Giorgio Ferrari (24 dicembre 1925 - 2010): Concerto per violino e orchestra (1966). Riccardo Brengola, violino; Orchestra Sinfonica della RSR di Ginevra diretta dall’autore.
- Andante molto moderato
- Mosso [8:36]
- Adagio [16:52]
- Presto [24:46]
L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni
Ricordo di Giorgio Ferrari
Giorgio Ferrari è stato una figura centrale nel panorama musicale italiano del Novecento, distinguendosi non solo come compositore dotato di originalità, ma anche come influente direttore didattico e organizzatore culturale, contribuendo attivamente alla vita musicale, in particolare tra Torino e Genova.
La formazione e l’affermazione come compositore indipendente
Ferrari compì gli studi a Torino, dimostrando una notevole versatilità intellettuale e artistica: conseguì la laurea in giurisprudenza e ottenne i diplomi in violino e composizione, studiando con i maestri Bellardi e Maghini. Perfezionò la preparazione seguendo anche le lezioni di direzione d’orchestra tenute da Carlo Zecchi presso l’Accademia Chigiana di Siena. Dopo un iniziale periodo dedicato all’attività di violinista, si concentrò sulla composizione. La sua opera si affermò internazionalmente già all’inizio degli anni sessanta, grazie a un linguaggio caratterizzato da originalità e libertà espressiva, tanto da essere indicato dalla critica come uno dei più interessanti compositori indipendenti della sua generazione. I suoi successi internazionali includono il Premio Serate musicali fiorentine, il premio della critica al Concorso di Divonne-les-Bains (Parigi), il primo premio al Concorso «Regina Maria José» a Ginevra e il primo premio al Concorso per quartetto d’archi di Liegi.
Opere e linguaggio musicale
La produzione di Ferrari spazia attraverso diversi generi, con un’attenzione particolare alla musica da camera, sinfonica e teatrale. Tra le sue creazioni spiccano più di venti composizioni sinfoniche e circa cinquanta opere strumentali e vocali, oltre a cinque opere liriche e di danza, tra le quali spiccano le opere Cappuccia, Lord Savile, I mantici e Il cerchio, e lo spettacolo di danza Ludus.
Il ruolo di didatta e organizzatore culturale
Accanto alla carriera compositiva e a quella di direttore d’orchestra, Ferrari dedicò grande energia alla didattica e all’organizzazione della vita musicale italiana, ricoprendo cariche di altissimo livello in istituzioni chiave. Fu direttore dell’Istituto musicale di Sassari (1961-66) e successivamente insegnante di composizione al Conservatorio di Torino. Di quest’ultima istituzione divenne direttore, mantenendo la carica per sedici anni (1978-94). Rivestì amche ruoli cruciali nella gestione degli eventi musicali, agendo come direttore artistico del Teatro Regio di Torino (1968-70) e dell’Autunno musicale trevigiano (1975-78). Dal 1987 fu direttore artistico e presidente delle giurie del prestigioso Premio «Paganini», Concorso internazionale di violino di Genova. Contribuì infine all’organizzazione del Concorso «Regina Maria José» di Ginevra, del Premio «Viotti» di Vercelli e del Concorso di Vittorio Veneto.
Eredità e riconoscimenti istituzionali
Il suo instancabile lavoro nel campo della composizione, dell’insegnamento e dell’organizzazione fu ampiamente riconosciuto. Per il suo impegno nel rilancio del Premio «Paganini», il Comune di Genova gli conferì il Grifo d’oro. Fu inoltre nominato accademico effettivo dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia a Roma e, in riconoscimento della sua attività a favore della cultura e dell’arte, il capo dello Stato gli conferì nel giugno 1994 il diploma dei Benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte.
Il Concerto per violino e orchestra
Opera complessa e affascinante, si colloca nel pieno della maturità artistica di Ferrari, riflettendo la sua identità di compositore indipendente caratterizzata da una spiccata originalità e libertà di linguaggio. L’opera è strutturata in quattro movimenti, ma si distingue per il suo uso di un linguaggio post-tonale e talvolta espressionista, in cui il violino solista non si limita a brillare virtuosisticamente, ma dialoga intensamente con un tessuto orchestrale denso e spesso drammatico.
Il primo movimento funge da introduzione meditativa e complessa all’intero concerto. L’indicazione Andante molto moderato suggerisce un’andatura lenta e controllata, ma la musica si rivela subito ricca di tensione emotiva. L’apertura è affidata a un’atmosfera cupa, quasi sospesa, con l’orchestra che introduce subito un colore scuro e un denso tessuto armonico e timbrico. Le linee melodiche non sono immediatamente chiare, ma si percepisce una costante dialettica fra momenti di introspezione lirica e brevi, ma potenti, accensioni drammatiche.
Il compositore utilizza un linguaggio atonale o per lo meno marcatamente post-tonale, con armonie che evitano risoluzioni convenzionali, mantenendo l’ascoltatore in uno stato di attesa irrisolta. Le tessiture sono fitte, specialmente negli archi e nei fiati gravi, creando un sottotesto emotivo profondo per l’ingresso del solista.
Il violino entra quasi subito, non con un tema cantabile immediato, ma con una linea melodica estremamente espressiva e virtuosistica. La parte solistica è caratterizzata da ampi intervalli, salti repentini e un uso frequente di tecniche estese (come l’uso di armonici e il registro acuto) che mettono in risalto l’abilità tecnica e interpretativa del violinista.
La relazione tra solista e orchestra è di costante interazione, ma anche di conflitto. Il violino sembra emergere dalla densità orchestrale come voce individuale, a tratti lamentosa o intensamente lirica, specialmente nelle sezioni più pacate. La dinamica varia continuamente, dal sussurro al culmine appassionato, richiedendo un controllo timbrico eccezionale.
La struttura è fluida, più vicina a un poema sinfonico o a una forma libera che a una forma sonata tradizionale, poiché emergono cellule motiviche ricorrenti, piuttosto che temi ampi e riconoscibili. Si nota un passaggio dove il solista si impegna in un fitto dialogo con gli strumenti a corda, con linee ascendenti e discendenti frenetiche. Successivamente, la tensione si allenta in momenti di lirismo, dove il violino esplora il registro più alto e delicato, accompagnato da una tessitura orchestrale più rarefatta.
Il movimento culmina in un climax dominato da sonorità aspre e disarmoniche nell’orchestra, che sfociano in un momento di intensa retorica e virtuosismo estremo per il violino, prima di dissolversi lentamente in atmosfere eteree e quasi mistiche, dove le note lunghe e gli armonici del violino portano l’ascolto alla risoluzione silenziosa.
Il secondo movimento, Mosso, rompe con l’introspezione del primo, introducendo un elemento di agitazione e vitalità ritmica, sebbene mantenga la complessità armonica di Ferrari. Esso si apre con energia improvvisa e con un carattere animato e dinamico. La pulsazione ritmica è irregolare e propulsiva, dominata da figure brevi e incisive negli archi e nei fiati. La musica è concitata e motoria, tipica di un certo espressionismo del dopoguerra. Il solista è immediatamente inserito in questo turbine ritmico, eseguendo passaggi rapidissimi e spesso dissonanti, che richiedono grande agilità. Si percepisce un senso di instabilità e movimento perpetuo.
Ferrari sfrutta la variazione timbrica e la tecnica virtuosistica per mantenere l’interesse. Sono evidenti i passaggi in cui il violino usa pizzicati alternati a figurazioni velocissime in spiccato o saltato, spesso in dialogo serrato con i fiati. La scrittura orchestrale è incisiva e percussiva, con blocchi sonori che si muovono rapidamente, creando effetti di luce e ombra che inseguono o contrastano il solista. C’è un costante impiego di politonalità e armonie serrate che contribuiscono al senso di inquietudine.
Il movimento è essenzialmente una sequenza di episodi rapidi, interconnessi da transizioni virtuosistiche. L’interazione tra solista e orchestra è di tipo quasi antagonistico: l’orchestra stabilisce un quadro ritmico frenetico, nel quale il violino cerca di tracciare la propria, velocissima, strada. Verso la fine, la velocità si intensifica ulteriormente, portando a una sezione conclusiva caratterizzata da un crescendo ritmico e dinamico, con figurazioni ascendenti e discendenti che precipitano in una brusca e netta conclusione.
L’Adagio fornisce invece il cuore lirico e meditativo del concerto, bilanciando la frenesia dei movimenti esterni. Il movimento si apre con un senso di grande spazio e solitudine. Il tempo lento è qui fondamentale. L’orchestrazione si fa più trasparente, lasciando emergere lunghe linee melodiche negli archi e l’uso ponderato dei fiati per colorazioni armoniche.
Il tema principale è introdotto dal solista, con una melodia ampia e profondamente sentita, che si sviluppa in un registro cantabile e sostenuto. Nonostante la natura lirica, la tensione armonica non scompare; il linguaggio resta moderno, con dissonanze dolenti che impediscono al pathos di cadere nel sentimentalismo.
Il violino sfrutta il suo potenziale espressivo massimo: si sentono vibrati intensi, cambi di colore improvvisi e passaggi di grande difficoltà emotiva e tecnica. L’orchestra fornisce un supporto spesso statico, quasi un organo meditativo, che amplifica l’espressione del solista. Particolarmente toccanti sono le sezioni centrali, dove la linea melodica si innalza, con picchi di intensità drammatica seguiti da ritorni a un tono più intimo e rassegnato. Il contrasto tra l’isolamento melodico del violino e la massa sonora sottostante dell’orchestra crea un effetto di contemplazione e malinconia.
Come nel primo movimento, l’Adagio si conclude con una progressiva rarefazione del suono. Gli archi smorzano la loro intensità, i fiati si ritirano. Il violino solista mantiene l’ultima parola, in passaggi delicati e frammentati, portando il movimento a una conclusione estremamente dolce e quasi irrisolta, lasciando un senso di sospensione emotiva prima dell’attacco finale.
Il finale, Presto, reintroduce l’energia cinetica, trasformandola in una conclusione brillante e spavalda. Il movimento si scatena immediatamente con un’esplosione di virtuosismo orchestrale e solistico. Il tempo è rapidissimo e il carattere è di grande eccitazione. Ferrari utilizza schemi ritmici irregolari e complessi, ma eseguiti con precisione fulminea, che danno alla musica una qualità quasi meccanica, ma carica di vitalità.
Il violino solista è costantemente impegnato in sezioni di alta acrobazia tecnica: arpeggi, scale fulminee, doppi e tripli salti e passaggi in corsa che richiedono una resistenza notevole. La scrittura è tipica di un concerto virtuosistico del XX secolo, dove l’esibizione muscolare è messa al servizio di un’idea musicale complessa.
A differenza dei movimenti precedenti, qui il materiale tematico è più frammentato e basato sull’interazione di piccole cellule ritmiche e motiviche. Ci sono scambi vivaci tra il solista e diverse sezioni dell’orchestra, in particolare gli ottoni e i legni, che creano un mosaico sonoro denso e cangiante. Una sezione di particolare intensità si sviluppa con l’orchestra che martella ostinati ritmici mentre il violino esegue passaggi quasi frenetici, evidenziando il lato più feroce e drammatico dell’opera.
Il movimento si dirige verso una conclusione di grande impatto. La tensione accumulata si scarica in un ultimo, travolgente climax sonoro, in cui il solista e l’orchestra si uniscono in una corsa finale di figurazioni virtuosistiche che raggiungono il culmine dinamico. La cadenza conclusiva è perentoria e brusca, chiudendo il concerto con una dichiarazione di forza e irriverenza.
Nel complesso, l’opera è di grande statura e bilancia momenti di profonda riflessione lirica con un virtuosismo tecnico esigente. Ferrari dimostra una maestria orchestrale nel costruire tessiture che sono allo stesso tempo colorate e armonicamente audaci. Questo concerto è un testamento della sua abilità nel fondere la tradizione formale con un linguaggio moderno e indipendente, confermando il suo posto tra i compositori più significativi della sua generazione in Italia.

Interessante, mai conosciuto. Grazie, Claudio.
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Avevo conosciuto Giorgio Ferrari quando frequentavo il Conservatorio di Torino. Sua figlia Anna è stata una mia collega alla Utet, dove ha lavorato all’ufficio iconografico e ha pubblicato un bellissimo Dizionario di mitologia .
Buona giornata, Marina 🙂
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Grazie!
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Grazie a te, e buon Natale 🙂
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