Athanasius Kircher (1602 - 1680): Tarantella napoletana, tono hypodorico (dal trattato Magnes, sive De arte magnetica, 1641). Ensemble L’Arpeggiata, diretto da Christina Pluhar.
Johann Sebastian Bach (1685 - 1750): Toccata e fuga in re minore (detta Dorica) BWV 538. Ton Koopman, organo.
Anonimo (erroneamente attribuita a Stefano Landi, 1587-1639): Homo fugit velut umbra – Passacalli della vita a 3 voci (pubblicata nella raccolta Canzonette spirituali e morali, che si cantano nell’Oratorio di Chiavenna, 1657). Marco Beasley, voce; ensemble L’Arpeggiata, dir. Christina Pluhar.
Oh, come t’inganni
se pensi che gli anni
non han da finire:
bisogna morire.
È un sogno la vita
che par sì gradita,
è breve gioire,
bisogna morire.
Non val medicina,
non giova la china,
non si può guarire,
bisogna morire.
Non vaglion sberate,
minarie, bravate
che caglia l’ardire,
bisogna morire.
Dottrina che giova,
parola non trova
che plachi l’ardire,
bisogna morire.
Non si trova modo
di scioglier ‘sto nodo,
non vale fuggire,
bisogna morire.
Commun’è statuto,
non vale l’astuto
‘sto colpo schermire,
bisogna morire.
La morte crudele
a tutti è infedele,
ogn’uno svergogna,
morire bisogna.
È pur o pazzia
o gran frenesia,
par dirsi menzogna,
morire bisogna.
Si more cantando,
si more sonando
la cetra, o sampogna,
morire bisogna.
Si muore danzando,
bevendo, mangiando;
con quella carogna
morire bisogna.
I giovani, i putti
e gl’huomini tutti
s’hann’a incenerire,
bisogna morire.
I sani, gl’infermi,
i bravi, gl’inermi
tutt’hann’a finire,
bisogna morire.
E quando che meno
ti pensi, nel seno
ti vien a finire,
bisogna morire.
Se tu non vi pensi
hai persi li sensi,
sei morto e puoi dire:
bisogna morire.
Stefano Landi (battezzato il 26 febbraio 1587 - 1639): T’amai gran tempo, aria a 1 voce e basso continuo (pubblicata nel ASecondo Libro d’arie musicali ad una voce, 1627, n. 11). Marco Beasley, voce; ensemble L’Arpeggiata, dir. Christina Pluhar.
T’amai gran tempo e sospirai mercede.
Tu m’hai tradito ogn’hor, priva di fede.
Hor và con novi amanti a far tue prove,
ch’io son già stufo e m’ho provvisto altrove.
Hor vanne mò
Ch’io non ti vo’,
Ch’io son già stufo
E m’ho provvisto altrove.
Hor vanne mò
Ch’io non ti vo’
Che già di là,
Di là dal Po, passato è ‘l Merlo…
Corri, corri a vederlo!
Mille volte io piangeva, e tu ridevi.
Mille volte io rideva, e tu piangevi.
Così cortese, i più felici amanti
Schermisti cruda in giochi, in risi, in pianti.
Hor grida mò,
Ch’io sordo stò,
Ch’io son già stufo
E m’ho provvisto altrove.
Hor vanne mò
Ch’io non ti vo’
Che già di là,
Di là dal Po, passato è ‘l Merlo…
Corri, corri a vederlo!
Ti fui fedele allor che fui gradito.
E qui lasciar ti vuò, se m’hai tradito.
Hor vanne a porre a nuovi amanti il vischio,
ch’io son già sciolto, e più non sento il fischio,
Hor crepa mò,
Ch’io non ti vo’,
Ch’io son già stufo
E m’ho provvisto altrove.
Hor vanne mò
Ch’io non ti vo’
Che già di là
Di là dal Po, passato è ‘l Merlo…
Corri, corri a vederlo!
Se talento ti vien di dar martello,
Guardati il volto, che non è più quello:
Hor le tue labbra d’oro e ‘l crin d’argento
Ricco mi fanno sol di pentimento.
Hor non più, no
T’adorerò,
Ch’io non ti vo’,
Ch’io son già stufo
E m’ho provvisto altrove.
Hor vanne mò
Ch’io non ti vo’
Che già di là
Di là dal Po, passato è ‘l Merlo…
Corri, corri a vederlo!
Marco Marazzoli, detto Marco dall’Arpa (c1602 - 26 gennaio 1662): Dal cielo cader vid’io, «canzonetta su la ciaccona». Jakub Józef Orliński – controtenore; L’Arpeggiata, dir. Christina Pluhar.
Dal cielo cader vid’io
due stelle più luminose,
e sul volto al idol mio
di sua mano Amor le pose.
Di due luci allo splendore
arda pur lieto un amante,
e costante
gli offra in dono il proprio core.
Ma non speri in tanto ardore
col seren dáltre faville,
avvampar quelle pipille
che dan lume al mio desio.
Dal cielo cader vid’io
due stelle più luminose,
e sul volto al idol mio
di sua mano Amor le pose.
Sotto l’arco d’un bel ciglio
splenderanno in bravi giri,
due zaffiri
da far caro ogni periglio.
Ma d’Amore è van consiglio
ch’ardan mai di foco pieni,
vaghi rai così sereni
come un guardo ch’io desio.
Dal cielo cader vid’io
due stelle più luminose,
e sul volto al idol mio
di sua mano Amor le pose.
Stefano Landi (1587 - 28 ottobre 1639): Augellin, aria a 1 voce e basso continuo (1620). Marco Beasley, tenore; ensemble L’Arpeggiata, dir. Christina Pluhar.
Augellin
Che ’l tuo amor
Segui ogn’hor
Dal faggio al pin
E formando i bei concenti
Vai temprando
Col tuo canto i miei lamenti.
Il mio Sol
Troppo fier,
Troppo altier,
Del mio gran duol,
Clori amata, Clori bella,
M’odia, ingrata,
A’ miei prieghi empia e rubella.
[Fa che si’
Crudo men
Quel bel sen
Che mi ferì,
E con l’aura del tuo canto,
Dolce e varia,
Fa ’l suo cor pietoso alquanto.]
Non sia più
Cruda, no,
Morirò
S’ella è qual fu;
Taci, taci, ché già pia
Porge i baci
Al mio labro l’alba mia.
Sol pietà
Spira il sen
Né ritien
Più crudeltà,
Lieti affanni, dolci pene,
Cari danni
Del mio Sole, del mio bene.
Segui, augel,
Né sdegnar
Di formar
Canto novel;
Fuor del seno amorosetto
Mostra a pieno
La tua gioia, il mio diletto.
Claudio Monteverdi (1567 - 1643): Damigella tutta bella, madrigale a 3 voci e strumenti (pubblicato in Scherzi musicali a 3 voci, 1607, n. 6); testo di Gabriello Chiabrera. Philippe Jaroussky e Nuria Rial, voci; ensemble l’Arpeggiata, dir. Christina Pluhar.
Vincenzo Calestani (10 marzo 1589 - p1617): Damigella tutta bella, aria per 1 voce e basso continuo (pubblicata in Madrigali et arie per sonare et cantare nel chitarrone leuto o clavicembalo a una, e due voci, 1617). Zachary Wilder e Emiliano Gonzalez Toro, tenori; ensemble I Gemelli, dir. Emiliano Gonzalez Toro.
Damigella
tutta bella
versa, versa quel bel vino,
fa’ che cada
la rugiada
distillata di rubino.
Ho nel seno
rio veneno
che vi sparse Amor profondo,
ma gittarlo
e lasciarlo
vo’ sommerso in questo fondo.
Damigella
tutta bella
di quel vin tu non mi sazi,
fa’ che cada
la rugiada
distillata di topazi.
Ah, che, spento,
io non sento
il furor de gl’ardor miei,
men cocenti,
meno ardenti
sono, ohimè, gli incendi etnei.
Nova fiamma
più m’infiamma,
arde il cor foco novello,
se mia vita
non s’aita,
ah, ch’io vengo un Mongibello.
Ma più fresca
ogn’ hor cresca
dentro me sì fatta arsura,
consumarmi
e disfarmi
per tal modo ho per ventura.