Mazurek in fa minore

Władysław Szpilman (1911 - 6 luglio 2000): Mazurek in fa minore per pianoforte (1942). Daniel Vnukowski.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Władysław Szpilman: la melodia della sopravvivenza

Władysław Szpilman, noto anche con lo pseudonimo Al Legro, è stato una figura centrale nella vita musicale e culturale polacca del XX secolo. La sua esistenza, segnata da un talento precoce, dalla tragedia della Shoah e da una straordinaria rinascita artistica, è diventata un simbolo universale di resilienza e del potere salvifico dell’arte.

Gli inizi di un talento: la carriera prima della guerra
Nato a Sosnowiec in una famiglia ebrea di musicisti, Szpilman mostrò fin da giovane un eccezionale talento per il pianoforte. Dopo gli studi al Conservatorio di Varsavia, il suo potenziale fu riconosciuto con una borsa di studio che lo portò alla prestigiosa Accademia delle Arti di Berlino nel 1931. Qui perfezionò la sua tecnica sotto la guida di maestri come Artur Schnabel e compose le sue prime opere importanti, come la suite Życie maszyn (La vita delle macchine). Tuttavia, l’ascesa del nazismo in Germania lo costrinse a tornare in Polonia nel 1933. A Varsavia, la sua carriera decollò rapidamente e, due anni più tardi, divenne il pianista ufficiale della Radio polacca, un ruolo che gli conferì grande visibilità. Parallelamente, si affermò come un prolifico compositore di musica leggera e colonne sonore per film come Wrzos (1937) e Dr Murek (1939), diventando una celebrità nazionale amata dal pubblico.

Sopravvivenza tra le rovine: gli anni della guerra e del ghetto
L’invasione tedesca della Polonia nel settembre 1939 interruppe bruscamente la sua carriera. Il 23 settembre, Szpilman eseguì l’ultimo concerto dal vivo trasmesso dalla Radio polacca, suonando brani di Chopin mentre Varsavia era sotto bombardamento. Poco dopo, la radio fu messa a tacere. Nel novembre 1940, la famiglia Szpilman fu costretta a trasferirsi nel Ghetto di Varsavia e, per mantenere i genitori, il fratello e le due sorelle, iniziò a suonare il pianoforte nei caffè del ghetto, come il Nowoczesna e lo Sztuka, diventando una figura nota anche in quel contesto disperato.
L’estate del 1942 segnò l’inizio della Grande Operazione, la deportazione di massa degli ebrei dal Ghetto di Varsavia verso il campo di sterminio di Treblinka. Durante una selezione all’Umschlagplatz (il punto di raccolta per le deportazioni), mentre veniva caricato su un treno insieme a tutta la sua famiglia, fu riconosciuto da un poliziotto ebreo che lo spinse fuori dal cordone, salvandogli la vita. Non rivide mai più i suoi cari. Rimasto solo, sopravvisse come operaio, ma nel febbraio 1943 riuscì a fuggire dal ghetto grazie all’aiuto di amici polacchi, tra cui l’attore Andrzej Bogucki. Per oltre un anno visse nascosto in vari appartamenti nella “parte ariana” di Varsavia, in costante pericolo di essere scoperto.
Con lo scoppio della Rivolta di Varsavia nell’agosto 1944, rimase completamente isolato. Si nascose tra le rovine della città devastata, sopravvivendo in condizioni estreme. Fu in questo periodo che, scoperto in un edificio abbandonato, incontrò l’ufficiale della Wehrmacht Wilm Hosenfeld. Colpito dal suo talento dopo averlo sentito suonare un pianoforte trovato tra le macerie, Hosenfeld decise di aiutarlo, portandogli cibo e permettendogli di sopravvivere fino alla liberazione della città nel gennaio del 1945. Dopo la guerra Szpilman cercò invano di far liberare Hosenfeld, che morì in un gulag sovietico nel 1952.

La rinascita nel dopoguerra: musica, radio e il Quintetto di Varsavia
Finita la guerra, Szpilman tornò immediatamente alla Radio polacca, dove divenne direttore del dipartimento di musica leggera, incarico che mantenne fino al 1963. La sua influenza fu enorme: compose il celebre segnale del cinegiornale polacco (Polska Kronika Filmowa), fondò l’Unione degli autori e compositori polacchi (ZAKR) e nel 1961 ideò il prestigioso Festival internazionale della canzone di Sopot. La sua attività concertistica riprese con vigore, sia come solista che in formazioni di musica da camera. Nel 1963 fondò il Quintetto di Varsavia, con cui tenne oltre 2000 concerti in tutto il mondo fino al 1986. Parallelamente, compose più di 500 canzoni di successo, diventate parte integrante della cultura popolare polacca, oltre a musical, musiche per bambini e opere sinfoniche.

Il Pianista: dalla memoria al grande schermo
Nel 1946 Szpilman pubblicò le proprie memorie di guerra nel libro Śmierć miasta (Morte di una città). L’opera, tuttavia, fu pesantemente censurata dal regime comunista e pubblicata in tiratura limitata, poiché la sua narrazione onesta (la quale includeva il ruolo di collaborazionisti polacchi e l’aiuto ricevuto da un ufficiale tedesco) non si conformava alla storiografia ufficiale. Fu solo nel 1998 che suo figlio Andrzej riuscì a far pubblicare una versione integrale e non censurata del libro in Germania e poi nel resto del mondo con il titolo Il pianista. Il libro divenne un bestseller internazionale, tradotto in circa 40 lingue. Nel 2002, il regista Roman Polański ne trasse l’omonimo film, capolavoro premiato con la Palma d’oro a Cannes e tre Premi Oscar, che consacrò la storia di Szpilman a livello globale.

Eredità, riconoscimenti e controversie
Sposato nel 1950 con Halina Grzecznarowska, ebbe due figli, Andrzej e Krzysztof. La sua figura non è stata esente da controversie: nel 2010, un libro riportò le accuse della cantante Wiera Gran, che sosteneva che Szpilman avesse collaborato con la polizia ebraica del ghetto. La famiglia Szpilman intentò una causa per diffamazione e, dopo un lungo iter legale, la Corte suprema polacca diede loro ragione, ordinando la rimozione delle accuse da future edizioni del libro e le scuse formali alla famiglia per aver leso la memoria di un uomo giusto. Szpilman, scomparso a Varsavia nel 2000, ha ricevuto in vita e postumi i più alti onori dello stato polacco: la sua eredità è celebrata attraverso intitolazioni di strade, piazze e studi di registrazione, a testimonianza del suo impatto indelebile sulla musica e sulla coscienza collettiva, non solo in Polonia ma nel mondo intero.

Mazurek in fa minore: analisi
Composta durante la permanenza di Szpilman nel Ghetto di Varsavia, la Mazurek in fa minore non è una semplice danza, ma un’opera di profonda introspezione, una testimonianza sonora di rara potenza emotiva. Utilizzando la forma più iconica della musica polacca, resa celebre da Chopin, Szpilman non evoca la spensieratezza rustica, ma la trasforma in un veicolo per la nostalgia, il dolore e la fragile speranza.

Il brano si apre in un’atmosfera sospesa e malinconica. La forma è una classica ternaria (ABA′) con coda, una struttura che dona ordine a un contenuto emotivo altrimenti caotico. L’inizio è esitante, quasi un ricordo che affiora con difficoltà. La mano sinistra stabilisce immediatamente il caratteristico ritmo puntato della mazurka, ma con un accompagnamento arpeggiato e cromatico che lo priva di ogni vigore, rendendolo più simile a un battito cardiaco affaticato. La mano destra introduce il tema principale piano, una melodia che sospira più che cantare. È frammentaria, costruita su piccole frasi ascendenti che sembrano porre una domanda senza risposta, per poi ricadere su loro stesse. L’armonia in fa minore è arricchita da un cromatismo sottile e dolente, che evoca chiaramente l’influenza di Chopin, ma con una sfumatura più cupa e rassegnata. Non è una danza per ballare, ma una danza per ricordare in solitudine. Il tema viene ripetuto e leggermente variato, con la melodia si fa lievemente più fluida, ma l’atmosfera generale di contenuta tristezza permane. L’uso di accordi più densi nella mano sinistra aggiunge profondità, ma senza mai rompere l’intimità del discorso musicale.
Successivamente, il brano si sposta verso tonalità maggiori, offrendo un netto contrasto emotivo. Questa sezione rappresenta un rifugio, il ricordo di un tempo più felice e sereno. La melodia diventa più cantabile, ampia e consolatoria. Le frasi sono più lunghe e connesse, suggerendo un flusso di pensiero più sereno. Il ritmo della mazurka è sempre presente, ma ora sostiene un canto nostalgico e affettuoso. Questa è la memoria del “prima”: i salotti di Varsavia, la vita, l’amore. Le armonie si fanno più calde e luminose, con progressioni che infondono un senso di speranza, seppur fugace. Questa sezione funziona come il cuore emotivo del brano, un’isola di luce circondata dall’oscurità delle sezioni esterne. È un momento di pura bellezza che rende il ritorno alla realtà ancora più toccante.
L’oasi di pace viene gradualmente erosa da un’inquietudine crescente, che culmina in un breve ma intenso climax. Il cromatismo si intensifica, le armonie diventano più ambigue e tese. Il ritmo della mazurka si fa più marcato e quasi zoppicante, suggerendo ansia e agitazione. La dinamica cresce gradualmente da piano a mezzoforte, come un’emozione che non può più essere contenuta. Qui la musica raggiunge il suo apice di tensione: gli accordi sono più pieni e le dissonanze più aspre. Non è un climax di potenza, ma di angoscia. È il momento in cui la realtà del presente irrompe con forza nel ricordo. Subito dopo il climax, un poco ritardando spezza la tensione: è un crollo, un sospiro di sfinimento che prepara il ritorno inevitabile alla malinconia iniziale.
Il ritorno della prima sezione non è una semplice ripetizione. Dopo il viaggio emotivo della sezione centrale, il tema iniziale appare ora gravato da un nuovo peso. La sua malinconia è ora più profonda, quasi rassegnata e viene percepito diversamente, con la consapevolezza del contrasto con la felicità perduta della sezione precedente e dell’angoscia dello sviluppo. La coda è la chiave di volta dell’intero brano. La musica si dissolve letteralmente nel silenzio e un diminuendo costante porta la dinamica al pianissimo. La mano sinistra suona accordi arpeggiati e radi, mentre la destra si spegne su poche, isolate note. Gli ultimi accordi, tenuti a lungo dal pedale, non offrono una vera conclusione. Sono un’eco che si perde, un ricordo che svanisce definitivamente, lasciando solo un senso di vuoto e di perdita irreparabile.

Nel complesso, il pezzo è un capolavoro di sintesi emotiva, qualificandosi come un’opera profondamente polacca nel suo linguaggio, ma universale nel suo messaggio di dolore e resilienza. Attraverso la struttura familiare di una danza, Szpilman ci conduce in un viaggio straziante attraverso i paesaggi della sua anima, trasformando una forma tradizionale in un requiem personale e indimenticabile.

Fryderyk & Pauline

Fryderyk Chopin (1810 - 1849): Mazurka in fa diesis minore op. 6 n. 1 (1830-31). Arthur Rubinstein, pianoforte.

Il tono popolareggiante è posto subito in evidenza, con la caratteristica terzina che inizia ciascuna semifrase del primo tema; questo consiste di due periodi, uguali nella prima metà e differenti nella seconda, ed è ripetuto cinque volte: la prima ripetizione è immediata, mentre alle succes­sive sono intercalati altri tre episodi, il secondo dei quali è una variante del primo. La struttura complessiva segue dunque lo schema AABAB’ACA. Nel tema A, all’inizio del secondo periodo è posta la didascalia «rubato»: questa indicazione ricorre in tutte le Mazurche delle prime raccolte, fino al secondo brano dell’op. 24.


Pauline Viardot-García (18 luglio 1821 - 1910): Plainte d’amour, sulla Mazurca op. 6 n. 1 di Chopin; testo di Louis Pomey. Marina Comparato, mezzosoprano; Elisa Triulzi, pianoforte.

Chère âme, sans toi j’expire,
Pourquoi taire ma douleur?
Mes lèvres veulent sourire
Mes yeux disent mon malheur.
Hélas! Loin de toi j’expire.

Que ma cruelle peine,
De ton âme hautaine
Désarme la rigueur.

Cette nuit dans un rêve,
Je croyais te voir;
Ah, soudain la nuit s’achève,
Et s’enfuit l’espoir.

Je veux sourire
Hélas! La mort est dans mon coeur.

Celebre mezzosoprano e compositrice, sorella della non meno famosa Maria Malibran, la Viardot fu allieva e amica di Chopin, che per lei nutrì sempre profonda stima e simpatia. Sembra che Fryderyk non disprezzasse affatto quel tipo di elaborazioni delle sue opere: alla Viardot espresse anzi il proprio gradimento. Pauline Viardot pubblicò due raccolte di Mazourkas de Chopin arrangées pour la voix, in tutto 12 brani, nel 1848.


NB: salvo diversa indicazione, i testi inseriti negli articoli dedicati a Chopin nel presente blog sono tratti dal volume Chopin: Signori il catalogo è questo di C. C. e Giorgio Dolza, Einaudi, Torino 2001.

L’ultima Mazurka

Fryderyk Chopin (1810 - 1849): Mazurka in fa minore op. 68 n. 4 (1849). Artur Rubinstein, pianoforte.
Fu concepita a Chaillot (dunque fra il 20 maggio e il 15 agosto 1849), quando la malattia aveva talmente prostrato il fisico di Chopin che il trentanovenne compositore non era ormai più in grado di suonare, né di scrivere la musica: l’abbozzo è infatti quasi illeggibile, e il curatore della prima edizione a stampa (1855), il violoncellista Auguste Franchomme, faticò non poco a decifrarlo.


Roman Vlad (29 dicembre 1919 - 2013): Variazioni intorno all’ultima Mazurka di Chopin (1954). Carlo Grante, pianoforte.


Roman Vlad

Petite Suite

Aleksandr Porfir’evič Borodin (12 novembre 1833 - 1887): Petite Suite per pianoforte (1884). Aldo Ciccolini.

  1. Au Couvent: Andante religioso
  2. Intermezzo: Tempo di menuetto [4:52]
  3. Mazurka I: Allegro [8:06]
  4. Mazurka II: Allegretto [10:54]
  5. Rêverie: Andante [14:32]
  6. Sérénade: Allegretto [16:33]
  7. Finale: Nocturne [18:09]

La stessa composizione nell’orchestrazione di Glazunov. Kungliga fil­har­mo­ni­ska orkestern (Stoccolma), dir. Gennadij Roždestvenskij.

  1. Au Couvent
  2. Intermezzo [4:35]
  3. Mazurka I [9:54]
  4. Mazurka II [13:33]
  5. Rêverie [17:20]
  6. Sérénade [20:23]
  7. Finale: Scherzo – Nocturne – Scherzo: Allegro vivace – Andantino – Allegretto [22:32]

Ballo in maschera

Aram Il’ič Chačaturjan (6 giugno 1903 - 1978): Suite dalle musiche di scena (1941) per il dramma Il ballo in maschera (Маскарад, 1835) di Michail Lermontov. Royal Scottish National Orchestra, dir. Neeme Järvi.

  1. Valzer
  2. Notturno [3:56]
  3. Mazurka [7:27]
  4. Romanza [10:05]
  5. Galop (Polka) [13:12]

Due mazurche in fa diesis minore

Fryderyk Chopin (1810 - 1849): Mazurca in fa diesis minore op. 59 n. 3 (1844). Arthur Rubinstein, pianoforte.

Il tema iniziale ha carattere schiettamente popolare; anche il secondo episodio, in modo maggiore, è una danza piena di brio. Nella ripresa della sezione iniziale, il primo tema viene esposto attraverso un sottile gioco contrappuntistico; la composizione si conclude, inaspettatamente, in modo maggiore. Di questo brano si conosce anche un’altra versione, lievemente diversa.


Aleksander Michałowski (17 maggio 1851 - 1938): Mazurca n. 1 in fa diesis minore op. 5 (c1870-80). Robert Marat, pianoforte.