Il rondeau del calumet

Jean-Philippe Rameau (25 settembre 1683 - 1764): Rondeau des sauvages (« Forêts paisibles »), dall’ultimo atto dell’opéra-ballet Les Indes galantes (1735). Patricia Petibon, soprano (Zima); Nicolas Rivenq, baritono (Adario); Les Arts Florissants, dir. William Christie.


Lo stesso brano eseguito alla bersagliera, in concerto, dai Musiciens du Louvre diretti da Marc Minkowski, con i cantanti Magali Léger e Laurent Naouri.

Zima, Adario :

Forêts paisibles, forêts paisibles,
Jamais un vain désir ne trouble ici nos cœurs.
S’ils sont sensibles, s’ils sont sensibles,
Fortune, ce n’est pas au prix de tes faveurs.

Chœur des Sauvages :

Forêts paisibles, forêts paisibles,
Jamais un vain désir ne trouble ici nos cœurs.
S’ils sont sensibles, s’ils sont sensibles,
Fortune, ce n’est pas au prix de tes faveurs.

Zima, Adario :

Dans nos retraites, dans nos retraites,
Grandeur, ne viens jamais
Offrir tes faux attraits!
Ciel, ciel, tu les as faites,
Pour l’innocence et pour la paix.

Chœur des Sauvages :

Forêts paisibles, forêts paisibles,
Jamais un vain désir ne trouble ici nos cœurs.
S’ils sont sensibles, s’ils sont sensibles,
Fortune, ce n’est pas au prix de tes faveurs.

Zima, Adario :

Jouissons dans nos asiles,
Jouissons des biens tranquilles!
Ah! peut-on être heureux,
Quand on forme d’autres vœux?

Chœur des Sauvages :

Forêts paisibles, forêts paisibles,
Jamais un vain désir ne trouble ici nos cœurs.
S’ils sont sensibles, s’ils sont sensibles,
Fortune, ce n’est pas au prix de tes faveurs.


Rameau: Les Sauvages, rondeau (dalla raccolta Nouvelles suites de pièces de clavecin, 1727). Grigorij Sokolov, pianoforte.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Il Rondeau des sauvages è uno dei numeri più celebri e iconici dell’«opéra-ballet» Les Indes galantes di Jean-Philippe Rameau, composto nel 1735. Inserito nell’atto IV, «Les Sauvages d’Amerique», ambientato nell’America del Nord, il brano incarna l’immaginario europeo dell’epoca riguardo ai “selvaggi” del Nuovo Mondo, combinando fascino esotico, ingenuità e una profonda connessione con la natura.
La musica si apre con un ritmo vigoroso e pulsante scandito dal tamburo: è una sonorità primaria, quasi tribale, che cattura immediatamente l’attenzione. Man mano che altri strumenti si uniscono si delinea una melodia vivace e sincopata in tonalità maggiore, che evoca un senso di festa e vitalità. Questo primo ritornello strumentale, con la sua melodia orecchiabile e il ritmo incalzante, stabilisce il carattere gioioso e selvaggio del pezzo. La musica, pur ripetendosi, introduce successivamente leggere variazioni orchestrali o dinamiche che mantengono l’interesse, culminando in un crescendo.
Successivamente, l’accompagnamento musicale si fa più sottile per lasciare spazio al canto. Le voci soliste, ricche e vibranti, portano in primo piano il messaggio di Rameau: la celebrazione della pace e dell’innocenza delle “foreste pacifiche”, dove i cuori non sono turbati da desideri vani e la felicità non dipende dalle ricchezze o dai favori della fortuna. Si unisce poi il coro dei selvaggi, amplificando il messaggio con un coro potente e armonioso.
Il tema del rondeau si ripresenta diverse volte, alternando i solisti con il coro, creando un’onda di suono e movimento che alterna momenti di intimità a esplosioni corali. La parte lirica, spesso accompagnata da movimenti più morbidi e ondeggianti, sottolinea ulteriormente il contrasto tra la purezza della vita dei sauvages e la corruzione del mondo civilizzato, un tropo tipico dell’Illuminismo. I solisti cantano con un’espressività crescente, mentre il coro li supporta, riempiendo la scena con la loro presenza vocale e coreografica.
Il brano si conclude con la ripresa da parte dell’intero ensemble del tema principale del rondeau, con un’energia crescente e un senso di trionfo gioioso.
Nel complesso, il pezzo è un esempio magistrale della capacità di Rameau di fondere musica e dramma. L’uso di ritmi vivaci e melodie accattivanti crea un’atmosfera di “esotismo” che era molto di moda all’epoca, mentre la giustapposizione delle sezioni strumentali danzate con quelle vocali cantate dai solisti e dal coro contribuisce a creare un opéra-ballet dinamico e visivamente ricco.

Composto come parte delle Nouvelles Suites de pièces de clavecin del 1727, Les Sauvages è un rondeau che cattura l’immaginazione con il suo carattere vivace, quasi esotico, ispirato ai “selvaggi” che Rameau vide esibirsi a Parigi. La forma del rondeau è chiaramente delineata, con un refrain ricorrente che incornicia episodi (couplets) contrastanti.
Il brano si apre con l’energico ritornello, stabilendo il carattere incisivo e “selvaggio” suggerito il titolo. La melodia è caratterizzata da figure arpeggiate ascendenti e discendenti rapide, spesso seguite da passaggi scalari virtuosistici e agili abbellimenti. Il compositore utilizza abbondantemente sincopi che conferiscono un impulso ritmico propulsivo e un senso di “sfida” o vivacità quasi selvaggia. La mano destra esegue la linea melodica principale con notevole chiarezza e leggerezza, mentre la mano sinistra fornisce un accompagnamento armonico e ritmico robusto, ma non invadente.
L’articolazione è prevalentemente staccata e nitida, specialmente nelle rapide semicrome, contribuendo alla brillantezza del suono. Ci sono anche brevi frasi legate che offrono un leggero contrasto, mentre la dinamica si mantiene su un mezzo forte generale, con lievi crescendo su passaggi ascendenti e diminuendo verso le cadenze, evidenziando la struttura fraseologica.
L’armonia è saldamente ancorata alla tonalità di impianto (sol minore), con progressioni diatoniche chiare e l’uso efficace di dominanti che rafforzano il centro tonale. La ripetizione della sezione ribadisce il tema principale con la stessa energia e precisione.
Dopo la ripetizione del refrain, il primo couplet introduce un marcato contrasto, sia timbrico che espressivo.
La tonalità si sposta verso la dominante (re maggiore) e la melodia si fa più lirica e meno angolare, con un andamento più scorrevole e legato. Sebbene mantenga la base ritmica generale, le sincopi aggressive del refrain sono attenuate, sostituite da un flusso più continuo di semicrome. La mano sinistra assume un ruolo più melodico e contrappuntistico in alcuni passaggi, creando un dialogo tra le due mani.
L’articolazione diventa più legata, con un suono più morbido e cantabile. La dinamica si sposta verso un mezzo piano che enfatizza il carattere più intimo e quasi meditativo di questa sezione, pur mantenendo un’eleganza intrinseca. Le progressioni armoniche sono fluide e contribuiscono alla sensazione di apertura e lirismo, portando dolcemente alla preparazione per il ritorno del refrain.
Viene ripreso il tema principale, ripristinando l’energia e il carattere “selvaggio” iniziale, per poi introdurre un nuovo contrasto con il secondo couplet, questa volta con una sfumatura più profonda e forse più drammatica.
La tonalità sembra modulare verso la sottodominante (do) o addirittura verso regioni minori prima di tornare alla tonalità principale. La melodia è ora più elaborata e a volte più “corposa”, con un maggior uso di accordi e passaggi che richiedono una maggiore pienezza di suono. Il ritmo rimane sostenuto, ma le figure sono spesso più complesse e intrecciate, quasi a creare un dialogo serrato tra le voci. Si notano passaggi che sembrano quasi delle scale discendenti o ascendenti in blocchi di accordi, dando un senso di grandezza.
L’articolazione è ancora precisa, ma con una tendenza a un legato più pronunciato in alcune frasi, permettendo al suono di sostenersi. Viene esplorata una gamma dinamica leggermente più ampia, con momenti di maggiore intensità (forte) che poi si risolvono in diminuendo prima del ritorno finale del refrain. Le progressioni armoniche si fanno più avventurose e creano una tensione che si risolve elegantemente nel ritorno del tema principale.
Il brano si conclude con l’ultima riaffermazione del refrain, seguito da una coda concisa, con una chiara cadenza nella tonalità principale, che termina su un accordo risonante, lasciando un senso di completezza e vivacità duratura.

I due cacciatori e la lattaia

Egidio Romualdo Duni (1708 - 11 giugno 1775): Ouverture dell’opéra-comique Les deux Chasseurs et la Laitière (1763). Accademia dell’Arcadia, dir. Roberto Balconi.



L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Egidio Romualdo Duni: un viaggio musicale tra Italia e Francia, pioniere dell’opéra-comique

Origini e formazione avvolte nel mistero
Nato a Matera e battezzato l’11 febbraio 1708, Duni ricevette la sua prima educazione musicale dal padre, Francesco, maestro di cappella della cattedrale cittadina. La tradizione vuole che a nove anni sia entrato nel conservatorio di S. Maria di Loreto a Napoli, per poi passare a quello della Pietà dei Turchini, dove sarebbe stato allievo di Francesco Durante e avrebbe ottenuto il titolo di maestro di cappella. Tuttavia, K. M. Smith ha sollevato dubbi significativi su questa versione, sostenendo che incongruenze cronologiche rendono improbabile che Duni sia stato allievo di Durante, almeno all’interno del conservatorio.

Il debutto nell’opera seria e le prime incertezze
La prima attestazione certa dell’attività compositiva di Duni risale al maggio 1735, con la rappresentazione a Roma dell’opera seria Nerone. Secondo i Mémoires di Grétry, l’opera ottenne un discreto successo, nonostante fosse la seconda della stagione dopo l’acclamata Olimpiade di Pergolesi. Questa affermazione è però contraddetta dal Diario di Valesio, che riporta un’accoglienza tiepida («poco plauso»). Ciononostante, Duni proseguì la propria attività, presentando Adriano in Siria a Roma nel dicembre 1735 e La tirannide debellata a Milano nel 1736. Un presunto viaggio a Vienna in missione segreta per un «cardinal C.», menzionato da una fonte poco attendibile, non trova conferme documentali.

Peregrinazioni europee: tra palcoscenici e incontri destinanti
Nel maggio 1737 fu rappresentato a Londra il suo Demofoonte, ed è plausibile che il compositore fosse presente. Successivamente si recò in Olanda, immatricolandosi all’Università di Leida il 22 ottobre 1738. Proprio a Leida, in un periodo precedente, Duni fu costretto a consultare il celebre medico Herman Boerhaave a causa di «vapori ipocondriaci», come narrato da Carlo Goldoni nelle sue Memorie. La cura prescritta da Boerhaave – «montare a cavallo, di divertirsi, di far la sua vita consueta e di guardarsi bene da qualsiasi specie di medicamento» – colpì molto Goldoni quando Duni gliela descrisse durante il loro incontro alla corte di Parma nel 1756. L’aneddoto e la figura del medico ispirarono Goldoni per la sua commedia Il medico olandese.

Ritorno in patria e l’incarico a Bari
Nel gennaio 1739, Duni era a Milano per la rappresentazione di una sua opera, seguita da altre messe in scena a Firenze tra il 1740 e il 1744. Episodi come un presunto assalto da parte di ladri vicino a Milano, un ritorno a Matera o un viaggio a Venezia, spesso citati nelle biografie, mancano di solide conferme documentali. È invece certa la sua nomina a maestro di cappella nella Basilica di S. Nicola a Bari, attestata il 16 dicembre 1743, dove venne definito «professore di molta perizia e di ottima indole». Per dimostrare tale perizia compose l’oratorio Giuseppe riconosciuto su libretto di Metastasio. Di altri due oratori attribuitigli, Il sacrificio d’Isacco e Atalia, non è rimasta traccia.

La svolta di Parma: l’incontro con Goldoni e l’abbraccio della Francia
Nel 1746 fu rappresentato a Napoli il Catone in Utica (già eseguito a Firenze). Il successo ottenuto a Genova nel 1748 con Ipermestra e Ciro riconosciuto attirò probabilmente l’attenzione della corte di Parma. Infatti, nel 1749 Duni entrò al servizio di Filippo di Borbone, duca di Parma, con il titolo di maestro di cappella di corte e maestro di musica della figlia del duca, Isabella. A Parma compose ancora l’opera seria Olimpiade (1755). Tuttavia, l’atmosfera filo-francese e innovatrice della corte, influenzata da figure come G. L. du Tillot, e soprattutto l’incontro con Carlo Goldoni nel 1756, segnarono una svolta decisiva, orientando Duni verso il teatro francese. Rimane incerto se abbia musicato testi di Favart come La chercheuse d’esprit, sebbene esista un libretto italiano (La semplice curiosa, Firenze 1751) basato su quest’ultima.

La conquista di Parigi: nascita e trionfo dell’opéra-comique
Nel 1756, Duni musicò La buona figliola, il primo dei tre libretti per opera buffa commissionati a Goldoni dalla corte di Parma. L’opera, pur avendo successo, fu «più fortunata nelle mani del Piccinni», secondo lo stesso Goldoni. Incoraggiato, Duni mirò a Parigi. Su richiesta della corte di Parma, Jean Monnet, direttore dell’Opéra-Comique, fornì un libretto francese, dando vita a Le peintre amoureux de son modèle (1757) su testo di Louis Anseaume. L’opera ottenne un successo brillante e duraturo. Duni antepose alla partitura un avertissement in cui, confutando le tesi di Rousseau sulla presunta inadeguatezza della lingua francese alla musica, rendeva omaggio all’idioma transalpino. Questa posizione filo-francese valse a Duni l’inimicizia di Rousseau ma l’amicizia e l’apprezzamento di Diderot.

Apice parigino, successi e prime critiche. L’ultima fase creativa, il ritiro e la scomparsa
Forte del successo, Duni lasciò Parma (ottenendo un vitalizio) e si stabilì a Parigi, dove sposò l’attrice Catherine-Elisabeth Superville, da cui ebbe il figlio Jean-Pierre nel 1759. La sua fama crebbe con opere come L’isle des foux (1760, da Goldoni), in cui perfezionò la fusione tra elementi italiani e francesi, sviluppando uno stile descrittivo e pittoresco. Nel 1761 divenne direttore musicale della Comédie-Italienne. Nonostante successi come La fée Urgèle (1765) e La clochette (1766), gli ultimi anni di attività (fino al ritiro nel 1770) furono segnati da fallimenti (La plaideuse, La nouvelle Italie, entrambe 1762) e tensioni con critici e librettisti. Già nel 1761 Grimm giudicava il suo stile «un po’ sorpassato» e le idee «mancanti».
Un presunto viaggio in Italia tra il 1766 e il 1768 non sembra aver rinvigorito la sua vena creativa. Nonostante il buon successo di Les moissoneurs e Les sabots (1768), Grimm ribadì che Duni avrebbe fatto meglio a ritirarsi, cosa che avvenne nel 1770 dopo l’ultima opera, Thémire. Ottenuta una pensione dalla Comédie-Italienne, continuò a dare lezioni fino alla morte, sopraggiunta a Parigi l’11 giugno 1775.

L’eredità di Duni: innovatore dell’opéra-comique tra melodia italiana e gusto francese
Delle opere italiane di Duni non ci sono pervenute partiture complete, ma gli stralci esistenti rivelano un compositore aderente agli schemi del suo tempo, dotato di ricca inventiva melodica. La sua fama è però indissolubilmente legata alle opere francesi e al suo ruolo cruciale nella creazione dell’opéra-comique. In questo genere, caratterizzato dall’alternanza di parti cantate e parlate, i librettisti come Favart, Anseaume e Sedaine ebbero un’importanza fondamentale nel plasmare uno spettacolo che unisse la naturalezza italiana alla sensibilità francese. Duni seppe assecondare questa evoluzione, adattando brillantemente lo stile dell’opera buffa italiana alle esigenze della declamazione francese e alle aspettative del pubblico. Il suo stile si caratterizzò per un’inventiva melodica autentica ma di breve respiro, una duttilità ritmica e un gusto per il descrittivo (L’isle des foux). Se L’école de la jeunesse (1765) è un tentativo di perseguire una maggiore drammaticità, le opere successive rappresentarono un ritorno a stilemi precedenti. Fu criticato per la debolezza dell’orchestrazione e la scarsa originalità armonica, un attaccamento alla convenzione che, secondo K. M. Smith, lo portò a rifiutare di adattare l’Orfeo di Gluck per Parigi. Il suo declino coincise con quello del gusto pastorale e sentimentale dell’opéra-comique, soppiantato dai nuovi fermenti preromantici portati avanti da successori come Monsigny, Philidor e Grétry.

Les deux Chasseurs et la Laitière: analisi dell’Ouverture
Il brano ci introduce immediatamente nel mondo vivace e leggero dell’opéra-comique settecentesca, svolgendo perfettamente il ruolo di preludio teatrale, stabilendo l’atmosfera e anticipando, con i suoi contrasti, la natura della commedia che seguirà. Essa si articola in un unico movimento, ma presenta al suo interno diverse sezioni ben distinte per carattere, tempo e strumentazione, seguendo uno schema tipico delle ouverture italiane e francesi del periodo.
Si apre con una fanfara introduttiva di carattere maestoso e celebrativo. Le prime battute sono dominate dagli archi che eseguono arpeggi ascendenti e accordi pieni. A questi si uniscono subito i fiati che conferiscono al passo un tono carattere marziale. L’armonia è solida, basata su accordi di tonica e dominante, con un effetto di grandezza. Questa introduzione serve a catturare l’attenzione del pubblico e a evocare l’elemento della "caccia" presente nel titolo.
Senza soluzione di continuità, l’atmosfera cambia radicalmente e il tempo accelera in un Allegro brillante e vivace. Gli archi (principalmente i violini) introducono il primo tema, una melodia leggera, saltellante e giocosa, caratterizzata da agili figurazioni scalari e arpeggiate. La melodia è orecchiabile e tipicamente galante. I fiati intervengono raddoppiando o contrappuntando la melodia degli archi, aggiungendo colore e pienezza, mentre il basso continuo fornisce un solido supporto armonico e ritmico. L’armonia rimane prevalentemente diatonica, con chiare progressioni che confermano la tonalità d’impianto. La scrittura è trasparente, con una tessitura prevalentemente omofonica ma animata da un costante movimento.
Successivamente, la musica entra in una fase di transizione e breve sviluppo. C’è un’idea leggermente più cantabile e meno virtuosistica che porta a una sezione con passaggi più scalari e brillanti negli archi, quasi un breve ponte modulante verso la dominante o tonalità vicine. L’interazione tra archi e fiati si fa più serrata e si nota un uso di dinamiche contrastanti, con passaggi più sonori alternati a momenti più delicati. La sezione si conclude con una cadenza più marcata che sembra chiudere questa prima grande parte dell’Allegro, utilizzando materiale che richiama per enfasi la fanfara iniziale, ma in tempo allegro.
Emerge ora una nuova sezione tematica, più lirica e cantabile; il carattere è più dolce e pastorale. I fiati, in particolare gli oboi, assumono un ruolo melodico preminente con gli archi che forniscono un accompagnamento più discreto, spesso in note tenute o con figurazioni leggere. Questa melodia è più distesa e meno virtuosistica della precedente, con un andamento più aggraziato e sentimentale, rappresentando un riferimento all’elemento amoroso o idilliaco della trama. L’armonia si arricchisce di sfumature più delicate, pur rimanendo all’interno del linguaggio tonale
dell’epoca.
Si assiste a una ripresa del materiale della fanfara iniziale, anche se in forma più concisa e integrata nel flusso dell’Allegro. Questo crea un forte effetto di ritorno e di simmetria formale. Questa ricomparsa della fanfara funge da ponte verso la ripresa del primo tema dell’Allegro che appare qui in una veste leggermente variata o abbreviata. Successivamente, la musica entra nella sua fase conclusiva. Non si tratta di una ripresa letterale, ma piuttosto di un ulteriore sviluppo e variazione del materiale tematico precedentemente esposto, in particolare quello più brillante e ritmico dell’Allegro. C’è un vivace dialogo tra le sezioni orchestrali, con rapidi scambi di motivi e un crescendo di energia. La scrittura degli archi si fa particolarmente brillante. Segue la coda, alla quale partecipa l’orchestra al completo, conferendo a questa parte un carattere trionfale e affermativo. Le armonie diventano più cadenzali e assertive, consolidando la tonalità d’impianto (re maggiore). L’ouvertue si conclude con una serie di accordi forti e decisi, lasciando un’impressione di allegria ed energia, preparando perfettamente l’ingresso in scena.
Lo stile è pienamente galante, caratterizzato da melodie chiare e cantabili, armonie diatoniche funzionali, ritmi vivaci e una scrittura orchestrale elegante e trasparente. C’è un senso di immediatezza e piacevolezza tipico dell’opéra-comique, che mirava a divertire un pubblico ampio. L’ouverture riesce a condensare in pochi minuti gli elementi chiave che si potrebbero trovare nell’opera: l’energia e la nobiltà della caccia (fanfara), la leggerezza e la comicità (primo tema allegro) e il sentimentalismo pastorale (secondo tema lirico). È un eccellente esempio di come la musica strumentale potesse già all’epoca preparare il terreno emotivo e tematico per l’azione scenica.
Nel complesso, l’ouverture è un brano ben costruito e ricco di inventiva melodica. Duni dimostra una grande padronanza della forma e dell’orchestrazione, creando un lavoro che non solo introduce efficacemente l’opera, ma è anche godibile come brano strumentale autonomo, rappresentativo del gusto musicale europeo della metà del XVIII secolo.

Popolare Kabalevskij

Dmitrij Kabalevskij (30 dicembre 1904 - 1987): Suite dall’opera in 3 atti Colas Breugnon op. 24 (1938), composta su libretto tratto dall’omonimo romanzo di Romain Rolland. Orchestra filarmonica armena, dir. Loris Čknavorjan.

  1. Ouverture
  2. Festa popolare [4:52]
  3. Calamità popolare (La peste) [11:17]
  4. Insurrezione popolare [17:08]

Sogni e chimere

Antologia di brani celebri tratti da opere di Giacomo Puccini (1858 - 1924), oggi ricordato nel centenario della morte. Interpreti vari.

Manon Lescaut: Intermezzo
La Bohème: «Che gelida manina» [5:18]
La Bohème: «Sì. Mi chiamano Mimì» [10:11]
La Bohème: «O soave fanciulla» [16:26]
La Bohème: «Quando m’en vo» (Valzer di Musetta) [20:29]
Madama Butterly: «Un bel dì vedremo» [25:37]
Madama Butterly: Coro a bocca chiusa [30:17]
Gianni Schicchi: «O mio babbino caro» [33:19]
Turandot: «Signore, ascolta» [35:53]
Turandot: «Non piangere, Liù» [38:29]
Turandot: «In questa reggia» [41:04]
Turandot: «Nessun dorma» [47:16]
Turandot: «Tu che di gel sei cinta» [50:38]
Tosca: «Dammi i colori … Recondita armonia» [53:22]
Tosca: «Se la giurata fede debbo tradir» [57:48]
Tosca: «Vissi d’arte» [1:01:25]
Tosca: «E lucevan le stelle» [1:04:38]

Serments d’autrefois

Camille Saint-Saëns (1835 - 1921): «Mon coeur s’ouvre à ta voix», dal II atto di Samson et Dalila (1877), opera in 3 atti su libretto di Ferdinand Lemaire. Elīna Garanča, mezzoso­prano; Orchestra filarmonica del Teatro Comunale di Bologna, dir. Yves Abel.

Mon cœur s’ouvre à ta voix comme s’ouvrent les fleurs
Aux baisers de l’aurore!
Mais, ô mon bien-aimé, pour mieux sécher mes pleurs,
Que ta voix parle encore!
Dis-moi qu’à Dalila tu reviens pour jamais!
Redis à ma tendresse
Les serments d’autrefois, ces serments que j’aimais!
Ah! réponds à ma tendresse!
Verse-moi l’ivresse!

Ainsi qu’on voit des blés les épis onduler
Sous la brise légère,
Ainsi frémit mon cœur, prêt à se consoler
À ta voix qui m’est chère!
La flèche est moins rapide à porter le trépas,
Que ne l’est ton amante à voler dans tes bras!
Ah! réponds à ma tendresse!
Verse-moi l’ivresse!
[Samson, Samson, je t’aime!]

Remember me

Henry Purcell (1659 - 1695): «Thy hand, Belinda», recitativo, e «When I am laid in earth», aria di Didone, dal III atto dell’opera Dido and Aeneas (1688). Jessye Norman (1945 - 30 settembre 2019), soprano; English Chamber Orchestra, dir. Raymond Leppard.

Thy hand, Belinda, darkness shades me,
On thy bosom let me rest,
More I would, but Death invades me;
Death is now a welcome guest.

When I am laid in earth,
May my wrongs create
No trouble in thy breast;
Remember me, but ah! forget my fate.

Jessye

Big Brother Productions

Lorin Maazel (1930 - 13 luglio 2014): Ouverture per l’opera 1984 (2005). Coro e orchestra del Royal Opera House diretti dall’autore.
1984 di Maazel è un’opera in due atti il cui libretto (di J.D. McClatchy e Thomas Meehan) prende spunto dall’omonimo romanzo di George Orwell; fu rappresentata per la prima volta a Londra, Royal Opera House, il 3 maggio 2005.

LM

L’isola più bella

Henry Purcell (1659 - 21 novembre 1695): «Fairest isle», aria per soprano (Venere) dal V atto della semi-opera King Arthur Z 628 (1691); testo di John Dryden. Anna Dennis, soprano; Voices of Music.

Fairest isle, all isles excelling,
Seat of pleasure and of love,
Venus here will choose her dwelling,
And forsake her Cyprian grove.
Cupid from his fav’rite nation
Care and envy will remove;
Jealousy that poisons passion,
And despair that dies for love.

Gentle murmurs, sweet complaining,
Sighs that blow the fire of love,
Soft repulses, kind disdaining,
Shall be all the pains you prove.
Ev’ry swain shall pay his duty,
Grateful ev’ry nymph shall prove;
And as these excel in beauty,
Those shall be renown’d for love.

Il «Mahler africano»

Samuel Coleridge-Taylor (15 agosto 1875 - 1912): Ouverture per The Song of Hiawatha, trilogia corale op. 30 (1901) su testi di Henry Wadsworth Longfellow. RTÉ Concert Orchestra, dir. Adrian Leaper.

Agli interessati YouTube offre la possibilità di ascoltare l’intera trilogia. Nato a Holborn, Londra, da padre creolo originario della Sierra Leone e madre inglese, Samuel Coleridge-Taylor fu così chiamato in onore del poeta Samuel Taylor Coleridge. Affermatosi quale compositore e direttore d’orchestra, nei primi anni del ‘900 si recò in tournée negli Stati Uniti, ottenendo un grandissimo successo; l’appellativo di «Mahler africano» gli fu assegnato dai membri (bianchi) di un’orchestra newyorkese da lui diretta nel 1910. Morì a 37 anni di polmonite.

Shakespeariana – XXXII

MacBallet

Giuseppe Verdi (1813 - 1901): Ballet music from Macbeth (1865). WDR Rundfunk­or­chester, dir. Massimo Zanetti.

Based on Shakespeare’s play of the same name, Verdi’s Macbeth was premiered on March 14th, 1847. The ballet scene was added to Verdi’s special Paris debut: the new version of the opera was first performed on April 21st, 1865.

Shakespeariana – XXIX

Ivresse de jeunesse

Charles Gounod (1818 - 1893): «Je veux vivre», Juliette’s valse-ariette (waltz song) from the 1st act of the opera Roméo et Juliette (1867), libretto by Jules Barbier and Michel Carré, based on Romeo and Juliet by William Shakespeare. Natalie Dessay, soprano; Orchestre du Capitole de Toulouse conducted by Michel Plasson.

Ah!
Je veux vivre
Dans ce rêve qui m’enivre
Ce jour encore!
Douce flamme,
Je te garde dans mon âme
Comme un trésor!

Cette ivresse de jeunesse
Ne dure, hélas, qu’un jour!
Puis vient l’heure
Où l’on pleure,
Le cœur cède à l’amour
Et le bonheur fuit sans retour!

Loin de l’hiver morose
Laisse-moi sommeiller
Et respirer la rose
Avant de l’effeuiller.

Shakespeariana – XXI

…und Julia

Heinrich Sutermeister (1910 - 1995): Symphonic Suite from the opera Romeo und Julia (1940). Royal Philharmonic Orchestra; Rainer Held, conductor.

  1. Fanfares Summon the Guests to a Feast at the Capulets: Presto vivace
  2. Music of the Feast: Più mosso
  3. Juliet Dances with Paris: Andante con grazia
  4. Climax of the Masked Ball: Allegro molto
  5. Sarabande: Andante molto sostenuto
  6. Fairy Mab: Presto grazioso
  7. Finale: Adagio

Dalla prima all’ultima

Jacques Offenbach (20 giugno 1819 - 1880): Die Rheinnixen, ouverture (1864). The Gulbenkian Orchestra, dir. Michel Swierczewski.

Oltre alle operette per cui è famoso, Offenbach scrisse due opere «serie». La prima, Les Fées du Rhin, composta su libretto di Charles-Louis-Étienne Nuitter, Offenbach vivente fu rappresentata solo a Vienna nel 1864 con il titolo di Die Rheinnixen e libretto tradotto in tedesco da Alfred von Wolzogen; ma fu un allestimento poco fortunato: l’opera andò in scena in forma ridotta a causa di un’indisposizione del tenore Alois Ander, che vi avrebbe dovuto sostenere uno dei ruoli principali. La prima rappresentazione integrale, con il libretto originale francese, è del 2002.
Offenbach riutilizzò due brani delle Fées nella sua seconda e ultima opera, Les contes d’Hoffmann, rappresentata postuma nel 1881. Il più famoso dei due, lo «Chant des Elfes» citato anche nell’ouverture, diventò la barcarola («Belle nuit, ô nuit d’amour») cantata da Nicklausse e Giulietta all’inizio del IV atto, ambientato a Venezia.

Dopo il «Galop infernal» di Orphée aux enfers, questa barcarola è senz’altro la più celebre composizione di Offenbach. Qui è eseguita da Elīna Garanča e Anna Netrebko accompagnate dall’Orchestra filarmonica di Praga diretta da Emmanuel Villaume.

Belle nuit, ô nuit d’amour,
Souris à nos ivresses,
Nuit plus douce que le jour,
Ô belle nuit d’amour!
Le temps fuit et sans retour
Emporte nos tendresses
Loin de cet heureux séjour.
Le temps fuit sans retour.
Zéphyrs embrasés.
Versez-nous vos caresses.
Zéphyrs embrasés,
Donnez-nous vos baisers.

JO
Jacques Offenbach
(disegno di Alexandre Laemlein, 1850. © Gallica-BnF)

Shakespeariana – XV

Sing all a green willow – I

Gioachino Rossini (1792 - 1868): «Assisa a pie’ d’un salice – Deh calma, o ciel, nel sonno», Canzone del salice e Preghiera dall’atto III di Otello, ossia Il moro di Venezia, dramma tragico in 3 atti su libretto di Francesco Berio di Salsa (1816). Montserrat Caballé, soprano (Desdemona); Corinna Vozza, mezzosoprano (Emilia); Orchestra della RCA Italiana, dir. Carlo Felice Cillario.

DESDEMONA:
 Assisa a pie’ d’un salice,
 immersa nel dolore,
 gemea trafitta Isaura
 dal più crudele amore:
 l’aura tra i rami flebile
 ne ripeteva il suon.
 I ruscelletti limpidi
 a’ caldi suoi sospiri,
 il mormorio mesceano
 de’ lor diversi giri:
 l’aura fra i rami flebile
 ne ripeteva il suon.
 Salce, d’amor delizia!
 Ombra pietosa appresta,
 (di mie sciagure immemore)
 all’urna mia funesta;
 né più ripeta l’aura
 de’ miei lamenti il suon.
 Che dissi!… Ah m’ingannai!… Non è del canto
 questo il lugubre fine. M’ascolta… Oh dio!
(un colpo di vento spezza alcuni vetri della finestra.)

EMILIA:
 Non paventar; rimira:
 impetuoso vento è quel che spira.

DESDEMONA:
 Io credeva che alcuno… Oh come il cielo
 s’unisce a’ miei lamenti!…
 Ascolta il fin de’ dolorosi accenti.
 Ma stanca alfin di spargere
 mesti sospiri, e pianto,
 morì l’afflitta vergine
 ahi! di quel salce accanto.
 Morì… che duol! l’ingrato…
 Poté… ma il pianto oh Dio!
 proseguir non mi fa. Parti, ricevi
 da’ labbri dell’amica il bacio estremo.

EMILIA:
 Oh che dici!… Ubbidisco… oh come io tremo!

DESDEMONA:
 Deh calma, o ciel, nel sonno
 per poco le mie pene,
 fa, che l’amato bene
 mi venga a consolar.
 Se poi son vani i prieghi,
 di mia breve urna in seno
 venga di pianto almeno
 il cenere a bagnar.
(ella cala la tendina e si getta sul letto.)

Shakespeariana – V

In Windsor

Otto Nicolai (1810 - 1849): Ouverture per Die lustigen Weiber von Windsor, Singspiel in 3 atti (1849) su libretto di Hermann Salomon Mosenthal desunto dalla commedia The Merry Wives of Windsor di William Shakespeare. Wiener Philharmoniker, dir. Carlos Kleiber.

Un innocente amor

Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791): «Là ci darem la mano», duettino di Don Giovanni e Zerlina, dal I atto, scena 9a, del dramma giocoso Don Giovanni K 527 (1787), libretto di Lorenzo Da Ponte. Bryn Terfel, baritono; Cecilia Bartoli, soprano; Orchestra dell’Accademia nazionale di santa Cecilia, dir. Myung-Whun Chung.


Friedrich Dotzauer (1783 - 6 marzo 1860): Andante con Variazioni über ein Thema aus der Oper «Don Giovanni» per 2 violoncelli. Marie Spaemann e Rebekka Markowski.


Fryderyk Chopin (1810 - 1849): Variazioni per pianoforte e orchestra op. 2 (1827) su «Là ci darem la mano» dal Don Giovanni di Mozart. Claudio Arrau, pianoforte; London Philharmonic Orchestra, dir. Eliahu Inbal.

Chopin elaborò questa sua prima partitura orchestrale durante il secondo anno di studio presso la Scuola superiore di musica di Varsavia; le Variazioni contribuirono in maniera determinante, forse anche più dei Concerti per pianoforte, a far conoscere il nome del giovane compositore in patria e nei principali centri musicali europei.
È noto l’entusiasmo che le Variazioni op. 2 suscitarono nel giovane Schumann, il quale le recensì in un lungo articolo per l’«Allgemeine Musikalische Zeitung» di Lipsia (n. XXXIII/49 del 7 dicembre 1831), articolo che s’inizia con una significativa esclamazione: «Giù il cappello, signori, un genio!». Chopin lesse la recensione e ne scrisse divertito a Tytus Woyciechowski, dedicatario delle Variazioni: «Costui le analizza misura per misura, affermando che non sono variazioni come le altre, ma una specie di quadro fantastico. Della seconda dice che vi si vedono correre Don Giovanni e Leporello; nella terza Don Giovanni stringe Zerlina fra le braccia, mentre a sinistra Masetto si rode di rabbia. Infine sostiene che nella quinta misura dell’Adagio Don Giovanni bacia Zerlina in re bemolle maggiore. […] È ben divertente la fantasia di questo tedesco» (12 dicembre 1831).
Chopin eseguì più volte in pubblico le Variazioni op. 2: fra l’altro, anche nel concerto con il quale si presentò al mondo musicale parigino, il 26 febbraio 1832.

Chopin op. 2

NB: salvo diversa indicazione, i testi inseriti negli articoli dedicati a Chopin nel presente blog sono tratti dal volume Chopin: Signori il catalogo è questo di C. C. e Giorgio Dolza, Einaudi, Torino 2001.