Petite Symphonie

Charles Gounod (1818 - 18 ottobre 1893): Petite Symphonie per flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 corni e 2 fagotti (1885). The Saint Paul Chamber Orchestra, dir. Christopher Hogwood.

  1. Adagio – Allegretto
  2. Andante cantabile
  3. Scherzo: Allegro moderato
  4. Finale: Allegretto


L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Charles Gounod: il maestro dalle molte anime, tra melodia sacra e trionfi lirici

Charles-François Gounod, figura eminente della musica francese del XIX secolo, ha lasciato un’impronta indelebile con un’opera vasta e variegata, che spazia dal sacro al profano, dall’opera al coro. La sua vita fu un percorso intenso di formazione, esplorazione spirituale e successi clamorosi, non senza aspre critiche.

Le origini e la formazione musicale (1818-42)
Nato a Parigi, fu il secondogenito del pittore François-Louis Gounod e di Victoire Lemachois. Rimasto orfano di padre all’età di cinque anni, fu la madre, insegnante di pianoforte, a impartirgli le prime lezioni, rivelando precocemente il suo talento. Dopo gli studi al Lycée Saint-Louis, Gounod si immerse nello studio musicale, perfezionando l’armonia con Antoine Reicha e poi, al Conservatorio di Parigi, con Jacques Fromental Halévy, e la composizione con Jean-François Lesueur. Il suo talento fu presto riconosciuto: nel 1839 vinse il prestigioso Grand Prix de Rome con la cantata Fernand. Il soggiorno a Villa Medici gli permise di approfondire la musica religiosa, in particolare quella di Palestrina. Nel 1842, a Vienna, ebbe l’opportunità di assistere a una rappresentazione del Flauto magico di Mozart, esperienza che lo segnò profondamente, e di far eseguire la sua seconda messa con orchestra.

Tra vocazione sacerdotale e debutto compositivo (1843-1860)
Tornato a Parigi nel 1843, Gounod assunse il ruolo di organista e maestro di cappella presso la Chiesa delle Missioni estere. Questo periodo fu caratterizzato da una profonda riflessione spirituale: nel 1847 ottenne il permesso di indossare l’abito ecclesiastico, frequentò corsi di teologia a Saint-Sulpice e ascoltò i sermoni di Lacordaire. Tuttavia, le giornate rivoluzionarie del 1848 lo portarono a rinunciare alla vocazione sacerdotale e a lasciare l’incarico. L’anno successivo, grazie all’appoggio della celebre Pauline Viardot, Gounod ottenne il libretto di Sapho da Émile Augier, la sua prima opera, che debuttò all’Opéra il 16 aprile 1851, senza riscuotere un grande successo. Nel 1852 sposò Anna Zimmerman. Parallelamente, presiedette gli Orphéons della Città di Parigi dal 1852 al 1860, componendo numerosi cori come Le Vin des Gaulois. Nel 1860, la sua dedizione alla musica sacra lo portò a partecipare al Congresso per la restaurazione del canto gregoriano.

L’apice dell’opera e le sfide della critica (1858-67)
Gli anni ’50 e ’60 segnarono l’apice della sua carriera operistica. Nel 1858, in occasione dell’anniversario della nascita di Molière, fu rappresentato con successo l’opéra-comique Le Médecin malgré lui, su libretto di Jules Barbier e Michel Carré, con cui avrebbe spesso collaborato. Ma fu il 1859 a consacrarlo: la sua opera Faust, basata sull’opera di Goethe, debuttò al Théâtre-Lyrique riscuotendo un successo clamoroso, con 70 repliche solo nel primo anno. Seguirono nel 1860 gli opéra-comiques Philémon et Baucis e La Colombe. Nonostante il trionfo di Faust, Gounod affrontò anche critiche feroci. La Reine de Saba, creata nel 1862, si fermò dopo sole quindici rappresentazioni e fu stroncata da Paul Scudo, critico della “Revue des deux Mondes”, che lo accusò di emulare i «cattivi musicisti della Germania moderna» come Liszt e Wagner, avvertendolo di essere «irrimediabilmente perduto» se avesse persistito. Nel marzo 1863, Gounod incontrò Frédéric Mistral, dal cui poema Mirèio (Mireille) avrebbe tratto un libretto. Si trasferì a Saint-Rémy-de-Provence, dove la musica si impregnò dell’atmosfera del Midi, un periodo di pace e ispirazione. L’opera Mireille fu creata a Parigi nel marzo 1864, ottenendo però un successo solo moderato. Il riscatto arrivò nel 1867, quando Roméo et Juliette, durante l’Esposizione universale, fu accolta con un successo entusiastico.

Gli anni britannici, il ritorno e il crepuscolo sacro (1870-93)
Nel 1870, fuggendo l’invasione tedesca della Francia, Gounod si trasferì in Inghilterra, dove instaurò una liaison di quattro anni con la cantante Georgina Weldon. Durante questo periodo, vide l’insuccesso di Les deux Reines de France (1872) e il successo patriottico di Jeanne d’Arc, un dramma storico che ravvivò lo spirito nazionale francese. Nel 1874 Gounod lasciò la Gran Bretagna e tornò in Francia, dove si stabilì a Parigi nel 1878 e vi rimase fino alla morte. Nella parte finale della sua vita, Gounod si dedicò prevalentemente alla musica religiosa, componendo un gran numero di messe e due oratori maggiori: La Rédemption (1882) e Mors et vita (1885). Morì il 18 ottobre 1893 a Saint-Cloud, appena dopo aver completato il Requiem in do maggiore, considerato il suo canto del cigno. I funerali, dieci giorni dopo, furono nazionali e si tennero nell’imponente Chiesa della Madeleine, con l’intervento di figure come Camille Saint-Saëns e Théodore Dubois all’organo, e Gabriel Fauré alla direzione della maîtrise che, secondo il desiderio di Gounod, eseguì la Messa gregoriana dei defunti.

L’impronta musicale: un catalogo vario e persistente
Gounod ha lasciato un patrimonio di circa 500 opere musicali, la cui influenza si estende ancora oggi. È celebre soprattutto per le sue opere liriche: Faust, la sua opera più iconica, con il grandioso valzer che conclude il I atto e con arie celebri come «Le Veau d’or» di Mefistofele, l’“aria dei gioielli di Marguerite” «Ah! je ris», il coro dei soldati «Gloire immortelle de nos aïeux», la musica di balletto della Notte di Valpurga e il coro finale degli angeli «Sauvée, Christ est ressuscité»; Roméo et Juliette: un altro grande successo, con la celebre valse di Giulietta «Je veux vivre» e l’aria del tenore «Ah! lève-toi, soleil!»; Mireille: basata sul poema provenzale di Frédéric Mistral; Cinq-Mars: un’opera storica, rielaborata più volte, che presenta arie come «Nuit resplendissante» e «Ô chère et vivante image».
Il catlogo delle opere di Gounod include anche altri lavori significativi: due sinfonie (1855) e una Petite Symphonie per nove strumenti a fiato (1885); cinque quartetti per archi; la celebre Ave Maria, basata sul primo preludio del Clavicembalo ben temperato di Bach (originariamente non destinato all’esecuzione liturgica), e il Requiem in do maggiore; composizioni strumentali quali la Marche funèbre d’une marionnette (1872), che divenne famosa globalmente come sigla del programma televisivo Alfred Hitchcock presenta, e la Marche pontificale (1869) che fu adottata nel 1949 come inno nazionale del Vaticano; e numerose e delicate mélodies, su testi di poeti quali Alfred de Musset, Alphonse de Lamartine, Théophile Gautier e Jean Racine, oltre a testi di sua stessa mano.

La Petite Symphonie
Dedicata alla Société de musique de chambre pour instruments à vent fondata da Paul Taffanel nel 1879, rappresenta un magnifico esempio della capacità del compositore francese di coniugare l’eleganza classica con la ricchezza melodica romantica, creando un’opera che è al contempo intima e virtuosistica. L’opera, eseguita per la prima volta il 30 aprile 1885 alla Salle Pleyel con Taffanel stesso al flauto, e pubblicata solo diciannove anni dopo, è una celebrazione delle sonorità e delle capacità espressive degli strumenti a fiato, offrendo un dialogo continuo e brillante tra le diverse voci.
La scelta di una formazione così specifica – flauto, due oboi, due clarinetti, due corni e due fagotti – permette a Gounod di esplorare una tavolozza timbrica ricca ma trasparente. L’attributo petite del titolo non si riferisce a una mancanza di sostanza musicale, ma piuttosto alla natura cameristica e all’eleganza leggera che pervade l’intera opera, lontana dalle massicce sonorità orchestrali di una sinfonia tradizionale.

Il primo movimento si apre con un Adagio, dove i due corni introducono un’atmosfera solenne e avvolgente con accordi sostenuti e caldi. Seguono le altre sezioni di fiati, aggiungendo strati armonici che costruiscono una breve ma intensa introduzione. Le dinamiche sono contenute, suggerendo un tono riflessivo e quasi contemplativo, che evoca l’aspetto più sacro della produzione di Gounod. L’espressività è palpabile, anche nella brevità di questa sezione.
Senza soluzione di continuità, il movimento si anima bruscamente con l’Allegretto. Il flauto emerge con una melodia agile, brillante e gioiosa, caratterizzata da rapide figurazioni e un piglio vivace. Subito dopo, gli oboi riprendono ed elaborano il tema, creando un dialogo serrato e spensierato. I clarinetti e i fagotti forniscono un accompagnamento ritmico e armonico dinamico, spesso con arpeggi gorgoglianti o passaggi saltellanti che aggiungono leggerezza. Il movimento è un vero e proprio tour de force di scrittura per fiati, con passaggi virtuosistici che si alternano a momenti di maggiore lirismo, ma sempre mantenendo un’energia contagiosa. L’interazione tra gli strumenti è costante: il tema passa agilmente da un flauto brillante a oboi cantabili, clarinetti arguti e fagotti giocosi. Le sezioni tutti sono incisive e dinamiche, contrastando con le tessiture più trasparenti dei passaggi solistici. Il movimento procede con una chiara forma sonata, con una ripresa espositiva evidente e uno sviluppo che esplora frammenti tematici e armonie più audaci, prima di tornare alla ricapitolazione che porta a una coda effervescente.
Il secondo movimento offre un netto contrasto, immergendosi in un’atmosfera di profonda liricità e dolcezza. Il carattere cantabile è immediatamente percepibile, con una melodia espressiva e distesa. In questa esecuzione, si nota chiaramente come gli oboi prendano il comando della melodia principale, con il flauto che spesso si unisce o raddoppia, aggiungendo brillantezza. I corni forniscono una base armonica stabile e calda, mentre clarinetti e fagotti tessono controcanti fluidi o un delicato accompagnamento. La musica si sviluppa con grazia, alternando momenti di melodia sostenuta a brevi fioriture che adornano le frasi. Le dinamiche sono attentamente calibrate, con crescendi e diminuendi che esaltano l’espressività intrinseca del movimento. Il movimento si conclude con una riproposizione del tema principale, sfumando dolcemente e lasciando un’impressione di serena bellezza.
Lo Scherzo irrompe con un’energia e un ritmo contagiosi, fedele al suo nome che suggerisce un carattere giocoso e vivace. Il tempo è veloce e il tema principale è frammentato, caratterizzato da staccati e passaggi rapidi che si scambiano tra flauto e clarinetti. I fagotti aggiungono un tocco di umorismo e leggerezza con i loro interventi puntuali. La sezione centrale, il trio, porta un cambiamento di umore, introducendo un tema più ampio e cantabile, con un sapore quasi rustico e una strumentazione più piena. Qui i corni e i fagotti sono particolarmente prominenti, creando un contrasto efficace con l’agilità dello scherzo. Dopo il trio, lo Scherzo torna nella sua forma iniziale, riprendendo il suo slancio ritmico e la sua tessitura vivace. La coda finale è un’accelerazione mozzafiato, che conduce il movimento a una conclusione scattante ed esaltante.
Il Finale si apre con un gesto grandioso e imponente, dove l’intero nonetto esegue un’affermazione forte e dichiarativa, stabilendo un carattere trionfale. Il tema principale, rapido e accattivante, è subito introdotto e presenta un’alternanza di scale veloci e arpeggi distribuiti tra i fiati. Si alternano momenti di tutti energici a sezioni più liriche o riflessive, che servono a costruire la tensione prima di nuove esplosioni di energia. Le modulazioni armoniche sono sapientemente gestite, ampliando la portata espressiva del pezzo. Verso la conclusione, il movimento si intensifica progressivamente, accumulando sonorità e virtuosismi fino a un finale enfatico e celebrativo.

Nel complesso, l’opera è molto più di un semplice esercizio di scrittura per fiati e dimostra la maestria del compositore nell’orchestrazione, la sua vena melodica inesauribile e la sua capacità di creare un’atmosfera coerente attraverso quattro movimenti distinti. Si tratta di una composizione che, pur mantenendo un respiro “piccolo” nel senso cameristico, offre una grande ricchezza musicale e un piacere d’ascolto duraturo, confermando il genio di Gounod ben oltre le sue opere liriche più celebri.

Gounod, Petite Symphonie

Concerto per oboe – XV

Giovanni Benedetto Platti (9 luglio 1697 [forse] - 1763): Concerto in sol minore per oboe e orchestra. Alfredo Bernardini, oboe; Bremer Barockorchester.

  1. Allegro
  2. Largo [3:53]
  3. Allegro [8:44]


L’approfondimento
di Pierfrancesco Di Vanni

Giovanni Benedetto Platti: l’innovatore dimenticato, tra Venezia e Würzburg

Figura poliedrica e di grande raffinatezza, Platti rappresenta un importante ponte tra la tradizione musicale barocca italiana e il nascente stile classico in terra tedesca. Musicista eclettico e compositore pionieristico, la sua carriera si snoda tra la vivace scena musicale veneziana e la prestigiosa corte dei principi-vescovi di Würzburg, lasciando un’eredità che, sebbene a lungo trascurata, è oggi oggetto di una meritata riscoperta.

Origini incerte e formazione a Venezia
Le esatte coordinate biografiche della giovinezza di Platti rimangono avvolte nell’incertezza. Sebbene una tradizione, basata su una lettera di dubbia autenticità, fissi la sua nascita a Padova il 9 luglio 1697, fonti più concrete, come il suo atto di morte registrato a Würzburg l’11 gennaio 1763, lo indicano come sessantaquattrenne, suggerendo quindi una nascita intorno al 1699. Indipendentemente dal luogo e dalla data precisi, il suo percorso formativo è saldamente ancorato a Venezia: è qui che il padre, Carlo Platti, lavorava come suonatore di violetta nella cappella della Basilica di San Marco. Il giovane Giovanni Benedetto ebbe la fortuna di studiare con un maestro del calibro di Francesco Gasparini e, già nel 1711, il suo nome compare nei registri dell’Arte de’ sonadori – la corporazione dei musicisti veneziani – a testimonianza di un talento precoce e riconosciuto.

Una vita alla corte di Franconia: il sodalizio con gli Schönborn
Come molti talenti italiani dell’epoca, Platti cercò fortuna oltralpe. La svolta avvenne il 2 aprile 1722, quando fu assunto nella cappella di corte del principe-vescovo di Würzburg, Johann Philipp Franz von Schönborn. Iniziò la sua carriera come oboista e violinista, ma le sue straordinarie capacità lo portarono a diventare una figura di spicco e insostituibile per oltre quarant’anni, al servizio di ben sei principi vescovi. La sua versatilità era eccezionale: fu virtuoso di violoncello e clavicembalo, ma anche tenore e apprezzato maestro di canto. A Würzburg costruì anche la propria famiglia: nel 1723 sposò la soprano di corte Maria Theresia Lambrucker (o Langsprücker), dalla quale ebbe dieci figli. La sua carriera fu profondamente legata alla famiglia Schönborn, che ne plasmò il percorso artistico in tre modi determinanti:
– Johann Philipp Franz von Schönborn fu colui che lo chiamò a corte, intuendone il potenziale;
– suo fratello e successore, Friedrich Carl von Schönborn, ne ampliò le mansioni nominandolo cantante e maestro di canto, facendolo talvolta spostare con la cappella nella seconda sede arcivescovile di Bamberga;
– un ruolo cruciale fu giocato dal terzo fratello, il conte e diplomatico Rudolf Franz Erwein von Schönborn: appassionato melomane e provetto violoncellista dilettante, egli divenne il principale committente di Platti. Per lui, che risiedeva nel palazzo di Wiesentheid, il compositore scrisse il nucleo più significativo della propria produzione strumentale, oggi conservato proprio in quella residenza.

La produzione musicale: un corpus vario e innovativo
Il corpus delle composizioni di Platti, sebbene non vastissimo, è di notevole qualità e importanza storica. Si può suddividere in tre categorie principali:
– la musica per il conte di Wiesentheid: per il suo mecenate Rudolf Franz Erwein, Platti compose una sessantina di opere (pervenute manoscritte), tra cui spiccano 28 Concerti con violoncello obbligato, oltre 20 Sonate a tre con il violoncello in ruolo melodico (una formazione piuttosto inusuale), Duetti per violino e violoncello, e 12 Sonate per violoncello solo;
– le opere a stampa: la fama di Platti in Europa fu assicurata dalla pubblicazione a Norimberga, tra il 1742 e il 1746, di quattro raccolte di pregio per l’editore Ulrich Haffner. Queste includono le Sonates pour le clavessin sur le goût italien op. 1, le Sonate a flauto traversiere solo op. 3 e le Sonate per cembalo solo op. 4. Purtroppo, i Concerti a cembalo obligato op. 2 risultano oggi perduti;
– la musica sacra e vocale: per la corte di Würzburg compose anche musica sacra (4 Messe, un Requiem, uno Stabat Mater, un Miserere) e opere vocali profane, come oratori e applausi festosi, dei quali sfortunatamente oggi rimangono soltanto i libretti.

Stile e rilevanza storica: pioniere della sonata moderna
L’importanza del compositore risiede soprattutto nel suo ruolo di pioniere nello sviluppo delle forme strumentali che avrebbero dominato l’era classica. Fu il suo “moderno scopritore”, il musicologo Fausto Torrefranca, a definirlo il principale ideatore della sonata moderna. Analizzando gli allegri iniziali delle sue sonate per clavicembalo, si nota infatti una struttura già chiaramente bitematica e tripartita, con un’esposizione dei temi, uno sviluppo centrale divagante e una regolare ripresa, anticipando la forma-sonata che sarebbe stata codificata solo più tardi.
Il suo stile è descritto come «disinvolto e mai banale». L’invenzione tematica è accesa e brillante nei tempi veloci, mentre i movimenti lenti si distinguono per un’opulenza armonica e una grande ricchezza melodica, in un perfetto equilibrio tra fluente cantabilità e solida scrittura contrappuntistica. Le sue opere per clavicembalo e violoncello appartengono alla primissima fase di sviluppo di questi generi come repertorio solistico, e le sue originali combinazioni timbriche, come nelle Sonate a tre, dimostrano un’instancabile ricerca sonora.

Concerto in sol minore per oboe e orchestra: analisi
Il suo Concerto in sol minore per oboe e orchestra è un’opera esemplare che si colloca artisticamente al crocevia tra il tardo Barocco e il nascente Stile galante. In esso si fondono la solidità strutturale della forma a ritornello di stampo vivaldiano con una sensibilità melodica e una chiarezza espressiva che anticipano il Classicismo.

Il primo movimento si apre con un’energia drammatica e vigorosa, tipica della tonalità di sol minore. La struttura è quella della forma a ritornello, in cui l’orchestra presenta un tema principale che ritorna, intero o frammentato, a scandire le diverse sezioni solistiche. Il tema d’apertura è incisivo e caratterizzato da un forte impulso ritmico: figure arpeggiate ascendenti e ritmi puntati conferiscono al discorso un carattere deciso e quasi marziale. Armonicamente, il tema stabilisce saldamente la tonalità con chiare cadenze.
L’ingresso dell’oboe segna un netto cambio di carattere: la scrittura solistica è virtuosistica e al contempo lirica. Qui si modula abilmente alla tonalità relativa maggiore, si bemolle maggiore, in cui l’orchestra ripropone una parte del ritornello, come da prassi barocca. La sezione centrale del movimento vede l’oboe impegnato in passaggi ancora più complessi, mentre l’armonia esplora tonalità vicine. È qui che emerge lo Stile galante di Platti: le frasi sono tendenzialmente più brevi e simmetriche rispetto al contrappunto denso del Barocco maturo e l’enfasi è posta su una melodia chiara e orecchiabile, splendidamente sostenuta da un’armonia funzionale e diretta. L’interazione tra solista e orchestra è un dialogo costante: il tutti non si limita a fare da cornice, ma interviene con frammenti del ritornello, creando un discorso dinamico e coeso. Il movimento si conclude con la riaffermazione del ritornello orchestrale nella tonalità d’impianto, chiudendo il cerchio in modo energico e affermativo.
Nel secondo movimento, l’atmosfera cambia radicalmente: abbandonato il dramma del sol minore, Platti si sposta nella luminosa e serena tonalità di mi bemolle maggiore (la sottodominante della relativa maggiore), una scelta armonica che evoca un senso di pace e contemplazione. Questo Largo è concepito come un’aria d’opera strumentale. L’orchestra d’archi, con il delicato pizzicato del continuo, crea un tappeto sonoro discreto e rarefatto, lasciando il palcoscenico interamente al solista. La linea melodica dell’oboe è di una bellezza struggente: si tratta di una lunga e sinuosa cantilena che permette al solista di esprimere il massimo del lirismo. Le armonie sono chiare e funzionali, progettate per sostenere il canto dell’oboe senza mai sopraffarlo. Il movimento si conclude in un clima di serena sospensione, lasciando l’ascoltatore cullato dalla sua dolce malinconia.
Il finale riporta l’energia e la vitalità, ma con un carattere completamente diverso dal primo movimento. Si tratta di un Allegro brillante e spensierato che assume le sembianze di una danza veloce e gioiosa, simile a una giga. Il tema principale, esposto dall’orchestra, è leggero, saltellante e immediatamente memorizzabile. Il suo carattere giocoso e la sua ritmica scattante creano un’atmosfera di festa e buonumore, fungendo da perfetto contrappeso alla gravità del movimento precedente. Anche qui la forma a ritornello organizza il discorso musicale. Gli episodi solistici sono un tripudio di virtuosismo brillante: scale veloci, arpeggi spezzati e passaggi agili si susseguono senza sosta. Questa è forse la parte più “moderna” del concerto, dove lo Stile galante si manifesta in tutta la sua chiarezza: le frasi brevi e ripetute, la trama orchestrale leggera e l’assoluto predominio di una melodia brillante e divertente sono tutti elementi che guardano già verso il Classicismo. L’interazione tra solista e orchestra è vivace e serrata, quasi una gara di abilità e brio. Il Concerto si conclude con un’ultima, scoppiettante affermazione del ritornello.

Aria con l’eco

Johann Sebastian Bach (1685 - 1750): «Flösst, mein Heiland, flösst dein Namen», aria per so­prano, oboe e organo, dalla IV parte del Weihnachtsoratorium BWV 248 (1734). Nancy Argenta, soprano; The English Baroque Soloists, dir. John Eliot Gardiner.
Testo di Christian Friedrich Henrici alias Picander:

Flößt, mein Heiland, flößt dein Namen
Auch den allerkleinsten Samen
Jenes strengen Schreckens ein?
Nein, du sagst ja selber nein.

(Echo: Nein! )


Sollt ich nun das Sterben scheuen?
Nein, dein süßes Wort ist da!
Oder sollt ich mich erfreuen?
Ja, du Heiland sprichst selbst ja.

(Echo: Ja! )
Potrà il tuo nome, Redentore, infondere
anche il più piccolo seme
di quel tremendo terrore?
No, tu stesso dici no.
(Eco : No!)


Dovrei dunque temere la morte?
No, la dolce tua parola è qui.
Oppure dovrei rallegrarmi?
Sì, Redentore, tu stesso dici sì.
(Eco : Sì!)

«Flösst, mein Heiland» è una parodia dell’aria «Treues Echo dieser Orten» per contralto, oboe d’amore e orchestra, quinto brano della cantata profana Lasst uns sorgen, lasst uns wachen (Die Wahl des Herkules) BWV 213, composta l’anno precedente (1733) per l’undicesimo compleanno del principe elettore Federico Cristiano di Sassonia (1722 - 1763):

Carolyn Watkinson, contralto; Kammerorchester Berlin, dir. Peter Schreier.
Testo dello stesso Picander:

Treues Echo dieser Orten,
Sollt ich bei den Schmeichelworten
Süßer Leitung irrig sein?
Gib mir deine Antwort: Nein!

(Echo: Nein! )


Oder sollte das Ermahnen,
Das so mancher Arbeit nah,
Mir die Wege besser bahnen?
Ach! so sage lieber: Ja!

(Echo: Ja! )
Eco fedele di questi luoghi,
dovrò da parole adulatrici
essere indotto in errore?
Dammi la tua risposta: No!
(Eco : No!)


Oppure sarà l’esortazione
che prelude a così tanta fatica
a indicarmi correttamente la via?
Oh! Allora dimmi piuttosto: Sì!
(Eco : Sì!)

Suoni di vetro

Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791): Adagio e Rondò per Glasharmonika, flauto, oboe, viola e violoncello K 617 (23 maggio 1791). Bruno Hoffmann (15 settembre 1913 - 1991), Glasharmonika; Karl Heinz Ulrich, flauto; Helmut Hucke, oboe; Ernst Nippes, viola; Hans Plumacher, violoncello.

Bruno Hoffmann

Concerto triplo – I

Antonio Salieri (18 agosto 1750 - 1825): Concerto in re maggiore per oboe, violino, violoncello e orchestra (1770). Heinz Holliger, oboe; Thomas Füri, violino e direzione; Thomas Demenga, violoncello; Camerata Bern.

  1. Allegro moderato
  2. Cantabile [9:28]
  3. Andantino [17:22]

Metamorfosi – III

Benjamin Britten (1913 - 1976): Six Metamorphoses after Ovid per oboe solo op. 49 (1951). Heinz Holliger.

  1. Pan, who played upon the reed pipe which was Syrinx, his beloved

  2. Phaeton, who rode upon the chariot of the sun for one day and was hurled into the river Padus by a thunderbolt [2:10]

  3. Niobe, who, lamenting the death of her fourteen children, was turned into a mountain [3:30]

  4. Bacchus, at whose feasts is heard the noise of gaggling women’s tattling tongues and shouting out of boys [6:11]

  5. Narcissus, who fell in love with his own image and became a flower [8:05]

  6. Arethusa, who, flying from the love of Alpheus the river god, was turned into a fountain [12:07]

Fanfare – II

Jean-Joseph Mouret (11 aprile 1682 - 1738): Fanfares pour des trompettes, timbales, violons et hautbois, Première Suitte (1729). Adolf Scherbaum, tromba; Orchestre de chambre «Paul Kuentz», dir. Paul Kuentz.

  1. [Rondeau, senza indicazione di movimento]
  2. Gracieusement, sans lenteur
  3. Allegro
  4. Gay

Oboe & fagotto

Georg Christoph Wagenseil (29 gennaio 1715 - 1777): Concerto in mi bemolle maggiore per oboe, fagotto e orchestra WWV 345. Susanne Regel, oboe; Rainer Johannsen, fagotto; Echo du Danube, dir. Alexander Weimann.

  1. Allegro assai
  2. Andantino più tosto allegro [5:34]
  3. Presto [11:31]

Vino vecchio in bottiglie nuove

Gordon Jacob (5 luglio 1895 - 1984): Old Wine in New Bottles per 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni e 2 trombe (1959). US Air Force Air Combat Command Heritage of America Band, dir. Lowell E. Graham.

  1. The Wraggle Taggle Gipsies
  2. The Three Ravens
  3. Begone, Dull Care
  4. Early One Morning

Concerto per flauto, oboe, percussione e pianoforte

Edison Denisov (26 aprile 1929 - 1996): Concerto per flauto, oboe, percussione e pianoforte (1987). Doriot Anthony Dwyer, flauto; Ralph Gomberg, oboe; Everett Firth, percussione; Gilbert Kalish, pianoforte.

  1. Ouverture
  2. Cadenza [3:02]
  3. Coda [8:24]

Denisov

Parallel Lines (Subotnick 90)

Morton Subotnick (14 aprile 1933): Parallel Lines per ottavino solista con “ghost electronics”, oboe, clarinetto/clarinetto basso, tromba, trombone, percussione, arpa, viola e violoncello (1979).

« The “ghost” score is a parallel composition to the piccolo solo. The ghost score amplifies and shifts the frequency of the original non-amplified piccolo sound. The two (“ghost” and original piccolo sounds), like a pair of parallel lines, can never touch, no matter how quickly or intricately they move. The work is divided into three large sections: (1) a perpetual-motion-like movement in which all parts play an equal role; (2) more visceral music, starting with the piccolo alone and leading to a pulsating “crying out”, and (3) a return to the perpetual motion activity, but sweeter » (Morton Subotnick).


Un dolce tormento

Clément Janequin (c1485 - 1558): Il estoit une fillette, chanson a 4 voci (pubblicata nell’antologia Le Parangon des chansons, Livre 9, 1541, n. 14). Ensemble «Clément Janequin».

Il estoit une fillette
qui voulait scavoir le jeu d’amour.
Un jour qu’elle estoit seulette,
je luy en appris deux ou trois tours.
Après avoir senty le goust
elle me dit en soubzriant:
«Le premier coup me semble lour
mais la fin me semble friant».
Je luy dit «Vous me tentez»,
elle me dit «Recommencez!»
Je l’empoigne, je l’embrasse, je la fringue fort.
Elle crie «Ne cessez!»
Je lui dis «Vous me gastez,
Laissez moy, petite garce, vous avez grant tort».
Mais quand ce vint à sentir le doulx point
vous l’eussiez veu mouvoir si doulcement
que son las cueur luy tremble fort et poingt,
mais dieu merci c’estoit un doulx tourment.


La chanson del ‘500 ha una certa importanza anche per quanto riguarda la musica… strumentale. La quale per tutto il corso del Medioevo non aveva avuto una propria autonomia: gli strumenti erano sempre utilizzati di supporto al canto, raddoppiando le voci (questo avviene quando una voce e uno strumento eseguono la stessa melodia) oppure sostituendone qualcuna in caso di necessità. Poi, in epoca rinascimentale, alcuni strumentisti particolarmente abili (oggi diciamo virtuosi), segnatamente liutisti e clavicembalisti/organisti, cominciarono a trascrivere per il proprio strumento le chansons francesi più in voga: la prassi si diffuse un po’ dovunque — in Italia grazie a maestri come Francesco da Milano, liutista, e Andrea Gabrieli — dando inizio alla storia della musica strumentale vera e propria.
Alcune chansons trascritte per ensemble strumentale si trovano poi nel famoso Terzo Libriccino di musica (Danserye) pubblicato a Anversa nel 1551 da Tielman Susato, contenente un’ampia antologia di musiche per la danza; fra queste v’è appunto Il estoit une fillette di Janequin:

Tielman Susato (c1510/15 - c1570), da Janequin: Den VII Ronde: Il estoit une fillette eseguita da un quartetto di cromorni. Membri della Camerata Hungarica, dir. László Czidra.
Il cromorno, in italiano detto anche cornomuto torto, è uno strumento a ancia doppia incapsulata: appartiene dunque alla famiglia degli oboi.

Di notte

Eugène Bozza (4 aprile 1905 - 1991): Trois Pièces pour une musique de nuit per flauto, oboe, clarinetto e fagotto (1954). Ensemble Corrélatif: Christian Strube, flauto; Marion Klotz, oboe; Matthias Beltz, clarinetto; Anne Weber-Krüger, fagotto.

  1. Andantino [0:26]
  2. Allegro vivo [2:07]
  3. Moderato [4:25]