Dmitrij Šostakovič (1906 - 9 agosto 1975): Quartetto per archi n. 3 in fa maggiore op. 73 (1946). Quartetto Borodin.
- Allegretto
- Moderato con moto [6:50]
- Allegro non troppo [12:13]
- Adagio [16:35]
- Moderato [23:06]
L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni
Quartetto per archi n. 3 in fa maggiore op. 73
Composto nel 1946, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale e prima delle nuove purghe staliniste del 1948, l’opera rivela una straordinaria profondità psicologica e complessità strutturale. La tonalità è spesso instabile, riflettendo un mondo che ha perso le proprie certezze. La suddivisione in cinque movimenti, anziché i tradizionali quattro, permette a Šostakovič di costruire un arco narrativo epico: per la prima esecuzione – per evitare accuse di “formalismo” – il compositore diede ai movimenti dei sottotitoli programmatici che tracciano una sorta di “storia di guerra”.
Il Quartetto si apre in un’atmosfera di ingannevole serenità: il primo violino introduce un tema principale quasi infantile, una melodia spensierata e saltellante in una chiara tonalità di fa maggiore. Il dialogo tra il primo violino e il violoncello è giocoso, quasi una conversazione amichevole. La forma-sonata è chiaramente delineata: dopo il primo tema, emerge un secondo tema più lirico e cantabile, ma ancora immerso in un’aura di innocenza.
Lo sviluppo introduce le prime ombre: l’armonia si fa più complessa e cromatica, e il tema principale viene frammentato e trattato in modo più aspro, passando attraverso tonalità minori. La ripresa riporta il tema iniziale, ma la sua innocenza è ormai perduta e suona quasi come un ricordo forzato di una felicità passata. La coda accelera in un crescendo frenetico e si conclude con una serie di accordi secchi e perentori, che spazzano via ogni traccia della spensieratezza iniziale. La catastrofe non è ancora arrivata, ma la sua ombra si è proiettata in modo inequivocabile.
Il secondo movimento cambia radicalmente atmosfera: è uno scherzo spettrale, costruito su un ostinato della viola, sommesso e meccanico, che il violista esegue con una precisione glaciale, quasi disumana. Su questo tappeto sonoro, il violoncello introduce un pizzicato che suona come una minaccia in punta di piedi. L’inquietudine è palpabile e i violini entrano con melodie acute e lamentose, suonate “sul ponticello” per ottenere un suono vitreo e snervante.
La dinamica rimane per lunghi tratti in un pianissimo carico di tensione, che il quartetto gestisce con un controllo magistrale del suono: questa quiete è spezzata da improvvisi scoppi di violenza (fortissimo), brontolii che squarciano il silenzio. Il movimento non offre alcuna risoluzione e l’anticipazione della tragedia cresce costantemente, fino a dissolversi nel nulla, lasciando l’ascoltatore in uno stato di profonda ansia.
Senza alcuna pausa, il terzo movimento esplode con una violenza inaudita: tutti e quattro gli strumenti all’unisono martellano un tema brutale, dissonante e dal ritmo motoristico. Questa è la rappresentazione sonora della guerra: una macchina inarrestabile di distruzione. Le frasi sono brevi, spezzate e il tessuto musicale è saturo di dissonanze stridenti.
In un momento tipicamente šostakoviciano, il primo violino emerge con una melodia quasi banale, quasi una marcetta da circo, suonata sopra il caos implacabile degli altri strumenti: questo crea un effetto grottesco e terrificante, come se la follia della guerra avesse cancellato ogni logica. Il movimento culmina in un climax assordante, un collasso sonoro totale che rappresenta l’apice della devastazione. Lentamente, dalle macerie, emerge il tema della passacaglia del movimento successivo, introdotto prima dalla viola e dal violoncello.
Il quarto movimento, collegato attacca al precedente, è il cuore emotivo del Quartetto: è una passacaglia, una serie di variazioni su un basso ostinato. Il tema, esposto dal violoncello con un suono profondo e dolente, è una melodia di lutto e desolazione. Sopra questo tema ripetuto, gli altri strumenti intessono i loro lamenti: prima la viola con una melodia nuda e sofferente, poi il secondo violino e infine il primo, il quale si spinge al registro sovracuto, suonando pianissimo, come un pianto lontano e disperato. La musica è rarefatta, piena di silenzi che pesano quanto le note. È un vasto paesaggio di rovina e perdita, un requiem per le vittime della catastrofe. Il movimento non si conclude, ma si dissolve in un etereo armonico del primo violino, una nota fragile e sospesa che ci conduce direttamente al finale.
L’ultimo movimento s’inizia con una ripresa del tema apparentemente innocente del primo movimento, ma ora suonato dalla viola e dal violoncello in modo scarno, quasi scheletrico. L’innocenza è stata completamente prosciugata dalla tragedia e la domanda “perché?” è implicita in questa melodia svuotata.
Questo movimento è una sintesi e una riflessione sull’intero percorso del Quartetto: i temi dei movimenti precedenti riaffiorano come frammenti di memoria. Questi ricordi si scontrano, si interrompono a vicenda, senza trovare una sintesi o una risposta. Il primo violino tenta più volte di ristabilire la melodia iniziale, ma viene sempre interrotto o la sua melodia si dissolve. La lotta per trovare un senso è vana. Nell’ultima pagina, il tema del primo movimento ritorna per l’ultima volta, ma suonato pizzicato, come un fragile ricordo che si sta spegnendo. L’opera si conclude su un accordo di fa maggiore, ma è una conclusione ambigua, priva di trionfo: è una pace vuota, la pace di un cimitero e le ultime note pizzicate del violoncello suonano come l’eco finale dell’eterna domanda, lasciata senza risposta.

Jakub Jan Ryba (1765 - 8 aprile 1815): Quartetto per flauto e archi in fa maggiore. Jan Ostrý, flauto; Quartetto Nostitz. 




Bruno Barilli 













Cesare Pugni (1802 - 26 gennaio 1870): Quartetto per clarinetto e archi in si bemolle maggiore op. 4. Italian Classical Consort: Luigi Magistrelli, clarinetto; Giacomo Orlandi, violino; Luca Moretti, viola; Elisabetta Soresina, violoncello.
Erik Gustaf Geijer (12 gennaio 1783 - 1847): Quartetto in mi minore per pianoforte e archi (1825). Anders Kilström, pianoforte; Klara Hellgren, violino; Ingegerd Kierkegaard, viola; Åsa Åkerberg, violoncello. 

