlio: il fascino e l’eleganza della sua musica continuano a definire l’anima di Vienna. Forse non saranno molti a sapere quale sia l’ultima delle sue composizioni: si tratta di un valzer non completamente originale, ma intriso di una nostalgia così profonda da suonare come un commovente e involontario addio, Klänge aus der Raimundzeit (Suoni dai tempi di Raimund) op. 479, un’opera che chiude il ciclo creativo del celebre compositore austriaco con una straziante premonizione.
Il brano non fu concepito per essere eseguito nelle sale da ballo imperiali, ma per una celebrazione d’arte e memoria: fu infatti commissionato in occasione dell’inaugurazione del monumento a Ferdinand Raimund (1790 - 1836), celebre drammaturgo e attore austriaco, svoltasi a Vienna il 1º giugno 1898.
Strauß, che all’epoca aveva 73 anni e sentiva il peso del tempo, scelse un approccio unico: invece di comporre un nuovo valzer, creò un magnifico arazzo sonoro tessuto con le melodie della sua giovinezza e della «buona vecchia Vienna». Inizialmente intitolato Reminiscenz. Aus der guten alten Zeit (Reminiscenze. Dai buoni vecchi giorni), l’opera si propose come un preludio musicale che evocasse il mondo in cui Raimund aveva vissuto e lavorato.
Questa scelta non fu casuale: trovandosi alla fine di una carriera trionfale, il compositore sentì il bisogno di guardare indietro, onorando le radici della musica viennese che egli stesso aveva portato all’apice.
L’opera è strutturata come un valzer-potpourri, un’intima conversazione tra il presente e il passato: Strauß non solo omaggiò Raimund, i cui drammi erano il fulcro della serata commemorativa al Deutsches Volkstheater, ma incluse intenzionalmente i suoi predecessori e maestri.
Lo spartito originale riportava a mano la lista delle fonti, che include figure cruciali della musica popolare viennese: Drechsler, Kreutzer, Lanner, Wenzel Müller, e, significativamente, Johann Strauß padre.
L’orchestrazione di questo valzer è sorprendentemente modesta e intima, come rivelò il compositore in una lettera al fratello Eduard: «Questo piccolo lavoro è scritto per una piccola orchestra che comprende 1 flauto, 1 oboe, 2 clarinetti 1 fagotto, 2 corni, 2 trombe e un quartetto d’archi». Lontano dalla grandiosità delle orchestre da concerto, questa strumentazione da camera accentua il carattere nostalgico e personale del brano.
La sequenza di temi scelti costituisce un vero e proprio viaggio nel tempo:
1. Introduzione: «Brüderlein fein» (Piccolo fratellino), l’“Addio alla gioventù” dal dramma Das Mädchen aus der Feenwelt di Joseph Drechsler;
2. Steyrische Tänze op. 165 di Joseph Lanner (il collega-rivale di Johann Strauß padre);
3. «So leb’ denn wohl, du stilles Haus» (Così addio, tu, casa quieta), da Der Alpenkönig und der Menschenfeind di Wenzel Müller;
4. Das Leben ein Tanz, oder Der Tanz ein Leben!, valzer op. 49 di Johann Strauß padre;
5. Die Schönbrunner, valzer op. 200 di Lanner;
6. «Hobellied» (La canzone della pialla) da Der Verschwender di Conradin Kreutzer;
7. Deutsche Lust, oder Donau-Lieder ohne Text, valzer op. 127 di Johann Strauß padre.
La critica dell’epoca colse immediatamente il fascino malinconico della composizione. Il Fremden-Blatt osservò il 10 giugno: «Con la sua famosa vecchia verve. Delizioso, caldo e malinconico, poi di nuovo allegro, risuonano quei vecchi motivi da Kreuzer, Lanner, Strauss padre e del caro, buono, semplice Wenzel Müller, il Mozart dei tempi in cui Vienna era circondata dai bastioni!»
Anche il pubblico fu tangibilmente commosso dalle reminiscenze musicali del maestro, accogliendo l’esecuzione con grandi applausi. L’acclamazione del pubblico si dimostrò però maggiore quando Strauß lo eseguì, con il titolo di Klänge aus der Raimundzeit, al concerto di beneficenza del fratello Eduard con l’Orchestra Strauss nella Sala dorata del Musikverein nel pomeriggio di domenica 27 novembre 1898.
Ciò che rende Klänge aus der Raimundzeit un vero e proprio testamento spirituale è la sua enfasi sui temi dell’addio e della separazione. Strauß, pur celebrando il passato di Vienna, sembrava consapevole che anche il suo tempo stava per finire.
I motivi centrali sono due canti di addio, sapientemente intrecciati nell’Introduzione e ripresi con enfasi nella coda finale del valzer: «Brüderlein fein» e «So leb’ denn wohl, du stilles Haus». Il testo del primo, che Strauß scelse come apertura e chiusura del suo ultimo lavoro, recita: «Anche se il Sole è splendente e brillante, prestò dovrà cedere il posto alla notte.» Questa scelta non fu un semplice tributo letterario, ma un profondo riflesso interiore.
Un anno dopo la prima esecuzione, Strauß morì di polmonite, il 3 giugno 1899. L’ultima scena della sua vita confermò, in maniera straziante, il significato profondo e personale del suo ultimo valzer.
Adèle Strauß, la moglie, ha lasciato una testimonianza indimenticabile di quegli istanti finali: «Il 1° giugno 1899, povero Jean (Johann), in un momento di delirio, continuava a chiamare me e mia figlia incessantemente… E mentre stava lottando per l’ultimo respiro, cantò una straziante canzone! Una vecchia canzone… Pronunciò con le sue labbra pallide solennemente delle parole che risuonarono in maniera spettrale nella stanza: “Brüderlein fein—einmal muss geschieden sein!” [Piccolo fratellino, un giorno ci dovremo dividere!]».
Quell’addio, che Strauß aveva messo al centro della sua ultima composizione, divenne il suo ultimo respiro.
L’introduzione stabilisce immediatamente l’atmosfera: si apre con un suono solenne, quasi cerimoniale, dominato da fiati e archi, un tono che evoca l’occasione formale per cui il valzer fu scritto. Il cuore emotivo di questa prima parte è rappresentato dal tema di «Brüderlein fein», presentato dapprima con un tono leggero e quasi sognante, con gli archi in evidenza, ma impostato sulla base di un sottotono malinconico, sottolineato dalla progressione armonica. Poco dopo, l’orchestra espande il tema, rendendolo più pieno e sentimentale. L’esposizione si conclude con una serie di scale ascendenti e armonie ricche, che sfociano in un momento drammatico e teso, prima di stabilizzarsi per la transizione verso il primo valzer.
Questo irrompe con una vivacità e un ritmo inequivocabilmente danzante, tipico del Ländler o dei balli contadini stiriani. Il tema è brillante e ritmicamente incisivo, scandito da un tempo moderato e allegro. Gli archi e i legni scambiano rapide frasi, mantenendo un umore spensierato e rustico, e riflettendo l’aspetto gioioso e folcloristico della vecchia Vienna, in netto contrasto con l’atmosfera meditativa dell’Introduzione.
Il secondo valzer introduce invece un cambiamento d’umore drastico e significativo: l’atmosfera si fa immediatamente più intima e toccante, mentre l’orchestrazione è più scura e gli archi conducono il tema con calore malinconico, sostenuti da armonie discrete. Questa parte è il primo vero segnale del tema d’addio che pervade l’intera composizione, inserendosi come un momento di profonda riflessione all’interno della cornice celebrativa. La sezione centrale mantiene la calma, anche se con un lieve aumento di intensità emotiva, prima di ritornare alla quiete iniziale.
Successivamente, la musica cambia registro, riportando la festa al centro della scena con il valzer paterno. Il tema è energico e vivace, con la tipica propulsione ritmica che caratterizza il valzer viennese. È un omaggio aperto del figlio al padre, in un contesto di gioia pura: l’orchestra è piena e gli ottoni emergono per dare enfasi al ritmo di danza, celebrando la vita, il ballo e l’età d’oro del valzer (come suggerisce il titolo stesso dell’opera originale). La sezione è caratterizzata da passaggi virtuosistici degli archi che danzano sopra la base ritmica stabile, culminando in un’energica cadenza.
Il quarto valzer ha una qualità meno frenetica del precedente, più lirica e scorrevole. La rielaborazione straussiana mostra il suo genio nell’arrangiamento e utilizza i fiati e i pizzicati degli archi per creare un effetto aereo e leggero. La melodia si sviluppa attraverso diverse tessiture orchestrali, passando da un’intimità cameristica a sezioni più orchestrate. Questo passaggio è un esempio del “dialogo” che il compositore austriaco intesse tra il suo stile e quello dei suoi predecessori.
Il quinto valzer introduce un tono di riflessione popolare: originariamente una canzone del falegname, il tema è schietto, melodico e immediato, ma trattato con grande espressione dagli archi. Si nota una progressione emotiva, che parte da una melodia semplice e si arricchisce in dinamiche e colori orchestrali, con enfasi sulle sezioni d’ottoni. La musica poi accelera momentaneamente, con trilli e passaggi veloci che portano a un culmine breve ma intenso, prima di dissolversi per preparare il ritorno dei temi più significativi.
La coda è la sezione più carica di significato emotivo e funge da vero e proprio epilogo personale: Strauß riporta in primo piano i due temi d’addio introdotti all’inizio, unendoli in un commovente congedo: «So leb’ denn wohl, du stilles Haus» ritorna con una sonorità delicata e dolcissima, affidata in gran parte agli archi acuti. Il sentimento è di rassegnazione pacifica, ma profonda. «Brüderlein fein» è invece ripreso dall’orchestra, trasformandolo in un lamento sussurrato. Il tema è associato alle parole che Strauß avrebbe cantato sul letto di morte («einmal muss geschieden sein!» – un giorno ci dovremo separare!), e risuona qui con una chiarezza emotiva schiacciante.
Gli ultimi momenti sono un’apoteosi malinconica che si basa sul secondo valzer paterno: la musica cresce in intensità, con l’intera orchestra che si unisce in un addio maestoso e solenne. Le armonie si espandono, portando il tema a una conclusione definitiva e toccante, lasciando l’ascoltatore con il senso di una chiusura definitiva, sia per l’omaggio a Raimund, sia per l’addio personale del compositore alla sua amata Vienna e alla vita stessa.
Nel complesso, Klänge aus der Raimundzeit è un capolavoro di citazione e rielaborazione, dove l’abilità di Strauß non risiede nella creazione di nuove melodie di valzer, ma nella loro sapiente tessitura narrativa e armonica. Utilizzando temi associati alla giovinezza di Vienna e carichi di significati d’addio, egli ha composto un’elegia mascherata da festeggiamento, un addio musicale che, sebbene scritto per una circostanza pubblica, si è rivelato essere il suo intimo, premonitore testamento.

Io non lo vedo il video
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Strano. Prova a ricaricare la pagina.
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Niente da fare; mi dice che il video non è disponibile, grazie lo stesso.
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Mi spiace 😦
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👍
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🙂
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Last but not least. C’è Un gran bisogno di strappare via il peso della cronaca e la musica può compiere questa magia, almeno per un lasso di tempo si torna a fantasticare sulle note più leggere dell’animo. Buon sabato Claudio 🙂
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Buon sabato a te, Daniela 🙂
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Grazie 😊
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Ma di nulla, per noi è un piacere 🙂
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Buonasera, caro Claudio, sono passato per un saluto… oggi giornata impegnativa con la raccolta delle olive 🙂. Ti auguro una buona serata 😊
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Per commemorare ulteriormente il “Re del Valzer”, eccovi vari aneddoti interessanti sulla sua vita personale e professionale:
Questo è tutto, buonanotte!
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Grazie mille, Pierfrancesco 🙂
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Infinite grazie per questo bellissimo racconto che completa la musica così piacevolmente.
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Lieto che le sia piaciuto, buonanotte ☺️
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Molto gradevole.
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