Šostakovič 1975-2025 – I

Dmitrij Šostakovič (1906 - 9 agosto 1975): Trio per violino, violoncello e pianoforte n. 1 in do minore op. 8 (1923). Zsolt-Tihamér Visontay, violino; Mats Lidström, violoncello; Vladimir Aškenazij, pianoforte.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Trio con pianoforte n. 1 in do minore op. 8

Scritta nel 1923 – quando l’autore, sedicenne, era un allievo del Conservatorio di Leningrado – e originariamente intitolata Poème, la composizione si rivela matura e premonitrice; dedicata al primo amore di Šostakovič, Tat’jana Glivenko, fu eseguita privatamente nel 1924, ma rimase inedita per quasi sessant’anni, venendo pubblicata solo negli anni ’80.
Il brano si apre in un’atmosfera di profonda malinconia e introspezione: è il violoncello a inaugurare il discorso musicale, da solo, con un tema ampio, lirico e lamentoso in do minore. Questa melodia, caratterizzata da ampi intervalli e da un andamento rapsodico, diventerà la cellula generatrice dell’intera opera. La dinamica è estremamente sommessa (pianissimo), creando un senso di intimità e vulnerabilità. Poco dopo, il violino entra imitando il tema del violoncello a un’ottava superiore, creando un canone che intensifica il carattere dialogico e dolente della musica. L’intreccio contrappuntistico tra i due archi è delicato e trasparente.
Il pianoforte fa infine il suo ingresso, non come protagonista, ma con accordi arpeggiati e rarefatti nel registro acuto, quasi a creare uno sfondo sonoro spettrale e vasto. Il suo ruolo è inizialmente atmosferico: da questo momento, i tre strumenti iniziano a sviluppare il materiale tematico, con un crescendo che porta a un climax, dove il pianoforte assume un ruolo più assertivo. La sezione si conclude con un ritorno alla calma iniziale, conducendo senza soluzione di continuità alla sezione successiva.
Qui il cambiamento è repentino e radicale: il pianoforte introduce un tema secco, ritmico e grottesco, caratterizzato da un andamento motorio e da accenti sardonici. Questo tema – secondo una lettera dello stesso Šostakovič alla Glivenko – fu recuperato da una sua precedente Sonata per pianoforte in si minore, andata parzialmente perduta. È un primo, chiaro esempio di quello stile “scherzoso” e tagliente che diventerà un marchio di fabbrica del compositore. Gli archi entrano in pizzicato, sottolineando il carattere percussivo e quasi demoniaco della sezione. Il dialogo tra gli strumenti diventa serrato e conflittuale, con brevi frammenti melodici scambiati rapidamente. La musica acquista una tensione crescente, raggiungendo un culmine di energia frenetica: qui, la scrittura diventa densa e virtuosistica per tutti e tre gli strumenti, con il violino che si lancia in passaggi acuti e stridenti. La sezione si dissolve con la stessa rapidità con cui era iniziata.
Nella terza sezione, la musica precipita in un abisso di disperazione, assumendo il carattere di una marcia funebre: il pianoforte scandisce accordi gravi, pesanti e solenni e, su questo tappeto sonoro, il violino e il violoncello intonano all’unisono un nuovo tema, un canto tragico e declamatorio. L’uso dell’unisono conferisce alla melodia una forza straordinaria, come se fosse la voce di un coro dolente. Questa sezione rappresenta il cuore emotivo del trio, culminando in un’espressione di dolore devastante prima di placarsi gradualmente.
Riemerge il tema lirico dell’inizio, ma completamente trasformato: non è più una melodia sommessa, ma un’affermazione potente e angosciata, suonata dal pianoforte in ottave fortissimo: questa non è una semplice ricapitolazione, ma una rivisitazione del passato alla luce delle esperienze tragiche e grottesche delle sezioni centrali. La nostalgia iniziale si è trasformata in un grido di dolore.
La conclusione del brano è tanto inaspettata quanto geniale: la musica scatta in un Allegro finale, una danza sfrenata e delirante che riprende l’energia motoria dello scherzo, portandola a un livello estremo. Questo vortice sonoro culmina in una serie di accordi potenti, dopo i quali la musica subisce un crollo improvviso.
Il tempo rallenta drasticamente e ritornano frammenti del tema iniziale, ora come un ricordo lontano e spettrale: è interessante notare che le ultime 22 battute della parte pianistica andarono perdute e furono ricostruite decenni dopo dall’allievo di Šostakovič, Boris Tiščenko, per consentirne la pubblicazione. Il pezzo si conclude in un pianissimo etereo, con il violino che tiene un armonico acuto e cristallino, mentre il pianoforte e il violoncello si spengono su un accordo finale in do minore, sigillato da un ultimo, secco pizzicato. Il finale non offre risoluzione, ma una sorta di rassegnazione esausta, chiudendo il cerchio emotivo del brano.

Allegro con fuoco – II

Luise Adolpha Le Beau (1850 - 17 luglio 1927): Trio in re minore per violino, violoncello e pianoforte op. 15 (1877). Helga Wähdel, violino; Dietrich Panke, violoncello; Viola Mokrosch, pianoforte.

  1. Allegro con fuoco
  2. Andante [7:44]
  3. Scherzo: Allegro [13:19]
  4. Finale: Allegro molto [15:50]


L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Il talento ostinato di una pioniera: vita e arte di Luise Adolpha Le Beau

Pianista virtuosa, compositrice prolifica, insegnante e critico musicale, Luise Adolpha Le Beau lottò per affermarsi in un mondo dominato dagli uomini, lasciando un’eredità di opere significative e una testimonianza di tenacia intellettuale.

La formazione iniziale e i primi passi (1850-73)
Nata a Rastatt, nel granducato di Baden, Luise Le Beau ricevette la sua prima educazione direttamente dai genitori, dopo che il padre, Wilhelm, si era ritirato dalla carriera militare. Fu proprio il padre, anch’egli musicista, a impartirle le prime lezioni di pianoforte dall’età di cinque anni. A sedici anni, dopo aver completato la sua istruzione generale, decise di dedicarsi interamente alla musica.
Si perfezionò poi a Karlsruhe, dove studiò con Wilhelm Kalliwoda (pianoforte) e con Anton Haizinger (canto). Il suo talento emerse rapidamente: già nel 1868, a diciotto anni, debuttò come pianista eseguendo concerti di Beethoven e Mendelssohn. Su raccomandazione del celebre direttore Hermann Levi, studiò per un’estate con la leggendaria pianista Clara Schumann.

Il periodo di Monaco: apice creativo e riconoscimenti (1874-85)
Il trasferimento della famiglia a Monaco segnò l’inizio del periodo più fertile e di successo per Le Beau. Grazie a una lettera di raccomandazione di Hans von Bülow, fu ammessa come allieva privata del rinomato compositore e organista Josef Gabriel Rheinberger, dopo avergli presentato la sua Sonata per violino op. 10. Parallelamente, approfondì il contrappunto e l’armonia con Ernst Melchior Sachs.
In questi anni Le Beau non solo si dedicò alla composizione, ma si affermò attivamente sulla scena musicale come concertista: intraprese una tournée in Baviera nel 1877, eseguendo le proprie opere; dal 1878 collaborò come critico per la rivista «Allgemeine deutsche Musikzeitung»; fondò inoltre un corso privato di musica e teoria «per figlie di ceti colti», dimostrando una forte vocazione pedagogica.
Il suo spirito indipendente la portò a distaccarsi progressivamente dall’influenza di Rheinberger, studiando autonomamente le opere di compositori come Berlioz e Wagner, fino alla rottura del rapporto didattico nel 1880. Questo periodo culminò con la composizione e la prima esecuzione trionfale del suo oratorio Ruth op. 27 nel 1883 a Monaco. Nello stesso anno il suo Quartetto con pianoforte op. 28 venne eseguito nel prestigioso Gewandhaus di Lipsia. Gli anni di Monaco portarono a Le Beau vari riconoscimenti ufficiali, come il primo premio in un concorso di composizione per la Sonata per violoncello op. 17, nonché incontri cruciali con musicisti quali Franz Liszt e Johannes Brahms.

Una vita itinerante: le tappe di Wiesbaden e Berlino (1885-93)
Nel 1885, la famiglia si trasferì a Wiesbaden: qui Le Beau continuò a comporre, insegnare e vedere le sue opere eseguite. Tra le composizioni di questo periodo spiccano l’oratorio Hadumoth op. 40 e il Concerto per pianoforte op. 37. La sua fama divenne internazionale: il Quartetto con pianoforte fu eseguito a Sydney e l’oratorio Ruth a Costantinopoli. Un successivo trasferimento a Berlino nel 1890 le offrì nuove opportunità: sfruttò le vaste risorse della Biblioteca reale per approfondire i suoi studi e qui emerse il suo interesse per la musicologia: condusse ricerche sulle compositrici del passato e pubblicò nel 1890 un saggio pionieristico, Compositrici del secolo precedente, con particolare attenzione per Marianna von Martines, contemporanea di Haydn.

L’ultimo capitolo a Baden-Baden: opere della maturità e anni finali (1893-1927)
Nel 1893 la famiglia si stabilì definitivamente a Baden-Baden; qui furono eseguiti l’oratorio Hadumoth e la Sinfonia per grande orchestra op. 41. La sua vita fu però segnata da lutti personali: il padre morì nel 1896 e la madre nel 1900. Nonostante le difficoltà, la sua creatività non si arrestò: compose il poema sinfonico Hohenbaden op. 43 e, nel 1902, la sua unica opera lirica, Der verzauberte Kalif op. 55, basata su una fiaba di Wilhelm Hauff; difficoltà burocratiche ne impedirono la messa in scena. Continuò a comporre musica da camera, brani per pianoforte e corali fino agli ultimi anni. Scrisse la sua autobiografia, Memorie di una compositrice (1910) e continuò a viaggiare, insegnare e scrivere critiche per il giornale locale. Morì a Baden-Baden nel 1927 e oggi la città la ricorda con una targa commemorativa e intitolandole la Biblioteca musicale.

La ricezione critica: una voce nel dibattito musicale
La critica del suo tempo riconobbe il talento di Le Beau, pur inquadrandolo spesso attraverso la lente del pregiudizio di genere. Una recensione del 1878 loda i suoi duetti per la loro semplicità e piacevolezza, definendoli «vocalmente naturali»; il Riemann Musiklexikon (1882) descrive l’oratorio Ruth come un’opera piena di «calore del sentimento, senso per la melodia gradevole e gioia per le armonie ben suonanti», lodandola per aver evitato pretenziosità e per aver sviluppato con naturalezza le proprie doti; un altro critico, Alfred Christlieb Kalischer, sottolinea esplicitamente il suo ruolo nel «frantumare il radicato pregiudizio contro le creazioni musicali nate da mente femminile», riconoscendole il merito di contribuire a una battaglia culturale più ampia.

Trio con pianoforte in re minore: analisi
Composto nel 1877, durante il fertile e acclamato periodo di Monaco, questo lavoro rappresenta uno dei vertici della produzione cameristica di Luise Le Beau. L’opera, di stampo tardo-romantico, rivela una profonda padronanza della forma e un’ispirazione melodica e armonica che la colloca a pieno titolo nella tradizione di grandi maestri come Schumann e Brahms. L’interazione fra i tre strumenti è gestita con superba abilità, alternando momenti di impeto drammatico, lirismo cantabile e leggerezza virtuosistica.

Il primo movimento è un esempio magistrale di forma-sonata, caratterizzato da un forte contrasto tematico e da una scrittura densa e passionale. Il movimento si apre “con fuoco” e in fortissimo con un tema principale vigoroso e drammatico in re minore. Tutti e tre gli strumenti entrano all’unisono con una figura potente, seguita da accordi arpeggiati e possenti del pianoforte che ne sottolineano l’impeto. Questa introduzione stabilisce immediatamente un’atmosfera di urgenza e passione. Una sezione di transizione agitata, dominata da veloci passaggi del pianoforte, modula abilmente verso la tonalità relativa. In netto contrasto, emerge un secondo tema lirico e cantabile in fa maggiore. Viene introdotto dal violoncello con una melodia calda e sognante, cui risponde poco dopo il violino, mentre il pianoforte abbandona i risonanti accordi iniziali per fornire un accompagnamento più morbido e ondulato. Il dialogo tra gli archi crea un’oasi di serenità. L’esposizione si chiude con una ripresa dell’energia iniziale, utilizzando frammenti del primo tema per concludere con forza in fa maggiore.
Nello sviluppo, Le Beau rivela la propria maestria nel contrappunto: i due temi vengono frammentati, rielaborati e passati abilmente da uno strumento all’altro. Si attraversano diverse tonalità, prevalentemente minori, aumentando la tensione armonica. La scrittura pianistica diventa particolarmente virtuosistica, con scale rapide e arpeggi complessi che dialogano con le linee melodiche degli archi. Il primo tema ritorna con tutta la forza originaria nella tonalità d’impianto. La transizione viene modificata per rimanere nella tonalità principale e il secondo tema lirico riappare nella tonalità parallela (re maggiore), che dà un senso di speranza e trionfo sulla drammaticità iniziale. Il movimento si conclude con una coda estesa e travolgente. Il tempo accelera, spingendo la tensione al massimo. Frammenti del primo tema vengono portati a un culmine di intensità, chiudendo il movimento in modo deciso e inequivocabilmente drammatico nella tonalità iniziale.
Il movimento successivo rappresenta il cuore lirico e introspettivo del Trio: scritto in si bemolle maggiore, offre un profondo contrasto con la passione del movimento precedente. Si apre con una melodia semplice e meravigliosamente cantabile, introdotta dal violoncello su un delicato accompagnamento accordale del pianoforte. La melodia, dal carattere quasi di romanza senza parole, viene poi ripresa e arricchita dal violino, creando un dialogo intimo e toccante tra i due archi. La sezione centrale cambia drasticamente carattere: la tonalità si sposta (in sol minore) e la musica diventa più agitata e inquieta. Il pianoforte assume un ruolo più turbolento con arpeggi densi, mentre gli archi suonano con maggiore intensità e con l’indicazione marcato, creando un’onda di passione contenuta che spezza la serenità iniziale. Il tema principale ritorna, ma variato e impreziosito. L’atmosfera si rasserena nuovamente, portando il movimento a una conclusione estremamente delicata e pacifica, spegnendosi in pianissimo.
Il terzo movimento è uno Scherzo vivace e ritmicamente arguto in re minore, che ricorda la leggerezza di Mendelssohn. Esso inizia con un motivo leggero e giocoso in pizzicato per violino e violoncello, cui il pianoforte risponde con accordi staccati. Questa sezione è caratterizzata da una spiccata energia ritmica e da improvvisi contrasti dinamici che le conferiscono un carattere spiritoso e imprevedibile. Nella sezione centrale, in re maggiore, l’atmosfera cambia completamente. Il tempo rallenta leggermente in un sostenuto, e la musica assume un andamento più lirico e aggraziato, simile a un valzer sognante. Questa melodia fluida e cantabile offre un perfetto momento di contrasto prima del ritorno dell’energia dello Scherzo. Come da tradizione, la prima sezione viene ripetuta, per poi concludersi con una breve e scattante coda.
Il Finale è un movimento di grande impeto e complessità strutturale, costruito in una forma che unisce elementi del rondò e della sonata. Si inizia in re minore con un tema principale energico e martellante, caratterizzato da note staccate e da una spinta ritmica inarrestabile. Viene presentato prima dal pianoforte e poi ripreso con forza dagli archi. A questo tema principale si alternano episodi contrastanti: il primo, in fa maggiore, è più lirico e offre un breve respiro. Il tema principale ritorna per poi condurre a una sezione centrale più elaborata che funge da vero e proprio sviluppo. Qui, i motivi del tema principale vengono frammentati e rielaborati in un complesso intreccio contrappuntistico, dimostrando ancora una volta la grande abilità compositiva di Le Beau. Il Finale culmina in una coda spettacolare. Il tempo accelera progressivamente e l’intensità cresce in un vortice di virtuosismo: scale rapide del pianoforte e accordi potenti di tutti gli strumenti portano l’opera a una conclusione trionfale e affermativa in un brillante re maggiore, risolvendo definitivamente la drammaticità del re minore che aveva caratterizzato gran parte del Trio.

Andante molto cantabile

Johann Friedrich Reichardt (1752 - 27 giugno 1814): Trio per archi in fa minore op. 4 n. 2 (1773). Trio Agora: Margarete Adorf, violino; Andreas Gerhardus, viola; Mathias Hofmann, violoncello.

  1. Allegro moderato
  2. Andante molto cantabile [4:48]
  3. Un poco vivace [7:05]


L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Johann Friedrich Reichardt: vita e opere di un genio inquieto tra Illuminismo e Romanticismo

Insigne compositore e musicografo tedesco, Johann Friedrich Reichardt visse e operò in un’epoca segnata da importanti rivolgimenti politici e culturali.

Primi anni, formazione e l’inizio della carriera
Figlio del musicista di città Johann Reichardt, Johann Friedrich ricevette fin da bambino un’educazione musicale, eccellendo nel violino. A soli dieci anni, il padre lo presentò come ragazzo prodigio in tournée concertistiche nella Prussia Orientale. Su consiglio di Immanuel Kant, studiò giurisprudenza e filosofia a Königsberg e Lipsia (1769-71). Tuttavia nel 1771 interruppe gli studi per intraprendere un viaggio da virtuoso nello spirito dello Sturm und Drang, evitando una carriera borghese. Tornato a Königsberg nel 1774, divenne segretario di camera a Ragnit.

Kapellmeister a Berlino: riforme e frustrazioni
Nel 1775, dopo che Reichardt gli aveva inviato l’opera Le feste galanti come saggio, Federico II lo nominò regio maestro della cappella prussiana, succedendo a Johann Friedrich Agricola. Tentò di riformare l’orchestra, scontrandosi con l’opposizione dei musicisti e il gusto conservatore del re; di conseguenza Reichardt ridusse ai minimi termini il proprio impegno presso la corte prussiana. Nel 1777 sposò Juliane Benda, concentrandosi maggiormente sulla scrittura e sulla composizione di Lieder e opere strumentali.

Viaggi, incontri illustri e simpatie rivoluzionarie
Al ritorno da un viaggio in Italia, nel 1783, si recò a Vienna, dove conobbe l’imperatore Giuseppe II e Christoph Willibald Gluck. Ulteriori viaggi in Francia e Inghilterra non gli assicurarono il successo sperato, costringendolo, riluttante, a ritornare a Berlino. Dal 1786 strinse stretti legami con personalità come Johann Wolfgang von Goethe, Johann Gottfried Herder, Friedrich Schiller e Johann Georg Hamann. Falliti i suoi tentativi di stabilirsi a Parigi nel 1788, cionondimeno Reichardt si entusiasmò per le idee della Rivoluzione, di cui scrisse nelle Vertraute Briefe (Lettere confidenziali, pubblicate nel 1792); questo finì per costargli il posto alla corte di Prussia: nel 1794 fu licenziato senza pensione.

L’esilio a Giebichenstein e la disillusione napoleonica
Dopo il licenziamento visse prima ad Amburgo, dove pubblicò il giornale “Frankreich”, e nel 1794 si stabilì a Giebichenstein, presso Halle an der Saale. Nel 1796 fu nominato direttore delle saline di Halle, ma continuò a recarsi a Berlino per dirigere le proprie composizioni. La sua tenuta a Giebichenstein, l’ex Kästnersche Kossätengut, divenne un importante luogo d’incontro per i romantici (Herberge der Romantik). A seguito di un viaggio a Parigi, nel 1802, il suo entusiasmo per i francesi si raffreddò, tanto che Reichardt divenne un oppositore di Napoleone.

Gli ultimi anni e la scoperta tardiva della classicità viennese
Nel 1807 la sua tenuta fu saccheggiata dalle truppe francesi e Reichardt fuggì a Danzica. Tornato impoverito, fu nominato da Girolamo Bonaparte direttore teatrale a Kassel, incarico che durò solo nove mesi. Nel novembre 1808 cercò fortuna a Vienna, dove ebbe modo di conoscere, tardivamente, il Classicismo viennese attraverso le composizioni di Haydn, Mozart e Beethoven. Si ritirò presto a Giebichenstein, dove morì in solitudine il 27 giugno 1814 per una malattia allo stomaco. La sua tomba si trova nel cortile di San Bartolomeo a Halle. Nonostante l’intensa attività e i numerosi viaggi, i suoi contemporanei lo dimenticarono rapidamente.

Composizioni significative: Lieder e Singspiele
La fama di Reichardt come compositore è legata soprattutto ai Lieder su testi di Goethe, dove poté esprimere appieno la propria individualità, e ai Singspiele, genere che contribuì a elevare con l’aiuto di Goethe (Claudine von Villa Bella, Erwin und Elmire, Jery und Bätely). Musicò anche 49 testi di J. G. Herder e pubblicò Lieder massonici. Tra le sue composizioni più note figurano Bunt sind schon die Wälder (1799) e Wenn ich ein Vöglein wär (su testo di Herder). Una Passione di Gesù Cristo su libretto di Pietro Metastasio ottenne grande successo a Berlino, Londra e Parigi. Dedicò 12 Élégies et Romances a Ortensia de Beauharnais.

Reichardt musicografo
Fra le opere letterarie di Reichardt, ancor oggi considerate di grande valore, spiccano Briefe eines aufmerksamen Reisenden die Musik betreffend (Lettere di un attento viaggiatore sulla musica, 1774–76), Über die deutsche comische Oper (Sull’opera comica tedesca, 1774), gli articoli per la rivista “Musikalisches Kunstmagazin” (1781-92), Studien für Tonkünstler und Musikfreunde (Studi per musicisti e dilettanti di musica, 1793), le Vertraute Briefe aus Paris (Lettere confidenziali da Parigi, 1792 e 1804) e le Vertraute Briefe aus Wien (Lettere confidenziali da Vienna, 1810).

Composizioni non scritte; i cataloghi delle opere di Reichardt
La celebre raccolta di poesie Des Knaben Wunderhorn di Clemens Brentano e Achim von Arnim fu dedicata (nella postfazione) a Reichardt, nella speranza che ne musicasse i testi, cosa che però non avvenne. Esistono diversi cataloghi delle sue opere, curati da Hanns Dennerlein (opere pianistiche), Rolf Pröpper (opere teatrali) e Swantje Köhnecke (Lieder).

Analisi del Trio per archi op. 4 n. 2
Il Trio per archi in fa minore è un’opera affascinante che rappresenta pienamente il periodo dello Sturm und Drang.
Il primo movimento si apre con un’energia trattenuta ma palpabile, tipica della tonalità di fa minore, spesso associata a pathos e drammaticità. L’indicazione Allegro moderato suggerisce un tempo vivace ma non eccessivamente precipitoso, permettendo all’articolazione e al fraseggio di emergere con chiarezza. Strutturato in forma-sonata, esso vede il primo tema introdotto con decisione, caratterizzato da un motivo discendente e incisivo, spesso arpeggiato, con un forte accento ritmico e un’atmosfera inquieta. Il violino prende spesso l’iniziativa, sostenuto da un accompagnamento energico ma trasparente di viola e violoncello. La scrittura è densa e ricca di tensione armonica. Una transizione, breve ma efficace, modula verso la tonalità relativa maggiore.
Il secondo tema emerge in la bemolle maggiore, offrendo un netto contrasto. È più lirico, cantabile e disteso, spesso affidato al dialogo tra violino e viola, con il violoncello che fornisce una base armonica più morbida. Questa sezione porta un momentaneo sollievo dalla tensione iniziale. La codetta dell’esposizione conclude con materiale cadenzale affermativo in la bemolle maggiore, riprendendo un po’ dell’energia iniziale ma in un contesto più luminoso.
La sezione di sviluppo è caratterizzata da una maggiore instabilità armonica e da un’elaborazione dei motivi presentati nell’esposizione. Reichardt esplora diverse tonalità minori e maggiori più distanti, frammenta i temi e intensifica il dialogo contrappuntistico tra gli strumenti. Si percepisce un aumento della drammaticità e dell’urgenza espressiva, con passaggi cromatici e un uso più marcato delle dinamiche.
Il primo tema ritorna fedelmente in fa minore, riaffermando il carattere cupo e passionale del movimento. La transizione è modificata per preparare l’entrata del secondo tema trasposto nella tonalità d’impianto, intensificando ulteriormente il pathos del movimento e al contempo mantenendo una coerenza emotiva oscura e passionale. Una coda vigorosa e concisa conclude il movimento, ribadendo con forza la tonalità di fa minore e l’atmosfera drammatica generale, con un finale quasi brusco. L’uso di sincopi, ritmi puntati e improvvisi contrasti dinamici sono tipici della produzione musicale dello Sturm und Drang. La scrittura è idiomatica per gli archi, con un buon equilibrio tra le parti, sebbene il violino mantenga un ruolo primario.
Il secondo movimento offre un profondo contrasto con il precedente. La tonalità di la bemolle maggiore (relativa maggiore di fa minore) e l’indicazione Andante molto cantabile conducono l’ascoltatore in un’atmosfera lirica, serena e profondamente espressiva.
Il movimento si apre con una melodia squisitamente cantabile e dolcemente melanconica, affidata principalmente al violino. L’accompagnamento della viola e del violoncello è delicato e discreto, spesso con armonie tenute o leggeri pizzicati che creano un tappeto sonoro trasparente e intimo. Il fraseggio è ampio e respirato. La seconda sezione introduce un leggero contrasto e un dialogo tra gli strumenti leggermente più fitto. Ritorna la melodia principale della prima sezione, con lievi variazioni ornamentali e un diverso bilanciamento strumentale. Il movimento si conclude in un’atmosfera di serena contemplazione, spegnendosi dolcemente. La bellezza melodica è il tratto distintivo di questo movimento: Reichardt dimostra una grande sensibilità nel creare linee cantabili per gli strumenti, in particolare per il violino. L’armonia è prevalentemente consonante, contribuendo all’atmosfera pacifica e introspettiva.
Il finale ritorna alla tonalità d’impianto di fa minore, ma con un carattere un poco vivace, che suggerisce agilità e spirito, pur mantenendo una certa tensione data dalla tonalità minore. È un movimento ricco di energia ritmica e contrasti. Il tema principale, introdotto in fa minore, è energico, ritmicamente marcato, con un andamento quasi danzante ma con una sfumatura di urgenza. È conciso e memorabile. Il primo episodio contrasta con il ritornello, spesso modulando a tonalità vicine. Il materiale tematico è differente, forse più scorrevole o giocoso, con un diverso trattamento strumentale. Il tema principale riappare in fa minore, seguito da un altro episodio e dalla ripresa del tema principale. Segue una sezione che ha caratteristiche di sviluppo, con frammentazione motivica e una certa instabilità tonale, culminando in una ripresa dell’energia iniziale. Il tema principale ritorna per l’ultima volta, conducendo a una coda vivace e assertiva che conclude il trio con decisione in fa minore, riaffermando l’energia e la passionalità che hanno caratterizzato gran parte dell’opera.
Il movimento è caratterizzato da un vivace gioco ritmico, frequenti cambi di dinamica e un’abile scrittura dialogica tra i tre strumenti. La tonalità minore del ritornello conferisce al movimento un’energia inquieta, mentre gli episodi in maggiore offrono momenti di contrasto più sereno o giocoso.

Nel complesso, l’opera riflette pienamente lo spirito del suo tempo. L’influenza dello Sturm und Drang è evidente nella passionalità del primo movimento e nell’energia inquieta del finale, entrambi ancorati alla drammatica tonalità di fa minore. Il lirismo toccante dell’Andante centrale dimostra la versatilità di Reichardt e la sua capacità di creare melodie di grande bellezza. La scrittura per trio d’archi è efficace, con un buon bilanciamento tra gli strumenti, che dialogano costantemente tra loro. Questo Trio è una testimonianza significativa del talento del compositore e del vivace panorama musicale tedesco della seconda metà del XVIII secolo.

Presto leggiero

Cécile Chaminade (1857 - 13 aprile 1944): Trio n. 1 per violino, violoncello e pianoforte in sol minore op. 11 (1881). Trio Tzigane: Gillian Findlay, violino; Jennie Brown, violoncello; Elizabeth Marcus, pianoforte.

  1. Allegro
  2. Andante [8:28]
  3. Presto leggiero [13:19]
  4. Allegro molto agitato [17:21]

Notturno – XIII

Franz Schubert (1797 - 1828): Adagio in mi bemolle maggiore per violino, violoncello e pianoforte op. 148, D 897 (c1828). Augustin Dumay, violino; Frédéric Lodéon, violoncello; Jean-Philippe Collard, pianoforte.
Pubblicato per la prima volta nel 1846 dall’editore viennese Diabelli con il titolo apocrifo di Notturno, probabilmente era stato concepito quale movimento intermedio di una composizione di più ampio respiro — forse il Trio in si bemolle maggiore op. 99, D 898.

Allegro moderato – VIII

Clara Schumann (1819 - 20 maggio 1896): Trio in sol minore per violino, violoncello e pianoforte op. 17 (1846). ATOS Trio: Annette von Hehn, violino; Stefan Heinemeyer, violoncello; Thomas Hoppe, pianoforte.

  1. Allegro moderato
  2. Scherzo: Tempo di Menuetto [11:20]
  3. Andante [16:30 ]
  4. Allegretto [21:30]

Allegro brillante – I

Carl Gottlieb Reißiger (1798 - 7 novembre 1859): Trio n. 7 in mi maggiore per violino, violoncello e pianoforte op. 85 (c1833). Trio Art Nouveau: Orsolya Winkler, violino; György Déri, violoncello; Ervin Nagy, pianoforte.

  1. Allegro brillante
  2. Andante [12:19]
  3. Scherzo: Presto [20:54]
  4. Rondò: Allegro molto [26:39]

Reißiger, op. 85

Gli sghignazzi di Satana

Johannes Brahms (1833 - 1897): Trio in si maggiore per violino, violoncello e pianoforte op. 8 (1854, seconda versione 1889). Clara-Jumi Kang, violino; Jian Wang, violoncello; Alessandro Taverna, pianoforte.

  1. Allegro con brio
  2. Scherzo: Allegro molto [15:50]
  3. Adagio [22:37]
  4. Allegro [30:56]

Iniziammo a far musica verso le quattro ed eseguimmo due sonate per violino e pianoforte di Beethoven e un trio di Schubert. Dopo il tè venne finalmente il momento del Trio in si maggiore. Ho un debole per questo trio, soprattutto per l’attacco, di solenne esultanza.

[…]

Il secondo movimento del Trio in si maggiore, i cui ritmi mi hanno tante volte angosciato e scosso: mai sono riuscito a suonarlo fino all’ultima nota senza un profondo abbattimento, pur amandolo di vera passione.

Uno Scherzo, certo. Ma che genere di Scherzo! In esso lievita una terribile allegria, una gaiezza che raggela il sangue. Risa spettrali vorticano nello spazio, un folleggiare cupo, sfrenato e carnascialesco di creature dal piede caprino: questo è l’attacco, così inizia questo Scherzo bizzarro. E all’improvviso dal baccanale d’inferno si libra alta una voce solitaria, la voce di un’anima smarrita, la voce di un cuore straziato dal terrore che confida la sua pena.

Ma ecco nuovamente irrompere gli sghignazzi di Satana, travolgono fragorosi quegli accenti puri e lacerano in mille brani il canto. La voce riprende vigore, incerta e lieve, trova la sua melodia e la trasporta verso l’alto, quasi volesse fuggire in sua compagnia in un mondo diverso.

I diavoli dell’inferno tuttavia prevalgono, si è fatto giorno, l’estremo giorno, il giorno del Giudizio, Satana trionfa sull’anima peccatrice e la voce straziata dell’uomo precipita dalla sublime altezza giù giù nel disperato sghignazzo di Giuda.

Al termine del movimento, rimasi per lunghi minuti silenzioso fra spettatori silenziosi. Poi quell’universo desolato di larve cupe e incalzanti svanì. La visione del Giudizio si dissolse, l’incubo apocalittico si dileguò e mi rese la libertà.

da Leo Perutz, Il Maestro del Giudizio universale (Der Meister des Jüngsten Tages, 1923)
traduzione di Margherita Belardetti
© 2012 Adelphi Edizioni, Milano

Fantasmi – II

Ludwig van Beethoven (1770 - 26 marzo 1827): Trio in re maggiore per violino, violoncello e pianoforte op. 70 n. 1, Geistertrio (n. 4, 1808). Isaac Stern, violino; Leonard Rose, violoncello; Eugene Istomin, pianoforte.

  1. Allegro vivace e con brio
  2. Largo assai ed espressivo [6:34]
  3. Presto [17:45]

Perché questo brano è noto come Geistertrio, ossia «Trio degli spettri»? A quanto pare il titolo si deve indirettamente a Carl Czerny, il più celebre fra gli allievi di Beethoven, il quale nel 1842 scrisse che ascoltando il II movimento gli era venuta in mente la scena iniziale dell’Amleto.

Allegretto scherzando

Sveinbjörn Sveinbjörnson (1847 - 23 febbraio 1927): Trio per pianoforte e archi in mi minore. Nína Margrét Gunnarsdóttir, pianoforte; Auður Hafsteinsdóttir, violino; Sigurgeir Agnarsson, violoncello.

  1. Allegro
  2. Andantino [5:11]
  3. Allegretto scherzando [9:33]
  4. Allegro [12:56]

Grand Trio

Helene Liebmann (1795 - 2 dicembre 1869): Grand Trio in la maggiore per violino, violoncello e pianoforte op. 11 (c1816). Trio Vivente: Anna Katharina Schreiber, violino; Kristin von der Goltz, violoncello; Jutta Ernst, pianoforte.

  1. Allegro
  2. Andante [10:16]
  3. Polonoise [13:18]

trio

Allegro moderato e appassionato

Gustaf Hägg (28 novembre 1867 - 1925): Trio in sol minore per violino, violoncello e pianoforte op. 15 (1896). Karel Sneberger, violino; Leif Berry, violoncello; Albena Zaharieva, pianoforte.

  1. Allegro moderato e appassionato
  2. Andante — Poco agitato — a tempo — Poco agitato [9:56]
  3. Scherzo: Allegro vivace — Trio: Meno mosso [18:03]
  4. Allegro con fuoco [25:53]

GH

Molto espressivo

Wilhelm Kienzl (1857 - 19 ottobre 1941): Trio in fa minore per violino, violoncello e pianoforte op. 13 (1880). Thomas Christian, violino; Attila Pasztor, violoncello; Evgenij Sinaiskij, pianoforte.

  1. Allegro moderato
  2. Scherzo: Allegro molto [10:30]
  3. Adagio (Sehr ausdrucksvoll) [15:00]
  4. Allegro vivace [19:30]

Andante contemplativo

Arthur De Greef (10 ottobre 1862 - 1940): Trio in fa minore per violino, violoncello e pianoforte (1935). Trio Narziss und Goldmund: Wietse Beels, violino; Mieke De Laurée, violoncello; Piet Kuijken, pianoforte.

  1. Allegro
  2. Andante contemplativo [9:50]
  3. Molto appassionato [14:08]

Narciso & Boccadoro

Per il Baryton

Luigi Tomasini (22 giugno 1741 - 1808): Trio in do maggiore per Baryton, viola e violoncello Kor.19. Maddalena Del Gobbo, Baryton; Robert Bauerstatter, viola; David Pennetzdorfer, violoncello.

  1. Allegro spiritoso
  2. Minuetto
  3. Rondò: Allegretto

Baryton è il nome tedesco della viola di bordone: si tratta di uno strumento ad arco di dimensioni analoghe a quelle di un violoncello, solitamente dotato di sei corde principali e di nove corde di risonanza, tese sotto la tastiera.
Luigi Tomasini lavorò per circa trent’anni al servizio del principe Nicola I Esterházy, che era un ottimo musicista dilettante, gran virtuoso di Baryton: Joseph Haydn e Tomasini composero per lui e il suo strumento una gran quantità di brani, perlopiù trii.
Wikipedia dice che il Baryton cadde in disuso “per l’elevata difficoltà che comportava il suonarlo”. In realtà, la ragione per cui l’interesse per questo tipo di strumenti a un certo punto cessò è l’esilità del loro suono; la famiglia dei violini prevalse infine su quella delle viole proprio grazie alla robustezza del suono.


Allegro staccato

Domenico Porretti (1709 - 23 gennaio 1784): Sonata (Trio) in sol maggiore per violino, violoncello e clavicembalo. Capitol Chamber Artists: Mary Lou Saetta, violino; André Laurent O’Neil, violoncello; Alfred V. Fedak, clavicembalo.

  1. Adagio
  2. Allegro
  3. Largo
  4. Allegro staccato