Petite Symphonie

Charles Gounod (1818 - 18 ottobre 1893): Petite Symphonie per flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 corni e 2 fagotti (1885). The Saint Paul Chamber Orchestra, dir. Christopher Hogwood.

  1. Adagio – Allegretto
  2. Andante cantabile
  3. Scherzo: Allegro moderato
  4. Finale: Allegretto


L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Charles Gounod: il maestro dalle molte anime, tra melodia sacra e trionfi lirici

Charles-François Gounod, figura eminente della musica francese del XIX secolo, ha lasciato un’impronta indelebile con un’opera vasta e variegata, che spazia dal sacro al profano, dall’opera al coro. La sua vita fu un percorso intenso di formazione, esplorazione spirituale e successi clamorosi, non senza aspre critiche.

Le origini e la formazione musicale (1818-42)
Nato a Parigi, fu il secondogenito del pittore François-Louis Gounod e di Victoire Lemachois. Rimasto orfano di padre all’età di cinque anni, fu la madre, insegnante di pianoforte, a impartirgli le prime lezioni, rivelando precocemente il suo talento. Dopo gli studi al Lycée Saint-Louis, Gounod si immerse nello studio musicale, perfezionando l’armonia con Antoine Reicha e poi, al Conservatorio di Parigi, con Jacques Fromental Halévy, e la composizione con Jean-François Lesueur. Il suo talento fu presto riconosciuto: nel 1839 vinse il prestigioso Grand Prix de Rome con la cantata Fernand. Il soggiorno a Villa Medici gli permise di approfondire la musica religiosa, in particolare quella di Palestrina. Nel 1842, a Vienna, ebbe l’opportunità di assistere a una rappresentazione del Flauto magico di Mozart, esperienza che lo segnò profondamente, e di far eseguire la sua seconda messa con orchestra.

Tra vocazione sacerdotale e debutto compositivo (1843-1860)
Tornato a Parigi nel 1843, Gounod assunse il ruolo di organista e maestro di cappella presso la Chiesa delle Missioni estere. Questo periodo fu caratterizzato da una profonda riflessione spirituale: nel 1847 ottenne il permesso di indossare l’abito ecclesiastico, frequentò corsi di teologia a Saint-Sulpice e ascoltò i sermoni di Lacordaire. Tuttavia, le giornate rivoluzionarie del 1848 lo portarono a rinunciare alla vocazione sacerdotale e a lasciare l’incarico. L’anno successivo, grazie all’appoggio della celebre Pauline Viardot, Gounod ottenne il libretto di Sapho da Émile Augier, la sua prima opera, che debuttò all’Opéra il 16 aprile 1851, senza riscuotere un grande successo. Nel 1852 sposò Anna Zimmerman. Parallelamente, presiedette gli Orphéons della Città di Parigi dal 1852 al 1860, componendo numerosi cori come Le Vin des Gaulois. Nel 1860, la sua dedizione alla musica sacra lo portò a partecipare al Congresso per la restaurazione del canto gregoriano.

L’apice dell’opera e le sfide della critica (1858-67)
Gli anni ’50 e ’60 segnarono l’apice della sua carriera operistica. Nel 1858, in occasione dell’anniversario della nascita di Molière, fu rappresentato con successo l’opéra-comique Le Médecin malgré lui, su libretto di Jules Barbier e Michel Carré, con cui avrebbe spesso collaborato. Ma fu il 1859 a consacrarlo: la sua opera Faust, basata sull’opera di Goethe, debuttò al Théâtre-Lyrique riscuotendo un successo clamoroso, con 70 repliche solo nel primo anno. Seguirono nel 1860 gli opéra-comiques Philémon et Baucis e La Colombe. Nonostante il trionfo di Faust, Gounod affrontò anche critiche feroci. La Reine de Saba, creata nel 1862, si fermò dopo sole quindici rappresentazioni e fu stroncata da Paul Scudo, critico della “Revue des deux Mondes”, che lo accusò di emulare i «cattivi musicisti della Germania moderna» come Liszt e Wagner, avvertendolo di essere «irrimediabilmente perduto» se avesse persistito. Nel marzo 1863, Gounod incontrò Frédéric Mistral, dal cui poema Mirèio (Mireille) avrebbe tratto un libretto. Si trasferì a Saint-Rémy-de-Provence, dove la musica si impregnò dell’atmosfera del Midi, un periodo di pace e ispirazione. L’opera Mireille fu creata a Parigi nel marzo 1864, ottenendo però un successo solo moderato. Il riscatto arrivò nel 1867, quando Roméo et Juliette, durante l’Esposizione universale, fu accolta con un successo entusiastico.

Gli anni britannici, il ritorno e il crepuscolo sacro (1870-93)
Nel 1870, fuggendo l’invasione tedesca della Francia, Gounod si trasferì in Inghilterra, dove instaurò una liaison di quattro anni con la cantante Georgina Weldon. Durante questo periodo, vide l’insuccesso di Les deux Reines de France (1872) e il successo patriottico di Jeanne d’Arc, un dramma storico che ravvivò lo spirito nazionale francese. Nel 1874 Gounod lasciò la Gran Bretagna e tornò in Francia, dove si stabilì a Parigi nel 1878 e vi rimase fino alla morte. Nella parte finale della sua vita, Gounod si dedicò prevalentemente alla musica religiosa, componendo un gran numero di messe e due oratori maggiori: La Rédemption (1882) e Mors et vita (1885). Morì il 18 ottobre 1893 a Saint-Cloud, appena dopo aver completato il Requiem in do maggiore, considerato il suo canto del cigno. I funerali, dieci giorni dopo, furono nazionali e si tennero nell’imponente Chiesa della Madeleine, con l’intervento di figure come Camille Saint-Saëns e Théodore Dubois all’organo, e Gabriel Fauré alla direzione della maîtrise che, secondo il desiderio di Gounod, eseguì la Messa gregoriana dei defunti.

L’impronta musicale: un catalogo vario e persistente
Gounod ha lasciato un patrimonio di circa 500 opere musicali, la cui influenza si estende ancora oggi. È celebre soprattutto per le sue opere liriche: Faust, la sua opera più iconica, con il grandioso valzer che conclude il I atto e con arie celebri come «Le Veau d’or» di Mefistofele, l’“aria dei gioielli di Marguerite” «Ah! je ris», il coro dei soldati «Gloire immortelle de nos aïeux», la musica di balletto della Notte di Valpurga e il coro finale degli angeli «Sauvée, Christ est ressuscité»; Roméo et Juliette: un altro grande successo, con la celebre valse di Giulietta «Je veux vivre» e l’aria del tenore «Ah! lève-toi, soleil!»; Mireille: basata sul poema provenzale di Frédéric Mistral; Cinq-Mars: un’opera storica, rielaborata più volte, che presenta arie come «Nuit resplendissante» e «Ô chère et vivante image».
Il catlogo delle opere di Gounod include anche altri lavori significativi: due sinfonie (1855) e una Petite Symphonie per nove strumenti a fiato (1885); cinque quartetti per archi; la celebre Ave Maria, basata sul primo preludio del Clavicembalo ben temperato di Bach (originariamente non destinato all’esecuzione liturgica), e il Requiem in do maggiore; composizioni strumentali quali la Marche funèbre d’une marionnette (1872), che divenne famosa globalmente come sigla del programma televisivo Alfred Hitchcock presenta, e la Marche pontificale (1869) che fu adottata nel 1949 come inno nazionale del Vaticano; e numerose e delicate mélodies, su testi di poeti quali Alfred de Musset, Alphonse de Lamartine, Théophile Gautier e Jean Racine, oltre a testi di sua stessa mano.

La Petite Symphonie
Dedicata alla Société de musique de chambre pour instruments à vent fondata da Paul Taffanel nel 1879, rappresenta un magnifico esempio della capacità del compositore francese di coniugare l’eleganza classica con la ricchezza melodica romantica, creando un’opera che è al contempo intima e virtuosistica. L’opera, eseguita per la prima volta il 30 aprile 1885 alla Salle Pleyel con Taffanel stesso al flauto, e pubblicata solo diciannove anni dopo, è una celebrazione delle sonorità e delle capacità espressive degli strumenti a fiato, offrendo un dialogo continuo e brillante tra le diverse voci.
La scelta di una formazione così specifica – flauto, due oboi, due clarinetti, due corni e due fagotti – permette a Gounod di esplorare una tavolozza timbrica ricca ma trasparente. L’attributo petite del titolo non si riferisce a una mancanza di sostanza musicale, ma piuttosto alla natura cameristica e all’eleganza leggera che pervade l’intera opera, lontana dalle massicce sonorità orchestrali di una sinfonia tradizionale.

Il primo movimento si apre con un Adagio, dove i due corni introducono un’atmosfera solenne e avvolgente con accordi sostenuti e caldi. Seguono le altre sezioni di fiati, aggiungendo strati armonici che costruiscono una breve ma intensa introduzione. Le dinamiche sono contenute, suggerendo un tono riflessivo e quasi contemplativo, che evoca l’aspetto più sacro della produzione di Gounod. L’espressività è palpabile, anche nella brevità di questa sezione.
Senza soluzione di continuità, il movimento si anima bruscamente con l’Allegretto. Il flauto emerge con una melodia agile, brillante e gioiosa, caratterizzata da rapide figurazioni e un piglio vivace. Subito dopo, gli oboi riprendono ed elaborano il tema, creando un dialogo serrato e spensierato. I clarinetti e i fagotti forniscono un accompagnamento ritmico e armonico dinamico, spesso con arpeggi gorgoglianti o passaggi saltellanti che aggiungono leggerezza. Il movimento è un vero e proprio tour de force di scrittura per fiati, con passaggi virtuosistici che si alternano a momenti di maggiore lirismo, ma sempre mantenendo un’energia contagiosa. L’interazione tra gli strumenti è costante: il tema passa agilmente da un flauto brillante a oboi cantabili, clarinetti arguti e fagotti giocosi. Le sezioni tutti sono incisive e dinamiche, contrastando con le tessiture più trasparenti dei passaggi solistici. Il movimento procede con una chiara forma sonata, con una ripresa espositiva evidente e uno sviluppo che esplora frammenti tematici e armonie più audaci, prima di tornare alla ricapitolazione che porta a una coda effervescente.
Il secondo movimento offre un netto contrasto, immergendosi in un’atmosfera di profonda liricità e dolcezza. Il carattere cantabile è immediatamente percepibile, con una melodia espressiva e distesa. In questa esecuzione, si nota chiaramente come gli oboi prendano il comando della melodia principale, con il flauto che spesso si unisce o raddoppia, aggiungendo brillantezza. I corni forniscono una base armonica stabile e calda, mentre clarinetti e fagotti tessono controcanti fluidi o un delicato accompagnamento. La musica si sviluppa con grazia, alternando momenti di melodia sostenuta a brevi fioriture che adornano le frasi. Le dinamiche sono attentamente calibrate, con crescendi e diminuendi che esaltano l’espressività intrinseca del movimento. Il movimento si conclude con una riproposizione del tema principale, sfumando dolcemente e lasciando un’impressione di serena bellezza.
Lo Scherzo irrompe con un’energia e un ritmo contagiosi, fedele al suo nome che suggerisce un carattere giocoso e vivace. Il tempo è veloce e il tema principale è frammentato, caratterizzato da staccati e passaggi rapidi che si scambiano tra flauto e clarinetti. I fagotti aggiungono un tocco di umorismo e leggerezza con i loro interventi puntuali. La sezione centrale, il trio, porta un cambiamento di umore, introducendo un tema più ampio e cantabile, con un sapore quasi rustico e una strumentazione più piena. Qui i corni e i fagotti sono particolarmente prominenti, creando un contrasto efficace con l’agilità dello scherzo. Dopo il trio, lo Scherzo torna nella sua forma iniziale, riprendendo il suo slancio ritmico e la sua tessitura vivace. La coda finale è un’accelerazione mozzafiato, che conduce il movimento a una conclusione scattante ed esaltante.
Il Finale si apre con un gesto grandioso e imponente, dove l’intero nonetto esegue un’affermazione forte e dichiarativa, stabilendo un carattere trionfale. Il tema principale, rapido e accattivante, è subito introdotto e presenta un’alternanza di scale veloci e arpeggi distribuiti tra i fiati. Si alternano momenti di tutti energici a sezioni più liriche o riflessive, che servono a costruire la tensione prima di nuove esplosioni di energia. Le modulazioni armoniche sono sapientemente gestite, ampliando la portata espressiva del pezzo. Verso la conclusione, il movimento si intensifica progressivamente, accumulando sonorità e virtuosismi fino a un finale enfatico e celebrativo.

Nel complesso, l’opera è molto più di un semplice esercizio di scrittura per fiati e dimostra la maestria del compositore nell’orchestrazione, la sua vena melodica inesauribile e la sua capacità di creare un’atmosfera coerente attraverso quattro movimenti distinti. Si tratta di una composizione che, pur mantenendo un respiro “piccolo” nel senso cameristico, offre una grande ricchezza musicale e un piacere d’ascolto duraturo, confermando il genio di Gounod ben oltre le sue opere liriche più celebri.

Gounod, Petite Symphonie

Shakespeariana – XXIX

Ivresse de jeunesse

Charles Gounod (1818 - 1893): «Je veux vivre», Juliette’s valse-ariette (waltz song) from the 1st act of the opera Roméo et Juliette (1867), libretto by Jules Barbier and Michel Carré, based on Romeo and Juliet by William Shakespeare. Natalie Dessay, soprano; Orchestre du Capitole de Toulouse conducted by Michel Plasson.

Ah!
Je veux vivre
Dans ce rêve qui m’enivre
Ce jour encore!
Douce flamme,
Je te garde dans mon âme
Comme un trésor!

Cette ivresse de jeunesse
Ne dure, hélas, qu’un jour!
Puis vient l’heure
Où l’on pleure,
Le cœur cède à l’amour
Et le bonheur fuit sans retour!

Loin de l’hiver morose
Laisse-moi sommeiller
Et respirer la rose
Avant de l’effeuiller.

Clavicembalo con pedaliera

Luc Beauséjour interpreta la Toccata e Fuga in re minore, composta forse da J. S. Bach (BWV 565) o più probabilmente da Johann Peter Kellner (*), suonando un clavicembalo provvisto di due manuali e una pedaliera.

L’esistenza di strumenti consimili è documentata a partire dal Quattrocento: un clavichordum cum calcatorio è citato nel trattato enciclopedico Liber XX Artium (c1460) di Paulus Paulirinus ovvero Pavel Žídek; il disegno di un clavicordo con pedaliera si trovava in una copia manoscritta, ora perduta, risalente al 1467 dei Flores musice del teorico trecentesco Hugo von Reutlingen.
L’epoca di maggior diffusione del clavicembalo con pedaliera è comunque il Settecento, quando fu soprattutto usato dagli organisti per esercitarsi; ma è probabile che proprio per questo tipo di strumento Bach abbia composto le sei Triosonaten BWV 525-530.
Verso la metà dell’Ottocento ebbe una certa diffusione il pianoforte con pedaliera, strumento per il quale Schumann scrisse gli Studi op. 56, gli Schizzi op. 58 e le Fugen über BACH op. 60; anche Alkan e Gounod dedicarono alcune composizioni al pianoforte con pedaliera.

(*) Sull’argomento si veda l’ultima parte dell’articolo Falsi celebri.

BWV 565

Balletti collettivi – II

Les Six: Les mariés de la tour Eiffel, balletto poetico-burlesco in 1 atto (1921) su libretto di Jean Cocteau. Philharmonia Orchestra, dir. Geoffrey Simon.

  1. Overture: le 14 juillet (Georges Auric, 1899 - 1983)
  2. Marche nuptiale (Darius Milhaud, 1892 - 1974) [2:27]
  3. Discours du Général, polka (Francis Poulenc, 7 gennaio 1899 - 1963) [4:25]
  4. La Baigneuse de Trouville, carte postale en couleurs (Poulenc) [5:11]
  5. La Fugue du Massacre (Milhaud) [7:14]
  6. La Valse des Dépêches (Germaine Tailleferre, 1892 - 1983) [9:01]
  7. Marche funèbre (Arthur Honegger, 1892 - 1955) [11:34]
  8. Quadrille (Tailleferre) [15:21]
  9. Ritournelles (Auric) [18:25]
  10. Sortie de la Noce (Milhaud) [20:26]

Ai nomi dei Six bisognerebbe aggiungere quello di Charles Gounod (1818 - 1893), in quanto la «Marche funèbre» di Honegger utilizza, oltre alla «Marche nuptiale» di Milhaud, un tema della celebre «Valse» del I atto del Faust (1859), che potete ascoltare qui nell’interpretazione dei Wiener Philharmoniker diretti da Rudolf Kempe:


balletto

Marche funèbre d’une marionnette

Charles Gounod (17 giugno 1818 - 1893): Marche funèbre d’une marionnette, versione originale per pianoforte (1872). David Dekker.
(Fra i tanti, ho scelto questo video per i suoi bellissimi disegni.)

La partitura contiene le seguenti didascalie:

  • La Marionnette est cassée! [0:12]
  • Murmure de regrets de la troupe [0:14]
  • Le cortège [0:38]
  • Ici plusieurs des principaux personnages de la troupe s’arrêtent pour se refraîchir [2:26]
  • Retour à la maison [3:35]


 
Lo stesso brano nella versione per orchestra che Gounod realizzò nel 1879. The Boston Pops Orchestra, dir. Arthur Fiedler.